alserio home

La Milano di domani: una galleria di opere politecniche  

Il Premio Architettura e Urbanistica Urban File 2021 ha selezionato gli interventi recenti più significativi e virtuosi della città di Milano: 7 degli 8 progetti vincitori portano la firma di Alumni e Alumnae. Abbiamo intervistato alcuni di loro per farci raccontare come cambia e come cambierà la città. Sono Paolo Asti, Pasquale Mariani Orlandi, Sonia Calzoni, Sebastiano Pasculli.   

Capitolo 1: Alserio 10, la curva del tempo  

  • PROGETTO: Rigenerazione edifici esistenti, residenziale e ricettivo  
  • STUDIO: Asti Architetti  
  • ALUMNUS: Paolo Asti  
  • ZONA: Isola   

Paolo Asti (Credits: A. Cherchi)

Sul finire degli anni ‘80, al numero 10 di via Alserio, a Milano, una squadra di redattori della prestigiosa casa editrice Selezione dal Reader’s Digest lavorava alacremente a redigere l’Atlante del Mondo. Quotidianamente maneggiavano gli oceani e le epoche, le scienze e le Terre in un mondo, anch’esso a tutto tondo, dell’edificio che li ospitava: un palazzo architettato da Melchiorre Bega nel 1968, che conferì agli angoli della struttura delle curvature, cosi da sembrare che quasi ruotasse attorno al quartiere.

≪A differenza delle usuali architetture cittadine, che si pongono sempre a cornice della strada, questa si pone al centro del lotto ed e visibile a 360°≫, esordisce l’Alumnus Paolo Asti, fondatore di Asti Architetti, che ha curato il progetto di riqualificazione dello stabile. Oggi Alserio 10 è un complesso residenziale, composto da 70 ampi appartamenti affacciati ognuno su terrazza. ≪L’elemento curvo presente nel progetto originale è l’eredita che abbiamo preso ed enfatizzato con la creazione dei terrazzi che si rincorrono come onde attorno a tutto l’edificio, – spiega Asti. – La linea curva ammorbidisce la corsa dello sguardo. Da un senso del fluire e del divenire, della trasformazione. Il verde poi e parte integrante della facciata perché le persone amano esserne circondati; questo filtro verde e una sorta di portale, tra dentro e fuori. La natura ci ha orientati anche nella scelta dei materiali, c’è una forte presenza di legno, o simil legno, e nell’attacco terra e presente l’uso di alluminio con effetto bronzo. Il grande tema dei nostri anni e legato proprio alla terra: non vedo la necessita di ulteriore consumo del suolo ma un suo miglior utilizzo≫.  

Il quartiere Isola, dove sorge Alserio 10, rappresenta al meglio secondo Asti il passaggio tra passato e futuro urbanistico,

≪Qui la Milano storica delle antiche botteghe, altrove scomparse, convive con la grande industria immobiliare. Milano e una città policentrica, che dato il dinamismo che la caratterizza non vive di un unico centro ma ha saputo crearsi tanti centri≫.

Questo dualismo temporale domina le imprese di Paolo Asti, attualmente impegnato nella riqualificazione di Torre Velasca. E proprio parlando di quest’ultima opera, Asti dice: ≪I cittadini hanno bisogno che un pezzo iconico della Milano degli anni ‘60 torni a essere sul territorio. Il restauro deve far rifunzionalizzare un edificio facendo sembrare che dal 1956 al 2022 non sia successo nulla. Spesso trattengo la mano e non mi sovrappongo a chi ha avuto la capacità di muoversi prima di me con edifici perfetti, anche se devastati dal tempo. Perché il tempo devasta tutto, uomini ed edifici≫.  

Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.

.
dynamis home

Ai blocchi di partenza: gli studenti che costruiscono automobili da corsa 

«Prendete pochi crediti per il tempo che sottraete alla preparazione degli esami, ma in compenso è un salto di qualità incredibile, vi costringe a metterci le mani, a capire e a immaginare». A parlare è l’ing. Giampaolo Dallara, che nel 1972, a Varano de’ Melegari, in provincia di Parma, ha fondato l’omonima azienda italiana costruttrice di automobili da competizione. Dallara è Alumnus in Ingegneria Aeronautica, appassionato di motorsport e uno dei principali sostenitori della Formula SAE in Italia. Si sta rivolgendo agli studenti del team politecnico DynamiΣ PRC: oltre 100 ragazze e ragazzi che, ogni anno, progettano e costruiscono un prototipo di auto da corsa in stile Formula.  

dynamis
foto di Tommaso Chemello, Alumnus ingegneria meccanica e membro del team DynamiΣ

LA FORMULA 1 DEGLI STUDENTI

I veicoli di DynamiΣ PRC corrono il campionato Formula SAE (in Europa si chiama Formula Student), una delle maggiori competizioni per vetture a ruote scoperte, che conta più di 15 eventi globali e coinvolge gli studenti di oltre 600 atenei in tutto il mondo. Anche i piloti sono studenti e quindi, per ragioni di sicurezza, le gare non sono ruota a ruota ma a tempo (con poche eccezioni).

Si corre in 3 categorie: motori a combustione, motori elettrici e auto a guida autonoma. Ogni gara si disputa in un Paese diverso ed è divisa in due sessioni: la prima, statica, valuta l’aspetto tecnico della vettura, quello economico e la capacità di realizzare una strategia di marketing completa. Seguono le prove dinamiche, in pista: Acceleration (accelerazione), Skidpad (bilanciamento), Autocross (miglior tempo sul giro) ed Endurance&Efficiency (affidabilità del prototipo). In Italia le gare si svolgono sul circuito di Varano de’ Melegari, a pochi passi dalla Dallara Automobili (principale sponsor dell’iniziativa). L’ing. Dallara ogni anno fa il giro dei box, il venerdì prima della gara, quando le squadre hanno finito i test e stanno ultimando gli ultimi lavori sulle macchine.

Vedere i ragazzi quando discutono su come fare l’attrezzatura di un telaio o immaginare come costruire un’ala è un ricostituente per l’entusiasmo da portare in azienda, – commenta l’ingegnere. – E poi c’è la costatazione di come i giovani siano veramente una forza del nostro Paese, di come abbiano voglia di impegnarsi anche a caro prezzo: perché, per fare questo lavoro, spesso sono costretti a rimandare qualche esame.  

Partecipare a queste competizioni è talmente impegnativo che comporta per forza qualche ritardo nella carriera accademica: per esempio Alberto Testa, studente di Ingegneria Spaziale e attuale responsabile tecnico di DynamiΣ, ci racconta che lui impegna nella squadra circa 70 o 80 ore alla settimana. «È inevitabile che gli esami passino un po’ in secondo piano».  

Puoi sostenere questo progetto con una donazione. Dona ora

foto di Tommaso Chemello, Alumnus ingegneria meccanica e membro del team DynamiΣ

AI BOX  

Moreno Palmieri si è laureato nel 2018 in Ingegneria Meccanica e oggi fa R&D in Ferrari. Durante gli studi ha fatto parte del team DynamiΣ: un team che ha vinto molto, ma che non è partito esattamente con il piede giusto.

«Nel 2014 abbiamo sperimentato per la prima volta il telaio in carbonio. Ma, non avendo tanti soldi, ci siamo ingegnati con pannelli di carbonio piani e incollati insieme. Risultava un po’ più pesante di un telaio in carbonio stampato con tecniche industriali, ma costava molto meno. Eravamo alle prime armi e abbiamo fatto un errore nella progettazione: gli inserti interni a cui saldare i componenti interni della macchina erano troppo piccoli. Durante alcuni test preliminari fatti sul circuito di Vizzola era andato tutto bene, ma sul circuito di Varano l’asfalto è molto più performante. Durante il brake test avevamo talmente tanto grip che le forze esercitate dai braccetti delle sospensioni sul telaio erano molto più forti del previsto, al punto da strappare uno degli inserti. Disastro! Eravamo sconfortati. Ma i giudici di gara, il personale della Dallara, passarono dai box per il consueto giro di ricognizione e ci incoraggiarono a cercare una soluzione. Lavorammo tutta la notte alle riparazioni, rappezzando il telaio con lastre d’acciaio. Una volta terminato, la macchina pesava 10 kg in più: sarebbe stata un po’ meno performante, ma almeno potevamo correre. La mattina seguente ci ripresentammo al brake test. Stavolta, il telaio resse, ma si ruppero i braccetti delle sospensioni, già danneggiati durante il primo test. Nuova nottata in bianco per le riparazioni, il giorno dopo ci sarebbe stata la gara, era l’ultima possibilità. Trovammo una soluzione di fortuna, ma la macchina non resse il terzo brake test e dovemmo ritirarci. Di tutta questa storia però quello che ci portammo a casa fu una grande opportunità. Gli ingegneri di Dallara ci notarono per la nostra tenacia, perché non avevamo mollato di fronte a una difficolta così grossa, avevamo tentato di tutto. Qualche mese dopo, l’ing. Dallara venne al Poli per incontrarci e ci offri la sua collaborazione per costruire il telaio con mezzi e strumenti adatti. Ci mise in contatto con la Bercella, azienda del settore, da cui anche abbiamo imparato molto sul manufacturing professionale».

foto di Tommaso Chemello, Alumnus ingegneria meccanica e membro del team DynamiΣ

Da quel momento DynamiΣ ha recuperato la sconfitta del 2014 molte volte, piazzandosi sempre sul podio nelle edizioni successive. «Gli studenti spesso mi sorprendono con espressioni di grande creatività e immaginazione, – racconta Dallara ricordando le innumerevoli visite ai box. – Sulle nuove tecnologie sono proiettati in avanti, invece a volte le parti più convenzionali, come l’attacco di una sospensione, sono caratterizzati da una certa ingenuità. Ma mi sorprende anche la velocita con cui imparano. I team arrivano la prima volta senza esperienza, sono molto distanti dalle squadre di punta. Ma nel giro di un anno o due recuperano il divario e raggiungono un pari livello di competitività».  

SPORT SIGNIFICA UN LIMITE INCOGNITO  

Alberto Testa fa parte della squadra dal 2019, anno in cui il Poli si classifica al quarto posto nella classifica mondiale e al primo in Italia, correndo nella categoria Combustion. «Dopo questo successo abbiamo deciso di accettare una nuova sfida, anzi, due. Nel 2020 abbiamo costruito il primo prototipo elettrico e da quest’anno verrà aggiunto alla macchina anche un sistema di guida autonoma, per poter gareggiare nel campionato elettrico sia con pilota sia nella categoria Driverless≫.

Anche Filippo Piovani e studente di Ingegneria Aeronautica: «in teoria ultimo anno≫, dice. È la sua terza stagione in DynamiΣ. Lo incontriamo in officina, dove, raccolti intorno al nuovo prototipo, i membri del team lavorano in parallelo su molte cose contemporaneamente: chi rifinisce dei pezzi, chi ne monta degli altri, chi fa e rifà i conti per controllare i risultati, chi sta in cabina di verniciatura per trattare lo stampo dell’inverter container. Stasera resteranno qui fino a mezzanotte, con un permesso speciale dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica (che rimarrà aperto apposta per loro). «Una delle sfide dell’inverter container è la schermatura dell’interferenza elettromagnetica, causata dall’elettronica ad alta tensione, – racconta Filippo. – Rischia di sporcare i segnali di quella a bassa tensione che controlla il funzionamento della macchina. L’anno scorso era la prima volta in cui avevamo la macchina elettrica e c’erano dei momenti in cui i sensori di controllo dei parametri vitali restituivano informazioni sbagliate a causa di questo problema, trasmettendo l’errore al computer che gestisce la macchina. Quest’anno abbiamo aggiunto alla fibra di carbonio delle molecole di nichel, che dovrebbero aumentare la schermatura e risolvere il problema. Almeno in teoria, ma bisogna provare per scoprirlo».

Dopo il fire-up, i test in pista andranno avanti fino a metà luglio. Il campionato inizia il 12 luglio e proseguirà tutta l’estate: il Poli sarà a Varano dal 17 al 19 luglio, in Ungheria dal 7 al 13 agosto e in Germania dal 15 al 21 agosto. Che risultato vi aspettate?, chiediamo a Filippo.

Vincere, sempre e comunque. Poi si cerca di migliorare rispetto all’anno scorso. L’obiettivo è tornare con l’elettrico dove eravamo nel ’19 con il modello a combustione: quarti a livello mondiale.

«La squadra del Poli è abituata così, – commenta ridendo Dallara. – Non vogliono solo partecipare, sono abituati a vincere. Ma non sono gli unici. Quello della Formula Student è un campionato che diventa ogni anno più competitivo. Il Poli ha vinto molto, ma anche gli altri hanno voglia di vincere. Non basta più migliorare un po’: il confronto sportivo non ha un livello definito da superare, non è la ricerca di un record, è essere migliori del tuo avversario. Questo significa che il limite è incognito finché non ci si confronta in pista».    

Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.

.
ponte di archimede home

Il ponte di Archimede

Dall’archivio MAP #3

La E39 è una strada norvegese che non ha gli standard a cui siamo abituati. Per lunghi tratti non ha neanche la strada. Sette traghetti trasportano i mezzi in un percorso che, per risalire 1100 chilometri della costa occidentale, prevede un tempo di percorrenza di 21 ore.

L’obiettivo dell’amministrazione norvegese è di ridurre la durata del viaggio a 11 ore, tramite infrastrutture immerse nel paesaggio: ponti galleggianti e gallerie sottomarine, innovazioni e tecniche antiche come il ponte di Archimede, oggi realizzabile grazie alle ultime tecnologie.

ponte di archimede
Credits: Statens Vegvesen

Dietro i lavori di queste infrastrutture che cambieranno una nazione, e non solo, c’è un’italiana: l’Alumna Arianna Minoretti, ingegnere civile del Politecnico di Milano.

«Lo Stato norvegese cercava una persona che fosse interessata a lavorare su questo grande progetto della E39, mi è sembrata un’occasione unica e così ho inviato la mia candidatura»,

racconta.

Ripensandoci ora, mi sembra ancora così strano. «Mi ha chiamata il mio attuale capo per chiedermi se potessi sostenere il colloquio da lì a una settimana. Il colloquio è durato due ore e alla fine mi ha detto: “Guarda, io oggi fermo i colloqui perché credo che tu sia la persona che stiamo cercando. Ti manderemo una proposta economica e se sei d’accordo ti puoi trasferire e inizi a gennaio”».

Dietro al progetto di questa grande opera ci sono interessi economici (sulla costa ovest è localizzato il 50% delle esportazioni) e sociali. «So cosa vuol dire avere la necessita’ di vivere vicino ai servizi sanitari, avendo avuto problemi allergici importanti», continua Minoretti. «Ogni volta che arrivo in un posto nuovo chiedo dove si trovi l’ospedale più vicino. In alcuni posti lungo la costa norvegese è capitato mi dicessero che in macchina erano necessarie fino a tre ore (altrimenti si dipende dall’elicottero). Sono convinta che il progetto della E39 sia anche un progetto sociale. Basti pensare a chi vive al di fuori delle principali città della Norvegia: non è così semplice raggiungere i luoghi di lavoro, le scuole, gli ospedali, e queste sono le prime infrastrutture da dare alle persone». 

Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se ti piacciono questa e le altre attività gratuite per tutti i laureati, puoi sostenerle con una donazione.

.

inventori home

Come si diventa inventori?

La parola «inventore» è un po’ desueta: oggi nessuno (o quasi) direbbe che, di mestiere, fa l’inventore. I media li chiamano startupper o imprenditori, al Poli si chiamano ingegneri, designer, architetti, ricercatori, scienziati e, di solito, stanno in laboratorio, non di fronte a un consiglio di amministrazione. Per uno scienziato, scoprirsi imprenditore non è poi cosi automatico.  

La ricerca scientifica e la base che consente di guardare lontano e di investire sul futuro, – commenta Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano. – È essenziale per interpretare e accelerare i grandi processi di sviluppo tecnologico e per ridurre i divari sociali. Attraverso la ricerca, l’università gioca un ruolo chiave nell’attivare i processi di cambiamento e di crescita dei territori e, con essi, di nuove attività imprenditoriali≫.  

inventori sciuto
Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano | Credits: s2p

Ma per farlo è necessario dotarsi di strumenti per trasformare la ricerca in innovazione, che non sono affatto la stessa cosa. E, come non c’e innovazione senza ricerca, per portare le invenzioni fuori dai laboratori l’idea non basta: ci vuole quello che in gergo tecnico si chiama trasferimento tecnologico: è il processo che serve a trasformare un’idea o un risultato accademico in un prodotto vendibile sul mercato. È anche uno degli obiettivi, sia per l’Italia che per l’Europa, per rendersi indipendenti ed evitare di ritrovarsi nel ruolo di importatori di tecnologie, e per affrontare le grandi sfide sociali che ci attendono. E anche in questo il Politecnico fa la sua parte.  

Inventori di oggi: dal laboratorio all’impresa  

Al Poli ci sono diversi strumenti che servono a far crescere il Technology Readiness Level (TRL), cioè il livello di maturità tecnologica di un progetto, e valorizzarlo dal punto di vista dell’impatto socio-economico. Uno di questi strumenti è Switch2Product (S2P), il Programma d’Innovazione organizzato dall’Ateneo in collaborazione con PoliHub e con le Officine Innovazione di Deloitteche mette in contatto ricercatori e investitori per elaborare un proof- of-concept. Poi c’è PoliHub, l’Innovation Park & Startup Accelerator del Politecnico di Milano, che segue i ricercatori fino al raggiungimento di TRL 5 (cioè la fase in cui si dimostra che la tecnologia funziona anche fuori dalle condizioni controllate del laboratorio accademico) e nel product/market fit. A quel punto, i ricercatori sono pronti per costituire una start up, ricevendo dagli investitori una cifra tra i 500 mila e il milione di euro.  

Proprio da S2P e dal percorso di incubazione e accelerazione di PoliHub sono passate ADAPTA Studio e AGADE, due spin-off del Poli: la prima arriva dal Dipartimento di Matematica, la seconda da quello di Ingegneria Meccanica.

Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.

.
arte home

Passeggiare per i corridoi del Poli e imbattersi in famose opere d’arte 

Vi sarà certamente capitato di correre da un’aula all’altra per la prossima lezione e trovarvi improvvisamente di fronte a delle opere d’arte. Le collezioni del Poli raccolgono moltissimi oggetti firmati da grandi artisti e grandi progettisti, oggetti che raccontano la storia, i valori e il DNA dell’Ateneo. Un museo a campo aperto che ha la sua porta d’ingresso, idealmente, ne cuore del Campus Leonardo, in Piazza Leonardo da Vinci 32 (ve l’abbiamo raccontata su MAP 9, Made in Polimi) e che è possibile visitare anche virtualmente su www.museovirtuale.polimi.it.  

made in polimi
Made in Polimi

Ne abbiamo parlato con il prof. Federico Bucci, delegato del rettore alle Politiche Culturali:

“Made in Polimi è il museo fisico dedicato alla memoria del Politecnico. È la “vetrina” di un sistema museale diffuso che coinvolge molti nostri spazi in tutti i campus e raccolto anche online. Il sito mette in evidenza le nostre collezioni di strumenti tecnici che hanno fatto la storia e dei lasciti degli artisti che ce ne hanno fatto dono, come il Pomodoro e il Sebaste. È una bellissima cosa quando riceviamo un dono da un artista o da una collezione privata, come è successo anche nel caso di Ettore e Andromaca del De Chirico, recentemente donato da un generoso anonimo e installato in Biblioteca Centrale Leonardo”.

Di Ettore e Andromaca abbiamo parlato su MAP 10. A Bucci chiediamo quale sia il valore di queste donazioni: “Un’opera che arriva da una collezione privata viene resa disponibile a tutti, e in particolare ne possono godere i nostri studenti, che le passano accanto ogni giorno. Gli studenti sono così immersi in un clima culturale di altissimo valore, ne ricevono stimolo e motivazione, lo assorbono”.  

arte De Chirico

Il Museo Virtuale, come quello fisico diffuso per gli spazi politecnici, è un work in progress, mai finito, sempre in evoluzione. “Non solo arrivano opere nuove, ma ci sono molti oggetti di grande valore ancora custoditi e protetti negli armadi, che devono essere valorizzati e esposti in modo coerente, raccontando la storia dei pionieri che ci hanno preceduto, offrendo una cornice narrativa alle rappresentazioni del DNA politecnico ad opera dei grandi artisti che ce le hanno donate nel corso dei decenni. Da storico dell’arte, credo molto in questo progetto, che non è mera conservazione: è un invito a tradurre la memoria in prospettiva, come facevano anche i nostri padri, come Brioschi e Colombo, che lavoravano sulla storia per progettare futuro. Affidare un oggetto di valore alle nuove generazioni è un invito a creare qualcosa di nuovo”, conclude Bucci. 

TRE LINK DA CUI PARTIRE: LA CRC 102A, IL MUSEO DI CORROSIONE INTITOLATO A PEDEFERRI E LA COLLEZIONE GIÒ POMODORO 

Sul Museo Virtuale potete navigare tra centinaia di opere e oggetti d’epoca. Oggi vi invitiamo a visitare tre di queste sale virtuali (perché tutte, qui, non ci stanno; ma le trovate online). 

La mitica CRC 102A, il calcolatore a valvole prodotto dalla Computer Research Corporation. Fu il nucleo attorno al quale si sviluppò la Scuola di Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano, sia nell’ambito della ricerca che in quello della didattica, venne messo a disposizione del territorio e delle industrie partner, e rimase in funzione fino al 1963.

Mi piace immaginare un giovane Dadda, appena venticinquenne, appena tornato dagli Stati Uniti, sbarcare dalla nave con una grossa cassa contenente il primo calcolatore d’Europa”, commenta Bucci.  

Il Museo di Corrosione, collezione Intitolata al prof. Pietro Pedeferri, Alumnus Ingegneria Chimica 1963, Ordinario dal 1983 prima di “Elettrochimica” e poi di “Corrosione e protezione dei materiali” e in seguito Direttore di Dipartimento di Chimica dei Materiali. Consiste in una raccolta di circa 140 casi-studio che testimoniano il comportamento dei metalli sottoposti a diversi tipi di corrosione.  

arte pedeferri
Credits: Museo virtuale

La collezione Giò Pomodoro, composta da 19 sculture e due dipinti. Le opere, affidate all’Ateneo dall’Archivio Gio’ Pomodoro, sono esposte in una mostra permanente tra gli edifici e i dipartimenti del Campus Bovisa. Per questo progetto artistico, che ha per titolo La dimensione esterna della scultura, nel 2018 presso la sede del Parlamento Europeo di Bruxelles, il Politecnico di Milano ha ricevuto il premio Mecenati del XXI Secolo, “per aver trasformato il campus in un museo a cielo aperto con mostre permanenti e temporanee” 

arte giò pomodoro
Credits: Marco Introini
duomo home

Come si aggiusta il Duomo di Milano, secondo il Poli 

“Se fosse stata una cosa semplice non avrebbero chiamato il Politecnico”, dice l’Alumnus Stefano Della Torre ridendo, eppure mantenendo una certa serietà e un certo orgoglio di fondo. Professore alla Facoltà di Architettura del Politecnico, Della Torre è responsabile dell’attività consulenziale dell’ateneo con la Veneranda Fabbrica del Duomo, una collaborazione che coinvolge una decina di donne e uomini politecnici da tutti i dipartimenti e che ha come obiettivo quello di razionalizzare e implementare la conservazione e il restauro della cattedrale di Milano. Il Duomo, in sé, è un monumento unico. Non soltanto per il valore affettivo dei milanesi, e forse nemmeno per quello puramente architettonico. È l’intrinseca natura del Duomo a essere speciale,

“Il Duomo è sempre stato un luogo di sperimentazione – spiega Della Torre – E quindi è interessante questa continuità ideale tra la sperimentazione artistica e le nostre sperimentazioni nel campo della conservazione”. 

duomo
Credits: Steffen Schmitz

Per il Politecnico, oggi il Duomo è anche un cantiere-laboratorio: un luogo in cui i nostri studenti e ricercatori possono fare ricerca sul campo e confrontarsi con problemi reali usando le tecnologie più all’avanguardia, in un contesto impossibile da riprodurre in un laboratorio on campus. 

Il Politecnico, spalla a spalla con la Veneranda Fabbrica («l’impresa più antica d’Italia!», commenta ancora Della Torre), si prende cura, giorno per giorno, della chiesa più simbolica del Nord Italia. Come dice il professore, “è un lavoro incredibile” per le dimensioni del Duomo e per i rischi – i danni – a cui è sottoposto ogni giorno in una città come Milano: i visitatori, il clima e l’umidità, l’inquinamento, persino i concerti in piazza. “La logica del nostro intervento è quella di applicare al Duomo i più moderni dettami della conservazione, che si chiama conservazione programmata. Ovvero non intervenire “a spot” quando c’è un problema, ma coordinare e programmare tutte le attività”. 

politecnico regione lombardia home

Scienziati politecnici per sfide globali

Il Politecnico di Milano ha ottenuto dalla Commissione europea due importanti finanziamenti per due progetti di ricerca: uno per la lotta al tumore al seno e l’altro per quella al cambiamento climatico.  

Si tratta di due ERC Advanced Grant, cioè finanziamenti assegnati dallo European Research Council (ERC) a ricercatori affermati nel loro settore, per portare avanti progetti innovativi e ad alto rischio. La selezione per questo tipo di finanziamenti è molto competitiva: quest’anno, su 1735 progetti presentati, solo il 14,6% ha ottenuto i fondi.  

SUPERCOMPUTER CHE CONSUMANO 5000 VOLTE MENO ENERGIA  

Daniele Ielmini, docente presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, condurrà ANIMATE (ANalogue In-Memory computing with Advanced device Technology), un progetto che mira a realizzare un nuovo concetto di calcolo per ridurre il consumo energetico nel machine learning. È un tema critico per fermare il cambiamento climatico: quando usiamo il computer non ci pensiamo, ma il costo energetico delle azioni che compiamo su internet, a partire da quelle quotidiane, è molto alto. I data center, che oggi soddisfano gran parte del fabbisogno mondiale di intelligenza artificiale, consumano circa l’1% della domanda energetica globale, ma si prevede una crescita fino al 7% entro il 2030. Operazioni apparentemente semplici, come la ricerca di un prodotto o un servizio di largo consumo (ad esempio quando prenotiamo le vacanze o scegliamo un film in streaming) si basano su algoritmi ad alta intensità di dati e hanno un impatto importante sulla produzione di gas serra.  

daniele ielmini
Daniele Ielmini

La ricerca preliminare di ANIMATE del prof. Ielmini ha dimostrato che il fabbisogno energetico di calcolo può essere ridotto mediante il closed-loop in-memory computing CL-IMC (calcolo in memoria ad anello chiuso). Questo sistema è in grado di risolvere problemi di algebra lineare in un solo passaggio computazionale. Grazie alla riduzione del tempo di calcolo, CL-IMC richiede 5.000 volte meno energia rispetto ai computer digitali a pari precisione in termini di numero di bit. Il progetto di Ielmini svilupperà la tecnologia del dispositivo e dei circuiti, le architetture di sistema e l’insieme di applicazioni per validare completamente il concetto di CL-IMC.  

CONTRO IL TUMORE AL SENO, UN PROTOCOLLO PER NEUTRALIZZARNE LA BARRIERA NATURALE  

Manuela Raimondi, docente del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”, combina meccanobiologia, bioingegneria, oncologia, genetica, microtecnologia, biofisica e farmacologia al fine di sviluppare nuovo metodo per la cura del tumore al seno.  

manuela raimondi
Manuela Raimondi

In questo tipo di malattia, infatti, l’aggressività è correlata all’irrigidimento fibrotico del tessuto tumorale: la fibrosi impedisce progressivamente ai farmaci di raggiungere le cellule tumorali. Con BEACONSANDEGG – Mechanobiology of cancer progression, Raimondi intende sviluppare un metodo in grado di aggirare questo problema. A partire dalla modellizzazione di microtumori a vari livelli di fibrosi e da cellule di cancro al seno umane fatte aderire a microsupporti polimerici 3D, i microtumori verranno impiantati in vivo nella membrana respiratoria di uova aviarie embrionate, al fine di suscitare una reazione fibrotica da corpo estraneo nei microtumori. Questo modello di studio verrà validato con farmaci antitumorali il cui risultato clinico è noto dipendere dal livello di fibrosi tumorale. Il lavoro fornirà inoltre una piattaforma standardizzabile ed etica per promuovere la traslazione clinica di nuovi prodotti terapeutici in oncologia. Questo è un tema chiave per Raimondi: alcuni degli strumenti di ricerca e modellizzazione che ha sviluppato negli ultimi dieci anni hanno proprio l’obiettivo di ridurre o sostituire le fasi di sperimentazione pre-clinica in vivo, per esempio con l’uso di supporti 3D per colture cellulari e camere microfluidiche per la cultura di tessuti e organoidi. 

ERC: “CHALLENGING EUROPE’S BRIGHTEST MINDS” 

Un po’ di contesto per questa bella notizia: il Politecnico è ai vertici delle classifiche mondiali delle università anche grazie alla ricerca scientifica di frontiera che porta avanti nei suoi laboratori. I protagonisti di questo primato italiano sono i tanti scienziati e ricercatori del Politecnico (ERC e non solo): circa 3500.  

Alcuni di questi sono “ricercatori ERC”, che sta per European Research Council. È uno strumento della commissione europea che sostiene ricerche pionieristiche e di frontiera. Sono tra “le menti più brillanti d’Europa”, si dice, scienziati che potrebbero essere sulle tracce di scoperte scientifiche e tecnologiche nuove e imprevedibili.  

In totale, ad oggi, i progetti ERC al Politecnico sono 52. Variano a seconda della dimensione e della durata del finanziamento: tra i 150 mila e i 12 milioni di euro.  

  • Starting Grant, per ricercatori emergenti, con 2-7 anni di esperienza maturata dopo il conseguimento del dottorato 
  • Consolidator Grant, per giovani che hanno alle spalle già una decina d’anni di ricerca 
  • Advanced Grant, dedicati a scienziati eccezionali ed affermati, in grado di aprire nuove direzioni nei rispettivi campi di ricerca e in altri settori 
  • Synergy Grant, che promuovono progressi sostanziali nella frontiera della conoscenza e incoraggia nuove linee di ricerca 
  • Proof of Concept, un finanziamento di entità minore, dedicato a ricercatori che abbiano che abbiano già un progetto ERC in corso o l’abbiano terminato di recente. Mira a garantire il collegamento tra ricerca di base e mercato 
Leggi la storia di TOMATTO, il Synergy Grant del Poli

ERC promuove un approccio cosiddetto “investigator driven” o “bottom-up”, cioè la libera iniziativa dei migliori scienziati europei, che seguono progetti di ricerca di eccellenza, innovativi e ad alto rischio, tasselli chiave per raggiungere gli obiettivi di crescita sostenibile che si pone l’Unione 

CONVERTIRE L’INCERTEZZA IN AZIONE E RIVOLUZIONARE LA SCIENZA DEI MATERIALI 

A Sara Bagherifard, con ArcHIDep, e a Massimo Tavoni, con EUNICE, vanno due ERC Consolidator Grant. Ridurre le incertezze per affrontare i cambiamenti climatici è l’obiettivo di Tavoni, docente di Climate Change Economics presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Direttore di RFF-CMCC, European Institute on Economics and the Environment. La sua ricerca copre temi di economia dell’energia e del clima, e in particolare la modellistica delle politiche climatiche internazionali. Con EUNICE, affronta il problema delle incertezze nei percorsi di stabilizzazione climatica e negli attuali modelli clima-energia-economia e converte gli scenari delineati da questi modelli in indicazioni che aiutino a definire policy resilienti, solide e affidabili per contrastare il cambiamento climatico. 

Bagherifard, ricercatrice senior del Dipartimento di Meccanica, si occupa di approcci numerici e sperimentali per progettare, fabbricare e caratterizzare materiali multifunzionali. Con il progetto ArcHIDep, intende mettere a terra un rivoluzionario sistema di deposizione allo stato solido per ottenere materiali eterogenei con architettura strutturata su tre livelli di scala, micro, meso e macro. ArcHIDep permetterà di sviluppare un framework, attualmente inesistente, per progettare e costruire elementi in grado di superare i limiti legati alla odierna impossibilità di coniugare proprietà tra loro in conflitto. 

ERC PROOF OF CONCEPT, OVVERO: LA SCIENZA ALLA PROVA DEI FATTI 

Ritroviamo Daniele Ielmini con SHANNON, acronimo di Secure hardware with advanced nonvolatile memories. Ha l’obiettivo di sviluppare un nuovo tipo di circuito per la crittografia basato sul concetto di funzione fisica non-clonabile. Le chiavi di crittografia vengono generate mediante stati di memoria casuali che sono completamente invisibili ad una ispezione esterna, grazie ad un nuovo algoritmo ed una nuova struttura di cella, rendendo questa soluzione molto interessante per la sicurezza dei sistemi Internet of Things. 

Paola Saccomandi, del Dipartimento di Meccanica, lavora allo sviluppo, alla validazione tecnologica e all’analisi di mercato di un dispositivo per l’asportazione laser di tumori, molto meno invasivo degli strumenti di cui disponiamo oggi. Il progetto si chiama LEILA: closed-loop and multisensing delivery tool for controlled laser ablation of tumors.  

Con il progetto TCOtronics, acronimo di transparent conductive oxide nanocrystalline films for electronics and optoelectronics via low-cost solution processing, Francesco Scotognella (Dipartimento di Fisica) vuole fabbricare strati sottili a base di nanoparticelle di ossidi metallici, impiegabili come filtri ottici o elettrodi trasparenti per celle solari e diodi emettitori di luce. Un importante obiettivo è anche l’impiego di elementi non tossici e abbondanti nel pianeta.  

Francesco Topputo (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali) punta a sviluppare un sensore di navigazione autonoma per i satelliti nello spazio profondo. Grazie al progetto SENSE: a sensor for autonomous navigation in deep space, i satelliti stessi saranno in grado di stimare la propria posizione senza la necessità di comunicare con le stazioni di terra; questo permetterà di tagliare i costi di navigazione per l’esplorazione spaziale, rendendo lo spazio accessibile a università, centri di ricerca e piccole imprese.  

Quello che stai leggendo è un articolo dell’ultimo numero del MAP (leggilo qui). Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.

Credits home: Photo by Pawel Czerwinski on Unsplash

Hydrogen Joint Research Platform home

Green deal, Poli e imprese studiano insieme come usare l’idrogeno “pulito” 

Sono iniziate le attività della Hydrogen Joint Research Platform, piattaforma di ricerca congiunta tra università e aziende fondata a fine 2021. Voluta dal Politecnico di Milano, Hydrogen JRP ha l’obiettivo di promuovere la ricerca e l’innovazione sulle potenzialità dell’idrogeno come fonte di energia pulita, a supporto di scenari e strategie per la produzione e il consumo di energia a zero emissioni. La piattaforma è pensata per facilitare il trasferimento tecnologico grazie alla collaborazione tra enti pubblici e privati e per mettere a sistema ricerca scientifica, innovazione e mondo industriale in ottica di filiera. Accanto all’Ateneo e a Fondazione Politecnico di Milano, al momento fanno parte di Hydrogen JRP anche Edison, Eni, Snam, A2A e NextChem. L’intento è quello di creare una vera e propria filiera dell’idrogeno in Italia, allargando la partecipazione al maggior numero di soggetti interessati. 

Hydrogen Joint Research Platform

Non è del tutto una novità: i ricercatori del Politecnico portano avanti da diversi anni questo filone di ricerca, ma oggi è più che mai all’ordine del giorno: dalla produzione di idrogeno “pulito” alle soluzioni per il suo accumulo e trasporto alle applicazioni residenziali, industriali e di mobilità. In un recente intervento, il Rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta ha spiegato come le previsioni indichino che nel 2050, anno che l’Europa ha votato alla neutralità climatica, l’idrogeno potrebbe rappresentare oltre il 20% dei fabbisogni energetici complessivi in settori chiave dell’economia italiana.   

L’idrogeno, precisa Resta, “se usato in maniera complementare con altre tecnologie, può contribuire in modo significativo a innescare processi industrialipiù sostenibili e puliti e a ridurre le emissioni generate”. Particolarmente rilevante può essere il suo ruolo nei settori trasporti, power generation e riscaldamento domestico: “Il trasporto a lungo raggio è responsabile per circa il 5-10 per cento delle emissioni di CO₂ complessive. Grazie alle misure previste nel Pnrr, potremmo registrare una penetrazione significativa dell’idrogeno fino al 5-7 per cento del mercato entro il 2030”. 

Tra le priorità indicate dal PNRR, spiega Resta

“il Governo italiano intende sviluppare una leadership tecnologica e industriale nelle principali filiere della transizione energetica (sistemi fotovoltaici, turbine, idrolizzatori, batterie) che creino occupazione e crescita grazie allo sviluppo delle aree più innovative, a partire dall’idrogeno”. 

Hydrogen JPR nasce al Politecnico di Milano anche per rispondere a questa chiamata: “La transizione energetica è tra le più grandi sfide dei nostri tempi. Sono due i concetti chiave sui quali dobbiamo insistere: il rafforzamento di un percorso politico, di allineamento con le direttrici europee, che si basa su una fase di accompagnamento del sistema industriale; lo sviluppo di ricerca e formazione per posizionarci come punto di riferimento in termini tecnologici all’interno panorama internazionale. Perché questo accada abbiamo bisogno di tracciare un progetto comune che vede l’università al fianco delle imprese. Ecco perché Hydrogen Joint Research Platform, che oggi avviamo grazie alla partecipazione, alla capacità di ascolto e di innovazione di tre grandi imprese del settore, deve poter estendersi il più possibile al tessuto produttivo.” 

Credits home e header: Fondazione Politecnico

La scuola in cui aprirsi davvero

«Quest’anno passerà alla storia come quello in cui si e fatto di più per l’istruzione e sono state aperte più infrastrutture scolastiche e asili rispetto agli ultimi cento anni a Tirana≫, ha dichiarato Erion Veliaj, sindaco di Tirana, in Albania. E fra queste infrastrutture, tre sono state ideate dall’Alumnus Stefano Boeri e dal suo gruppo nelle zone di Don Bosko, Koder-Kamez e Shqiponja.  

Il complesso del Don Bosko, di 9812 m2, comprende una scuola media, una scuola superiore, gli spazi per l’educazione prescolare e una nursery; le scuole Koder-Kamez, per le quali è prevista un’offerta di servizi educativi analoga al Don Bosko, si estendono su un’area complessiva di 11.898 m2; e le scuole Shqiponja comprendono le strutture per l’educazione prescolare, una scuola media e una nursery e occupano una superficie di 7898 m2.   

scuola boeri home
Credits: Stefano Boeri Architetti

Ne abbiamo parlato con gli architetti e Alumni Stefano Boeri e Francesca Cesa Bianchi, project director di Stefano Boeri Architetti. 

Qual è la definizione di Scuola Aperta?  

Francesca Cesa Bianchi:

“Una scuola aperta vuol dire osmosi con il territorio, scambio di saperi e di esperienze, con un importante riverbero sulla vita di quartiere. Spesso gli edifici scolastici sono il centro della comunità, e realizzare nuove scuole costituisce l’occasione di costruire un nuovo tassello della citta pubblica.”

Gli edifici sono caratterizzati da un impianto semplice e funzionale e un accostamento di materiali e colori che richiama la tradizione delle architetture italiane a Tirana. La progettazione e la distribuzione degli spazi di apprendimento influenzano le prestazioni scolastiche degli studenti, e, considerando che i metodi di apprendimento sono in continua evoluzione, è necessario che le architetture seguano, se non anticipino, i cambiamenti.  

Come, e dove, immagina potrebbe sorgere un primo progetto di Scuola Aperta in Italia?  

Stefano Boeri:

“Stiamo già lavorando a progetti di questo tipo sia a Milano – dove stiamo realizzando un modello per ≪l’Aula del futuro≫ – che in Liguria, dove stiamo progettando un edificio scolastico che segua almeno in parte questi principi. Ma, più in generale, qualcosa si sta muovendo in questa direzione: le linee guida del PNRR prevedono un piano di sostituzione di edifici scolastici e di riqualificazione energetica che interesserà 195 immobili, per un totale di oltre 410 mila m2. Insieme a Renzo Piano, Cino Zucchi, Mario Cucinella, Massimo Alvisi, Sandy Attia, Luisa Ingaramo, con la Fondazione Giovanni Agnelli e Triennale Milano abbiamo seguito la redazione delle linee guida per la progettazione dei nuovi edifici scolastici, proprio a partire dal concetto di scuola aperta.”

Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.

.
metaverse marketing lab home

“L’ebbrezza del Metaverso”: c’è chi parla di 5 miliardi di utenti nel 2030 

È un mercato che secondo la maggior parte degli analisti raggiungerà tra due anni gli 800 miliardi di dollari, con un potenziale di crescita da capogiro: Fortune e Deloitte parlano di 13 trilioni di dollari entro il 2030, quando conterà 5 miliardi di utenti secondo Citi (al momento si stima siano 350 milioni, +900% nell’ultimo anno, con un’età media di 27 anni, suddivisi su 43 piattaforme). È il Metaverso, il sistema di tecnologie che abilita esperienze di realtà virtuale, aumentata e mista consentendo una sorta di estensione del mondo fisico in universi virtuali e semi-virtuali, con proprie logiche di funzionamento e comunicazione. 

Sono già molti i brand importanti che hanno deciso di sbarcare nel Metaverso e costruirvi una presenza attrattiva per i consumatori, che grazie a tecnologie sempre più sofisticate vivono esperienze al limite del reale provando e acquistando i prodotti attraverso i loro avatar. Metaverse Marketing Lab, un’iniziativa della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con UPA e UNA (le associazioni che rappresentano inserzionisti e agenzie pubblicitarie), intende tracciare le evoluzioni di un mercato tanto dinamico quanto fluido, diffondere le buone pratiche e analizzare il comportamento del consumatore nella relazione con le esperienze di realtà immersiva, virtuale e aumentata.  

metaverse-marketing-lab
Credits: affariitaliani.it

“L’obiettivo – commenta Lucio Lamberti, Ordinario di Omnichannel Marketing Management e Responsabile scientifico del Metaverse Marketing Lab, presentato oggi al Politecnico – è comprendere se e in che modo questa ‘ebbrezza da Metaverso’ rappresenti un trend o un’onda. Per questo, oltre a studiare le iniziative dei brand a livello nazionale e confrontarle con le esperienze globali, il Lab si concentrerà sulla prospettiva dell’utente, analizzandone il comportamento e misurandone in maniera oggettiva il coinvolgimento emotivo. Crediamo fortemente nell’alleanza tra Università e Associazioni di filiera come strumento di condivisione e confronto: siamo alle soglie di un’ulteriore trasformazione dei modelli di relazione tra marche e consumatori, tanto più rapida e profonda quanto più il Metaverso riuscirà a suscitare emozioni forti, comparabili con quelle della vita reale. Un fenomeno che sta già accadendo, secondo i dati del Laboratorio PhEEL del Politecnico”.