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Eni Award 2022: vincono 2 progetti a firma Alumni

Il 3 ottobre al Quirinale, alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, sono stati premiati i vincitori Eni Award 2022. Tra questi, anche Sinergy Flow, creata da tre Alumni e ricercatori politecnici e Ricehouse, start-up dell’Alumna e architetta Tiziana Monterisi, che hanno ricevuto la menzione speciale “Eni Joule for Entrepreneurship”

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Credits: eni.com

La storia di Eni Award – come si legge sul sito –  attraversa cinque continenti e le carriere di decine di ricercatori e scienziati. È stato istituito nel 2007 come premio aziendale e, da allora, è cresciuto fino a diventare un riconoscimento di livello internazionale per la ricerca e l’innovazione tecnologica applicate al mondo dell’energia. Anno dopo anno, i lavori premiati riguardano scoperte di grande impatto poiché rendono possibili innovazioni radicali nell’efficienza energetica, nelle rinnovabili, nella decarbonizzazione e nella tutela dell’ambiente. 

Nello specifico, il riconoscimento “Eni Joule for Entrepreneurship” vinto dai nostri Alumni premia la crescita di imprese sostenibili attraverso i percorsi “Human Knowledge” e “Energizer”, dedicati rispettivamente alla formazione di una nuova generazione imprenditoriale e all’accelerazione di startup.  

“Imprese sostenibili; imprese che “camminano” nel presente ma capaci, fin d’ora, di disegnare le mappe, le strade del futuro.” 

RICEHOUSE E SINERGY FLOW: DI COSA SI TRATTA? 

Sinergy Flow è una startup early stage (TRL 4) di Milano che propone una batteria innovativa per l’accumulo energetico stazionario di media e larga scala (ne abbiamo già parlato qui). La batteria a celle di flusso impiega scarti ricchi in zolfo dell’industria petrolchimica, con un costo di installazione ridotto ed elevate prestazioni. Il team è costituito da 3 giovani ingegneri che hanno sviluppato il progetto al Politecnico di Milano ed è stato rappresentata da Alessandra Accogli (CEO e co-founder), che commenta così a La Repubblica

“Sinergy Flow si è avviata con il mio progetto di dottorato: l’idea di un dispositivo, una batteria, in grado di accumulare energia a lungo da potersi abbinare con le fonti rinnovabili si è facilmente incontrata con le esigenze del mercato. […] L’adozione su larga scala del nostro dispositivo impatterà in maniera positiva sul benessere, garantendo una migliore qualità dell’aria e, quindi, della vita.” 

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Credis: eni.com

Ricehouse è una startup con un livello di maturità molto alto (TRL 9) di Milano che trasforma gli scarti derivanti dalla lavorazione del riso in materiali naturali per la bioedilizia e la bioarchitettura. Oggi è diventata società benefit e conta circa 15 dipendenti (con età compresa tra i 24 e i 44 anni) ed è rappresentata da Tiziana Monterisi (CEO e co-founder). 

“Sono una nativa ecologica – ha affermato Monterisi in occasione della Convention Internazionale di MPW (Most Powerful Women) di Fortune Italia (ne abbiamo parlato qui) – e da sempre ho cercato di trovare una sostenibilità nel mondo dell’edilizia. Grazie alla creatività, ma soprattutto grazie alla competenza professionale e al coraggio sono riuscita a incidere in questo mondo poco innovativo e molto tradizionale. Ci vuole tanta passione, ma soprattutto tanto coraggio e perseveranza”.   

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Intervista a Fabio Violante, CEO di Arduino

Abbiamo avuto anni turbolenti (a dir poco). Lungi dall’essere spaesati, gli Alumni del Poli cavalcano le onde di questa complessità: pianificando dove si può, preparandosi a repentini cambi di scenario e scommettendo (ma con cognizione di causa!) sul prossimo trend. E sulla tecnologia: dal deep tech all’IoT, dalla manifattura 4.0 alla piena automazione, dall’evoluzione dei servizi alla rivoluzione delle telecomunicazioni… “WHAT, NOW?” è una serie di interviste a Alumni in posizioni apicali nel panorama delle imprese, della cultura e della tecnologia, che si chiedono: cosa dobbiamo aspettarci, adesso?

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Fabio Violante è un Alumnus ingegneria informatica “con la passione per l’hardware” – leggiamo in una news del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano. Ricopre il ruolo di CEO in Arduino, piattaforma di prototipazione rapida open-source usata ogni giorno da milioni di designer, progettisti e aziende per dare vita in modo semplice e veloce a oggetti intelligenti e dispositivi digitali. Ed è dall’hardware e dall’open source che inizia a raccontare la sua visione di futuro: “una nuova generazione sta entrando nel mercato del lavoro. Ragazze e ragazzi interessate all’impatto che il loro lavoro ha sul mondo”.

Fabio Violante headshot

Impatto, chiediamo a Violante, nei termini in cui il lavoro di ciascuno contribuisce agli obiettivi di sostenibilità? “Stare attenti all’impatto significa essere consapevoli che il proprio lavoro è un pezzo del lavoro di qualcun altro, e questo è ancora più vero grazie alle tecnologie open source. C’è quindi il gusto personale un po’ edonistico di sapere che con il mio contributo costruisco un pezzo di software che potrà essere usato da altre migliaia di ingegneri per risolvere un certo problema. A un livello più alto, i giovani che vediamo sono interessati a capire come queste tecnologie possono aiutare a fronteggiare le sfide del pianeta, come il consumo di energia: sono entusiasti quando possono dire di aver lavorato a un sistema che permette alla tale azienda di risparmiare il 40% sui consumi di acqua o di energia e di abbattere le emissioni di gas serra”.

VIOLANTE: L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA SUL PANETTONE CHE MANGERAI A NATALE (E SU CHI TE LO FA)

Torniamo alla collettività, quindi, a un punto di vista globale. In che direzione stanno spingendo, queste nuove generazioni, l’innovazione tecnologica? Alle nostre domande sulla tecnologia, Violante ci riporta sempre con i piedi per terra:

“Il tema principale non è la tecnologia in sé, ma il problema che aiuta a risolvere. Se mi chiedete quale sarà la prossima rivoluzione tecnologica non penso a un prodotto o a un algoritmo: penso ai problemi quotidiani, sia delle persone e sia delle aziende, che la tecnologia può contribuire a risolvere. Penso al mio sistema automatico di irrigazione, o a un dispositivo per dar da mangiare ai pesci nell’acquario, come anche all’operaio di un pastificio ha spesso le mani sporche di pasta e, ogni volta che deve avviare una macchina, deve pulirsi prima di schiacciare un bottone; questo, oltre a rallentare il suo lavoro, lo distrae e lo predispone al rischio di incidenti. O al medico che deve impostare una terapia su un macchinario.

E se potessero dare alla macchina un comando vocale, nonostante l’ambiente molto rumoroso della fabbrica e dell’ospedale? È in questa utilità spicciola della tecnologia che dobbiamo andare a cercare. Ci siamo quasi, è un layer semplice da implementare, ma molte aziende ancora non sono pronte. Poi ovviamente l’evoluzione dell’intelligenza artificiale ci porta molto più lontano. Oggi i robot sono ancora “semi-stupidi e semi intelligenti”. Manipolano un rubinetto ma non sanno che è un rubinetto, invece tra qualche anno lo sapranno e decideranno loro il tipo di intervento da fare.

Oggi sono ancora, spesso, ciechi e eseguono task ripetitivi programmati, un domani non sarà più così: machine vision & audio, motion control, machine learning nel giro di qualche anno faranno lievitare le capacità delle macchine e questo cambierà in maniera sostanziale e sperabilmente positiva, la nostra vita quotidiana”.

UN BULLONE NON È PIÙ SOLO UN BULLONE

Hai detto che le aziende non sono pronte: perché?

“Non tutte le aziende hanno capito che c’è la possibilità di accedere a certe trasformazioni tecnologiche, che possono portare a nuovi modelli di business. Il prossimo passo quindi è quello di democratizzare l’accesso alla tecnologia: consentirne l’accesso a professionisti che non hanno una formazione specifica in intelligenza artificiali, per esempio.

La nostra responsabilità di ingegneri è quella di rendere queste tecnologie più accessibili, abbassare le barriere di ingresso.

Le conseguenze di questa democratizzazione della tecnologia è che ci sono più tecnici al lavoro sullo stesso problema: persone che magari di intelligenza artificiale sanno poco, ma sono esperte di quel problema. Faccio un esempio: un team di Arduino lavora per un’azienda che produce bulloni, che sono forse la cosa meno high tech che si possa immaginare. Eppure, i bulloni finiscono in oggetti molto high tech, come razzi spaziali e auto da corsa. Lavorando con chi produce bulloni, è stato possibile capire come dotarli di sensori che rilevano vari parametri, come vibrazioni o temperatura, e che possono lanciare allarmi o prendere decisioni: possono risolvere problemi, insomma, da quelli quotidiani di un rubinetto che perde, a quelli spaziali di un satellite”.

Approfondiremo questi argomenti nell’11° Convention degli Alumni del Politecnico di Milano. Iscriviti all’evento in presenza.

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Intervista a Fabio Violante, CEO di Arduino

Abbiamo avuto anni turbolenti (a dir poco). Lungi dall’essere spaesati, gli Alumni del Poli cavalcano le onde di questa complessità: pianificando dove si può, preparandosi a repentini cambi di scenario e scommettendo (ma con cognizione di causa!) sul prossimo trend. E sulla tecnologia: dal deep tech all’IoT, dalla manifattura 4.0 alla piena automazione, dall’evoluzione dei servizi alla rivoluzione delle telecomunicazioni… “WHAT, NOW?” è una serie di interviste a Alumni in posizioni apicali nel panorama delle imprese, della cultura e della tecnologia, che si chiedono: cosa dobbiamo aspettarci, adesso?

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Fabio Violante è un Alumnus ingegneria informatica “con la passione per l’hardware” – leggiamo in una news del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano. Ricopre il ruolo di CEO in Arduino, piattaforma di prototipazione rapida open-source usata ogni giorno da milioni di designer, progettisti e aziende per dare vita in modo semplice e veloce a oggetti intelligenti e dispositivi digitali. Ed è dall’hardware e dall’open source che inizia a raccontare la sua visione di futuro: “una nuova generazione sta entrando nel mercato del lavoro. Ragazze e ragazzi interessate all’impatto che il loro lavoro ha sul mondo”.

Fabio Violante headshot

Impatto, chiediamo a Violante, nei termini in cui il lavoro di ciascuno contribuisce agli obiettivi di sostenibilità? “Stare attenti all’impatto significa essere consapevoli che il proprio lavoro è un pezzo del lavoro di qualcun altro, e questo è ancora più vero grazie alle tecnologie open source. C’è quindi il gusto personale un po’ edonistico di sapere che con il mio contributo costruisco un pezzo di software che potrà essere usato da altre migliaia di ingegneri per risolvere un certo problema. A un livello più alto, i giovani che vediamo sono interessati a capire come queste tecnologie possono aiutare a fronteggiare le sfide del pianeta, come il consumo di energia: sono entusiasti quando possono dire di aver lavorato a un sistema che permette alla tale azienda di risparmiare il 40% sui consumi di acqua o di energia e di abbattere le emissioni di gas serra”.

VIOLANTE: L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA SUL PANETTONE CHE MANGERAI A NATALE (E SU CHI TE LO FA)

Torniamo alla collettività, quindi, a un punto di vista globale. In che direzione stanno spingendo, queste nuove generazioni, l’innovazione tecnologica? Alle nostre domande sulla tecnologia, Violante ci riporta sempre con i piedi per terra:

“Il tema principale non è la tecnologia in sé, ma il problema che aiuta a risolvere. Se mi chiedete quale sarà la prossima rivoluzione tecnologica non penso a un prodotto o a un algoritmo: penso ai problemi quotidiani, sia delle persone e sia delle aziende, che la tecnologia può contribuire a risolvere. Penso al mio sistema automatico di irrigazione, o a un dispositivo per dar da mangiare ai pesci nell’acquario, come anche all’operaio di un pastificio ha spesso le mani sporche di pasta e, ogni volta che deve avviare una macchina, deve pulirsi prima di schiacciare un bottone; questo, oltre a rallentare il suo lavoro, lo distrae e lo predispone al rischio di incidenti. O al medico che deve impostare una terapia su un macchinario.

E se potessero dare alla macchina un comando vocale, nonostante l’ambiente molto rumoroso della fabbrica e dell’ospedale? È in questa utilità spicciola della tecnologia che dobbiamo andare a cercare. Ci siamo quasi, è un layer semplice da implementare, ma molte aziende ancora non sono pronte. Poi ovviamente l’evoluzione dell’intelligenza artificiale ci porta molto più lontano. Oggi i robot sono ancora “semi-stupidi e semi intelligenti”. Manipolano un rubinetto ma non sanno che è un rubinetto, invece tra qualche anno lo sapranno e decideranno loro il tipo di intervento da fare.

Oggi sono ancora, spesso, ciechi e eseguono task ripetitivi programmati, un domani non sarà più così: machine vision & audio, motion control, machine learning nel giro di qualche anno faranno lievitare le capacità delle macchine e questo cambierà in maniera sostanziale e sperabilmente positiva, la nostra vita quotidiana”.

UN BULLONE NON È PIÙ SOLO UN BULLONE

Hai detto che le aziende non sono pronte: perché?

“Non tutte le aziende hanno capito che c’è la possibilità di accedere a certe trasformazioni tecnologiche, che possono portare a nuovi modelli di business. Il prossimo passo quindi è quello di democratizzare l’accesso alla tecnologia: consentirne l’accesso a professionisti che non hanno una formazione specifica in intelligenza artificiali, per esempio.

La nostra responsabilità di ingegneri è quella di rendere queste tecnologie più accessibili, abbassare le barriere di ingresso.

Le conseguenze di questa democratizzazione della tecnologia è che ci sono più tecnici al lavoro sullo stesso problema: persone che magari di intelligenza artificiale sanno poco, ma sono esperte di quel problema. Faccio un esempio: un team di Arduino lavora per un’azienda che produce bulloni, che sono forse la cosa meno high tech che si possa immaginare. Eppure, i bulloni finiscono in oggetti molto high tech, come razzi spaziali e auto da corsa. Lavorando con chi produce bulloni, è stato possibile capire come dotarli di sensori che rilevano vari parametri, come vibrazioni o temperatura, e che possono lanciare allarmi o prendere decisioni: possono risolvere problemi, insomma, da quelli quotidiani di un rubinetto che perde, a quelli spaziali di un satellite”.

Approfondiremo questi argomenti nell’11° Convention degli Alumni del Politecnico di Milano. Iscriviti all’evento in presenza.

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Polimi Ambassador: gli studenti del Poli non si stancano mai di studiare

Come se non bastasse il normale carico di studio, al Politecnico c’è un programma di alta formazione per gli studenti magistrali che vogliono diventare esperti di temi legati allo sviluppo sostenibile. Si tratta del programma di Polimi Ambassador: ce lo racconta la prof.ssa Isabella Nova, vicepreside della scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione e responsabile del progetto Ambassador.

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Isabella Nova

“È legato alla sperimentazione ‘Tecnologie per le transizioni’, accordo trans-universitario dei Politecnici di Bari, Milano e Torino, Università di Bologna, Napoli Federico II, Padova, Palermo e Roma La Sapienza. Va nella direzione degli obiettivi di sviluppo sostenibile della transizione digitale ed energetica, che ha aperto nuovi scenari e nuove sfide e che si riflette sulla professione tecnico scientifica”.

E quindi, prosegue Nova, sulla didattica e sulle università che hanno il compito di formare queste nuove figure professionali.  

Si tratta di figure con una solida base scientifica e tecnologica, ma aperte alle sfide geopolitiche, integrate in un sistema complesso e interdisciplinare, che sappiano progettare pensando già alle nuove emergenze e ai cambiamenti che stiamo vivendo. Il Politecnico ha quindi messo a disposizione degli studenti che lo vogliano, in modo del tutto inclusivo e senza limitazioni, la possibilità di integrare i propri studi con percorsi tematici: “il punto centrale di un percorso Ambassador è quello di acquisire strumenti e metodi interdisciplinari e un’attitudine a operare con una visione più sistemica e in contesti multisettoriali”.  

polimi ambassador
Photo by Headway on Unsplash

Nel primo anno e mezzo di questa sperimentazione (iniziata nello scorso anno accademico), sono stati circa 800 gli studenti che hanno deciso di seguirla: 800 ragazze e ragazzi che hanno investito il loro tempo e le loro energie per seguire corsi supplementari e costruire il proprio piano di studi, ponendo particolare attenzione a questi temi.

“Si chiede agli studenti uno sforzo in più: non solo di acquisire i classici 120 crediti necessari per la laurea magistrale, ma di acquisirne un totale di 130, di cui 30 devono essere legati a insegnamenti relativi al tema di cui si vuole diventare Ambassador, da un elenco di quelli messi a disposizione dall’Ateneo per quel tema e al di fuori del proprio corso di laurea. Sono stati anche attivati dei nuovi insegnamenti ad hoc, ciascuno con i contributi di almeno due docenti che tipicamente appartengono a dipartimenti diversi, sempre nell’ottica di una maggiore interdisciplinarietà e pensati anche per un pubblico misto: designer, architetti e ingegneri insieme”. 

Le prime esperienze pilota del progetto sono la formazione di professionalità ingegneristiche qualificate ad affrontare i problemi multidimensionali posti dalla transizione ecologica (Green Technologies) e dalla transizione digitale delle infrastrutture (Smart Infrastructures), temi che rivestono grande rilevanza strategica anche nella prospettiva della valorizzazione nel contesto delle misure PNRR per le competenze trasversali. E il progetto è destinato a crescere. Da questo settembre è stato aggiunto un programma di Polimi Ambassador in Inclusive Design, è in fase di approvazione un nuovo percorso che verrà attivato nel settembre 2023 sulle tecnologie per “Creative Thinking”, e è stato aperto un dialogo col ministero per l’ufficializzazione di questi percorsi a livello nazionale.   

“Sviluppare professionalità multidisciplinari significa preparare le nuove generazioni alle sfide del futuro, caratterizzate da una complessità crescente. Vanno in questa direzione le iniziative del Politecnico di Milano e del sistema universitario rivolte a una formazione ‘orizzontale’, lontana dal tradizionale approccio multidisciplinare ed esclusivamente tecnico – ingegneristico. Una visione rivolta ai grandi temi della sostenibilità e a un’evoluzione delle competenze che va alimentata anche all’interno dei percorsi di carriera. Le grandi questioni legate all’energia, al digitale e alle infrastrutture verdi, non a caso, sono al centro del PNRR e degli interessi della Comunità Europea. Tematiche di punta sulle quali dobbiamo investire come sistema universitario, come tessuto produttivo e, in ultima analisi, come Paese.”

ha commentato il rettore Ferruccio Resta

Questa e tante altre news le potrai trovare nel prossimo numero di MAP. Per riceverlo, diventa socio.

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Credits header: Photo by Headway on Unsplash

Credits home: Photo by Element5 Digital on Unsplash

10 milioni di volte grazie dagli studenti e dai ricercatori del Politecnico di Milano

Nel triennio 2020-2022 il Politecnico ha ricevuto oltre 10 milioni di euro in donazione da individui e da aziende. “Abbiamo raggiunto l’obiettivo che ci eravamo posti all’inizio del triennio, come comunità di donatori”, commenta il prof. Enrico Zio, presidente Alumni Politecnico di Milano e delegato del rettore anche al fundraising individuale. “Una community impegnata nello sviluppo del suo Politecnico, che lo sostiene finanziariamente sia a livello personale, sia tramite il coinvolgimento, in progetti di fundraising, delle proprie realtà professionali”.

Leggi su Map 10: Un bilancio delle vostre donazioni

5 AREE DI INTERVENTO PER LE VOSTRE DONAZIONI

Prima di tutto, sostegno al merito: di questi 10 milioni, circa la metà è stata usata per finanziare a 483 borse di studio, destinate a premiare gli studenti meritevoli. Una quota è stata riservata per incentivare l’immatricolazione al Poli delle ragazze nei percorsi di studio STEM (science, technology, engineering and mathematics) e un’altra (circa 600 mila euro) hanno finanziato 15 borse di dottorato: 15 giovani ricercatori che hanno portato avanti progetti di ricerca. I temi principali su cui si focalizzano sono legati a tecnologie per la salute, al mondo della transizione ecologica e a quello dei trasporti.

Circa 1 milione e 800 mila euro hanno contribuito all’ammodernamento di laboratori, strumenti, infrastrutture e campus del Politecnico. Circa 550 mila euro hanno finanziato progetti di didattica innovativa. Oltre 2 milioni e 200 mila euro sono stati dedicati a progetti di ricerca a alto impatto sociale (li puoi scoprire tutti a questo link). Il progetto Alumni è stato finanziato grazie a quasi 300 mila euro di donazioni.

10 MILIONI

“Sono particolarmente grato e orgoglioso di poter dire che questi fondi hanno permesso a tanti studentesse e studenti di frequentare il Politecnico”, commenta il prof. Zio: “questo eccezionale risultato è stato raggiunto anche grazie al supporto degli Alumni e, in questo caso, c’è spesso anche il valore aggiunto dell’incontro con i donatori, che sono affermati professionisti e mettono a disposizione, oltre al sostegno economico, anche il loro tempo e le loro competenze. Per continuare in questa direzione, vi invito a continuare a donare e sostenere le attività di Alumni Politecnico di Milano, per far crescere gli strumenti di questa community affinché diventi sempre più partecipe e coesa.”

Leggi anche:

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Awards 2022: un anno di Alumni e progetti politecnici premiati nel mondo 

GENNAIO 

  • Simone Callegari, Alumnus Ingegneria dei Materiali e Nanotecnologie 2015, riceve il CERN Alumni Champion Award per i suoi contributi sul blog del CERN durante il periodo della pandemia.  
simone callegari
Credits: Simone Callegari 

MARZO 

  • Ilaria Marelli, designer e Alumna Architettura, ha ricevuto il Wallpaper Design Awards 2022 nella categoria Best Outdoor Living per il suo il divano Calipso, “the floating sofa”, progettato per Ethimo. 
ilaria marelli
Credits: Linkedin

Premiati i vincitori dell’Intellectual Property Award. Dal Poli:  

  • Andrea Bernasconi, Fabio Biondani, Luca Capoferri, Alberto Favier, Federico Gualdoni, Carlo Riboldi, Lorenzo Trainelli, Carmen Velarde Lopez de Ayala, gli inventori di HYBRIS: batterie strutturali per velivoli elettrici  
  • Luca Magagnin, Gabriele Panzeri, Eugenio Gilbertini, Alessandra Accogli, Matteo Salerno, Luca Bertoli, inventori di SINERGY, batteria a celle di flusso metallo-polisolfuri. 

APRILE 

  • Paolo Asti, Carlo Carone, Sonia Calzoni, Massimo Roj, Margherita Carabillò, Pasquale Francesco Mariani Orlandi: gli Alumni alla testa di 7 progetti premiati da Urban File
urban file home

GIUGNO 

I politecnici vincitori della XXVII edizione del Compasso d’Oro

  • Antonio Citterio – Compasso d’oro alla carriera 
  • Giulio Cappellini – Compasso d’Oro alla carriera 
  • Cini Boeri – Compasso d’Oro alla Carriera del Prodotto 
  • Bilancia per la donazione del Sangue “Milano” | Cefriel 
  • Springa, fondata nel 2016 dall’idea dei tre Alumni Davide Cevoli, Lorenzo Frangi e Alessandro Trifoni. 
  • Ricehouse, co-fondata dall’Alumna Tiziana Monterisi 
  • Gli Alumni Naomi Hasuike, Luca Catrame e Andrea Sechi fanno parte del team di Makio Hasuike & Co che ha creato LAMBROgio 
  • Nel team di lavoro che ha progettato E-Worker c’è l’Alumnus Felice Contessini 
  • Eduardo Staszowski è tra gli editor di Designing in Dark Times, “un libro e una nuova collana per avviare una riflessione sulle ragioni e le responsabilità del design oggi”. 

LUGLIO 

  • La prof. Maria Prandini è eletta presidente della International Federation of Automatic Control.
maria prandini
Credits: Politecnico di Milano

AGOSTO 

  • Manfredi Rizza porta a casa il podio per l’Italia ai campionati europei di Monaco nella canoa – K2 200m maschile. 
  • Pietro Ravasi vince con gli Sharks lo scudetto di campioni d’Italia nel powerchair hockey. 
sharks ravasi
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto

SETTEMBRE 

earhart home
  • Annalisa Andaloro, Giulia Rossi, Maria Vittoria Trussoni sono le 3 politecniche nella classifica Fortune 40 under 40.
fortune home
Credits: FORTUNE Italia
  • Biennale 2023: gli Alumni e architetti Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino e Claudia Mainardi, nel collettivo Fosbury Architecture vincono il progetto del Padiglione Italia.
Biennale collettivo fosbury
Fosbury Architecture. Foto © Gianluca di Ioia, La Triennale
  • Giorgia Lupi vince il National Design Award for Communication Design.
giorgia lupi
Credits: Giorgia Lupi on Instagram

OTTOBRE 

  • L’architetto Rajendra Kumar, Alumnus del Politecnico di Milano, selezionato tra i Most Admired Education Influencers in India.
Rajendra Kumar home
  • Alla presenza di Sergio Mattarella, sono stati premiati i vincitori Eni Award 2022. Tra questi, le pluripremiate Sinergy Flow, creata da tre Alumni e ricercatori politecnici e Ricehouse, start-up dell’Alumna e architetta Tiziana Monterisi.
Eni Award 2022 02
Credis: eni.com

NOVEMBRE 

  • L’Alumna Elena Bottinelli, laureata in ingegneria e Head of innovation and digitalization del Gruppo San Donato, è stata inserita nella lista delle 50 Most Powerful Women della rivista Fortune Italia.
elena bottinelli
Credits: FORTUNE Italia

DICEMBRE 

  • Paola Scarpa, Alumna Ingegneria gestionale, è una delle vincitrici del premio internazionale Standout Woman Award, premio internazionale dedicato alle donne che per talento, coraggio, sensibilità e determinazione, si sono contraddistinte per loro azioni e che potranno essere esempio alle nuove generazioni.
paola scarpa
Credits: Paola Scarpa on Linkedin

Il MAP è una delle iniziative dedicate agli Alumni del Politecnico di Milano. Per ricevere una copia cartacea direttamente a casa tua, sostieni la redazione con una donazione annuale.

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Un anno nei laboratori del Poli

Non possiamo raccontarvi tutti i traguardi dei nostri ricercatori, perché intaseremmo l’internet. Ecco una panoramica sui progetti che hanno fatto le prime pagine dei giornali (o quasi). 

GENNAIO 

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Daisen Kofun, veduta aerea (©Ministero del Territorio, Infrastrutture, Trasporti e Turismo)
progetto rose
Credits: meafarma

FEBBRAIO 

MARZO 

massimo tavoni
Massimo Tavoni
sara bagherifard
Sara Bagherifard
intellectual property award
Credits: Associazione Netval

APRILE 

  • ERC Advanced Grant a Manuela Raimondi per lo studio BEACONSANDEGG, che combina meccanobiologia, bioingegneria, oncologia, genetica, microtecnologia, biofisica e farmacologia al fine di sviluppare nuovo metodo per la cura del tumore al seno 
manuela raimondi
Manuela Raimondi
daniele ielmini
Daniele Ielmini

MAGGIO 

Credits: DEIB

GIUGNO 

appia gicarus

LUGLIO 

Photo_Mirko Trisolini MSCA
Credits: Mirko Trisolini

SETTEMBRE 

liciacube home
Credits: ansa

OTTOBRE 

  • Ai blocchi di partenza il progetto europeo UN-BIASED (UNcertainty quantification and modeling Bias Inhibition by an Agnostic Synergistic Exploitation of multi-fidelity Data per sviluppare nuove tecniche di modellazione di sistemi aerodinamici complessi
  • Come parte del Progetto SOS-Water, l’Environmental Intelligent lab studierà i limiti entro i quali il nostro pianeta continuerà ad essere in grado di compensare i cambiamenti e fornire supporto vitale.

NOVEMBRE 

  • Parte il progetto europeo ECOSENS (Economic and Social Considerations for the Future of Nuclear Energy in Society): analizzare le opinioni e le percezioni dei cittadini sul rischio, i benefici e le potenzialità legate all’uso delle tecnologie nucleari (attuali e future) in relazione alle principali sfide sociali
  • Dopo il successo della “fase A”, il Politecnico di Milano e l’Agenzia Spaziale Europea stanno sviluppando la “fase B” della missione LUMIO (Lunar Meteoroid Impacts Observer). L’obiettivo è monitorare il lato nascosto della Luna, per rilevare lampi di luce associati agli impatti di meteoriti.
  • Pubblicato sulla rivista “Nature Chemistry” lo studio che evidenzia una nuova classe di reazioni chimiche, la cui velocità è controllata da fenomeni quantistici.

DICEMBRE 

in aggiornamento

La ricerca al Politecnico di Milano è possibile anche grazie al supporto della Community degli Alumni. Scopri come diventare donatore.

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Inaugurata la nuova Palazzina Lerici

È stata inaugurata al Campus Leonardo la nuova Palazzina Lerici, quella che da oggi verrà conosciuta come “Edificio 3A”.

L’intervento potenzia gli spazi del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, donando alla comunità politecnica ulteriori aree di qualità per vivere ancora più pienamente il nostro campus.

Il nuovo edificio è stato realizzato nell’area di 1.278 mq tra gli edifici 3 e 5 e via Celoria, prima occupata dall’antico edificio Lerici costruito tra gli anni ’40 e ‘50 del secolo scorso.

A pianta rettangolare, la nuova costruzione si sviluppa su un piano seminterrato, due piani fuori terra e copertura finale piana con solai impostati a quote diverse. La composizione dei volumi ha permesso di realizzare tre livelli di coperture a verde, su cui sono stati piantati nove nuovi alberi ad alto fusto.

L’edificio è caratterizzato da facciate continue in vetro e pannelli opachi, con murature a vista in blocchi di calcestruzzo e finiture a intonaco colorato.

La facciata verso via Celoria è a verde intensivo, in modo da creare continuità in verticale con le terrazze a giardino.

All’inaugurazione erano presenti il Rettore Ferruccio Resta, il Prorettore Delegato Emilio Faroldi, il Direttore Generale Graziano Dragoni, il Direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale Alberto Guadagnini e l’Architetto Daniel Marcaccio dell’Area Tecnico Edilizia, responsabile del progetto.

Leggi anche: https://www.polimi.it/articoli/inaugurata-la-nuova-palazzina-lerici

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Vendere la regia di filiera: intervista a Lucia Frigerio, imprenditrice di quarta generazione

Abbiamo avuto anni turbolenti (a dir poco). Lungi dall’essere spaesati, gli Alumni del Poli cavalcano le onde di questa complessità: pianificando dove si può, preparandosi a repentini cambi di scenario e scommettendo (ma con cognizione di causa!) sul prossimo trend. E sulla tecnologia: dal deep tech all’IoT, dalla manifattura 4.0 alla piena automazione, dall’evoluzione dei servizi alla rivoluzione delle telecomunicazioni… “WHAT, NOW?” è una serie di interviste a Alumni in posizioni apicali nel panorama delle imprese, della cultura e della tecnologia, che si chiedono: cosa dobbiamo aspettarci, adesso? 

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Il bisnonno faceva impastatrici per lavorare la pasta. Dalle trafilatrici agli impianti per la lavorazione di cavi in metallo, il passo è tutt’altro che breve: oltre 120 anni di storia, per la precisione. Oggi MFL, fondata da Mario Frigerio nel 1897, è una multinazionale di ingegneria con 450 dipendenti, un fatturato consolidato di 100 milioni di euro e sedi, oltre che in Italia, anche in Germania, Spagna, Cina e Stati Uniti. Il core business è la progettazione e produzione di macchinari per la produzione di cavi, fili e funi di acciaio, alluminio e rame. Macchinari prodotti interamente in Europa ed esportati in tutto il mondo.   

“Cavi, funi e fili di metallo si trovano ovunque”, ci spiega l’ing. Lucia Frigerio (bisnipote di Mario e Alumna in Ingegneria Meccanica), oggi alla guida del gruppo, rimasto sempre nelle mani della famiglia attraverso numerose trasformazioni. Si trovano ovunque, letteralmente: nelle pagliuzze delle spugne, nelle grucce per gli armadi (a Milano si chiamano “omètti”), nei cavi che fanno funzionare ascensori, gru, funivie, montacarichi, nei muri delle nostre case e nel cemento armato, nei ponti, e ancora in qualsiasi apparecchio elettronico, nelle reti di distribuzione di energia, nelle reti di telecomunicazione.

“C’è l’acciaio a basso tenore di carbonio che è usato nelle produzioni a basso valore aggiunto, appunto quelle domestiche che hai citato come le spugne, ma anche i carrelli per il supermercato, chiodi ecc. L’acciaio a alto tenore di carbonio è usato soprattutto nel mondo delle costruzioni. Rame e alluminio invece nel mondo delle telecomunicazioni e della trasmissione di potenza, sia reti energetiche che veicoli”. Sono i fili di cui è intessuto il mondo che abbiamo costruito intorno a noi. MFL group produce le macchine per “filarli”.  

Lucia Frigerio
Credits: Polimi

MACCHINARI CHE COSTANO MILIONI DI EURO NON SI VENDONO TUTTI I GIORNI 

“Un impianto come il nostro ha una durata media di 30 anni, infatti non è che ne vendiamo tutti i giorni. Ovviamente copriamo manutenzione e retrofitting, li diamo per scontati, ma il nostro mercato principale, oggi, serve l’aumento di capacità produttiva dei nostri clienti (appunto i produttori di questi fili, come per esempio Prysmian, un gigante cresciuto in un mercato frammentato come quello italiano). Sono materiali che si consumano, quindi la produzione è costante”. E il mercato anche. Costante, affidabile e prevedibile, o almeno lo è stato fino a un paio di anni fa. Ma Frigerio non si è fatta cogliere impreparata. “La nuova frontiera della manifattura è di servitizzare le macchine. Cioè, ti vendo l’asset, ma questo asset è dotato della capacità di darti delle informazioni preziose tanto quanto il prodotto che producono”. 

Di per sé, non è una novità: è una tendenza che nasce già negli anni ‘70, ma naturalmente la quantità e qualità dei dati che possiamo raccogliere oggi sono infinitamente più ricche. In potenza, quanto meno. Ed è un mondo in crescita. “Sapendo questo, sono anni che lavoriamo per arricchire ancora l’insieme di informazioni che le nostre macchine possono restituire, in modo di aiutare sia i nostri clienti sia noi a prendere delle decisioni strategiche. La novità in questo tipo di manifattura è che non vogliamo dare un servizio one-shot, ma una sorta di abbonamento, sul modello delle società high-tech e deep-tech”.  

Lucia Frigerio
MFL (courtesy of Lucia Frigerio)

FORSE NON ABBIAMO ANCORA COLTO CHE COSA PUÒ FARE LA MANIFATTURA SE VA IN CLOUD 

Secondo questo modello, spiega Frigerio, MFL gestirebbe i server con i dati estratti dalle macchine connesse.

“Oltre vendere il macchinario, otterremmo un ricavo ricorrente sulla stessa vendita, in cambio di informazioni in real time sul funzionamento, per esempio per diagnostica o previsione del rischio, e di interventi tempestivi in caso di segnalazione automatica di problemi. Questo è il prossimo futuro, se pensiamo nel breve termine. Pensando a uno step ancora successivo, a un medio termine (5-10 anni), questo investimento ci avrà permesso di raccogliere moltissime informazioni. E quindi usarle per strutturare degli algoritmi predittivi, non solo per rilevare tempestivamente i problemi ma per anticiparli, per pianificare investimenti strategici, per avviare campagne di ricerca e sviluppo”.  

Il “WHAT, NOW?”, quindi, va nella direzione di una sempre maggiore interazione tra manifattura e intelligenza artificiale. “Sì, ma non solo. Il punto è l’interazione uomo-macchina, o meglio, sistema-macchina. Non è più una questione di automazione della manifattura, ma di condivisione di razionalizzazione di tutta la filiera produttiva, da chi estrae la materia prima, all’acciaieria, attraverso di noi che fabbrichiamo le macchine, al produttore di cavo e infine a chi lo usa: tutta la catena del valore beneficerebbe di questa regia. E oggi non esiste”.  

SE VOLEVI SOLO COMPRARE UNA MACCHINA, TI TROVI NEL SECOLO SBAGLIATO 

Perché non esiste?, chiediamo a Frigerio. “La tecnologia per farlo c’è, ma serve un cambio di mentalità, di paradigma. Proporre la vendita di servizi digitali, per chi è un produttore di macchine, è complicato: perché tu sei abituato a vendere “ferro”. Da lì, a vendere un servizio digitale impalpabile, ne corre. E prima di convincere il cliente, che pure è abituato a comprare “ferro” e che spesso in fabbrica non ha nemmeno il 56 K, devo convincere i miei venditori che il prodotto principale non è più la macchina ma il servizio, il cloud, la regia di filiera. È quella la direzione in cui voglio portare il gruppo”.  E come sta andando? “Bene, per gli obiettivi che ci siamo posti in questi primi anni: cioè, fare il pitch, come dicono gli americani, innumerevoli volte, a prescindere dalla situazione.

Lo sforzo dei miei commerciali è stato quello di capire che non importa se il cliente è interessato o no, noi dobbiamo proporre questa regia, e soprattutto dobbiamo capire come viene recepita. È l’unico modo in cui si può avere la sensazione di come andare sul mercato. 20 anni fa, fatto 100 il valore di una macchina, il cliente percepiva che il 90% era costituito dal mezzo e il 10% dall’automazione. Oggi la proporzione è 30% il mezzo, 30% l’automazione e 30% i servizi. È il caso Tesla: non la compro per la meccanica, che è brutta, fatta male, si rompe. La compro perché è un computer con 4 ruote e mi offre dei servizi, e sono questi servizi che io pago annualmente. Il concetto è quello: siamo ancora in una fase molto precoce, ancora prima che embrionale. Ma ci abbiamo scommesso tanto e abbiamo investito in una società terza che si occupa proprio di questo. Stiamo seminando, prima o poi il fiore nascerà sicuramente”.  

NESSUN PRODOTTO SARÀ PIÙ MERCE DI SCAMBIO: I PRODUTTORI VENDERANNO SERVIZI, CONNESSIONE, INTERAZIONE 

Quindi la prossima rivoluzione tecnologica, secondo Frigerio, non sarà una tecnologia o un insieme di tecnologie, ma l’integrazione reale e completa di tecnologie che già esistono. Un salto molto più lungo di quello che possiamo immaginarci quando, semplicemente, pensiamo alla guida autonoma o ai computer quantistici. E, a proposito di Tesla, tradizionalmente il mercato dell’automotive è quello che spinge l’innovazione industriale, una sorta di cartina tornasole del progresso tecnologico. Ma è ancora così?

“Secondo me no”, conclude Frigerio: “l’automotive sta perdendo questo primato. Non perché ce ne sia un altro, ma perché non ci sarà più nessun prodotto capace di essere all’avanguardia. Il tempo di produrlo ed è già obsoleto. Il prodotto fisico sarà una commodity, il vero prodotto vendibile sarà il nostro modo di interagirci”.   

Approfondiremo questi argomenti nell’11° Convention degli Alumni del Politecnico di Milano. Iscriviti all’evento in presenza.

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Vendere la regia di filiera: intervista a Lucia Frigerio, imprenditrice di quarta generazione

Abbiamo avuto anni turbolenti (a dir poco). Lungi dall’essere spaesati, gli Alumni del Poli cavalcano le onde di questa complessità: pianificando dove si può, preparandosi a repentini cambi di scenario e scommettendo (ma con cognizione di causa!) sul prossimo trend. E sulla tecnologia: dal deep tech all’IoT, dalla manifattura 4.0 alla piena automazione, dall’evoluzione dei servizi alla rivoluzione delle telecomunicazioni… “WHAT, NOW?” è una serie di interviste a Alumni in posizioni apicali nel panorama delle imprese, della cultura e della tecnologia, che si chiedono: cosa dobbiamo aspettarci, adesso? 

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Il bisnonno faceva impastatrici per lavorare la pasta. Dalle trafilatrici agli impianti per la lavorazione di cavi in metallo, il passo è tutt’altro che breve: oltre 120 anni di storia, per la precisione. Oggi MFL, fondata da Mario Frigerio nel 1897, è una multinazionale di ingegneria con 450 dipendenti, un fatturato consolidato di 100 milioni di euro e sedi, oltre che in Italia, anche in Germania, Spagna, Cina e Stati Uniti. Il core business è la progettazione e produzione di macchinari per la produzione di cavi, fili e funi di acciaio, alluminio e rame. Macchinari prodotti interamente in Europa ed esportati in tutto il mondo.   

“Cavi, funi e fili di metallo si trovano ovunque”, ci spiega l’ing. Lucia Frigerio (bisnipote di Mario e Alumna in Ingegneria Meccanica), oggi alla guida del gruppo, rimasto sempre nelle mani della famiglia attraverso numerose trasformazioni. Si trovano ovunque, letteralmente: nelle pagliuzze delle spugne, nelle grucce per gli armadi (a Milano si chiamano “omètti”), nei cavi che fanno funzionare ascensori, gru, funivie, montacarichi, nei muri delle nostre case e nel cemento armato, nei ponti, e ancora in qualsiasi apparecchio elettronico, nelle reti di distribuzione di energia, nelle reti di telecomunicazione.

“C’è l’acciaio a basso tenore di carbonio che è usato nelle produzioni a basso valore aggiunto, appunto quelle domestiche che hai citato come le spugne, ma anche i carrelli per il supermercato, chiodi ecc. L’acciaio a alto tenore di carbonio è usato soprattutto nel mondo delle costruzioni. Rame e alluminio invece nel mondo delle telecomunicazioni e della trasmissione di potenza, sia reti energetiche che veicoli”. Sono i fili di cui è intessuto il mondo che abbiamo costruito intorno a noi. MFL group produce le macchine per “filarli”.  

Lucia Frigerio
Credits: Polimi

MACCHINARI CHE COSTANO MILIONI DI EURO NON SI VENDONO TUTTI I GIORNI 

“Un impianto come il nostro ha una durata media di 30 anni, infatti non è che ne vendiamo tutti i giorni. Ovviamente copriamo manutenzione e retrofitting, li diamo per scontati, ma il nostro mercato principale, oggi, serve l’aumento di capacità produttiva dei nostri clienti (appunto i produttori di questi fili, come per esempio Prysmian, un gigante cresciuto in un mercato frammentato come quello italiano). Sono materiali che si consumano, quindi la produzione è costante”. E il mercato anche. Costante, affidabile e prevedibile, o almeno lo è stato fino a un paio di anni fa. Ma Frigerio non si è fatta cogliere impreparata. “La nuova frontiera della manifattura è di servitizzare le macchine. Cioè, ti vendo l’asset, ma questo asset è dotato della capacità di darti delle informazioni preziose tanto quanto il prodotto che producono”. 

Di per sé, non è una novità: è una tendenza che nasce già negli anni ‘70, ma naturalmente la quantità e qualità dei dati che possiamo raccogliere oggi sono infinitamente più ricche. In potenza, quanto meno. Ed è un mondo in crescita. “Sapendo questo, sono anni che lavoriamo per arricchire ancora l’insieme di informazioni che le nostre macchine possono restituire, in modo di aiutare sia i nostri clienti sia noi a prendere delle decisioni strategiche. La novità in questo tipo di manifattura è che non vogliamo dare un servizio one-shot, ma una sorta di abbonamento, sul modello delle società high-tech e deep-tech”.  

Lucia Frigerio
MFL (courtesy of Lucia Frigerio)

FORSE NON ABBIAMO ANCORA COLTO CHE COSA PUÒ FARE LA MANIFATTURA SE VA IN CLOUD 

Secondo questo modello, spiega Frigerio, MFL gestirebbe i server con i dati estratti dalle macchine connesse.

“Oltre vendere il macchinario, otterremmo un ricavo ricorrente sulla stessa vendita, in cambio di informazioni in real time sul funzionamento, per esempio per diagnostica o previsione del rischio, e di interventi tempestivi in caso di segnalazione automatica di problemi. Questo è il prossimo futuro, se pensiamo nel breve termine. Pensando a uno step ancora successivo, a un medio termine (5-10 anni), questo investimento ci avrà permesso di raccogliere moltissime informazioni. E quindi usarle per strutturare degli algoritmi predittivi, non solo per rilevare tempestivamente i problemi ma per anticiparli, per pianificare investimenti strategici, per avviare campagne di ricerca e sviluppo”.  

Il “WHAT, NOW?”, quindi, va nella direzione di una sempre maggiore interazione tra manifattura e intelligenza artificiale. “Sì, ma non solo. Il punto è l’interazione uomo-macchina, o meglio, sistema-macchina. Non è più una questione di automazione della manifattura, ma di condivisione di razionalizzazione di tutta la filiera produttiva, da chi estrae la materia prima, all’acciaieria, attraverso di noi che fabbrichiamo le macchine, al produttore di cavo e infine a chi lo usa: tutta la catena del valore beneficerebbe di questa regia. E oggi non esiste”.  

SE VOLEVI SOLO COMPRARE UNA MACCHINA, TI TROVI NEL SECOLO SBAGLIATO 

Perché non esiste?, chiediamo a Frigerio. “La tecnologia per farlo c’è, ma serve un cambio di mentalità, di paradigma. Proporre la vendita di servizi digitali, per chi è un produttore di macchine, è complicato: perché tu sei abituato a vendere “ferro”. Da lì, a vendere un servizio digitale impalpabile, ne corre. E prima di convincere il cliente, che pure è abituato a comprare “ferro” e che spesso in fabbrica non ha nemmeno il 56 K, devo convincere i miei venditori che il prodotto principale non è più la macchina ma il servizio, il cloud, la regia di filiera. È quella la direzione in cui voglio portare il gruppo”.  E come sta andando? “Bene, per gli obiettivi che ci siamo posti in questi primi anni: cioè, fare il pitch, come dicono gli americani, innumerevoli volte, a prescindere dalla situazione.

Lo sforzo dei miei commerciali è stato quello di capire che non importa se il cliente è interessato o no, noi dobbiamo proporre questa regia, e soprattutto dobbiamo capire come viene recepita. È l’unico modo in cui si può avere la sensazione di come andare sul mercato. 20 anni fa, fatto 100 il valore di una macchina, il cliente percepiva che il 90% era costituito dal mezzo e il 10% dall’automazione. Oggi la proporzione è 30% il mezzo, 30% l’automazione e 30% i servizi. È il caso Tesla: non la compro per la meccanica, che è brutta, fatta male, si rompe. La compro perché è un computer con 4 ruote e mi offre dei servizi, e sono questi servizi che io pago annualmente. Il concetto è quello: siamo ancora in una fase molto precoce, ancora prima che embrionale. Ma ci abbiamo scommesso tanto e abbiamo investito in una società terza che si occupa proprio di questo. Stiamo seminando, prima o poi il fiore nascerà sicuramente”.  

NESSUN PRODOTTO SARÀ PIÙ MERCE DI SCAMBIO: I PRODUTTORI VENDERANNO SERVIZI, CONNESSIONE, INTERAZIONE 

Quindi la prossima rivoluzione tecnologica, secondo Frigerio, non sarà una tecnologia o un insieme di tecnologie, ma l’integrazione reale e completa di tecnologie che già esistono. Un salto molto più lungo di quello che possiamo immaginarci quando, semplicemente, pensiamo alla guida autonoma o ai computer quantistici. E, a proposito di Tesla, tradizionalmente il mercato dell’automotive è quello che spinge l’innovazione industriale, una sorta di cartina tornasole del progresso tecnologico. Ma è ancora così?

“Secondo me no”, conclude Frigerio: “l’automotive sta perdendo questo primato. Non perché ce ne sia un altro, ma perché non ci sarà più nessun prodotto capace di essere all’avanguardia. Il tempo di produrlo ed è già obsoleto. Il prodotto fisico sarà una commodity, il vero prodotto vendibile sarà il nostro modo di interagirci”.   

Approfondiremo questi argomenti nell’11° Convention degli Alumni del Politecnico di Milano. Iscriviti all’evento in presenza.

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Rigenerazione dell’area di Bovisa-Goccia

Firmato il Protocollo d’Intesa per la realizzazione dell’intervento di rigenerazione urbana sostenibile e di qualità nell’area milanese “Bovisa-Goccia-Villapizzone”. 

L’intervento, che tra gli altri vede coinvolto l’architetto Renzo Piano, interessa una superficie di circa 325.000 mq, di proprietà del Comune di Milano (circa 234.000 mq) e del Politecnico (circa 91.000 mq) con l’obiettivo di riqualificare l’ambito di Bovisa-Goccia. 

Varie le azioni in programma: 

Nuovo campus universitario: il Politecnico di Milano prevede la realizzazione di interventi di riqualificazione all’interno dell’area al fine di realizzare un parco scientifico/polo dell’innovazione e l’ampliamento degli spazi dell’attuale Campus Bovisa con aree dedicate a servizi per gli studenti e la cittadinanza. 

Scuole civiche: nell’ambito di Bovisa-Goccia è prevista la realizzazione di 2 edifici destinati a Fondazione Milano – Scuole Civiche con l’obiettivo di concentrare in un unico polo le scuole civiche della città. 

Rete delle stazioni di Bovisa e Villapizzone: si prevede il miglioramento delle connessioni tra le due stazioni ferroviarie e tra queste e i nuovi insediamenti previsti all’interno della Goccia tramite un nuovo sistema integrato di collegamenti ciclopedonali, tranviari e stradali.  

Foresta urbana: si prevede la realizzazione di un grande parco pubblico urbano entro il 2030, rifunzionalizzando le aree verdi esistenti e programmando nuove piantumazioni in un processo innovativo di riforestazione.  

Il Protocollo di Intesa è stato siglato dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile, dal Ministero dell’università e della Ricerca, Politecnico di Milano, Regione Lombardia, Comune di Milano, FNM, Rete Ferroviaria Italiana (Gruppo FS).

“Questo protocollo è un passo concreto verso l’attuazione del progetto di riqualificazione dell’area”, ha spiegato l’assessore alla Rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi a La Repubblica: “questa sezione di Milano diventerà un altro tassello della città policentrica”.

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