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Le prime donne ingegnere del Politecnico

Il 23 giugno è l’International Women in Engineering Day, una giornata dedicata alle ingegnere di tutto il mondo per celebrare il loro lavoro e traguardi. 

Quando abbiamo scritto ALUMNAE, volevamo raccogliere tanti esempi positivi per le donne STEM del presente e del futuro e per capire anche quanta strada ancora c’è da fare. Con questo libro abbiamo raccontato le storie di 67 donne laureate in ingegneria al Politecnico per dipingere 67 modi diversi di essere ingegnere, tutti accomunati dalla competenza e dalla passione per il proprio lavoro. Leggilo qui

Oggi però ci chiediamo: chi sono state le donne che per prime hanno avuto il desiderio (e, pensando ai tempi, anche il coraggio) di intraprendere il percorso ingegneristico al Politecnico di Milano? Ecco allora che emergono i primi tre nomi: Tatiana Wedenison, Gaetanina Calvi e Maria Artini hanno spianato la strada a tutte le altre donne che sono venute dopo di loro. 

Le prima Alumnae del Politecnico (Ingegneria – Architettura) – Archivio Centrale Politecnico di Milano

TATIANA WEDENISON – STUDENTESSA DI INGEGNERIA 

Era il 1888 e Tatiana Wedenison, nata a Milano nel 1864 e figlia di un negoziante, si iscrisse al Politecnico di Milano. Pur non avendo completato gli studi, fu la prima donna nella storia italiana a provare a intraprendere gli studi ingegneristici. Nel 1894 Wedenison si laureò in scienze naturali. 

GAETANINA CALVI – ALUMNA INGEGNERIA CIVILE 

Dobbiamo aspettare l’anno 1913 per vedere la laurea della prima donna politecnica: Gaetanina Calvi, ingegnere civile, era l’unica donna del suo corso. I laureati di quell’anno erano 156 (di cui 149 ingegneri). Era passato mezzo secolo dalla fondazione del Politecnico di Milano (1863). 

gaetanina calvi
Credits: Archivio storico del Politecnico di Milano

Tra i suoi traguardi professionali, ricordiamo la progettazione della nuova ala dell’Istituto per ciechi di Milano, destinato a casa di riposo nel 1925, che la vide impegnarsi in prima persona, insieme all’architetto Faravelli. Negli anni seguenti insegnò matematica e scienze sempre presso l’Istituto che iniziò a darle un compenso in denaro soltanto nel 1928 (fonte). 

Il nostro Alumnus Ing. Longoni (Ingegneria chimica 1968) la ricorda così: 

“Ho conosciuto l’ing. Gaetanina Calvi (allora era chiamata Contessa Calvi) a Costa Lambro (frazione di Carate Brianza) dove abitava. Mi ero appena iscritto al Ginnasio del Liceo Zucchi di Monza e mio padre mi mandò a lezione di matematica dall’ing. Calvi presso la sua casa di Costa Lambro. Era severa, ma molto attenta ad aiutare i ragazzi che andavano a lezione da Lei. […] L’ing.ssa Calvi dava lezioni sia per matematica ma anche per latino e italiano a molti di noi figli di contadini o operai che lavoravano per lo più nelle filande lungo il fiume Lambro. Chi poteva, pagava un piccolo importo; chi non poteva, riceveva le lezioni dando qualche gallina.” 

Ing. Roberto Longoni
longoni classe
Credits: Ing. Roberto Longoni

MARIA ARTINI – ALUMNA INGEGNERIA ELETTROTECNICA 

“Egregio professore, mi viene richiesto da un collega se è stata pubblicata qualche soluzione grafica dell’equazione cubica x³+px=q. Posso permettermi di girare la domanda a Lei?” 

da una lettera del 19 maggio 1943 scritta da Maria Artini a Ercole Bottani 

Figlia del professore Ettore Artini, docente di Mineralogia al Politecnico, si iscrisse alla facoltà di Ingegneria elettrotecnica del Politecnico nell’anno accademico 1912-1913 e si laureò con la votazione di 90/100, diventando ufficialmente la seconda donna laureata al Politecnico di Milano (1918) e la prima donna laureata in Ingegneria elettrotecnica in Italia.

Credits: Enciclopedia delle donne

Dopo un breve periodo alla Società Officine ing. Giampiero Clerici passa al Gruppo Edison, dove diviene dirigente e collabora alla realizzazione della prima linea elettrica ad altissima tensione, la Brugherio-Parma di 130 kV, e studia la nuova rete a 220 kV. Partecipa all’attività dell’Associazione Elettrotecnica Italiana (Aei) e del Comitato Elettrotecnico italiano (Cei). 

Nel 1948 iniziò a interessarsi per promuovere relazioni personali tra le donne laureate in Ingegneria e in Architettura. Organizzò una serie di riunioni con le colleghe milanesi e torinesi in vista di un vero e proprio sodalizio ma morì prematuramente prima di vedere realizzato il proprio progetto. 

Puoi sostenere anche tu le borse di studio Girls@Polimi con una donazione a partire da 10 euro. Clicca qui.

Fonti:  

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“Lifelong learning e higher purpose nel futuro della nostra comunità”

Il compito di una scuola come la nostra è stare nel presente per preparare al futuro. Un compito che negli ultimi tempi è stato particolarmente gravoso e, insieme, molto stimolante. Abbiamo infatti assistito a cambiamenti sempre più veloci e profondi in vari aspetti della società. E questi cambiamenti, come è logico, hanno reso necessario un ripensamento non solo delle metodologie ma anche delle finalità stesse della formazione.

Un fatto che abbiamo tutti sotto gli occhi con chiarezza è che oggi più che mai c’è bisogno di formazione continua. Non esiste un momento della vita in cui ci si possa ritenere definitivamente preparati ai compiti professionali che si è chiamati a svolgere, e di conseguenza mettere un punto finale al proprio aggiornamento. Ciò dipende da almeno tre fattori. Il primo è il progressivo accorciamento della “shelf life” dei contenuti insegnati nei corsi universitari e nei master. Se già da tempo l’idea di un bagaglio formativo valido “da qui all’eternità” era superata, oggi la “data di scadenza” delle nozioni e dei metodi si è ulteriormente accorciata. Ciò dipende dalla velocità dei cambiamenti nella società, cui accennavamo prima, ma anche da un secondo fattore, e cioè l’abitudine sempre più diffusa a svolgere il proprio percorso professionale presso differenti realtà lavorative. In sostanza, se già lo stesso tipo di lavoro richiede aggiornamenti frequenti, l’esigenza di continuous learning è sentita in modo ancora maggiore dalle persone, sempre più numerose, che “surfano” fra un lavoro e l’altro.

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Credits: Polimi Graduate School of Management

Ma c’è un terzo fattore che ci fa capire meglio l’importanza della formazione continua. È un fattore importante almeno quanto gli altri due, però di natura diversa. Perché non ha a che fare con il mondo del lavoro in sé, ma con i modelli di apprendimento. Stiamo infatti assistendo al passaggio a un modello di apprendimento che è sempre più personalizzato, da attivare sulla base continuativa assemblando i “pezzi” più utili.

Dunque, semplificando, se finora il percorso è stato “prima mi formo, poi lavoro”, con la formazione paragonabile a una valigetta piena di attrezzi utili per varie evenienze, oggi quella valigetta la si riempie costantemente per restare competitivi in un mercato del lavoro in costante evoluzione. Insomma, in un mondo rapido, fluido e all’insegna del fail fast, le sfide sono più numerose e mutevoli, e conviene munirsi di una dotazione su misura per ciascuna di esse. A tenere insieme questo “bagaglio leggero” sono le soft skills, che non a caso diventano sempre più importanti.   

Tutto questo ci ha portato a sviluppare, già a partire dal 2017, FLEXA, la nostra speciale piattaforma di personalized, lifelong learning e assessment di competenze manageriali. Inoltre, abbiamo arricchito la nostra offerta formativa con una serie di iniziative e agevolazioni mirate a favorire il continuous learning di chi frequenta o ha frequentato uno dei nostri Executive MBA.

Contributo per gli Alumni: Gli Alumni del Politecnico di Milano possono beneficiare di una riduzione pari a 2.000 euro sulla quota di partecipazione agli Executive MBA di POLIMI Graduate School of Management. Per maggiori info: MBA & Executive MBA – POLIMI Graduate School of Management.

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Ma, come detto, la nostra evoluzione come business school non ha riguardato solo i mezzi ma anche gli scopi delle nostre azioni. Il semplice perseguimento del profitto oggi viene superato da un nuovo modello di impresa che mette le persone e la creazione di un futuro migliore per tutti al centro del proprio agire. I leader di domani sono coloro che saranno chiamati a mettere in pratica questo importante cambiamento, e noi sentiamo forte il dovere di prepararli al meglio a questo compito.

Perciò, a partire dal 2020, abbiamo avviato una profonda riflessione sui nostri valori, trovando nel nostro purpose – we are committed to inspire and partner with innovators to shape a better future for all – il faro che orienta le nostre azioni. E poi abbiamo deciso di rendere visibile questo cambiamento modificando il nostro nome (da MIP Politecnico di Milano a POLIMI Graduate School of Management), il nostro logo e la nostra identità visiva. Chi in questi anni ha frequentato il nostro campus e le nostre aule non solo ha assistito a questa evoluzione ma ne è stato protagonista. L’ascolto della nostra comunità è stato infatti alla base del nostro percorso di cambiamento. Ecco perché oggi individuiamo proprio nei membri di questa comunità i primi e naturali fruitori della nostra offerta di formazione continua.

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Di quando Lou Reed mi disse «That’s my guitar!»

Un giorno del 2007 squilla il telefono della Noah Guitars, azienda italiana produttrice di chitarre. Dall’altra parte c’è un uomo che, parlando in inglese, si presenta come il manager di Lou Reed. Il cantautore e fondatore della storica band dei Velvet Underground, inserita da Rolling Stone fra i 100 migliori artisti di tutti i tempi, è alla ricerca di una chitarra che possa dargli un suono nuovo e ha pensato a uno strumento in metallo. Ne ha pensato uno in particolare: quello progettato da Lorenzo Palmeri, con cassa in alluminio aeronautico, in mostra in quel periodo al Design Museum della Triennale di Milano per un’esposizione sulle nuove generazioni di designer.

Quando ne viene informato, Palmeri pensa a uno scherzo e il giorno dell’incontro arriva anche in ritardo. «L’appuntamento era presso la sede della Noah Guitars a Milano, ma io pensavo fosse tutta una messa in scena», ricorda oggi, nel suo studio. E invece Lou Reed c’era.

«Appena sono entrato ha fatto una cosa incredibile. Si è alzato, mi ha abbracciato e mi ha detto: “That’s my guitar!”».

«Questa chitarra la uso per raccontare come sia poco gestibile la vita di un progetto dopo che è uscito dal tuo studio. Senza alcun apparato di marketing ha fatto una vita surreale e fortunatissima. Un paio di mesi dopo averla prodotta è stata scelta per il primo museo del design a Milano, già essere presente a quell’esposizione per me era un traguardo. Il punto in cui era stata inizialmente posizionata all’interno del percorso museale non andava bene perché non prendeva la luce giusta, quindi è stata più volte spostata fino a quando non è stata messa all’ingresso. Era la prima e l’ultima cosa che vedevi. Uno si chiede come sia arrivata a Lou Reed, io direi che sono piccole filiere del caso».

Saturnino, il bassista di Jovanotti, presente il giorno dell’incontro, ricorda uno dei commenti di Lou Reed:

«Questa chitarra, a differenza di tutte quelle che ho visto e suonato, è diversa. Si vede che dietro c’è una grande tecnologia».

Tecnologia che lo porta a definirla: «La mia chitarra magica». Nominato nel 2017 tra gli «Ambasciatori del design italiano» nell’ambito dell’Italian Design Day, Lorenzo Palmeri è architetto, designer e musicista, Alumnus del Politecnico e a sua volta professore. Ripensando al suo percorso di studi commenta: «Direi che il Politecnico mi ha insegnato a sopravvivere una volta fuori dal Politecnico». 

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Cini Boeri: una vita passata a “progettare per la gioia”

Cini Boeri si laureava nel 1951. Nel 2015 l’abbiamo incontrata tra le sue opere, alcune più anziane di chi scrive, per raccontare i suoi oltre 60 anni di carriera attraverso una delle sue ultime mostre monografiche: “Progettando la gioia”. Ricordiamo la celebre architetta viaggiare con occhi sognanti e con ironia attraverso i suoi lunghi anni e attraverso la storia dell’architettura e del design del ‘900, mentre rispondeva alle domande degli Alumni:

cini boeri
foto Maria Mulas

AP: Cini, lei si è laureata nel 1951, poi ha aperto molto presto il suo studio, nel ’63. La sua carriera è decollata tra progetti, insegnamento, ricerca, fino a questa esposizione, “Progettando la Gioia”, una sorta di compendio della sua vita professionale.

CB: Sì, non ho dovuto aspettare molto, dopo la laurea, per iniziare a lavorare. Da Gio’ Ponti sono rimasta solo un anno. È stato lui spingermi verso la professione. Mi diceva: “Tu, coi colori che fai, devi fare l’architetto!”. Poi sono andata da sola. Avevo una segretaria e ogni tanto qualche stagista a fare pratica.

AP: Durante un’intervista, ha dichiarato che una buona parte del suo lavoro consiste nel progettare oggetti di uso comune, con lo scopo che non siano posseduti bensì utilizzati. L’utilizzo degli oggetti e il rapporto con lo spazio può essere una fonte di gioia. Cosa significa?

CB: Quando progetto una casa per una coppia di coniugi, ad esempio, propongo sempre di inserire una stanza in più. Loro mi chiedono sempre: “per gli ospiti?”. Ma no! Non per gli ospiti. Perché se una sera uno ha il raffreddore può andare a dormire in un’altra stanza, per esempio. Uno dovrebbe poter scegliere, sapere che può andare a dormire con il proprio compagno, ma che può anche decidere di non farlo, senza che questo pregiudichi la vita di coppia. Credo sarebbe molto educativo insegnare i giovani che quando si uniscono in coppia non è obbligatorio dividere il letto, è una scelta. È molto più bello.

AP: Quindi secondo lei si possono usare gli spazi quotidiani per educare le persone a diversi modelli di vita?

CB: Esattamente! Certo.

Serpentone cini boeri
foto archivio storico Arflex

AP: In che modo pensa che il suo lavoro possa contribuire a questa educazione della cittadinanza?

CB: Un po’, la società matura per conto suo. Oggi le persone sono più autonome e indipendenti. È un processo in atto. Io, nella mia veste di architetto, posso proporre dei modi alternativi di abitare e vivere gli spazi, agevolando un processo di emancipazione già in atto e promuovendo ovunque possibile la libertà di scelta.

AP: Parlando della sua opera, parole che emergono spesso sono quelle di un approccio democratico all’architettura e al design. Cosa significa? Quali sono i suoi padri intellettuali?

CB: È il Politecnico che ci ha abituati così. Abbiamo avuto un insegnamento molto aperto, non so se oggi sia ancora così!

AP: Ci racconta qualcosa degli anni del Poli?

CB: Ecco… si discuteva abbastanza. Io arrivavo con delle idee già maturate sull’autonomia e la responsabilità reciproca: già allora pensavo che fosse importante mettere il focus su libertà degli individui, e i miei progetti hanno sempre cercato di concretizzare questo principio. Per cui si discuteva! Perfino oggi, è difficile che queste idee vengano accolte come proposte serie. Quella della camera da letto in più, ad esempio, viene presa come una minaccia al matrimonio! Ma non è così. Imparare a pensare per conto proprio favorisce il benessere della coppia, non lo minaccia.

AP: Con chi discuteva? Con gli insegnanti?

CB: non necessariamente. I professori erano di ampie vedute. Mi ricordo, ad esempio, del prof. Renato Camus (immagino oggi non ci sia più!): sempre orientato verso la modernità, verso nuovi modi di vivere. Ma il modello famigliare era ancora molto tradizionale e gerarchico. La libertà non era sempre considerata uno strumento accettabile.

AP: Uno strumento?

CB: La libertà è uno strumento, in senso allargato. Ad esempio, quando un bambino impara a fare qualcosa da solo, acquisisce al tempo stesso la responsabilità di doverlo fare e la libertà di poterlo fare.

AP: Lei ha avuto e ha tuttora molti collaboratori più giovani. Cos’è cambiato negli architetti, nei 60 anni della sua carriera?

CB: C’è più libertà d’azione, più possibilità di scegliere e più consapevolezza. Questo dipende sia dall’evoluzione generale della società, sia dal fatto che oggi la professione è meglio riconosciuta, è diventata un valore culturale oltre che estetico. Ai miei tempi, l’architetto era visto un po’ come il decoratore, non come quello che rende funzionale uno spazio, e quell’approccio ci toglieva il nostro valore principale, la funzionalità. La funzionalità è un invito a vivere lo spazio in un certo modo, invece che in un altro: nel mio caso, un invito a togliere le dipendenze, a promuovere l’autonomia e la riflessione. Progettare per la funzionalità è progettare per la gioia.

cantina pieve vecchia
foto Cantina Pieve Vecchia

AP: Lei però non ha progettato solo spazi, ma anche oggetti di design. Un tempo architettura e design non erano due discipline separate, mentre oggi vengono insegnate, al Poli, in due diverse facoltà. Qual è il rapporto che le lega?

CB: È un rapporto molto stretto. Il motivo sottostante un progetto, che sia di un mobile o di un locale, è sempre la funzionalità. La fisionomia dello spazio è legata alla sua funzione d’uso. Lo stesso vale per il design. Gli oggetti devono aiutare a vivere lo spazio, non occuparlo.

AP: Sempre a proposito del rapporto tra le varie discipline di matrice politecnica, le riporto una recente dichiarazione di Renzo Piano: “Negli anni del Poli crebbe in me l’idea che quelli dell’Architetto e dell’ingegnere siano lo stesso mestiere”. È un invito a riflettere sulle cose che ci legano in quanto Alumni Polimi, invece che su quelle che ci dividono. Cosa ne pensa?

CB: [ride] Per certi versi è vero! Cioè, non sono la stessa cosa, ma un progetto non si realizza senza la collaborazione dell’uno e dell’altro. Sono due mestieri molto vicini e devono collaborare. Non sono la stessa cosa perché all’ingegnere manca una cosa: il focus sulle necessità della persona. Insomma, se io devo progettare un appartamento per una famiglia, vado a conoscerla, passo del tempo con loro, cerco di entrare nelle loro dinamiche famigliari.

AP: Qual è l’elemento portante del rapporto tra lei e il suo committente?

CB: La comunicazione e la fiducia, che deve essere reciproca. Non sempre quello che io propongo è quello che il committente si aspetta. Non sempre ci si capisce al volo. Ad esempio, quella storia della camera in più, talvolta, mi ha fatto passare per una “killer dei matrimoni” [ride]. Ma non è così! Io, come architetto, devo saper ascoltare e interpretare loro necessità. Il committente deve imparare a fidarsi. Di solito funziona!

AP: I suoi committenti sanno quello che vogliono, quando vengono da lei?

CB: No! Vogliono il meglio… [ride], e, di solito, vogliono quello che hanno visto. Una volta mi proponevano i divani in stile ottocentesco, tutti sagome e volute, oggi mi propongono cose astratte che non servono a niente. D’altra parte credono che l’architetto porti la novità in quanto tale. Invece, io voglio portare benefici alla vita! Quindi, bisogna ascoltarsi e venirsi incontro. Alla fine, sono tutti sempre molto soddisfatti.

AP: Lei ha dichiarato in un’intervista che un progetto nasce, per dirlo con parole politecniche, da un processo di analisi e sintesi. Me lo spiega meglio?

CB: Il momento di analisi è quello dell’ascolto, in cui, come ho spiegato, imparo a conoscere il committente. Il momento di sintesi è quello creativo, che è altrettanto importante. Noi proponiamo il nuovo, che è frutto della creatività, ma non lo proponiamo in modo indiscriminato: deve avere un posto e una funzione chiara nella vita delle persone.

AP: È una “creatività controllata”?

CB: In un certo senso… ad esempio, se devo fare una sedia non butto lì la prima cosa che mi viene in mente, sarebbe una stupidata. Invece, penso a come ci si siede, a come le diverse forme del corpo umano possono avere il sostegno giusto. La forma del corpo determina la linea interna di un sedile, punto di partenza del progetto. La funzionalità dirige la creatività.

AP: Cos’è per lei l’innovazione?

CB: È ciò che avvicina un progetto al committente, alle sue necessità. Che sono personali. Per evitare di riproporre sempre gli stessi schemi, l’architetto deve essere in grado di personalizzare il progetto. Deve conoscere il committente. E per conoscerlo deve avere un modo facile e diretto di comunicare.

AP: Quindi la comunicazione è un fattore chiave per l’innovazione?

CB: Esatto.

AP: Perché ha scelto la strada dell’architetto?

CB: Ah, questa è una domanda difficile! Non le so rispondere. Forse il momento determinante è stato durante la Resistenza, in montagna, quando conobbi De Finetti. Inizialmente mi diceva che ero una ragazzina, e che l’architetto era un mestiere da uomo. Poi, però, mi portava a fare delle passeggiate, mi faceva vedere delle case, mi chiedeva cosa ne pensassi. E alla fine mi disse che forse ero abbastanza seria per diventare architetto. “Ricordati che è una cosa seria”, mi diceva, “non un gioco”.

cini boeri casa nel bosco
Casa nel bosco, 1969 (foto Matteo Piazza)

AP: Mi racconta qualcosa degli anni della Resistenza?

CB: Ah, sì. L’ho fatta in pieno, con molto entusiasmo e molta buona volontà. Ero giovane! Siamo partiti dalle cose più banali, come portare la corrispondenza ai ribelli in montagna. Poi le cose si sono fatte serie. Alla fine abbiamo guidato le truppe partigiane.

AP: Non aveva paura?

CB: No, ero molto appassionata. La mia gioventù è stata determinata dall’anti-fascismo, che per fortuna era vivo nella mia famiglia e nei nostri amici. Ero già politicizzata, in un certo senso, con una sensibilità sul contesto sociale e le sue manifestazioni. Era tutto molto chiaro. L’anti-fascismo ci ha portato alla lotta e la lotta ad essere gli autori della nuova società. Parlo al plurale: non ero da sola, ero circondata dai miei coetanei.

AP: Sapevate cosa dovevate fare?

CB: Sapevamo molto bene che il fascismo andava condannato. Aveva troppi lati contrari al nostro modo di pensare: la propaganda personale, l’autorità, il rapporto autoritario con il lavoratore, eccetera. Sulla negazione di quello che viveva intorno a noi, ci siamo formati e abbiamo cominciato a costruire.

AP: Cos’ha voluto dire essere partigiani?

CB: Era una guerra semplice. Si combatteva sulle montagne, si sparava, si scendeva in città a scambiare documenti e si ritornava su. Ma non era una massa di persone, non era un esercito. Era un modo di essere e di pensare, la nostra natura. E quindi per noi era naturale agire così. A sua volta, la Resistenza ha formato il mio carattere e ha rassicurato i principi trasmessi dalla famiglia.

AP: Quei principi che sono alla base del suo lavoro…

CB: Esatto, l’autonomia, la libertà personale, l’approccio democratico, la responsabilità, il rispetto dell’altro nei rapporti interpersonali… tutti questi valori, che hanno determinato la mia carriera, vengono da lì. Io sono felice della mia professione, ma se dovessi sceglierne un’altra farei l’insegnante, anche alle scuole elementari. Questi sono valori che vanno trasmessi.

AP: Un’ultima domanda e poi la lascio ai suoi ospiti: qual è la lezione più importante che le ha lasciato il Poli?

CB: La serietà. L’architettura è costruire. È disciplina. Quando ero in studio con Gio’ Ponti, lui mi sgridava se trascuravo dettagli come riordinare la scrivania. Mi diceva: “L’architetto non fa questi errori. L’architetto tiene tutto organizzato, in modo che sia ben stabile”.

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Il Duomo ha 15 nuove guglie (metaforiche)

Martedì 31 maggio a Palazzo Marino si è tenuta la cerimonia di premiazione delle “Nuove Guglie Carlo Tognoli”, il riconoscimento destinato alle tesi di laurea di studenti meritevoli dalle Università Politecnico e Bocconi. Il premio, cuore del progetto più ampio dedicato a Carlo Tognoli dal titolo “AMARE MILANO come Te”, è conferito alle migliori tesi di laurea dedicate al futuro di Milano. 

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Credits: Centro Studi Grande Milano

Grazie alla collaborazione dei Rettori Ferruccio Resta e Gianmario Verona sono state visionate oltre cento tesi da parte delle commissioni dei professori universitari che hanno selezionato infine undici titoli, frutto in alcuni casi di un lavoro collettivo, per un totale di quindici studenti vincitori (10 del Politecnico di Milano e 5 della Bocconi) che riceveranno, oltre al noto riconoscimento, un premio di 2.000 euro per ogni tesi.  

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Credits: Centro Studi Grande Milano

Il premio di laurea è intitolato alla memoria di Carlo Tognoli, ex sindaco di Milano scomparso nel 2021, che ha donato il marchio AMAREMILANO al Centro Studi Grande Milano, perché fosse sempre segno distintivo di chi ha nel cuore il destino della città. Da qui è nata l’iniziativa “NUOVE GUGLIE della Grande Milano” – da quest’anno rinominato “NUOVE GUGLIE CARLO TOGNOLI” -, dedicato a premiare il lavoro di studenti delle nostre università che hanno redatto “tesi di laurea che guardando al futuro dello sviluppo di Milano e si sono mostrate capaci di essere utili alla collettività”. 

Alla premiazione erano presenti il sindaco Beppe Sala, i Rettori del Politecnico e della Bocconi Ferruccio Resta e Gianmario Verona, la Presidente del Consiglio Comunale Elena Buscemi, il Prefetto di Milano Renato Saccone, il Presidente Vidas Ferruccio De Bortoli, la Presidente delle Grandi Guglie Manuela Soffientini e la Presidente del Centro Studi Grande Daniela Mainini, che ha commentato: 

“Leggere le tesi premiate delle Nuove Guglie Carlo Tognoli mi ha davvero fatto pensare a quanto sapere sia raccolto nelle Università, un sapere che spesso non trova una giusta valorizzazione. Mi commuove pensare che il nome di Carlo Tognoli, dell’uomo che mi ha insegnato come AMAREMILANO, sia indelebilmente legato al destino di queste giovani forze. L’odierno atto di gratitudine della città a Carlo è il fine ultimo del mio agire come Presidente del Centro Studi Grande Milano”. 

Il Rettore Ferruccio Resta partecipa da diversi anni alle iniziative del Centro Studi Grande Milano, del quale è Ambasciatore dal 2017, tra gli “opinion leader che, per esperienze umane e professionali, con il loro qualificato operare veicolano i valori della città, rappresentando testimonial di eccezionali talento e capacità”. 

“I quindici premiati di oggi hanno deciso di dedicare le loro tesi a Milano attraverso tante dimensioni: citando quelle più vicine al Politecnico, si è parlato della rigenerazione urbana, di transizione ecologica, dell’uso delle tecnologie per la mobilità e di inclusione. Un ringraziamento va a questi ragazzi che hanno deciso di dedicare le loro energie alla Milano del domani.”

commenta Resta.

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Credits: Centro Studi Grande Milano

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Credits home/header: Centro Studi Grande Milano

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POLIQI: la prima rete di comunicazione quantistica è “made in Poli”

È stato firmato un accordo di collaborazione tra il Politecnico di MilanoRegione LombardiaARIA (Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti), Intesa Sanpaolo e il 1° Reggimento Trasmissioni dell’Esercito: l’obiettivo principale è creare a Milano, prima città al mondo, una rete ultrasicura post-quantum (cioè sicura anche dopo l’avvento dei quantum computer), denominata POLIQI, che permetterà di sperimentare le più avanzate tecnologie per la trasmissione di dati e la cyber-sicurezza.

L’accordo è stato firmato alla presenza di Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano, Fabrizio Sala, Assessore per l’Istruzione, Università, Ricerca, Innovazione e Semplificazione di Regione Lombardia, il Colonnello Valerio Golino, Comandante del 1° Reggimento Trasmissioni dell’Esercito Italiano, Lorenzo Gubian, Direttore Generale di ARIA SpA, e Fabio Ugoste, Responsabile Direzione Centrale Cybersecurity and Business Continuity Management di Intesa Sanpaolo.

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Credits: DEIB

Il Politecnico di Milano e Regione Lombardia avevano firmato lo scorso marzo un accordo con il quale si impegnavano a realizzare, in co-finanziamento, una rete per lo scambio di “chiavi quantistiche” basata su 5 nodi disposti nel tessuto urbano di Milano e utilizzante come canale di comunicazioni le fibre ottiche già installate in città. Questa è la prima volta in assoluto che viene realizzata una vera e propria rete di comunicazione quantistica e non una semplice trasmissione punto-a-punto. Tre dei cinque nodi della rete verranno fisicamente collocati presso Intesa Sanpaolo, la Caserma Santa Barbara, sede del 1° Reggimento Trasmissioni dell’Esercito, e l’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti della Regione Lombardia. Gli altri due nodi saranno collocati nei due Campus cittadini del Politecnico di Milano, Leonardo e Bovisa.

Il professor Mario Martinelli, docente di Comunicazioni Ottiche al Politecnico di Milano e responsabile scientifico del progetto, ha spiegato:

La rete POLIQI e i nodi quantistici innovativi che ne permettono la realizzazione sono stati completamente progettati dal Politecnico di Milano (che ha già depositato due brevetti a protezione della stessa) e verranno realizzati in collaborazione con partner tecnologici nazionali, molti dei quali con sede in Lombardia. Questa è la risposta concreta all’innalzamento dei livelli di minaccia ai dati sensibili che stanno avvenendo in tutti i settori strategici dell’economia e della società. Le sperimentazioni post-quantum che saranno rese possibili dalla partecipazione attiva dei tre partner con i quali oggi si firma l’accordo, tracceranno la strada per l’innalzamento della sicurezza digitale di tutto il Paese.

Questo Accordo rientra nel “Programma degli interventi per la ripresa economica: sviluppo di nuovi accordi di collaborazione con le università per la ricerca, l’innovazione e il trasferimento tecnologico” di Regione Lombardia.

Sono sempre più frequenti attacchi hacker sia alle istituzioni sia al mondo produttivo, investire in strumenti che possano mettere il territorio nelle condizioni migliori per tutelarsi è una nostra priorità. Con questo progetto, infatti, sarà possibile sviluppare e sperimentare le più avanzate tecnologie di sicurezza per applicazioni di trasferimento dati in ambito finanziario, amministrativo, sanitario e di intelligence

ha affermato l’assessore Fabrizio Sala.

La nuova rete utilizzerà il protocollo di crittografia BB84, che si basa sulla trasmissione di singoli fotoni, le particelle elementari della luce, e una codifica dell’informazione che sfrutta il principio quantistico della sovrapposizione degli stati (nel caso specifico, degli stati di polarizzazione posseduti dal fotone). La sicurezza da ogni intercettazione si appoggerà quindi su principi fisici e come tale sarà “incondizionatamente” sicura, un termine che sta a indicare che nessuna capacità di calcolo presente o futura potrà mai “aprire” il codice realizzato con questo protocollo.

Il protocollo BB84 sta diventando molto importante negli ultimi anni, proprio perché rappresenta una risposta alla minaccia che verrà portata presto ai protocolli di crittografia convenzionali (cioè basati su algoritmi matematici), dalla straordinaria capacità di calcolo rappresentata dai prossimi “quantum computer”.

Leggi anche: https://www.polimi.it/dettaglio-apertura/article/10/poliqi-politecnico-di-milano-quantum-infrastructure-10386/

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Politecnico prima università italiana per l’8° anno consecutivo

QS World University Rankings 2023: nella classifica generale degli atenei di tutto il mondo il Politecnico entra ufficialmente a far parte del top 10% delle università eccellenti, posizionandosi al 139° posto; primo in Italia. I risultati migliori riguardano due indicatori molto importanti: l’Academic Reputation, dove raggiungiamo la 96° posizione, e l’Employer Reputation, cioè l’opinione che i datori di lavoro hanno degli Alumni, che ci vede all’80° posto nel mondo.  

L’analisi QS University Ranking analizza quasi 2500 tra le migliori università al mondo e tiene conto di vari indicatori: il Politecnico, come si è visto, è particolarmente forte nell’Employer Reputation, un sondaggio internazionale in cui 40 mila datori di lavoro indicano quali sono le università dalle quali preferiscono assumere talenti, e nell’Academic Reputation, l’indicatore più importante dell’indagine per quanto riguarda la rilevanza internazionale dell’Ateneo come centro di ricerca, che misura la reputazione del Politecnico sulla base della valutazione di oltre 150.000 accademici da tutto il mondo. 

DATI IN EVIDENZA

QS World University Rankings 2023  
Oltre 1300 atenei analizzati 

  • Mondo | 139° posto 
  • Italia | 1° posto 

Employer Reputation 2023 
Indica quali sono le università dalle quali le aziende preferiscono assumere talenti 

  • Mondo | 80° posto 
  • Italia | 1° posto 

Academic Reputation 2023 
Reputazione del Politecnico sulla base della valutazione di oltre 130.000 accademici da tutto il mondo  

  • Mondo | 96° posto 
  • Italia | 1° posto 

Crescono anche gli indicatori che misurano l’attrattività del Politecnico nei confronti di docenti e ricercatori (+48 posizioni guadagnate in 3 anni) e studenti internazionali (+25 posizioni guadagnate in 3 anni) e la forza delle collaborazioni con imprese e accademie per portare avanti progetti di ricerca di ampio respiro. Su questi elementi gioca un ruolo importante il rapporto tra Ateneo, territorio, imprese e comunità internazionale, connessioni fondanti del DNA politecnico. 

Ancora primo posto tra le università italiane, questa volta nel QS Graduate employability 2022, la classifica che valuta la capacità degli atenei di preparare gli studenti per il mondo del lavoro, dove occupiamo il 9° posto in Europa e il 43° nel mondo. Il QS Graduate employability 2022 ranking ha analizzato 679 università, classificandole in base a 5 parametri: il numero di partnership aziendali, il numero di incontri organizzati tra aziende e studenti, il dato occupazionale, numero di aziende che indicano l’ateneo in analisi come università da cui reclutano, la percentuale di Alumni e Alumnae con carriere di grande impatto.  Ottimi risultati in tutti gli indicatori e, in particolare, spiccano l’indicatore occupazionale e quello delle partnership con le imprese, in cui il Politecnico supera i 95 punti su 100. 

QS Graduate employability 2022

679 atenei analizzati.
Valuta 5 parametri: il numero di partnership aziendali, il numero di incontri organizzati tra aziende e studenti, il dato occupazionale, numero di aziende che indicano l’ateneo in analisi come università da cui reclutano, la percentuale di Alumni e Alumnae con carriere di grande impatto.

  • Mondo | 43° posto 
  • Europa | 9° posto 
  • Italia | 1° posto 

Leggi anche: Ranking QS: Politecnico di Milano nella top 10 europea, primo in Italia

Anche il Rankings by Subject, la classifica delle università per ambito disciplinare, rafforza il trend di crescita del Politecnico di Milano.  

Per Ingegneria, negli ultimi 6 anni il nostro Ateneo ha scalato 11 posizioni in classifica, raggiungendo oggi il 13° posto al mondo (dal 24° posto del 2016). In Architettura e Design ha guadagnato 5 posizioni: rispettivamente, dal 15° e 10° posto del 2016, al 10° e 5° nell’ultimo anno. In Europa siamo al 7° posto nell’area Engineering and Technology, al 3° per Art & Design e al 5° per Architecture & Built environment.  

Nel panorama italiano, il Politecnico di Milano si conferma primo assoluto in Architettura, Design e per la quasi totalità delle materie di Ingegneria (Computer Science & Information Systems; Chemical Engineering; Civil & Structural Engineering; Electrical & Electronic Engineering; Mechanical, Aeronautical & Manufacturing Engineering). 

Questi risultati rispecchiano, tra i vari parametri presi in considerazione, la valutazione degli Alumni sulle competenze acquisite in relazione al contesto lavorativo e il consolidamento del rapporto con le aziende, che passa anche attraverso il sostegno alle start-up e allo sviluppo d’impresa, con la creazione di numerosi Joint Research Center. Anche nella reputazione accademica (indicatore basato sulle valutazioni di oltre 130.000 accademici da tutto il mondo) si rileva un miglioramento forte.  

QS World University Rankings by Subject 

Classifica delle università migliori al mondo per ambito disciplinare 

  • Architettura | 10° posto al mondo / 5° in Europa / 1° in Italia 
  • Design | 5° posto al mondo / 3° in Europa / 1° in Italia 
  • Ingegneria | 13° posto al mondo / 7° in Europa / 1° in Italia 

Leggi anche: QS Ranking: Politecnico 13° al mondo per ingegneria

La ricerca Italiana al servizio delle energie “low carbon”

In occasione delle celebrazioni della giornata della Ricerca Italiana del Mondo del 2022 l’Ambasciata d’Italia a Parigi in collaborazione con le associazioni Alumni Polimi Parigi, Alumni Polito Paris e RECIF ha realizzato un evento volto a mettere in valore il contributo dei ricercatori italiani, tra cui quelli operanti in istituzioni e aziende francesi, e degli enti di ricerca Italiani sulle tematiche dell’energia ‘low carbon’ e sulle potenzialità delle collaborazioni bilaterali.

In questa giornata sono state affrontate le grandi sfide ingegneristiche e gestionali connesse alla integrazione efficiente nella rete elettrica delle fonti energetiche disponibili immediatamente, e le prospettive scientifiche affinché si possano sviluppare nuove tecnologie, dei ‘game changer’ sul lungo periodo.

La ricerca necessaria per dare risposta a queste sfide è molto articolata: dai modelli matematici per la gestione ottimale dei flussi energetici ai big data per consumi e produzione fino alla necessità di sfruttare appieno sia le nuove tecnologie di comunicazione per le smart grids che le tecnologie di trasporto innovative ed i sistemi di accumulo. Inoltre, la natura intermittente delle rinnovabili e la loro mancanza di inerzia fisica implicano necessariamente di disporre anche di una capacità di produzione di back-up che sia regolabile a piacimento, per i momenti “senza sole e senza vento”, che sia capace di supportare la stabilità della rete quando necessario.

Oggi in molti paesi questa capacità è assicurata dai combustibili fossili, che vanno abbandonati ‘whatever it takes’. Il nucleare da fissione di quarta generazione potrebbe costituire una tappa intermedia, mentre la fusione promette un’energia inesauribile senza scorie e senza rischi di funzionamento o proliferazione, adatta a garantire la stabilità della rete, ma è lecito chiedersi quanto siamo distanti da queste due soluzioni.

Queste tematiche sono state affrontate in una tavola rotonda con alcuni dei maggiori attori della R&D nei settori di interesse.

Credits header: https://en.parisinfo.com/paris-museum-monument/71144/Jardins-du-Trocadero