I giorni di Natta: la squadra, il lavoro e la passione dietro al Nobel

Dal nostro archivio: era l’11 marzo 1954 quando Giulio Natta, unico ingegnere chimico italiano ad aver ottenuto il Premio Nobel, scrive per la prima volta la parola “polipropilene”. Ripercorriamo la sua storia.

La storia si scrive. Con una matita. Giovedì 11 marzo 1954 l’ingegnere chimico Giulio Natta appunta sulla sua agenda la seguente nota: “Fatto il polipropilene”. Voltiamo le pagine degli anni e arriviamo al 1963, quando durante una vacanza a Sanremo, Natta riceve una notizia di notevole importanza per il calendario della sua vita: un annuncio ufficiale dall’Accademia Reale Svedese. Il 5 novembre 1963 il Corriere Lombardo titola: “Il Nobel per la chimica a Natta”. Poco sotto si legge: “È ligure, ma da anni residente a Milano dove dirige l’istituto di chimica industriale del Politecnico. L’alto riconoscimento per le sue scoperte nel campo delle materie plastiche”.

agenda natta
Le pagine dell’agenda personale di Giulio Natta del 1954, nel giorno in cui appuntò: “Fatto il polipropilene”.
Credits: “Giulio Natta: l’uomo e lo scienziato”

Il 10 dicembre 1963, Gustav VI Adolf, re di Svezia, si rivolge a Giulio Natta durante la cerimonia di assegnazione del Nobel:

«L’Accademia Reale svedese di Scienze Naturali ha voluto dimostrare il suo apprezzamento conferendo a lei, signor professore, il premio Nobel. Riceva da parte dell’Accademia i migliori auguri, e vorrei anche esprimere l’ammirazione dell’Accademia per la intensità con la quale lei, signor professore, malgrado certe difficoltà, continua le sue ricerche».

Le difficoltà sono il morbo di Parkinson, diagnosticatogli nel 1956. Le foto di quel periodo lo mostrano mentre scende le scale di un aereo con la moglie Rosita, sposata nel 1935, laureata in lettere; si deve a lei il suggerimento del nome di origine greca della scoperta del marito: polipropilene isotattico.

In uno dei tanti servizi televisivi usciti in quei giorni, Natta è seduto alla scrivania e sfoglia i telegrammi di auguri per il premio, una voce fuori campo commenta: «Un’insolita nota gentile nello studio dello scienziato». La camera inquadra un vaso ricolmo di rose, i petali si colorano dal bianco e nero al rosso, «È l’omaggio degli allievi della facoltà di chimica industriale di Milano al loro professore, premio Nobel per aver inventato un nuovo materiale, ignorato dal mondo della natura. Un polimero le cui molecole hanno lo stesso ordine che hanno le cose in natura».

Giulio Natta al Politecnico di Milano
Giulio Natta al Politecnico di Milano
Credits: giulionatta.it

Facciamo un passo indietro in questo almanacco degli anni e andiamo al maggio del 1952, quando a Francoforte si tiene il convegno dell’industria chimica Achema. In quell’occasione Karl Ziegler annuncia di aver scoperto una nuova rea-zione dell’etilene all’alluminio. Fra i presenti al convegno c’era anche Giulio Natta che, in seguito, provò a polimerizzare il polipropilene con lo stesso catalizzatore, nonostante il parere negativo di Ziegler. Il resto è storia, scritta a matita quel giovedì 11 marzo 1954: “Fatto il polipropilene”. 

QUELLI DELLA SCUOLA DI NATTA 

«Siamo gli allievi di Natta», dicono oggi gli Alumni Mario Iavarone e Mario Garassino, quelli della Scuola di Natta. «Abbiamo scelto il Politecnico perché c’era lui. E perché il Politecnico non è solo un’università, è il Politecnico, un’istituzione. In Italia finora ci sono stati venti premi Nobel e Natta è tutt’ora l’unico ingegnere chimico ad averlo vinto. Il messaggio più importante che ci ha lasciato non è solo legato a un’intuizione chimica, ma anche all’idea di lavoro».

giulio natta
Credits: sussidiario.net

Iavarone ha un ricordo preciso:

«Me lo vedo dietro la cattedra, alle sue spalle la lavagna, nella mano il gesso. E su quella lavagna ci costruiva un’immagine, illustrava il fascino della razionalità, del far nascere qualcosa con la forza della mente. La maggior parte dei problemi, sembrava suggerirci, sono problemi nuovi, e ci ha insegnato a risolverli con metodo: razionalizzandoli, inquadrando gli obiettivi e affrontandoli. E così quei segni sulla lavagna diventavano una realtà. Ecco, il valore del Nobel credo sia anche strettamente correlato alle persone che sapeva coinvolgere».

Paolo Centola, che a poco più di vent’anni ha avuto l’onore di essere coinvolto proprio da Natta nella scrittura del libro “Principi della chimica industriale volume 2”, lo descrive così: «Natta non era un ricercatore, era un direttore d’orchestra. E aveva scelto i suoi orchestrali in modo che suonassero tutti bene: erano dei primi violini, degli archi, delle trombe».

Nel libro “Giulio Natta, l’uomo e lo scienziato”, la figlia Franca ricorda: «Gli assistenti giovani erano in casa sino a tarda notte. Ricordo ancora la lampada accesa su uno spesso tavolo di noce davanti a una libreria quattrocentesca, mobili ai quali mio padre assegnava un grande valore».

Mario Iavarone spiega: «Dopo l’intuizione chimica, c’è stata l’intuizione manageriale di puntare sull’enorme potenziale di valorizzazione del polipropilene, allora relegato a prodotto minore del cracking e divenuto protagonista del mercato delle plastiche a seguito dei risultati della ricerca al Poli. La Montecatini mise a disposizione gli impianti pilota a Ferrara e questi giovani ingegneri chimici hanno vestito di metallo e di materia un’idea, per farla diventare produzione». 

I DIARI DEL GIOVANE GIULIO 

«28 Maggio 1910 sono tutto felice: ebbi un 9 in grammatica dal Sig. Direttore. Lessi alquanto. La mamma mi dice sempre: Leggi quei libri che ti parla-no al cuore, non quelli che interessa-no la fantasia; leggi non per curiosità ma per istruzione. Leggendo pensa, rifletti fra te e te, fa confronti, giudizi, ricorda, nota. Prendi l’abitudine di copiare i pensieri che ti piacciono, le frasi ben trovate, le parole pure e proprie».

Si tratta di una pagina originale dal diario tenuto da un piccolo Giulio Natta. Più tardi, una foto scattata alla festa delle matricole del 1919 a Pavia mostra un carro trainato da un cavallo e un gruppo di allievi ingegneri che, come in una carovana delle meraviglie, presentano la loro poderosa invenzione: «A macchina brevettata in tutto il mondo e altrove, per tagliare il brodo».

Tra i banditori, c’è un giovane Natta. Le cronache di Ateneo di allora, lo descrivevano come uno studente brillante, che per soddisfare la sua grande passione per la fisica si era costruito nella propria abitazione un laboratorio chimico, con tanto di bilancia analitica e altri strumenti utili ai fini della sperimentazione casalinga. Italo Pasquon, Alumno e collaboratore di Natta, per spiegare il forte legame che lo scienziato aveva con il proprio lavoro, racconta: «Quando ha fatto il servizio militare lo ha potuto fare a Milano nell’istituto di chimica generale e faceva esperimenti sull’iprite, un gas usato durante la prima guerra mondiale. Se lo provava sulla sua pelle per vedere se funzionava, e ha sempre avuto una cicatrice sulla pelle». 

GINO BRAMIERI E LA RIVOLUZIONE DI UN MONDO NUOVO, E DI MOPLEN 

Per capire l’importanza e l’impatto sociale della scoperta di Giulio Natta, anche a livello popolare, basta ricordare la TV dell’epoca. In un Carosello del 1961 intitolato “Quando la moglie non c’è”, l’attore Gino Bramieri impersona un “massaio” che mentre la moglie, architetto, è fuori per lavoro si ritrova a fare i servizi di casa. Scopre così che la piccola vasca di latta per fare il bagnetto al figlio ha un buco ma ecco la soluzione: c’è un materiale ben più resistente. Bramieri si rivolge in camera e dice:

«E mo’? E mo’ sapete che vi dico? Moplen».

Scorrono oggetti in plastica: un pettine, un sifone, vassoi da cucina, uno scolapasta, la vasca della lavastoviglie, automobili giocattolo, un mondo di cose che rivoluzioneranno l’industria e la società. «Ma signora badi ben», conclude Bramieri, «Che sia fatto di Moplen». Il logo chiude il Carosello: Moplen. Polipropilene Montesud. 

moplen natta
Credits: mudeto.it

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