Forbes li definisce “gli Ingegneri del silenzio”: sono Luca D’Alessandro, Giovanni Capellari e Stefano Caverni, tre Alumni e ricercatori politecnici e fondatori della startup Phononic Vibes, nata nel 2018 come spin off del Politecnico di Milano e recentemente vincitrice di un round di investimento da 6 milioni.
Alla base di questa rapida ascesa c’è un’invenzione (e 12 brevetti): un dispositivo modulare per l’isolamento di vibrazioni a bassa frequenza ed ampio spettro, in sostanza pannelli antirumore e antivibrazioni fatti di “metamateriali labirintici” in grado di assorbire le onde sonore e meccaniche. Questi metamateriali sono creati artificialmente con proprietà elettromagnetiche peculiari che li differenziano dagli altri materiali, le cui caratteristiche macroscopiche non dipendono solo dalla loro struttura molecolare, ma anche dalla loro geometria realizzativa.
Hanno una particolare struttura “a labirinto” che permette all’onda di riflettersi più volte al loro interno, riducendosi progressivamente fino a cancellarsi. Le sue strutture periodiche sono realizzate con materiali di comune utilizzo nei campi di ingegneria civile e meccanica, quali acciaio e calcestruzzo, o anche plastiche di recupero stampate in 3D. Possono essere organizzate in moduli affiancati gli uni agli altri per la creazione di vere e proprie barriere isolanti. Il dispositivo è quindi in grado di limitare la propagazione di vibrazioni, sia elastiche che acustiche, generate da traffico, macchinari ed impianti, con l’obiettivo di contenere sia danni strutturali agli edifici sia i rumori tipici dell’ambiente urbano. Fonte: Polilink
EFFICACI, BELLI ED ECONOMICI
La particolare struttura dei pannelli Phononic Vibes viene stampata 3D con plastiche di scarto e permette un abbattimento delle vibrazioni superiore di diversi ordini di grandezza rispetto a quello ottenuto con le tecnologie attualmente disponibili sul mercato a con costi nettamente inferiori. È in grado di cancellare molti tipi di rumori: dai suoni a media frequenza, tipici del parlato e di alcuni strumenti musicali, fino a quelli a bassa frequenza, causati dai motori. Anche i settori di applicazione sono diversi, dall’edilizia all’automotive, fino agli impieghi domestici.
Scrive Forbes che la tecnologia ha superato l’esame di quella che viene definita “l’Harvard dei trasporti”, cioè la Deutsche Bahn, la compagnia ferroviaria tedesca. “Abbiamo sviluppato per loro un pannello trasparente e altamente assorbente da usare nei luoghi attorno a stazioni o binari, in alternativa alle pareti di acciaio attualmente utilizzate per ridurre l’impatto acustico”, racconta D’Alessandro. “Una vetrata fa tutt’altro effetto nello spazio urbano, ma di solito il vetro riflette il suono, non lo assorbe”. A differenza di quello prodotto da Phononic Vibes.
GLI ALUMNI FONDATORI
L’esperienza di Phononic Vibes è uno dei tanti esempi di come il trasferimento tecnologico del Politecnico di Milano ha un impatto concreto sul tessuto produttivo ad alta tecnologia, portando fuori dai laboratori e dentro al mondo industriale i risultati di attività di ricerca.
Giovanni Capellari ha ottenuto il titolo di dottore di ricerca presso il Politecnico di Milano nel 2018 con una tesi in Machine Learning, lavorando e trascorrendo alcuni mesi presso l’università ETH di Zurigo. Stefano Caverni ha conseguito la laurea specialistica in Ingegneria Civile, ad indirizzo Strutture, nel 2017 con tesi di laurea nel campo dei metamateriali.
Luca D’Alessandro ha conseguito il PhD al Politecnico di Milano con un periodo all’estero all’MIT di Boston, specializzandosi nel campo dei metamateriali e dell’ottimizzazione di strutture periodiche per l’isolamento acustico e vibrazionale. Proprio la tesi di dottorato di Luca è stata il punto di partenza della startup. Dopo aver partecipato a Switch2Product, l’Innovation Challenge del Politecnico di Milano, Luca decide di intraprendere questo percorso imprenditoriale coinvolgendo i due founder Giovanni, collega di dottorato e Stefano, collaboratore e tesista al Politecnico di Milano. Una crescita rapida che vede oggi il team operativo composto da 10 persone. Fonte: Fondazione Politecnico di Milano, “Il coraggio di innovare”
Alfio Quarteroni, direttore del MOX (Laboratory of Modelling and Scientific Computing) e professore del Politecnico di Milano, è stato insignito del premio Lagrange 2023 dall’ICIAM, il Consiglio Internazionale per la Matematica Industriale e Applicata.
Il Premio Lagrange viene assegnato ogni 4 anni e fornisce un riconoscimento internazionale a quei matematici che hanno dato un contributo eccezionale alla matematica applicata e per i lavori innovativi nel campo dell’analisi numerica nel corso della loro carriera.
“Il Premio ICIAM Lagrange 2023 – si legge sul sito dell’ICIAM – viene assegnato ad Alfio Quarteroni per il suo lavoro innovativo nei metodi agli elementi finiti e spettrali, nei metodi di decomposizione del dominio, nei metodi discontinui di Galerkin, nella soluzione numerica delle equazioni di Navier-Stokes incomprimibili, nella modellazione multifisica e multiscala, con applicazioni alla fluidodinamica, alla geofisica, al cuore umano e al sistema circolatorio, all’epidemia di Covid-19, nonché al miglioramento delle prestazioni sportive per la competizione velica America’s Cup.”
Quarteroni nel 2022 si era già qualificato come primo matematico d’Italia e 48esimo nel mondo nella classifica “Top mathematics scientist” pubblicata dalla società Research.com, che elabora la classifica sulla base del numero di lavori dei luminari, citati nelle ricerche scientifiche. Il professore del Politecnico è stato infatti citato 38.000 volte negli articoli di ricercatori nazionali e internazionali.
Il Premio Lagrange 2023 sarà assegnato durante la cerimonia di apertura del Congresso internazionale di matematica industriale e applicata, ICIAM 2023, che si terrà a Tokyo dal 20 al 25 agosto 2023.
La novità è che quest’estate è iniziata la sperimentazione in ambiente urbano: per i prossimi mesi, 10 esemplari di YAPE si aggireranno liberamente (o quasi) all’interno di UpTown, il nuovo distretto residenziale high-tech nel quartiere di Cascina Merlata a Milano. “Stiamo lavorando alla costruzione di quell’ecosistema collaborativo e iper-connesso che oggi caratterizza le moderne Smart City”, ha dichiarato Vincenzo Russi, Alumnus, CEO di e-Novia e Presidente di YAPE, “a cominciare dalla possibilità di offrire veicoli innovativi per la mobilitazione di merci. Progetto che in Italia, ma anche in Europa, deve tenere conto della particolare configurazione delle città, molto diverse, per esempio, da quelle americane. Il nostro drone autonomo è pensato proprio per potersi muovere dai vicoli medievali fino alle complesse topologie delle città italiane ed europee, abilitando una delivery veramente sostenibile”.
Ne abbiamo parlato anche con Enrico Silani, Alumnus, Chief of Entrepreneur di e-Novia e Managing Director della neonata YAPE S.R.L.: è lui che ha preso in mano le redini dallo sviluppo del prototipo alla creazione dell’azienda. “L’autorizzazione alla sperimentazione di YAPE”, ci spiega “è il risultato della collaborazione tra il Dipartimento per la trasformazione digitale, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e il Comune di Milano, nell’ambito di Sperimentazione Italia, la sandbox normativa che consente a startup, imprese, università e centri di ricerca di sperimentare progetti innovativi attraverso una deroga temporanea alle norme vigenti”.
#1: SE VUOI COMPRARNE UNO PER CASA…
Ci chiediamo prima di tutto a chi sia rivolto il drone YAPE: è pensato per essere venduto anche ai privati? “Non ci siamo dati un limite, ma la risposta più corretta è no: YAPE è pensato per far parte del sistema logistico, anche per un motivo di costo. In genere, i costi nell’ambito dell’elettronica digitale seguono una curva che vede riduzioni significative legate alla potenza di calcolo dei sistemi. Nell’ultimo anno però questo trend si è modificato e i costi si sono moltiplicati a parità di prestazioni. Quindi siamo in una situazione in cui è impossibile fare previsioni”.
Anche il costo delle materie prime, per non parlare dell’elettronica, varia di settimana in settimana. Come si orienta un’analisi di mercato, una strategia o anche semplicemente un preventivo per un potenziale cliente, in una situazione di questo tipo? “I preventivi variano in funzione di operazioni commerciali, ormai vale per tutti i venditori, dal concessionario ai provider di servizi. Il prezzo lo fa il venditore, in funzione dei tempi che il cliente è disposo ad attendere. Si va caso per caso e, se il cliente ha stabilito con noi un contratto che definisce un prezzo, noi lo dobbiamo gestire anche se le condizioni cambiano. Qualche volta capita che il prezzo concordato sia al di sotto del costo di produzione e in quel caso apriamo una negoziazione con il cliente, per capire se sia disposto a mediare. Che è un po’ quello che si fa anche con i nostri fornitori.
È un problema molto complesso di ingegneria gestionale che ci porta fino al punto di rivedere le architetture hardware e software dei nostri sistemi, individuando alcuni componenti che sono più disponibili di altri sul mercato in modo da poter rimodulare tutto in base alla necessità. Questo ci permette di tenere sotto controllo il prezzo del prodotto”.
Credits: courtesy of YAPE
#2: IN CASO DI SINISTRO, IL DRONE HA RAGIONE?
O, in altre parole, chi gli dà la patente? “La patente non gli serve: prima di tutto, perché ha una cilindrata inferiore ai 50 cc. YAPE ancora non è classificato dal codice della strada, ma concettualmente oggetti di questo tipo sono a metà tra un pedone, nel senso che del pedone ereditano le regole di circolazione, e mezzi come le carrozzine elettriche (per quanto riguarda ingombri e potenze). E poi non c’è un umano che lo guida, ma un’intelligenza artificiale. Sarà la sperimentazione tecnica a raccogliere i dati per capire se YAPE è in grado di circolare in sicurezza in un’area pubblica.”.
Ma cosa succede, per esempio, se YAPE passa col rosso? Anche qui, la domanda è troppo umana: è molto difficile che un’intelligenza artificiale commetta un’infrazione così banale, perché è dotata di sensori e algoritmi che possono gestire un gran numero di situazioni prevedibili come questa.
#3: DEVO TENERGLI APERTE LE PORTE DELL’ASCENSORE?
Diverso invece è chiedersi come il drone si comporti con i diversi terreni e ostacoli: per esempio, prende l’ascensore o le scale?
“Non pensiamo agli ascensori di vecchia generazione, per la maggior parte in circolo oggi, che richiederebbero a YAPE di avere un braccio estraibile per pigiare bottoni collocati ad altezza uomo (ricordiamo che YAPE è alto circa mezzo metro). È invece pensato per interagire con sistemi in grado di scambiarsi messaggi, come smart building e sistemi IoT, per esempio potrebbe chiamare l’ascensore via Bluetooth.
Salire le scale e premere dei pulsanti si può certamente fare, dal punto di vista tecnico, ma aggiunge livelli di complessità che rischiano di compromettere la convenienza economica di YAPE. È tutta una questione di rapporto tra costi e benefici. Il quartiere di Cascina Merlata è di nuova generazione e è in sé una sperimentazione di smart city, quindi per YAPE diventa più semplice”.
Credits: courtesy of YAPE
#4: SI ASPETTA CHE GLI DIA IL BUONGIORNO?
Cosa succede se YAPE viene colpito da una palla perché ci sono bimbi che giocano in cortile? O se incontra una persona a ridotta mobilità? Come sono le prime interazioni con pedoni e altri utenti della strada? “Distinguiamo tra interazioni naturali con persone o oggetti, come automobilisti e motociclisti, da quelli che sono tentativi di incursione di sicurezza o vandalismo. L’interazione naturale è una delle cose più studiate e abbiamo anche un progetto di ricerca con il Politecnico per la modellizzazione dei comportamenti dei pedoni di fronte a ostacoli che si muovono rispetto a ostacoli passivi. Il risultato principale che stiamo rilevando è che YAPE viene accolto molto positivamente: è una novità e quindi genera curiosità.
Poi c’è il tema del design: YAPE è stato disegnato in modo da avere connotati amichevoli e empatici. Torniamo al caso dell’ascensore. È un problema che ci poniamo anche con i nostri “fellow humans”: come mi devo comportare con chi mi sta intorno? Si aspetta che io parli? Devo stare zitto? Tant’è che stiamo implementando il sistema di interazione vocale perché YAPE possa dare informazioni cadenziate su quello che sta facendo”.
REGOLA #5: E SE C’È UN IMPREVISTO?
Cosa succede se qualcuno lo aggredisce? “YAPE è dotato di una serie di algoritmi per rilevare sollevamento da terra, tentativi di scasso, intrusione, manomissione e urti. Ha un track GPS e è in contatto continuo con una control room, che consente agli operatori di ricevere segnali d’allarme, controllare lo stato di telemetria e avere accesso a una parte di comando da remoto. Ma anche qui non parliamo veramente di “imprevisti”.
È, piuttosto, una questione di risk assesment, riguarda il rapporto rischi/benefici. È chiaro che non ci si può proteggere da tutto: tecnicamente tutto è fattibile, ma costruire un dispositivo con i sistemi antintrusione di un bancomat per consegnare un pacco di piccole dimensioni non è conveniente. Non ci pensiamo, ma lo stesso vale quando a eseguire delle operazioni sono gli esseri umani. Vediamo quotidianamente situazioni in cui il corriere che ci consegna i pacchi lascia il furgone aperto o la bicicletta incustodita per salire a farsi firmare l’avvenuta consegna, assumendosi un margine di rischio e lasciando i beni incustoditi per un breve tempo.
Quando parliamo di temi legati alla sicurezza, avere a che fare con una macchina ci porta a farci delle domande che ignoriamo nel caso di procedure che invece prevedono l’intervento umano, anche se in realtà sono pertinenti. Quando demandiamo la responsabilità a un computer, istintivamente ci poniamo domande che invece, nel caso di operatori umani, gli utilizzatori non si pongono più”.
Susan, Giulia C., Sara, Lucrezia, Federica, Chiara, Susanna, Francesca S., Anna, Beatrice, Ludovica, Raffaella, Giulia D., Virginia e Francesca P. sono le studentesse vincitrici delle 15 borse di studio assegnate quest’anno nell’ambito di Girls@Polimi, il progetto del Politecnico di Milano nato per sostenere le studentesse che, dopo aver concluso le scuole superiori, decidono di intraprendere un percorso nel campo delle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Le studentesse sono state premiate durante un evento tenutosi giovedì 29 settembre alla presenza della Prof.ssa Donatella Sciuto, Prorettrice del Politecnico di Milano, e dei donatori.
Le ragazze, tutte immatricolate a corsi di ingegneria con una bassa presenza femminile, ricevono borse di studio del valore di 8.000€/anno l’una, con possibilità di rinnovo per i successivi due anni di studio. Per questa edizione le borse sono state finanziate da 9 aziende (Gruppo Autostrade per l’Italia, Bain & Company Italy, Banco BPM, Eurofins Foundation, Fastweb, Intesa Sanpaolo, Leonardo, Gruppo Nestlé in Italia, NHOA) dall’Ateneo stesso e da donazioni di singoli individui, alumni del Politecnico di Milano.
Girls@Polimi è un’iniziativa di Gender POP, una delle linee di azione previste dal programma strategico Pari Opportunità Politecniche con il quale l’Ateneo si impegna per garantire un ambiente di studio e lavoro inclusivo e rispettoso dell’unicità di tutti e tutte.
Puoi sostenere anche tu le borse di studio Girls@Polimi con una donazione a partire da 10 euro. Clicca qui.
È avvenuto nella notte tra il 26 e il 27 settembre l’impatto tra la sonda NASA DART (Double Asteroid Redirection Test), che viaggiava a circa 25000 km/h, e l’asteroide Dimorphos, il più piccolo del sistema binario Didymos. La missione DART rappresenta il primo tentativo di verificare sperimentalmente la capacità di deviare la traiettoria di un asteroide in rotta di collisione con la Terra mediante un impatto controllato a massima velocità con una sonda spaziale progettata per schiantarsi contro il corpo celeste e provocarne lo spostamento.
Fondamentale per il successo della missione è il contributo fornito dal piccolo satellite denominato LICIACube (Light Italian Cubesat for Imaging of Asteroids), sonda tutta italiana e primo veicolo Europeo di classe CubeSat a viaggiare nello spazio profondo, lontano dall’ambiente protetto terrestre.
LICIACube, infatti, dopo essersi staccato lo scorso 12 settembre dalla sonda madre DART, è transitato a poche decine di chilometri di distanza dall’asteroide colpito a una velocità di 6-7 km/s, affrontando la nuvola di frammenti per poterne acquisire immagini e riprendere, con le sue camere di bordo, il cratere formatosi, al meglio della risoluzione possibile, consentendo di raccogliere dati fondamentali per lo studio del piccolo corpo celeste e unico testimone della dinamica dell’urto con Dimorphos.
Al successo di questa avveniristica missione voluta dall’Agenzia Spaziale Italiana, hanno contribuito i ricercatori del gruppo di ricerca ASTRA della professoressa Michèle Lavagna, Giovanni Zanotti, Michele Ceresoli e Andrea Capannolo del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano, che si sono occupati nei mesi passati del delicatissimo compito di definire la traiettoria di rilascio di LICIACube e in queste settimane a valle del rilascio, di riprogettare le manovre di correzione della traiettoria in accordo con i dati che la piccola sonda continuamente ha mandato a Terra, collaborando costantemente con il personale dell’Agenzia Spaziale Italiana, dell’Università di Bologna, di Argotec e del Jet Propulsion Laboratory.
In questi giorni, dunque, i nostri ricercatori hanno monitorato la traiettoria del satellite italiano, gestendo le manovre da svolgere con il piccolo motore di bordo per consentirgli di evitare i detriti generati dall’impatto e di puntare, al contempo, gli strumenti di bordo in maniera ottimale, per acquisire il maggior numero di immagini possibile da inviare a Terra agli scienziati dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, coordinati dalla dottoressa Elisabetta Dotto, responsabile scientifico della missione.
LICIA, precursore tecnologico e missione unica nel suo genere, apre la strada all’impiego di satelliti di piccola taglia per missioni spaziali altamente sfidanti; al contempo rappresenta un esempio di successo e di proficua collaborazione tra il mondo della ricerca e della piccola industria nazionale, coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana, confermando l’eccellenza delle competenze tecnico-scientifiche del nostro Paese e la professionalità dei nostri giovani ricercatori in un’arena internazionale di altissimo profilo,
Giorgia Lupi, Alumna PhD in Design al Politecnico di Milano, è la vincitrice del National Design Award 2022 per il Communication Design. Il premio, presentato da Cooper Hewitt e dallo Smithsonian Design Museum, viene riconosciuto a quei professionisti che si sono distinti per il loro impatto innovativo nel design.
Lupi, nel corso degli anni, è diventata una voce prominente nel campo del data design: il suo lavoro segue la filosofia del “data humanism”, ovvero l’idea che il data design si possa usare per raccontare le storie dietro i numeri e le statistiche, che da impersonali e intimidatori diventano così “umani”.
“Con i dati possiamo scrivere storie ricche e dense di significato. Possiamo educare l’occhio del lettore a familiarizzare con i linguaggi visivi che trasmettono la vera profondità di storie complesse.”
Il suo lavoro si distingue per il modo innovativo in cui sintetizza i dati, creando uno storytelling in grado di rendere i concetti veicolati dai dati più accessibili e facili da capire. Negli anni, Lupi ha lavorato per grandi brand come Google, IBM e Deloitte, ed è stata pubblicata – tra gli altri – dal New York Times, dal Corriere della Sera e da Wired. Il suo lavoro è esposto anche nella collezione permanente del MoMa.
“Sono incredibilmente onorata di annunciare che sono stata selezionata per ricevere il 2022 National Design Award for Communication Design (!!!). Presentati dal Cooper Hewitt, Smithsonian Design Museum, e annunciati oggi, i National Design Awards celebrano i risultati eccezionali e l’innovazione nel design. …Per un designer non c’è niente di più grande. In qualità di professionista della data visualization nominata nella categoria del design della comunicazione per questo premio, vedo questo come un riconoscimento dell’importante ruolo che i dati svolgono sempre più spesso nelle nostre vite e del potere del design di usarli come risorsa per raccontare storie.”
Polimi Motorcycle Factory è un team sportivo del Politecnico di Milano nato nel 2015 per partecipare alla competizione internazionale MotoStudent, che si tiene ogni due anni sul circuito internazionale MotorLand Aragon in Spagna. Le squadre sono chiamate a progettare, realizzare, gestire e guidare una moto, endotermica o elettrica.
La competizione è divisa in varie fasi: la prima valuta il progetto industriale e il business plan, la seconda valuta le prestazioni del prototipo in prove statiche e dinamiche, che si concludono con un weekend di gara. Azul Amadeo frequenta l’ultimo anno magistrale di Design & Engineering. Nel team Polimi Motorcycle Factory (PMF per gli amici) è responsabile del reparto carene. ≪Pensavo di finire la triennale al Poli e poi andare a fare un master. Ma poi ho incontrato PMF e la mia vita ha cambiato direzione. Ho trovato la concretezza che mi mancava, una famiglia e anche tanti mal di testa… e un contesto in cui il design industriale trova la sua espressione, dove è bello ciò che funziona e funziona ciò che è bello. E quindi sono rimasta per la magistrale≫.
Azul è entrata nel team a gennaio 2018: ≪Esiste una storica rivalità tra designer e ingegneri, ma è antiquata. Lavorare in PMF è una sorta di simulazione del mondo del lavoro, dove i team sono molto più interdisciplinari che durante gli studi, dove il tuo lavoro ha effetto anche su quello degli altri e viceversa: e le rivalità si superano, devi imparare a fidarti. Chi fa parte del PMF lo fa anche perché vuole dare un significato al proprio percorso universitario, metterci un po’ del suo e portarsi a casa un’esperienza unica. Per me e stato così. Diventi davvero parte di qualcosa, non sei solo un numero≫.
≪Ci siamo dati una struttura piramidale dal punto di vista della responsabilità, per evitare di mandare in produzione dei pezzi che non funzionano, ma lavorano tutti. Il collante che cementa l’appartenenza al team è la moto, un prodotto di una tale complessità… e l’abbiamo fatto noi. Nei due anni di preparazione alla gara, lavorando sul prototipo, quello che era solo un gruppo di studenti diventa quasi una famiglia. Il grosso cambiamento avviene nel momento in cui i componenti più grossi vengono prodotti, la moto viene montata e il lavoro si sposta dal CAD all’officina≫.
Credits: foto di Azul Amadeo, studentessa di Design & Engineering, responsabile del reparto carene nel team PMF
CAMPIONI DEL MONDO
PMF ha portato la sua prima moto in gara nel 2016, in soli 8 mesi dall’inizio del progetto. La chiamavano affettuosamente ≪la Cinghiala≫, per via del suo peso. L’obiettivo era finire la gara (il che, come vedremo, non sempre è così semplice). Visti i primi successi, per i due anni successivi il team lavora con grande ambizione a un nuovo prototipo: la Scighera, guidata nella competizione 2018 dal giovane pilota e studente di Ingegneria Meccanica Luca Campaci, che diventa campione del mondo nella categoria Petrol con velocita di punta di 197,1 km/h.
≪La Scighera ha fatto delle cose pazzesche, è stato un momento magico. Non era al 100% affidabile, ma il giorno della gara tutto è stato perfetto e, inoltre, quell’anno abbiamo anche vinto la gara di smontaggio carene facendo una velocità tale che gli studenti delle altre università erano sbalorditi. Siamo tornati dalla Spagna vittoriosi, con due coppe e una lista di titoli, tra cui, oltre al primo posto in assoluto, anche Best Design, Best Innovation, Business Plan, Best Acceleration (6,966″/150 m) e 2° Best Mechanical Test≫. Con queste premesse, PMF inizia a lavorare in vista dell’edizione 2020 (che diventerà 2021 a causa della pandemia) e decide questa volta di portare due prototipi, uno nella categoria Petrol (con la Sciura, versione perfezionata della Scighera) e, per la prima volta nella storia del team, anche nella categoria Electric con il prototipo Nyx.
Credits: foto di Azul Amadeo, studentessa di Design & Engineering, responsabile del reparto carene nel team PMF
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L’IMPREVISTO È IN AGGUATO
Ogni team riceve dall’organizzazione MotoStudent un motore (un Ktm 250cc 4t), un set di gomme slick e un impianto frenante (pinze e pompe freno) per ciascun prototipo. Il resto della motocicletta, nel rispetto del regolamento ufficiale della manifestazione, è a carico di ogni squadra, che può comprare i pezzi o fabbricarli in casa. PMF li fabbrica preferibilmente in casa. ≪È difficile progettare da zero una moto perché il suo comportamento dipende molto dall’interazione dei vari pezzi tra di loro: trovare la quadra affinché tutto funzioni come deve funzionare è magia nera, –commenta Azul. – La pandemia ci è arrivata addosso come una valanga. A dicembre 2020 dovevamo consegnare alcuni pezzi della moto per il campionato 2021, ma non si poteva andare in officina in più di 3 alla volta. Fino all’ultimo non sapevamo se avremmo fatto in tempo, invece ce l’abbiamo fatta e, dandoci il cambio 6 giorni alla settimana con turni di più di 12 ore, siamo riusciti a tirare su delle moto molto valide≫.
Credits: foto di Azul Amadeo, studentessa di Design & Engineering, responsabile del reparto carene nel team PMF
Ma lo spirito del Motostudent è artigianale, le moto sono imprevedibili e non sempre le cose vanno come previsto. ≪Nyx, categoria Electric, alle prove era andata molto bene. Luca (il nostro affezionato pilota) era riuscito a fare tempi da missile. Ma, durante l’ultimo giro di gara, la moto si è spenta a poche centinaia di metri dal traguardo. Stava per scadere il tempo e si stavano avvicinando i referee per aiutare il pilota a spostare la moto dal circuito, ma lui se li levò di dosso e spinse eroicamente la moto fino al traguardo pur di farci classificare. Con quaranta gradi, a luglio, ad Aragon, vestito di tutto punto con la tuta. Questa è l’appartenenza a PMF. Grazie a lui abbiamo potuto correre, anche se purtroppo Nyx ha continuato a dare problemi di affidabilità e siamo arrivati tra gli ultimi. Abbiamo festeggiato comunque moltissimo: non solo perché eravamo riusciti a finire la gara (e, per essere la nostra prima volta con l’elettrico, non era andata poi male). Ma anche perché il clima in quei momenti è cosi concitato e teso che quando finisci le emozioni esplodono≫.
Sulla Sciura, nella categoria Petrol, il team punta moltissimo, memore della vittoria con Scighera. ≪Per la Sciura prendiamo un pilota di superbike. Lui, professionista, si aspettava un certo ritmo, abbiamo faticato a stargli dietro≫. Quasi tutti i pezzi della Sciura erano fabbricati dal team e la moto funzionava con ottime prestazioni. ≪Eravamo diventati velocissimi, sembravamo droni con l’hive mind. Sempre pronti. Ma abbiamo avuto parecchi problemi, a partire dal motore, che si è rotto alla vigilia della gara (avevamo spinto troppo e, diciamocelo, il Ktm non è un gran motore). Abbiamo fatto i salti mortali per rimpiazzarlo, perché in Europa non si trova facilmente. L’abbiamo rimontato in una notte, lavorando fino alle 6 del mattino. Non è facile, devi levare la moto dal motore, non il contrario, perché il motore e la parte più pesante. E, una volta montato, hai un motore che non conosci, a cui far fare il rodaggio. Durante quelle ore decidiamo per scrupolo di cambiare la pompa di benzina, sostituendo quella fatta da noi con una professionale, comprata fuori, per garantirci maggiore affidabilità. Errore madornale: sulle moto, finché una cosa funziona non la devi cambiare. Insomma, durante le qualifiche la pompa ci abbandona, la moto si spegne e non si accende più. In questo caso ci hanno squalificati. È stato molto triste, sarebbe bastato cambiare la pompa, ma le regole sono regole≫. Tornando da Aragon, gli studenti di PMF si sono rimboccati le maniche in vista della gara del 2023. Sarà l’ultimo anno di Azul, che, nel frattempo, si deve laureare. ≪Ma fino alla gara rimarrò di sicuro. PMF significa mettercela tutta, costruire una squadra che diventa una famiglia e portarla a fare una cosa incredibile≫.
Credits: foto di Azul Amadeo, studentessa di Design & Engineering, responsabile del reparto carene nel team PMF
Un’altra vittoria portata a casa dal Politecnico: l’associazione Enactus Polimi ha vinto la sesta edizione italiana della Enactus National Competition, una competizione che vede studenti universitari di tutto il mondo a presentare progetti senza scopo di lucro che si propongono di migliorare il mondo attraverso l’azione imprenditoriale.
La squadra del Politecnico – composta da studenti e studentesse di ingegneria e design, ma anche da Alumni e Alumnae – si è presentata alla competizione con due progetti legati al concetto di sostenibilità con l’obiettivo di migliorare il mondo attraverso l’azione imprenditoriale.
I PROGETTI DI ENACTUS POLIMI: SHEA-MATTERS E OYSTER2LIFE
Shea-Matters è un progetto che sostiene l’importazione del burro di karitè prodotto da una cooperativa in Ghana gestita da sole donne. Il mercato europeo del burro di karitè porta infatti profitti molto alti rispetto le mercato locale a cui si appoggia: da qui l’idea di una nuova rotta commerciale sostenibile e solidale che colleghi Kumbungu a Milano. L’obiettivo è garantire alle dipendenti della cooperativa il giusto compenso che permetterà loro di ottenere profitti da reinvestire in altri progetti in Ghana: pozzi di acqua potabile, bio fertilizzante per i campi, una micro rete elettrica fotovoltaica, un piano di riforestazione.
“È un progetto in cui crediamo moltissimo — spiega Claudia Ogliastro, studentessa di ingegneria biomedica e team leader marketing di Shea Matters al Corriere della Sera — Oggi il nostro burro non è ancora ordinabile, ma si può trovare in alcune botteghe associate a Equomercato. Cerchiamo negozi, erboristerie e e-commerce interessati a rivenderlo, ma anche persone che supportino il nostro progetto e lo facciano conoscere, anche sui social, creando una community che poi, un domani, acquisti il burro, perché sostiene la filosofia che c’è dietro”.
Il secondo progetto si chiama Oyster2life e vuole combattere il cambiamento climatico in modo innovativo, riutilizzando i gusci d’ostrica per ricostituire l’ecosistema marino e sensibilizzare la popolazione sull’importanza di preservare i nostri mari. Una volta raccolti (da ristoranti, pescatori, ecc…), i gusci d’ostrica vengono reintrodotti in mare dopo aver eliminato tutti i batteri e ogni tipo di residuo organico dalla loro superficie.
Nel mare i gusci di ostrica aiutano in questo modo la crescita dei molluschi che facilitano depurazione delle acque e ricostruzione dei fondali marini, apportando nuove fonti di nutrimento per il ripopolamento delle lagune e del mare, con un elevato beneficio ambientale ed economico.
I PROSSIMI PASSI
Enactus Polimi rappresenterà l’Italia all’Enactus World Cup 2022 dal 30 ottobre al 2 novembre 2022 a Porto Rico. La coppa del mondo darà il benvenuto a innovatori, creatori, cittadini globali e leader aziendali, studenti e accademici che vogliono agire ora per cambiare il mondo per sempre. Vi terremo aggiornati!
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