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L’Alumnus Massimo Roj progetta un bivacco hi-tech a 3400 metri

Sul ghiacciaio del Rutor i venti soffiano a 290 chilometri orari e le temperature arrivano fino a 40 gradi sotto lo zero. Costruire un bivacco qui è una vera sfida architettonica che Massimo Roj, Alumnus Architettura 1986, ha voluto affrontare in memoria di Edoardo Camardella, suo amico e guida alpina, che nel 2019 ha perso la vita sul Monte Bianco.

L’architettura che si fa strumento di ricordo, di coraggio, di emozione e di forza: questo, e molto di più, è il significato del progetto del Bivacco dedicato all’amico Edoardo Camardella, giovane guida alpina e maestro di sci scomparso 2 anni fa, vittima di una valanga sul Monte Bianco – scrive Roj sul suo profilo Linkedin -. Il bivacco sorgerà sul Ghiacciaio del Rutor a La Thuile (AO), a 3400 metri di altezza, e sarà visibile a La Thuile questo inverno prima di essere trasportato in cima a giugno 2022.
Un progetto impegnativo e sfidante, nel quale abbiamo messo cuore e anima e che abbiamo portato avanti grazie al contributo di grandi realtà dell’ingegneria e dell’edilizia, che come noi hanno creduto nell’importanza di questo lavoro.”

Bivacco Roj
Credits: Progetto CMR

Il bivacco in acciaio, realizzato da Progetto CMR sotto la guida di Roj, verrà montato a novembre sul palco nel piazzale delle funivie di La Thuile all’inizio della stagione sciistica dove rimarrà esposto per tutto l’inverno, prima della sua effettiva installazione in quota, prevista per maggio-giugno 2022.

Si tratta di una struttura di ultima generazione autosufficiente a livello energetico, con pannelli fotovoltaici inseriti nelle lamiere d’acciaio esterne, che proteggono l’isolante con il legno rivolto invece verso l’interno. Qui sorgerà anche una delle stazioni meteo più alte d’Europa, alimentata da un gruppo di batterie che farà funzionare la telecamera che comunicherà direttamente con la base di Aosta.

Bivacco Roj
Credits: Progetto CMR

I TEST NELLA GALLERIA DEL VENTO

Il bivacco è una struttura all’avanguardia che per essere realizzata ha avuto bisogno di studi, rilievi e misurazioni, fondamentali per far funzionare queste tecnologie a così alta quota.

Bivacco Roj
Credits: Progetto CMR

A questi studi per la progettazione ha contribuito anche il Politecnico di Milano, che ha messo a disposizione la Galleria del Vento per le misurazioni sull’ingegneria statica e termica e la resistenza ai fenomeni tecnologici estremi.

“Bisognava capire come avere una struttura leggera ma resistente e come montare i pannelli senza il rischio che venissero sradicati dal vento, dando riparo a chi frequenta la montagna in una struttura moderna” commenta Roj al Corriere della Sera.

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Doppio argento per l’Alumna politecnica Federica Fragapane

Si è conclusa il 17 ottobre la cerimonia di premiazione dell’Hublot Design Prize 2021, la prima edizione del prestigioso premio a svolgersi dal vivo dal lontano 2019. Alle London’s Serpentine Galleries si sono riuniti 160 esperti e galleristi d’arte internazionali per presentare opere di artisti emergenti e affermati da tutto il mondo.

Tra i premiati, anche la nostra Federica Fragapane, Alumna Design della Comunicazione 2014, per il suo lavoro di data visualization che rappresenta la complessità di dati in forme organiche e poetiche, “opere visive avvincenti e sperimentali che attraggono e coinvolgono il lettore”, come scrive La Repubblica.

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Credits: Federica Fragapane

Fragapane riceve uno dei due Pierre Keller Award in palio, condividendo il podio con la designer tedesca Eva Feldkamp. Primo posto per Mohammed Iman Fayaz, 30 anni, illustratore, designer e artista contemporaneo di Brooklyn, New York.

Giunto quest’anno alla sua sesta edizione, L’Hublot Design Prize è il più importante (e cospicuo) riconoscimento nel settore del design per supportare i giovani talenti, promosso dalla maison di orologi Hublot. Da molti designer considerato un acceleratore di carriera e un trampolino di lancio, è un premio che riconosce non un singolo progetto ma il percorso di ricerca e di sperimentazione dell’artista nel suo complesso, come afferma Ricardo Guadalupe, Ceo di Hublot: “per passare dall’ombra alla luce, da oggetto a pezzo celebre, da promettente a famoso, servono dei fattori scatenanti e uno di questi è l’Hublot Design Prize”.

“Come orgogliosa Alumna del Politecnico di Milano mi fa molto piacere annunciarvi personalmente che il mio lavoro è stato premiato a Londra con il Pierre Keller Award, scrive Fragapane alla redazione Alumni. “Ho avuto l’onore di presentare i miei progetti a una giuria composta da Marva Griffin Wilshire, Hans-Ulrich Obrist, Alice Rawsthorn e lo studio Formafantasma”.

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Credits: Federica Fragapane

I premi dell’Hublot Design Prize sono assegnati da una giuria indipendente che propone i candidati e da una commissione di qualità, quest’anno formata appunto da Marva Griffin Wilshire, ideatrice e curatrice del SaloneSatellite, Hans-Ulrich Obrist, direttore artistico della Serpentine Gallery di Londra che ogni anno ospita l’evento, la critica britannica Alice Rawsthorn e il duo dei designer italiani Formafantasma, che hanno vinto il premio nel 2018.

Il 2021 è l’anno dell’argento per Fragapane, che a giugno ha ottenuto il secondo posto anche all’European Design Awards. A valerle questo primo argento è stata la rubrica «Dati visivi», pubblicata settimanalmente all’interno di «La Lettura», supplemento culturale del quotidiano italiano «Corriere della Sera», che ne parla qui.

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Earthshot Prize: vincono Milano e gli hub di quartiere made in Politecnico

La Città di Milano ha vinto la prima edizione del premio internazionale Earthshot Prize, con il progetto della Food policy degli Hub di quartiere contro lo spreco alimentare nella categoria “Build a Waste Free World”.

L’Earthshot Prize, ideato e finanziato dalla Royal Foundation of The Duke and Duchess of Cambridge, nasce per premiare le azioni più efficaci rivolte alla protezione dell’ambiente e prevede l’assegnazione di 1 milione di sterline (1,17 milioni di euro) a ciascuno dei vincitori delle cinque categorie e il supporto della Royal Foundation per i prossimi anni.

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Credits: @earthshotprize su Twitter

“Milano è la prima grande città ad applicare una politica contro lo spreco alimentare a livello cittadino che comprenda enti pubblici, banche alimentari, enti di beneficenza, Ong, università e imprese private. E sta funzionando — recita la motivazione del premio riportata sul Corriere della Sera —. Oggi la città ha tre Food Waste Hub, ognuno dei quali recupera circa 130 tonnellate di cibo all’anno o 350 kg al giorno, equivalenti a circa 260.000 pasti”.

MILANO “ZERO WASTE” DAL 2017

Il progetto – che è stato scelto tra altre 750 iniziative candidate in tutto il mondo – è nato nel 2017 da un’alleanza tra Comune di Milano, Politecnico di Milano con il gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria Gestionale Food Sustainability Lab di cui fa parte l’Osservatorio Food Sustainability, Assolombarda, Fondazione Cariplo e il Programma QuBì.

La realizzazione del primo Hub ha coinvolto Banco alimentare della Lombardia permettendo di distribuire pasti a 3.800 persone in un anno, grazie al contributo di 20 supermercati, 4 mense aziendali e 24 enti del Terzo settore. Oggi a Milano si contano 3 Hub di quartiere a Isola (2019), Lambrate (2020) e al Gallaratese (2021).

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Credits: www.foodpolicymilano.org/

“Vincere l’Earthshot prize è il riconoscimento di un grande lavoro di squadra che ha coinvolto l’intera città – commenta Palazzo Marino -: grazie al Comune e a tante realtà del Terzo settore, delle università, della grande distribuzione e della filantropia operative sul territorio”.

Il premio da un milione di sterline da parte della Royal Foundation sarà investito nell’apertura di nuovi hub sul territorio, garantendone la sostenibilità sul lungo periodo e la replicabilità nella rete delle città che lavorano con Milano sulla food policy.

Scopri tutto sulla ricerca politecnica di frontiera e sui temi definiti dalla Commissione Europea nell’ambito del Recovery Plan. Visita il sito Next Generation EU del Politecnico di Milano.

Credits home: www.foodpolicymilano.org/
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Indy Autonomous Challenge: oro mancato d’un soffio per il team Polimove

Si è conclusa lo scorso 23 ottobre la prima edizione del’Indy Autonomous Challenge Powered by Cisco (IAC), il primo campionato di velocità per auto senza pilota sul famoso circuito Indianapolis Motor Speedway.

La serratissima competizione, durata oltre 6 mesi tra prove e qualificazioni, ha visto in gara le migliori università al mondo in grado di programmare auto da corsa Dallara IL-15, modificate per la guida autonoma.

Sulla pista di Indianapolis si sono sfidati 28 team di oltre 500 studenti universitari appartenenti a 39 atenei di 11 Paesi. A rappresentare l’Italia e il Politecnico di Milano il team PoliMOVE, guidato dal prof. Sergio Savaresi: uno dei principali gruppi di ricerca internazionali nel campo nei settori del controllo automobilistico, dei veicoli intelligenti e della smart mobility.

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Credits: https://www.indyautonomouschallenge.com/politecnico-di-milano

A UN PASSO DALLA VITTORIA

La finale del 23 ottobre si è chiusa troppo presto per il nostro team, che lascia Indianapolis su una nota dolceamara: dopo aver dominato le qualificazioni per mesi, al terzultimo giro della finale un guasto ha mandato l’auto a schiantarsi contro il guard-rail.

“Si è staccata la connessione tra due centraline molto importanti”, racconta Savaresi, “la centralina del motore e quella che controllava sterzo e freni. Non abbiamo potuto fare nulla”.

Il gruppo, composto da laureandi e dottorandi del Politecnico, ha giocato tutte le sue carte durante la finale, esplorando i limiti della macchina e rischiando in velocità più di tutti gli altri team.
Una strategia che li ha traditi a un passo dal traguardo, tuttavia non senza gloria: il guasto è avvenuto proprio nell’istante in cui PoliMOVE ha stabilito il record di velocità del campionato.

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Credits: https://www.indyautonomouschallenge.com/politecnico-di-milano

“252 km/h, col motore che andava a 6000 giri: abbiamo fatto il record e ci siamo schiantati 10 secondi dopo. Ma… racing is racing”, continua Savaresi, “e queste macchine sono ancora dei prototipi, ancora molto inaffidabili. Siamo sempre stati tra i più veloci, in gara abbiamo spinto al limite, esplorando per primi i limiti di robustezza della macchina”.

Abbiamo testato sulla nostra pelle che non sono ancora sufficientemente robuste. Al primo posto si è quindi posizionata la TUM Autonomous Motorsport della Technische Universität di Monaco. Nell’oro, comunque, un pezzo di Politecnico: la macchina in gara, uguale per tutte le scuderie (tranne che nel software di guida autonoma), è una Dallara EXP, progettata dal Gruppo Dallara e dal suo fondatore, l’Alumnus Giampaolo Dallara.

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Credits: https://www.indyautonomouschallenge.com/politecnico-di-milano

VERSO IL RECORD MONDIALE

L’evento ha riscosso un grande successo mediatico e di pubblico: migliaia di partecipanti e oltre 20.000 spettatori sul live stream, oltre a 350 studenti STEM delle scuole superiori in rappresentanza di oltre 50 distretti scolastici urbani, rurali e suburbani in tutta l’Indiana.

“Per i nostri studenti è stata comunque un’esperienza intensa, bellissima e molto formativa”, continua Savaresi. “Si sono confrontati per mesi, sul campo, con un approccio racing, estremamente focalizzato sull’obiettivo. È un contesto in cui i tempi sono scanditi molto rigidamente. Durante i test bisogna essere pronti al momento giusto e deve funzionare tutto. Il gruppo è diventato molto affiatato, ha sviluppato un metodo di lavoro concreto e una grande disciplina nel gestire la pressione”.

Indy Autonomous Challenge
Credits: Polimove

E ora? È tutto finito?

“No, continueremo a lavorare sul software e sulla macchina”, risponde Savaresi, che conclude: “non è ancora ufficiale, ma quasi certamente proveremo a rifarci in una gara di sorpassi a Las Vegas, il 7 gennaio, durante il CES 2022. Inoltre, siamo a un passo dal record mondiale di velocità in guida autonoma, che oggi è di 282 km/h, detenuto dal 2019 da una macchina di Roborace. Stiamo cercando una pista per battere questo record. E il successo della prima edizione dell’IAC suggerisce che potrebbe essercene una seconda nel 2022”.

Nel caso, saremo pronti a tifare.

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Eni Award: 2 Alumnae ricercatrici premiate dal Presidente della Repubblica

Monica Ferro e Greta Colombo Dugoni, Alumnae e ricercatrici del Politecnico di Milano, sono state premiate al Palazzo del Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della XIII edizione di Eni Award, il premio per la ricerca scientifica di Eni, con la menzione speciale “Eni Joule for Entrepreneurship”.

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Credits: Polihub

Il premio, conosciuto anche come il “Nobel dell’Energia”, è considerato un punto di riferimento a livello internazionale per la ricerca nei campi dell’energia e dell’ambiente.

Proprio a partire da quest’anno Eni, attraverso la sua Scuola per l’Impresa Joule, ha istituito un ulteriore riconoscimento destinato a team, spin off universitari e startup volto a favorire l’applicazione, la valorizzazione e il trasferimento delle tecnologie, promuovendo nel contempo la creazione di un ecosistema dell’innovazione sostenibile.

BI-REX: UNA NUOVA VITA PER GLI SCARTI AGRO-ALIMENTARI

Le Alumnae Ferro e Colombo Dugoni hanno ricevuto il premio per l’attività che hanno svolto nella startup Bi-Rex, di cui sono fondatrici, sviluppando un processo green per la produzione di biopolimeri, per dare nuova vita agli scarti agro-alimentari. Il progetto si occupa di valorizzare le biomasse per ottenere in modo ecosostenibile prodotti ad elevato valore aggiunto come cellulosa, chitina e lignina.

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Credits: www.affaritaliani.it/

 “Questi scarti solitamente vengono bruciati, noi invece – spiegano le ricercatrici a Affaritaliani.it – vogliamo dare loro una nuova vita. In chimica queste sostanze rientrano nelle biomasse e recuperandole si evitano anche i costi per il loro incenerimento. La cellulosa inoltre si può estrarre anche dai residui di lavorazione delle bioplastiche, i sacchetti per la raccolta dell’umido per intenderci.”

Le Alumnae hanno già portato Bi-Rex a quattro brevetti e alla vincita di importanti finanziamenti: il grant di 30.000 euro di Switch2Product, il percorso di accelerazione in PoliHub – Innovation Park & Startup Accelerator e 160.000 euro dal fondo di investimenti Poli360, fondo di investimenti gestito da 360 Capital Partners.

Scopri tutto sulla ricerca politecnica di frontiera e sui temi definiti dalla Commissione Europea nell’ambito del Recovery Plan. Visita il sito Next Generation EU del Politecnico di Milano.

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Light-Cap: dal Poli un nuovo concept di batterie solari

Sviluppare il prototipo di un nuovo dispositivo in grado di assorbire, convertire e stoccare l’energia solare in modo sostenibile e con bassi costi di produzione: è l’ambizioso obiettivo che mette insieme centri di ricerca da tutto il mondo, coordinati dall’Istituto Italiano di Tecnologia. Si chiama Light-Cap, progetto di ricerca quadriennale, e ha ricevuto un finanziamento di 3,18 milioni di euro da parte dell’Unione europea nell’ambito del programma Horizon 2020.

horizon 2020 light cap
Credits: www.engineeringservice.eu/

I PROBLEMI CON L’ENERGIA SOLARE

Le metodologie tradizionali di conversione e stoccaggio dell’energia solare si basano principalmente su pannelli solari in silicio e batterie ingombranti. Esiste inoltre un tema non trascurabile legato all’approvvigionamento dei materiali necessari alla realizzazione di questi componenti.

Con Light-Cap, i ricercatori vogliono mettere a punto una nuova struttura basata sulle nanotecnologie, in grado di combinare le due funzionalità di conversione e stoccaggio in un unico dispositivo versatile e portatile, fabbricato con materiali ecocompatibili e facilmente reperibili (come minerali presenti nella crosta terrestre) per evitare le criticità relative al loro approvvigionamento.

INGREDIENTI SEMPLICI MA BUONI

Una combinazione di nanoparticelle a base di carbonio (come il grafene) e composti di alcuni tipi di ossidi di metalli (indio, zinco, stagno) normalmente impiegati nelle componenti elettroniche di cellulari, display e Led: materiali con ottime capacità di accumulo delle cariche elettriche e stabilità a lungo termine (possono quindi essere caricati e scaricati molte volte prima di esaurire il proprio ciclo-vita).

Un dispositivo con queste caratteristiche rappresenterebbe una soluzione efficiente per l’assorbimento di energia solare, la sua conversione, l’immagazzinamento e il rilascio controllato sotto forma di energia elettrica, con un impatto potenziale importante soprattutto nel campo dell’elettronica mobile.

Le idee innovative del progetto sono state premiate nell’ambito del bando europeo Horizon 2020 per “Tecnologie innovative di stoccaggio e conversione dell’energia a emissioni zero per la neutralità climatica” nel contesto del programma “FET Proactive: Emerging Paradigms and Communities“.

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Credits: polimi.it

COME FUNZIONERÀ?

I ricercatori stanno lavorando al design di un prototipo che potrebbe già essere pronto entro la fine dei quattro anni. Si tratterà di un dispositivo assimilabile a una batteria che si ricarica con la luce, in grado di immagazzinare energia da utilizzare successivamente per alimentare un apparecchio portatile.

Oggi, per fare questo, servono due dispositivi: una cella fotovoltaica e una batteria. Light-Cap sarà in grado di fare entrambe le cose. Il meccanismo alla base del progetto è la separazione di cariche positive e negative dopo l’irraggiamento di luce all’interfaccia tra due nanomateriali, uno composto di nanoparticelle di pochi nanometri, l’altro sottile quanto uno o pochi atomi come il grafene.

IL RUOLO DEL POLITECNICO

L’Ateneo avrà il compito di passare al vaglio e studiare le proprietà ottiche dei nanomateriali fabbricati, con tecniche di spettroscopia in continua e ultraveloce (fino ad una risoluzione temporale di pochi femtosecondi), tecniche in cui il Politecnico è all’avanguardia nel mondo (ne abbiamo parlato anche a proposito di TOMATTO, progetto europeo da 12 milioni di euro che vuole osservare cosa succede alle molecole negli attimi immediatamente successivi all’interazione con la luce).

Inoltre, si studieranno le interazioni fondamentali tra i diversi tipi di nanomateriali nelle interfacce liquido-liquido, liquido-solido, solido-solido. Le misure sperimentali saranno corroborate da diversi modelli teorici. Il Politecnico di Milano coordinerà inoltre il secondo Work Package del progetto, focalizzato sulla caratterizzazione ottica, la caratterizzazione optoelettronica e la caratterizzazione elettrica dei nuovi nanomateriali e delle nuove interfacce ed eterogiunzioni.

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Credits home/header: polimi.it

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Strade più sicure, belle, sostenibili: JAMES DYSON AWARD a tre politecnici

Un team di tre studenti polimi ha vinto l’edizione 2021 del James Dyson Award Italia, premio internazionale di design dedicato ai giovani ingegneri e progettisti. I tre politecnici si sono distinti come i migliori giovani inventori tra oltre 2.000 partecipanti che hanno presentato le loro invenzioni da 28 paesi.

Luca Grosso, Silvana Migliozzi e Alessio Puleo, i tre studenti magistrali di Intregrated Product Design, si sono aggiudicati il riconoscimento con il progetto Roadfix: uno strumento pensato per riparare i danni del manto stradale senza costi per il bilancio pubblico. Sarebbero infatti le aziende a sostenere economicamente i costi delle riparazioni. L’idea è che Roadfix sia in grado di offrire spazi pubblicitari alle aziende, che potrebbero imprimere il proprio logo sulla “buca”, una volta riempita, e sponsorizzarne la riparazione, approfittando di un’opportunità estetica e commerciale orientata al valore sociale.

COME FUNZIONA

Gli incidenti dovuti a una scarsa manutenzione stradale sono la prima voce di costo per i comuni. Le buche sono tra le principali cause di incidenti, soprattutto per la micromobilità. Ad oggi le buche vengono riparate utilizzando del bitume a freddo o a caldo servendosi di un badile per riempire e spianare. Questi metodi permettono delle riparazioni di fortuna che hanno una durata molto limitata nel tempo e conferiscono un risultato estetico poco gradevole.

L’idea di Roadfix è nata quindi con l’obiettivo di migliorare la sicurezza stradale con riparazioni più precise e sicure, semplificare il lavoro degli operatori, aprire nuove frontiere del marketing. Un’ispirazione che viene dall’arte giapponese del Kintsugi, ovvero riparare oggetti rotti con l’oro per valorizzare le crepe e dare loro una nuova vita. Il concetto è quello di migliorare i difetti stradali per renderli risorse per la città.

Il battistrada diventerà infatti personalizzabile: le aziende sponsor potranno imprimere una un marchio sulla “toppa” e potranno inserire grafiche sulle parti laterali del macchinario stesso, per avere visibilità anche verticale durante la riparazione del manto stradale. Con questa nuova opportunità sarà possibile trovare aziende disposte a fare pubblicità aiutando le nostre città.

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Credits: www.jamesdysonaward.org

Il concept progettuale iniziale è nato durante il Laboratorio di Concept Design del prof. Massimo Bianchini al Politecnico. Dopo una prima fase di ricerca e sviluppo di idee, è stato sviluppato con un modello di studio e testato per comprenderne l’ergonomia, le proporzioni e l’esperienza d’uso.

Il passo successivo è quello di creare un prototipo dotato di componenti elettrici per una fase di test su strada, e fare in modo che alcuni operatori lo provino per comprendere in modo più dettagliato le problematiche legate all’ergonomia e alla user experience. Inoltre, sono state individuate aziende che operano in settori analoghi per proporre delle collaborazioni al progetto.