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PNRR, nasce il centro nazionale per la mobilità sostenibile

Firmato l’atto costitutivo del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile: 25 università, e relativi centri di ricerca, hanno unito le forze con 24 grandi imprese attive nell’ambito della mobilità e delle infrastrutture, con l’obiettivo di accompagnare la transizione green e digitale del comparto in un’ottica sostenibile, garantendo la transizione industriale e supportando le istituzioni locali nell’implementazione di soluzioni moderne, sostenibili e inclusive.

Si tratta di un progetto ambizioso, che prevede un investimento di 394 milioni di euro per i primi 3 anni (2023-2025), con il coinvolgimento di 696 ricercatori degli enti partner e di 574 neoassunti, e che vuole rappresentare uno strumento reale per la crescita e lo sviluppo in un settore chiave come quello della mobilità, che si stima raggiungerà un valore complessivo a livello nazionale di 220 miliardi di euro nel 2030, assorbendo il 12% della forza lavoro.

Le attività del Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile saranno focalizzate su cinque ambiti tecnologici di maggiore interesse: mobilità aerea; veicoli stradali sostenibili; trasporto per vie d’acqua; trasporto ferroviario; veicoli leggeri e mobilità attiva, puntando a rendere il sistema della mobilità più “green” nel suo complesso e più “digitale” nella sua gestione.

Il Centro sarà strutturato secondo l’impostazione Hub&Spoke, ovvero con un punto centrale a Milano e 14 nodi distribuiti su tutto il territorio nazionale, a garanzia di quel riequilibro territoriale che è tra le priorità del PNRR.

Il Centro Nazionale per la Mobilità risponde a una delle missioni chiave del PNRR: passare dalla ricerca all’impresa in un’ottica di filiera e di collaborazione estesa. Punti di forza saranno progetti ad alta maturità tecnologica con il preciso intento di dare una risposta concreta ai bisogni del Paese in una prospettiva di lungo termine che superi la scadenza del 2026. È questo il nostro impegno. È questa l’occasione per attuare riforme strutturali. Una partita che siamo disposti a giocare fino in fondo

commenta Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano, ente proponente del Centro per la Mobilità Sostenibile.

Il Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile è il primo a partire tra i 5 Centri Nazionali previsti dal PNRR: si tratta di reti diffuse di università ed altri soggetti pubblici e privati impegnati in attività di ricerca, riconosciuti come altamente qualificati, che hanno l’obiettivo di sviluppare infrastrutture, progettualità e soluzioni immediatamente fruibili per tutto il contesto sociale in settori coerenti con le priorità dell’agenda della ricerca europea e con i contenuti del PNRR: Simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni; Tecnologie dell’Agricoltura (Agritech); Sviluppo di farmaci con tecnologia a RNA e terapia genica; Mobilità sostenibile; Bio-diversità.

I soggetti coinvolti sono:

Enti di ricerca promotori

Politecnico di Milano, Cnr, Politecnico di Torino, Politecnico di Bari, Università di Bergamo, Università di Parma, Università di Torino, Università di Palermo, Università di Bologna, Università di Modena e Reggio Emilia, Università di Cagliari, Università di Roma La Sapienza, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università di Salerno, Università Napoli Parthenope, Università del Salento, Università di Padova, Università di Pisa

Enti di ricerca aderenti

Università Bicocca, Università di Brescia, Università di Cassino e del Lazio Meridionale, Università di Firenze, Università di Genova, Università di Reggio Calabria, Università Politecnica delle Marche

Fondatori

A2A, Almaviva, Angelo Holding, Autostrade per l’Italia, Eni, Ferrari, Fincantieri, Fnm, Fs, Intesa Sanpaolo, Iveco Group, Leonardo, Pirelli, Poste Italiane, UnipolSai, Snam

Partecipanti

Accenture, Atos, Avio Aero, Brembo, Hitachi Rail, Teoresi Group, Thales Alenia Spazio Italia Spa, Stellantis – crf

Leggi anche: https://www.polimi.it/it/dettaglio-apertura/article/10/pnrr-nasce-il-centro-nazionale-per-la-mobilita-sostenibile-10402/
compasso d'oro 2022

Compasso d’Oro 2022: gli Alumni vincitori

Sviluppo – sostenibile – responsabile: sono i tre concetti chiave che l’ADI Design Index indica come fondamentali per il design contemporaneo e che hanno guidato la selezione dei vincitori della XXVII edizione del Compasso d’Oro, annunciati il 20 giugno 2022. 

Tra questi, anche Alumni e Alumnae che si sono distinti per i loro progetti e carriere, e che hanno portato alto il nome del Design made in Italy nel nostro Paese e nel mondo. 

“Le profonde trasformazioni che il design è chiamato a interpretare, dalla crisi ambientale alle diseguaglianze economiche e sociali, spingono la cultura del progetto a impegnarsi su una molteplicità di direzioni, dall’uso consapevole delle risorse a disposizione del pianeta alla realizzazione di oggetti capaci di includere e valorizzare le diverse componenti della società civile.”, 

commenta la giuria del premio.

Vediamo insieme chi sono i politecnici vincitori di quest’anno. 

Antonio Citterio – Compasso d’oro alla carriera 

Citterio, Alumnus Architettura e fondatore dello studio Citterio-Viel, riceve il premio per “Un percorso esemplare per coerenza e qualità, un percorso che ha contribuito ad evolvere l’offerta professionale italiana verso un modello metodologico sempre più evoluto. Antonio Citterio ha materializzato durante la propria carriera vere e proprie icone dello stile di vita italiano nel mondo”.  

Credits: vitra.com

Giulio Cappellini – Compasso d’Oro alla carriera 

Secondo le motivazioni della giuria “Il percorso di Giulio Cappellini – Alumnus Architettura – è una continua lettura e rilettura dei fenomeni del design; capace di proiettare le sue azioni nella contemporaneità attraverso la propria personale poetica, quanto attraverso il rapporto con i tanti giovani talenti da lui sostenuti”.  

Un premio che vuole omaggiare la profonda curiosità, lungimiranza e audacia dell’Alumnus, noto a livello internazionale come uno dei più grandi trend setter e talent scout del settore. 

Credits: https://slidedesign.it/

Cini Boeri – Compasso d’Oro alla Carriera del Prodotto 

La poltrona Ghost progettata da Cini Boeri insieme a Tomu Katayanagi, un oggetto di design presente sul mercato con una carriera ultradecennale, riceve il premio Compasso d’Oro alla Carriera del Prodotto.

Ghost è, secondo la giuria, una “perfetta di sperimentazione tecnologica e ricerca formale, che rappresenta il desiderio di dematerializzare la percezione della funzione a favore del fruitore, che diventa così protagonista assoluto dello spazio”. 

Credits: fiamitalia.it

Bilancia per la donazione del Sangue “Milano” | Cefriel 

La nuova bilancia per la donazione del sangue “Milano” è un dispositivo nato dalla collaborazione tra Delcon, azienda italiana specializzata nella progettazione e produzione di dispositivi medicali e software per la filiera del sangue, Cefriel, centro d’eccellenza per l’innovazione digitale nato al Politecnico di Milano, e il New York Blood Center.  

“La bilancia premiata con il compasso d’oro è la conferma che fare innovazione di prodotto di valore è oggi possibile affiancando design e tecnologia digitale” – afferma Alfonso Fuggetta, CEO Cefriel, Alumnus e professore del Politecnico di Milano -. Nella progettazione di Milano abbiamo seguito un approccio design thinking e agile, che si è avviato con l’analisi delle esigenze degli utilizzatori per arrivare alla soluzione attuale. Seguendo i principi del design thinking sono state identificate le vere esigenze e bisogni del cliente finale”. 

Credits: Gianluca Ripa on Twitter

Cefriel è un centro di innovazione digitale che crea prodotti, servizi e processi digitali, partecipa a programmi di ricerca nazionali e internazionali, e sviluppa le competenze e la cultura digitali. È un team multidisciplinare di oltre 130 persone con un mix di competenze tecniche, di business e di design. Fondato nel 1988 dal Politecnico di Milano, oggi include tra i soci anche l’Università degli Studi di Milano, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, l’Università degli Studi dell’Insubria, la Regione Lombardia e aziende multinazionali. 

Secondo la motivazione della giuria dell’ADI Design Index: 

Design e tecnologia ridefiniscono la gestione e il controllo delle donazioni di sangue: un incentivo ad aumentare la platea di chi dona.  

Goliath CNC | Springa 

Goliath CNC, la macchina utensile a controllo numerico per lavorazioni di taglio e incisione, dovunque e senza limiti, nasce dalla startup italiana e spinoff del Politecnico di Milano Springa, fondata nel 2016 dall’idea dei tre Alumni Davide Cevoli, Lorenzo Frangi e Alessandro Trifoni.

L’innovazione di Goliath consiste nella portabilità, che permette di posizionare la macchina utensile direttamente sul pezzo da lavorare, sul quale questa esegue la lavorazione spostandosi in maniera autonoma. 

Credits: Goliath

RH120 | Ricehouse 

Ricehouse è una realtà focalizzata nella trasformazione degli scarti della produzione risicola in materiali per l’edilizia e le costruzioni. L’azienda, co-fondata dall’Alumna Tiziana Monterisi, utilizza tutti i materiali naturali che solitamente finiscono negli scarti per la creazione delle infrastrutture edilizie. A vincere il Compasso d’Oro è RH120, una miscela naturale da intonaco in calce e lolla di riso, appositamente studiata per essere levigata e trattata al fine di mettere in risalto l’effetto estetico del prodotto. 

“È un materiale, specchio dei nostri tempi, una finitura di pregio che ridà bellezza in perfetto equilibrio tra natura e tecnologia. RH120 è una finitura per interni bella, elegante, tecnologica e sostenibile.” commenta l’Alumna. 

Credits: www.innovazionesociale.org

LAMBROgio, LAMBROgino | Makio Hasuike & Co 

Gli Alumni Naomi Hasuike, Luca Catrame e Andrea Sechi fanno parte del team di Makio Hasuike & Co che ha creato LAMBROgio, LAMBROgino, “una brillante ridefinizione dei tradizionali veicoli leggeri per una nuova mobilità elettrica urbana destinata al trasporto di persone e alla consegna delle merci”.  

Pensato per accogliere ospiti e spostare merci in modo versatile e sostenibile grazie a un sistema a pedalata assistita e una struttura robusta e funzionale dalle linee inconfondibili, LAMBRO può spostarsi agilmente sia in spazi urbani sia in contesti privati come resort e campeggi di pregio, marine, quartieri fieristici e non solo. 

E-Worker | Merlo 

Nel team di lavoro che ha progettato E-Worker c’è l’Alumnus Felice Contessini. E-Worker è la rivisitazione 100% elettrica del classico muletto destinato ad ambienti agricoli e industriali, che consente un’area di lavoro superiore a quella consueta. 

Credits: Merlo Group

Designing in dark times | Virginia Tassinari (Editor) – Politecnico di Milano, Eduardo Staszowski (Editor), Clive Dilnot (Editor), Andrew LeClair (Graphic Design Director), Laura Wing (Managing Editor), Lesley Onstott, Lucas Teixeira Vaqueiro (Social Media Designers)

Eduardo Staszowski è tra gli editor di Designing in Dark Times, “un libro e una nuova collana per avviare una riflessione sulle ragioni e le responsabilità del design oggi”.

Credits: ADI

Leggi anche: 10 famosi oggetti politecnici da Compasso d’Oro

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Il Politecnico di Milano sigla una partnership con Chanel

Il Politecnico di Milano ha siglato una nuova partnership con la maison CHANEL.  

L’obiettivo della prestigiosa casa di moda francese è quello di fare leva sulle competenze del nostro Ateneo per sviluppare nuovi modelli che tengano conto dei rapidi e profondi cambiamenti nelle attività manifatturiere del mondo del lusso, oltre che sostenere e accelerare l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo di materiali e processi produttivi più sostenibili nei settori essenziali della sua attività.  

La conduzione di questo lavoro di ricerca applicata, in stretta collaborazione con i nostri ricercatori, contribuirà ad arricchire il corpus accademico dell’università. Contestualmente, CHANEL avvierà iniziative di recruitment, valorizzazione dei talenti e formazione continua per i propri collaboratori. 

L’annuncio è stato dato in occasione della sfilata Métiers d’art 2021/22 a Firenze del 7 giugno e ha visto la partecipazione di 220 studenti specializzati in moda e design del Politecnico di altri atenei italiani. 

CHANEL si dice orgogliosa di legarsi al Politecnico di Milano, in linea con altre partnership focalizzate sul savoir-faire e sulla sostenibilità avviate dalla maison. 

Credits home e header: Chanel

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Da ricerca a startup: torna Switch2Product

Trasformare i risultati della ricerca scientifica in una startup è forse il modo più ambizioso e stimolante per dimostrare che la propria idea ha la capacità di risolvere concretamente un problema. Lo sanno bene i 21 team che, martedì 14 giugno, hanno animato la mattinata al MADE Competence Center Industria 4.0 con il “Demo Day” dell’edizione 2021 di Switch2Product. Grazie al lavoro compiuto durante i 4 mesi di accelerazione coordinato da PoliHub, le startup che l’anno scorso hanno vinto l’edizione di Switch2Product hanno illustrato ad alcuni fra i principali fondi di Venture Capital e aziende partner dell’iniziativa come intendono portare sul mercato le loro innovazioni tecnologiche e scientifiche. 

Nella stessa giornata è stata, inoltre, presentata la XIV edizione di Switch2Product – Innovation Challenge, la cui fase di raccolta candidature si chiuderà il 15 luglio.  

I 21 Team vincitori dell’edizione 2021 – Credits: s2p

MA CHE COS’È SWITCH2PRODUCT? 

S2P è il Programma d’Innovazione organizzato da PoliHub, Technology Transfer Office del Politecnico di Milano e Officine Innovazione di Deloitte, nato per supportare la creazione di startup innovative, valorizzando l’attività di ricerca e promuovendo l’imprenditorialità. 

Per raccogliere le idee di quante più persone possibili, l’iniziativa si rivolge a un’ampia platea: studenti, ricercatori, dottorandi di ricerca, docenti e Alumni del Politecnico di Milano, POLIMI Graduate School of Management, Poli.design, oltre ad alumni o studenti iscritti ad altre università e/o enti di ricerca affiliati. 

Switch2Product
Credits: s2p

Coloro che verranno selezionati avranno al proprio fianco esperti che li guideranno lungo un percorso di empowerment imprenditoriale. I team accederanno, inoltre, a grant e percorsi di accelerazione su misura, ma soprattutto potranno, alla fine del percorso, entrare in contatto con investitori e partner industriali che consentiranno di realizzare un PoC e ottenere investimenti mirati a trasformare l’idea in una startup. 

Le categorie di application sono quattro: Health&Med Tech, Climate Tech & Circular Economy, Industries Transformation, New ways of working and living. 

“L’idea di per sé non basta. Anche se buona ha bisogno di concretezza. Deve essere sostenuta, indirizzata e valorizzata. Da quattordici anni a questa parte Switch2Product è un punto di riferimento all’interno dell’ecosistema Politecnico e delle imprese; è un marchio di garanzia per gli investitori; è un terreno di confronto tra giovani intraprendenti e imprenditori esperti”, commenta Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano. “Nell’ultimo triennio sono cresciute le candidature a S2P, oltre seicento; sono aumentati gli investimenti, quasi sette milioni di euro di investimenti early stage di pre-seed e seed; si sono moltiplicate le realtà approdate sul mercato (36 le società costituite). È in quest’ottica, forti di segnali positivi come quelli che arrivano da questa competizione, che il Politecnico sta puntando sulla rigenerazione dei gasometri nell’area di Bovisa, con l’intento di creare uno spazio ad hoc per le startup, posizionate al centro di un vero e proprio distretto di innovazione.” 

Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano
Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano | Credits: s2p

“S2P si conferma sempre più un programma di eccellenza”, conclude Andrea Sianesi, Presidente PoliHub. “Negli ultimi anni PoliHub ha dato vita a una macchina capace di far nascere startup deep tech, grazie a percorsi e metodologie sviluppati ad hoc e al sostegno di un’imponente community di mentor e facendo leva su solide relazioni con investitori e partner industriali. Un network sempre più esteso di stakeholder interessati al valore dell’innovazione è la forza di Switch2Product, la più importante challenge in Italia che fa crescere progetti che sanno trasformarsi in imprese e che ogni anno contribuiscono ad arricchire il tessuto imprenditoriale del Paese e a costruirne il futuro”. 

Andrea Sianesi, Presidente PoliHub
Andrea Sianesi, Presidente PoliHub | Credits: s2p
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5 per mille al Politecnico di Milano: tutto quello che devi sapere 

Dove vanno a finire le donazioni del 5 per mille che gli Alumni e la Alumnae hanno devoluto a favore del Politecnico nel corso di questi anni? (Qui per scoprire come donare)

Abbiamo preparato una breve raccolta per rispondere a questa domanda, un compendio dei progetti di ricerca ad alto impatto sociale che l’Ateneo ha fatto crescere grazie alle vostre donazioni del 5 per mille.

Leggilo subito!

dona al 5 per mille
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Le prime donne ingegnere del Politecnico

Il 23 giugno è l’International Women in Engineering Day, una giornata dedicata alle ingegnere di tutto il mondo per celebrare il loro lavoro e traguardi. 

Quando abbiamo scritto ALUMNAE, volevamo raccogliere tanti esempi positivi per le donne STEM del presente e del futuro e per capire anche quanta strada ancora c’è da fare. Con questo libro abbiamo raccontato le storie di 67 donne laureate in ingegneria al Politecnico per dipingere 67 modi diversi di essere ingegnere, tutti accomunati dalla competenza e dalla passione per il proprio lavoro. Leggilo qui

Oggi però ci chiediamo: chi sono state le donne che per prime hanno avuto il desiderio (e, pensando ai tempi, anche il coraggio) di intraprendere il percorso ingegneristico al Politecnico di Milano? Ecco allora che emergono i primi tre nomi: Tatiana Wedenison, Gaetanina Calvi e Maria Artini hanno spianato la strada a tutte le altre donne che sono venute dopo di loro. 

Le prima Alumnae del Politecnico (Ingegneria – Architettura) – Archivio Centrale Politecnico di Milano

TATIANA WEDENISON – STUDENTESSA DI INGEGNERIA 

Era il 1888 e Tatiana Wedenison, nata a Milano nel 1864 e figlia di un negoziante, si iscrisse al Politecnico di Milano. Pur non avendo completato gli studi, fu la prima donna nella storia italiana a provare a intraprendere gli studi ingegneristici. Nel 1894 Wedenison si laureò in scienze naturali. 

GAETANINA CALVI – ALUMNA INGEGNERIA CIVILE 

Dobbiamo aspettare l’anno 1913 per vedere la laurea della prima donna politecnica: Gaetanina Calvi, ingegnere civile, era l’unica donna del suo corso. I laureati di quell’anno erano 156 (di cui 149 ingegneri). Era passato mezzo secolo dalla fondazione del Politecnico di Milano (1863). 

gaetanina calvi
Credits: Archivio storico del Politecnico di Milano

Tra i suoi traguardi professionali, ricordiamo la progettazione della nuova ala dell’Istituto per ciechi di Milano, destinato a casa di riposo nel 1925, che la vide impegnarsi in prima persona, insieme all’architetto Faravelli. Negli anni seguenti insegnò matematica e scienze sempre presso l’Istituto che iniziò a darle un compenso in denaro soltanto nel 1928 (fonte). 

Il nostro Alumnus Ing. Longoni (Ingegneria chimica 1968) la ricorda così: 

“Ho conosciuto l’ing. Gaetanina Calvi (allora era chiamata Contessa Calvi) a Costa Lambro (frazione di Carate Brianza) dove abitava. Mi ero appena iscritto al Ginnasio del Liceo Zucchi di Monza e mio padre mi mandò a lezione di matematica dall’ing. Calvi presso la sua casa di Costa Lambro. Era severa, ma molto attenta ad aiutare i ragazzi che andavano a lezione da Lei. […] L’ing.ssa Calvi dava lezioni sia per matematica ma anche per latino e italiano a molti di noi figli di contadini o operai che lavoravano per lo più nelle filande lungo il fiume Lambro. Chi poteva, pagava un piccolo importo; chi non poteva, riceveva le lezioni dando qualche gallina.” 

Ing. Roberto Longoni
longoni classe
Credits: Ing. Roberto Longoni

MARIA ARTINI – ALUMNA INGEGNERIA ELETTROTECNICA 

“Egregio professore, mi viene richiesto da un collega se è stata pubblicata qualche soluzione grafica dell’equazione cubica x³+px=q. Posso permettermi di girare la domanda a Lei?” 

da una lettera del 19 maggio 1943 scritta da Maria Artini a Ercole Bottani 

Figlia del professore Ettore Artini, docente di Mineralogia al Politecnico, si iscrisse alla facoltà di Ingegneria elettrotecnica del Politecnico nell’anno accademico 1912-1913 e si laureò con la votazione di 90/100, diventando ufficialmente la seconda donna laureata al Politecnico di Milano (1918) e la prima donna laureata in Ingegneria elettrotecnica in Italia.

Credits: Enciclopedia delle donne

Dopo un breve periodo alla Società Officine ing. Giampiero Clerici passa al Gruppo Edison, dove diviene dirigente e collabora alla realizzazione della prima linea elettrica ad altissima tensione, la Brugherio-Parma di 130 kV, e studia la nuova rete a 220 kV. Partecipa all’attività dell’Associazione Elettrotecnica Italiana (Aei) e del Comitato Elettrotecnico italiano (Cei). 

Nel 1948 iniziò a interessarsi per promuovere relazioni personali tra le donne laureate in Ingegneria e in Architettura. Organizzò una serie di riunioni con le colleghe milanesi e torinesi in vista di un vero e proprio sodalizio ma morì prematuramente prima di vedere realizzato il proprio progetto. 

Puoi sostenere anche tu le borse di studio Girls@Polimi con una donazione a partire da 10 euro. Clicca qui.

Fonti:  

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“Lifelong learning e higher purpose nel futuro della nostra comunità”

Il compito di una scuola come la nostra è stare nel presente per preparare al futuro. Un compito che negli ultimi tempi è stato particolarmente gravoso e, insieme, molto stimolante. Abbiamo infatti assistito a cambiamenti sempre più veloci e profondi in vari aspetti della società. E questi cambiamenti, come è logico, hanno reso necessario un ripensamento non solo delle metodologie ma anche delle finalità stesse della formazione.

Un fatto che abbiamo tutti sotto gli occhi con chiarezza è che oggi più che mai c’è bisogno di formazione continua. Non esiste un momento della vita in cui ci si possa ritenere definitivamente preparati ai compiti professionali che si è chiamati a svolgere, e di conseguenza mettere un punto finale al proprio aggiornamento. Ciò dipende da almeno tre fattori. Il primo è il progressivo accorciamento della “shelf life” dei contenuti insegnati nei corsi universitari e nei master. Se già da tempo l’idea di un bagaglio formativo valido “da qui all’eternità” era superata, oggi la “data di scadenza” delle nozioni e dei metodi si è ulteriormente accorciata. Ciò dipende dalla velocità dei cambiamenti nella società, cui accennavamo prima, ma anche da un secondo fattore, e cioè l’abitudine sempre più diffusa a svolgere il proprio percorso professionale presso differenti realtà lavorative. In sostanza, se già lo stesso tipo di lavoro richiede aggiornamenti frequenti, l’esigenza di continuous learning è sentita in modo ancora maggiore dalle persone, sempre più numerose, che “surfano” fra un lavoro e l’altro.

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Credits: Polimi Graduate School of Management

Ma c’è un terzo fattore che ci fa capire meglio l’importanza della formazione continua. È un fattore importante almeno quanto gli altri due, però di natura diversa. Perché non ha a che fare con il mondo del lavoro in sé, ma con i modelli di apprendimento. Stiamo infatti assistendo al passaggio a un modello di apprendimento che è sempre più personalizzato, da attivare sulla base continuativa assemblando i “pezzi” più utili.

Dunque, semplificando, se finora il percorso è stato “prima mi formo, poi lavoro”, con la formazione paragonabile a una valigetta piena di attrezzi utili per varie evenienze, oggi quella valigetta la si riempie costantemente per restare competitivi in un mercato del lavoro in costante evoluzione. Insomma, in un mondo rapido, fluido e all’insegna del fail fast, le sfide sono più numerose e mutevoli, e conviene munirsi di una dotazione su misura per ciascuna di esse. A tenere insieme questo “bagaglio leggero” sono le soft skills, che non a caso diventano sempre più importanti.   

Tutto questo ci ha portato a sviluppare, già a partire dal 2017, FLEXA, la nostra speciale piattaforma di personalized, lifelong learning e assessment di competenze manageriali. Inoltre, abbiamo arricchito la nostra offerta formativa con una serie di iniziative e agevolazioni mirate a favorire il continuous learning di chi frequenta o ha frequentato uno dei nostri Executive MBA.

Contributo per gli Alumni: Gli Alumni del Politecnico di Milano possono beneficiare di una riduzione pari a 2.000 euro sulla quota di partecipazione agli Executive MBA di POLIMI Graduate School of Management. Per maggiori info: MBA & Executive MBA – POLIMI Graduate School of Management.

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Ma, come detto, la nostra evoluzione come business school non ha riguardato solo i mezzi ma anche gli scopi delle nostre azioni. Il semplice perseguimento del profitto oggi viene superato da un nuovo modello di impresa che mette le persone e la creazione di un futuro migliore per tutti al centro del proprio agire. I leader di domani sono coloro che saranno chiamati a mettere in pratica questo importante cambiamento, e noi sentiamo forte il dovere di prepararli al meglio a questo compito.

Perciò, a partire dal 2020, abbiamo avviato una profonda riflessione sui nostri valori, trovando nel nostro purpose – we are committed to inspire and partner with innovators to shape a better future for all – il faro che orienta le nostre azioni. E poi abbiamo deciso di rendere visibile questo cambiamento modificando il nostro nome (da MIP Politecnico di Milano a POLIMI Graduate School of Management), il nostro logo e la nostra identità visiva. Chi in questi anni ha frequentato il nostro campus e le nostre aule non solo ha assistito a questa evoluzione ma ne è stato protagonista. L’ascolto della nostra comunità è stato infatti alla base del nostro percorso di cambiamento. Ecco perché oggi individuiamo proprio nei membri di questa comunità i primi e naturali fruitori della nostra offerta di formazione continua.

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Di quando Lou Reed mi disse «That’s my guitar!»

Un giorno del 2007 squilla il telefono della Noah Guitars, azienda italiana produttrice di chitarre. Dall’altra parte c’è un uomo che, parlando in inglese, si presenta come il manager di Lou Reed. Il cantautore e fondatore della storica band dei Velvet Underground, inserita da Rolling Stone fra i 100 migliori artisti di tutti i tempi, è alla ricerca di una chitarra che possa dargli un suono nuovo e ha pensato a uno strumento in metallo. Ne ha pensato uno in particolare: quello progettato da Lorenzo Palmeri, con cassa in alluminio aeronautico, in mostra in quel periodo al Design Museum della Triennale di Milano per un’esposizione sulle nuove generazioni di designer.

Quando ne viene informato, Palmeri pensa a uno scherzo e il giorno dell’incontro arriva anche in ritardo. «L’appuntamento era presso la sede della Noah Guitars a Milano, ma io pensavo fosse tutta una messa in scena», ricorda oggi, nel suo studio. E invece Lou Reed c’era.

«Appena sono entrato ha fatto una cosa incredibile. Si è alzato, mi ha abbracciato e mi ha detto: “That’s my guitar!”».

«Questa chitarra la uso per raccontare come sia poco gestibile la vita di un progetto dopo che è uscito dal tuo studio. Senza alcun apparato di marketing ha fatto una vita surreale e fortunatissima. Un paio di mesi dopo averla prodotta è stata scelta per il primo museo del design a Milano, già essere presente a quell’esposizione per me era un traguardo. Il punto in cui era stata inizialmente posizionata all’interno del percorso museale non andava bene perché non prendeva la luce giusta, quindi è stata più volte spostata fino a quando non è stata messa all’ingresso. Era la prima e l’ultima cosa che vedevi. Uno si chiede come sia arrivata a Lou Reed, io direi che sono piccole filiere del caso».

Saturnino, il bassista di Jovanotti, presente il giorno dell’incontro, ricorda uno dei commenti di Lou Reed:

«Questa chitarra, a differenza di tutte quelle che ho visto e suonato, è diversa. Si vede che dietro c’è una grande tecnologia».

Tecnologia che lo porta a definirla: «La mia chitarra magica». Nominato nel 2017 tra gli «Ambasciatori del design italiano» nell’ambito dell’Italian Design Day, Lorenzo Palmeri è architetto, designer e musicista, Alumnus del Politecnico e a sua volta professore. Ripensando al suo percorso di studi commenta: «Direi che il Politecnico mi ha insegnato a sopravvivere una volta fuori dal Politecnico». 

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Cini Boeri: una vita passata a “progettare per la gioia”

Cini Boeri si laureava nel 1951. Nel 2015 l’abbiamo incontrata tra le sue opere, alcune più anziane di chi scrive, per raccontare i suoi oltre 60 anni di carriera attraverso una delle sue ultime mostre monografiche: “Progettando la gioia”. Ricordiamo la celebre architetta viaggiare con occhi sognanti e con ironia attraverso i suoi lunghi anni e attraverso la storia dell’architettura e del design del ‘900, mentre rispondeva alle domande degli Alumni:

cini boeri
foto Maria Mulas

AP: Cini, lei si è laureata nel 1951, poi ha aperto molto presto il suo studio, nel ’63. La sua carriera è decollata tra progetti, insegnamento, ricerca, fino a questa esposizione, “Progettando la Gioia”, una sorta di compendio della sua vita professionale.

CB: Sì, non ho dovuto aspettare molto, dopo la laurea, per iniziare a lavorare. Da Gio’ Ponti sono rimasta solo un anno. È stato lui spingermi verso la professione. Mi diceva: “Tu, coi colori che fai, devi fare l’architetto!”. Poi sono andata da sola. Avevo una segretaria e ogni tanto qualche stagista a fare pratica.

AP: Durante un’intervista, ha dichiarato che una buona parte del suo lavoro consiste nel progettare oggetti di uso comune, con lo scopo che non siano posseduti bensì utilizzati. L’utilizzo degli oggetti e il rapporto con lo spazio può essere una fonte di gioia. Cosa significa?

CB: Quando progetto una casa per una coppia di coniugi, ad esempio, propongo sempre di inserire una stanza in più. Loro mi chiedono sempre: “per gli ospiti?”. Ma no! Non per gli ospiti. Perché se una sera uno ha il raffreddore può andare a dormire in un’altra stanza, per esempio. Uno dovrebbe poter scegliere, sapere che può andare a dormire con il proprio compagno, ma che può anche decidere di non farlo, senza che questo pregiudichi la vita di coppia. Credo sarebbe molto educativo insegnare i giovani che quando si uniscono in coppia non è obbligatorio dividere il letto, è una scelta. È molto più bello.

AP: Quindi secondo lei si possono usare gli spazi quotidiani per educare le persone a diversi modelli di vita?

CB: Esattamente! Certo.

Serpentone cini boeri
foto archivio storico Arflex

AP: In che modo pensa che il suo lavoro possa contribuire a questa educazione della cittadinanza?

CB: Un po’, la società matura per conto suo. Oggi le persone sono più autonome e indipendenti. È un processo in atto. Io, nella mia veste di architetto, posso proporre dei modi alternativi di abitare e vivere gli spazi, agevolando un processo di emancipazione già in atto e promuovendo ovunque possibile la libertà di scelta.

AP: Parlando della sua opera, parole che emergono spesso sono quelle di un approccio democratico all’architettura e al design. Cosa significa? Quali sono i suoi padri intellettuali?

CB: È il Politecnico che ci ha abituati così. Abbiamo avuto un insegnamento molto aperto, non so se oggi sia ancora così!

AP: Ci racconta qualcosa degli anni del Poli?

CB: Ecco… si discuteva abbastanza. Io arrivavo con delle idee già maturate sull’autonomia e la responsabilità reciproca: già allora pensavo che fosse importante mettere il focus su libertà degli individui, e i miei progetti hanno sempre cercato di concretizzare questo principio. Per cui si discuteva! Perfino oggi, è difficile che queste idee vengano accolte come proposte serie. Quella della camera da letto in più, ad esempio, viene presa come una minaccia al matrimonio! Ma non è così. Imparare a pensare per conto proprio favorisce il benessere della coppia, non lo minaccia.

AP: Con chi discuteva? Con gli insegnanti?

CB: non necessariamente. I professori erano di ampie vedute. Mi ricordo, ad esempio, del prof. Renato Camus (immagino oggi non ci sia più!): sempre orientato verso la modernità, verso nuovi modi di vivere. Ma il modello famigliare era ancora molto tradizionale e gerarchico. La libertà non era sempre considerata uno strumento accettabile.

AP: Uno strumento?

CB: La libertà è uno strumento, in senso allargato. Ad esempio, quando un bambino impara a fare qualcosa da solo, acquisisce al tempo stesso la responsabilità di doverlo fare e la libertà di poterlo fare.

AP: Lei ha avuto e ha tuttora molti collaboratori più giovani. Cos’è cambiato negli architetti, nei 60 anni della sua carriera?

CB: C’è più libertà d’azione, più possibilità di scegliere e più consapevolezza. Questo dipende sia dall’evoluzione generale della società, sia dal fatto che oggi la professione è meglio riconosciuta, è diventata un valore culturale oltre che estetico. Ai miei tempi, l’architetto era visto un po’ come il decoratore, non come quello che rende funzionale uno spazio, e quell’approccio ci toglieva il nostro valore principale, la funzionalità. La funzionalità è un invito a vivere lo spazio in un certo modo, invece che in un altro: nel mio caso, un invito a togliere le dipendenze, a promuovere l’autonomia e la riflessione. Progettare per la funzionalità è progettare per la gioia.

cantina pieve vecchia
foto Cantina Pieve Vecchia

AP: Lei però non ha progettato solo spazi, ma anche oggetti di design. Un tempo architettura e design non erano due discipline separate, mentre oggi vengono insegnate, al Poli, in due diverse facoltà. Qual è il rapporto che le lega?

CB: È un rapporto molto stretto. Il motivo sottostante un progetto, che sia di un mobile o di un locale, è sempre la funzionalità. La fisionomia dello spazio è legata alla sua funzione d’uso. Lo stesso vale per il design. Gli oggetti devono aiutare a vivere lo spazio, non occuparlo.

AP: Sempre a proposito del rapporto tra le varie discipline di matrice politecnica, le riporto una recente dichiarazione di Renzo Piano: “Negli anni del Poli crebbe in me l’idea che quelli dell’Architetto e dell’ingegnere siano lo stesso mestiere”. È un invito a riflettere sulle cose che ci legano in quanto Alumni Polimi, invece che su quelle che ci dividono. Cosa ne pensa?

CB: [ride] Per certi versi è vero! Cioè, non sono la stessa cosa, ma un progetto non si realizza senza la collaborazione dell’uno e dell’altro. Sono due mestieri molto vicini e devono collaborare. Non sono la stessa cosa perché all’ingegnere manca una cosa: il focus sulle necessità della persona. Insomma, se io devo progettare un appartamento per una famiglia, vado a conoscerla, passo del tempo con loro, cerco di entrare nelle loro dinamiche famigliari.

AP: Qual è l’elemento portante del rapporto tra lei e il suo committente?

CB: La comunicazione e la fiducia, che deve essere reciproca. Non sempre quello che io propongo è quello che il committente si aspetta. Non sempre ci si capisce al volo. Ad esempio, quella storia della camera in più, talvolta, mi ha fatto passare per una “killer dei matrimoni” [ride]. Ma non è così! Io, come architetto, devo saper ascoltare e interpretare loro necessità. Il committente deve imparare a fidarsi. Di solito funziona!

AP: I suoi committenti sanno quello che vogliono, quando vengono da lei?

CB: No! Vogliono il meglio… [ride], e, di solito, vogliono quello che hanno visto. Una volta mi proponevano i divani in stile ottocentesco, tutti sagome e volute, oggi mi propongono cose astratte che non servono a niente. D’altra parte credono che l’architetto porti la novità in quanto tale. Invece, io voglio portare benefici alla vita! Quindi, bisogna ascoltarsi e venirsi incontro. Alla fine, sono tutti sempre molto soddisfatti.

AP: Lei ha dichiarato in un’intervista che un progetto nasce, per dirlo con parole politecniche, da un processo di analisi e sintesi. Me lo spiega meglio?

CB: Il momento di analisi è quello dell’ascolto, in cui, come ho spiegato, imparo a conoscere il committente. Il momento di sintesi è quello creativo, che è altrettanto importante. Noi proponiamo il nuovo, che è frutto della creatività, ma non lo proponiamo in modo indiscriminato: deve avere un posto e una funzione chiara nella vita delle persone.

AP: È una “creatività controllata”?

CB: In un certo senso… ad esempio, se devo fare una sedia non butto lì la prima cosa che mi viene in mente, sarebbe una stupidata. Invece, penso a come ci si siede, a come le diverse forme del corpo umano possono avere il sostegno giusto. La forma del corpo determina la linea interna di un sedile, punto di partenza del progetto. La funzionalità dirige la creatività.

AP: Cos’è per lei l’innovazione?

CB: È ciò che avvicina un progetto al committente, alle sue necessità. Che sono personali. Per evitare di riproporre sempre gli stessi schemi, l’architetto deve essere in grado di personalizzare il progetto. Deve conoscere il committente. E per conoscerlo deve avere un modo facile e diretto di comunicare.

AP: Quindi la comunicazione è un fattore chiave per l’innovazione?

CB: Esatto.

AP: Perché ha scelto la strada dell’architetto?

CB: Ah, questa è una domanda difficile! Non le so rispondere. Forse il momento determinante è stato durante la Resistenza, in montagna, quando conobbi De Finetti. Inizialmente mi diceva che ero una ragazzina, e che l’architetto era un mestiere da uomo. Poi, però, mi portava a fare delle passeggiate, mi faceva vedere delle case, mi chiedeva cosa ne pensassi. E alla fine mi disse che forse ero abbastanza seria per diventare architetto. “Ricordati che è una cosa seria”, mi diceva, “non un gioco”.

cini boeri casa nel bosco
Casa nel bosco, 1969 (foto Matteo Piazza)

AP: Mi racconta qualcosa degli anni della Resistenza?

CB: Ah, sì. L’ho fatta in pieno, con molto entusiasmo e molta buona volontà. Ero giovane! Siamo partiti dalle cose più banali, come portare la corrispondenza ai ribelli in montagna. Poi le cose si sono fatte serie. Alla fine abbiamo guidato le truppe partigiane.

AP: Non aveva paura?

CB: No, ero molto appassionata. La mia gioventù è stata determinata dall’anti-fascismo, che per fortuna era vivo nella mia famiglia e nei nostri amici. Ero già politicizzata, in un certo senso, con una sensibilità sul contesto sociale e le sue manifestazioni. Era tutto molto chiaro. L’anti-fascismo ci ha portato alla lotta e la lotta ad essere gli autori della nuova società. Parlo al plurale: non ero da sola, ero circondata dai miei coetanei.

AP: Sapevate cosa dovevate fare?

CB: Sapevamo molto bene che il fascismo andava condannato. Aveva troppi lati contrari al nostro modo di pensare: la propaganda personale, l’autorità, il rapporto autoritario con il lavoratore, eccetera. Sulla negazione di quello che viveva intorno a noi, ci siamo formati e abbiamo cominciato a costruire.

AP: Cos’ha voluto dire essere partigiani?

CB: Era una guerra semplice. Si combatteva sulle montagne, si sparava, si scendeva in città a scambiare documenti e si ritornava su. Ma non era una massa di persone, non era un esercito. Era un modo di essere e di pensare, la nostra natura. E quindi per noi era naturale agire così. A sua volta, la Resistenza ha formato il mio carattere e ha rassicurato i principi trasmessi dalla famiglia.

AP: Quei principi che sono alla base del suo lavoro…

CB: Esatto, l’autonomia, la libertà personale, l’approccio democratico, la responsabilità, il rispetto dell’altro nei rapporti interpersonali… tutti questi valori, che hanno determinato la mia carriera, vengono da lì. Io sono felice della mia professione, ma se dovessi sceglierne un’altra farei l’insegnante, anche alle scuole elementari. Questi sono valori che vanno trasmessi.

AP: Un’ultima domanda e poi la lascio ai suoi ospiti: qual è la lezione più importante che le ha lasciato il Poli?

CB: La serietà. L’architettura è costruire. È disciplina. Quando ero in studio con Gio’ Ponti, lui mi sgridava se trascuravo dettagli come riordinare la scrivania. Mi diceva: “L’architetto non fa questi errori. L’architetto tiene tutto organizzato, in modo che sia ben stabile”.

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Il Duomo ha 15 nuove guglie (metaforiche)

Martedì 31 maggio a Palazzo Marino si è tenuta la cerimonia di premiazione delle “Nuove Guglie Carlo Tognoli”, il riconoscimento destinato alle tesi di laurea di studenti meritevoli dalle Università Politecnico e Bocconi. Il premio, cuore del progetto più ampio dedicato a Carlo Tognoli dal titolo “AMARE MILANO come Te”, è conferito alle migliori tesi di laurea dedicate al futuro di Milano. 

nuove guglie carlo tognoli
Credits: Centro Studi Grande Milano

Grazie alla collaborazione dei Rettori Ferruccio Resta e Gianmario Verona sono state visionate oltre cento tesi da parte delle commissioni dei professori universitari che hanno selezionato infine undici titoli, frutto in alcuni casi di un lavoro collettivo, per un totale di quindici studenti vincitori (10 del Politecnico di Milano e 5 della Bocconi) che riceveranno, oltre al noto riconoscimento, un premio di 2.000 euro per ogni tesi.  

nuove guglie carlo tognoli
Credits: Centro Studi Grande Milano

Il premio di laurea è intitolato alla memoria di Carlo Tognoli, ex sindaco di Milano scomparso nel 2021, che ha donato il marchio AMAREMILANO al Centro Studi Grande Milano, perché fosse sempre segno distintivo di chi ha nel cuore il destino della città. Da qui è nata l’iniziativa “NUOVE GUGLIE della Grande Milano” – da quest’anno rinominato “NUOVE GUGLIE CARLO TOGNOLI” -, dedicato a premiare il lavoro di studenti delle nostre università che hanno redatto “tesi di laurea che guardando al futuro dello sviluppo di Milano e si sono mostrate capaci di essere utili alla collettività”. 

Alla premiazione erano presenti il sindaco Beppe Sala, i Rettori del Politecnico e della Bocconi Ferruccio Resta e Gianmario Verona, la Presidente del Consiglio Comunale Elena Buscemi, il Prefetto di Milano Renato Saccone, il Presidente Vidas Ferruccio De Bortoli, la Presidente delle Grandi Guglie Manuela Soffientini e la Presidente del Centro Studi Grande Daniela Mainini, che ha commentato: 

“Leggere le tesi premiate delle Nuove Guglie Carlo Tognoli mi ha davvero fatto pensare a quanto sapere sia raccolto nelle Università, un sapere che spesso non trova una giusta valorizzazione. Mi commuove pensare che il nome di Carlo Tognoli, dell’uomo che mi ha insegnato come AMAREMILANO, sia indelebilmente legato al destino di queste giovani forze. L’odierno atto di gratitudine della città a Carlo è il fine ultimo del mio agire come Presidente del Centro Studi Grande Milano”. 

Il Rettore Ferruccio Resta partecipa da diversi anni alle iniziative del Centro Studi Grande Milano, del quale è Ambasciatore dal 2017, tra gli “opinion leader che, per esperienze umane e professionali, con il loro qualificato operare veicolano i valori della città, rappresentando testimonial di eccezionali talento e capacità”. 

“I quindici premiati di oggi hanno deciso di dedicare le loro tesi a Milano attraverso tante dimensioni: citando quelle più vicine al Politecnico, si è parlato della rigenerazione urbana, di transizione ecologica, dell’uso delle tecnologie per la mobilità e di inclusione. Un ringraziamento va a questi ragazzi che hanno deciso di dedicare le loro energie alla Milano del domani.”

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Credits: Centro Studi Grande Milano

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