Deviare la traiettoria di un asteroide in rotta di collisione con la Terra, mediante un impatto controllato a massima velocità con una sonda spaziale. È stata questa la sfida della missione DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA conclusa con successo il 26 settembre 2022, nella quale il Politecnico ha avuto un coinvolgimento diretto come parte del team scientifico (leggi la news qui).
I primi risultati scientifici sulla missione DART sono stati pubblicati sull’autorevole rivista Nature all’interno di tre articoli, di cui il ricercatore Fabio Ferrari del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano è co-autore.
“DART rappresenta un momento storico per l’esplorazione spaziale: non è solo il primo test di difesa planetaria, ma è anche la prima volta in cui visitiamo un asteroide binario (un sistema dove due asteroidi orbitano attorno ad un centro di gravità comune) e in cui abbiamo la possibilità di osservare come un asteroide possa reagire ad una sollecitazione esterna – spiega Fabio Ferrari, coautore degli studi scientifici su DART-. Questo ci ha permesso, e ci permetterà ancora nei prossimi mesi, di studiare la struttura e la storia evolutiva di questi corpi celesti, così vicini a noi ma ancora così poco conosciuti. Il Politecnico di Milano fa parte del team scientifico della missione DART e ha contribuito allo studio degli aspetti legati alla dinamica evolutiva del sistema binario Didymos. Questi riguardano il moto e la stabilità del sistema binario, nonché la struttura interna dei due asteroidi Didymos e Dimorphos. Il Politecnico ha avuto anche un ruolo decisivo nella caratterizzazione del moto dei frammenti espulsi a seguito dell’impatto, e della loro morfologia osservata tramite telescopi orbitali e da Terra”.
L’articolo descrive la riuscita del test di tecnologia di impatto cinetico sull’asteroide Dimorphos. La missione DART è stata la prima a testare questa tecnologia a piena scala, dimostrando che è una tecnica efficace per la difesa planetaria, contro eventuali minacce asteroidali.
Nello studio vengono descritte le osservazioni effettuate con il telescopio spaziale Hubble sul materiale espulso dall’impatto di DART con l’asteroide Dimorphos. Le osservazioni hanno mostrato una complessa morfologia del materiale espulso, condizionata dall’interazione gravitazionale tra l’asteroide e la polvere sotto l’influenza della pressione della radiazione solare.
L’articolo – di cui è coautrice anche la professoressa di Meccanica del Volo del Politecnico Michèle Lavagna – contiene la dimostrazione dell’efficacia dell’impatto cinetico di un satellite nell’evitare una potenziale collisione con la Terra. Nell’articolo viene quantificato l’effetto di deflessione prodotto dall’impatto ad alta velocità sull’orbita del sistema binario Didymos, mostrando come l’espulsione dei frammenti generati a seguito dell’impatto abbia contribuito ad aumentare l’efficienza dello scambio di energia tra la sonda e l’asteroide.
“È la prima volta che si tenta di deviare un corpo celeste dal suo percorso orbitale naturale in modo percettibile e significativo e di misurarne l’efficacia – aggiunge Michèle Lavagna-. Ed è soprattutto la prima volta che, ad assistere all’impatto, ci sia un satellite di taglia estremamente piccola, LICIACube, prima sonda Europea a viaggiare nello spazio profondo. Il suo ruolo è stato fondamentale nell’acquisire immagini durante e dopo l’impatto di DART: immagini che hanno contribuito alla comprensione della composizione e della struttura di Dimorphos e della dinamica del sistema binario asteroideo, avendo registrato la sequenza di formazione dei frammenti post impatto e la loro espansione nello spazio circostante nei minuti a seguire lo scontro di DART. Il Politecnico di Milano, insieme all’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), ha contribuito alla progettazione e alla guida di questo piccolo satellite scientifico ed è fattivamente coinvolto nelle attività scientifiche correlate all’analisi delle immagini acquisite per ricostruire l’evoluzione del moto dei frammenti generatisi”.
1863: una data che alla maggior parte delle persone non dice nulla, ma che per i politecnici risulta familiare. La si può leggere, infatti, sulla facciata del rettorato, il celebre edificio e sede storica del nostro Ateneo, in piazza Leonardo da Vinci, che ha visto tanti studenti e professori fare avanti e indietro tra lezioni, esami e sessioni di laurea.
Da quel mitico 1863 sono (quasi) passati 160 anni, e quale modo migliore per “festeggiare” questa ricorrenza (che a onor del vero cade esattamente il 29 novembre), se non vedere da dove siamo partiti e dove siamo arrivati, in tutto questo tempo?
Vogliamo farvelo vedere a parole e numeri: iniziamo!
GLI STUDENTI
Il primo rettore, Francesco Brioschi, divenne subito celebre per la sua severità e la rigidità disciplinare con cui guidava l’Ateneo, che allora si chiamava Regio Istituto Tecnico Superiore e contava appena una trentina di iscritti, tutti ingegneri e tutti maschi.
Bisognerà aspettare più di 20 anni per vedere le prime donne tra i banchi: la prima iscritta, Tatiana Wedenison, è del 1888, ma per avere la prima laureata, Gaetanina Calvi, ingegnera civile, si deve attendere il 1913; qualche anno dopo, nel 1918, si laurea in Ingegneria Industriale Maria Artini, la prima elettrotecnica italiana.
In Architettura, le prime laureate, Carla Maria Bassi e Elvira Morassi, sono del 1928. Negli anni seguenti la presenza femminile al Politecnico diviene una costante, seppur numericamente esigua e alla metà degli anni Quaranta su circa novemilacinquecento laureati, le donne sono un centinaio.
Nell’anno accademico 2021/2022 invece la popolazione studentesca iscritta al Politecnico è nell’ordine delle migliaia: si contano 47.170 studenti iscritti (a.a. 2021/2022, aggiornamento: febbraio 2022), di cui
7.231 architetti
4.294 designer
35.645 ingegneri
Di questi, circa un terzo sono donne (36,8% nel 2021 per le lauree magistrali rispetto al 31,8% delle lauree triennali). C’è poi un consistente gap tra le iscritte a ingegneria rispetto alle iscritte ad architettura e design:
“il dato delle iscrizioni di ingegnere al POLIMI – si legge sul bilancio di genere 2022 – è in linea con la media nazionale, che vede per il settore Engineering and Technology una percentuale di iscritte nel 2021 pari al 27,2% (dato praticamente invariato rispetto a quello dell’anno precedente, 27,1%). Ad Architettura e Design vi è una popolazione studentesca prevalentemente femminile sia nella Laurea Triennale sia nella Laurea Magistrale. Inoltre, in tutte le aree la presenza femminile aumenta nel passaggio dalla Laurea Triennale alla Laurea Magistrale”.
Inizialmente limitato al triennio di applicazione e ai due indirizzi in Ingegneria Civile e Industriale, l’Istituto nel 1865, per iniziativa di Camillo Boito e attraverso l’interazione con l’Accademia di Belle Arti di Brera, si arricchisce della Scuola per Architetti e nel 1875 si completa con la Scuola preparatoria biennale.
Oggi il Politecnico è un’eccellenza nel panorama universitario italiano e mondiale: nella classifica QS 2023 di giugno 2022, l’Ateneo si posiziona al 1° posto in Italia e al 139° posto nel mondo, entrando nel top 10% delle università eccellenti. Oggi anche l’occupazione dei nostri laureati segna un trend molto positivo: il 98% dei magistrali lavora infatti già a un anno dal titolo, con la quasi totale l’occupazione degli ingegneri (99%), ma anche degli architetti e dei designer (rispettivamente 97% i primi; 94% i secondi) e si confermano al 99% gli occupati a 5 anni (dati 2022).
La prima sede si trovava nel Collegio Elvetico di via Senato a Milano mentre due anni dopo, nel 1865, si spostò in piazza Cavour, nel Palazzo della Canonica. Nei decenni successivi l’espansione dell’Ateneo (che arrivò ad occupare 10.000 metri quadri) portò lo Stato, il Comune e la Camera di Commercio di Milano alla decisione di decentrare il Politecnico per poterlo accorpare in un unico luogo: la scelta cadde sull’area periferica delle Cascine Doppie, “nella distesa dei parti di Lambrate”, come la descrisse l’Alumnus Carlo Emilio Gadda. La sede, che poi sarebbe diventata la sede storica di Piazza Leonardo da Vinci, venne inaugurata ufficialmente nel 1927.
Credits: Stefano Topuntoli
Ma in poco tempo il Politecnico divenne più della “sola” piazza Leonardo. Negli anni successivi venne realizzata la sede della facoltà di architettura, che poi venne ampliata negli anni ‘80 in via Ampère, con un edificio progettato da Vittoriano Viganò e la costruzione dei palazzi per i dipartimenti di matematica e meccanica che poi divennero celebri con il nome di “Nave” e Trifoglio”.
Nel 1987 è poi partito un processo di diffusione territoriale dell’Ateneo, il “Politecnico Rete”, che ha portato all’apertura dei poli regionali di Como (1987, attivo fino al 2018) e di Lecco (1989) e delle sedi territoriali di Cremona (1991), di Mantova (1994) e di Piacenza (1997), con lo scopo di stabilire un rapporto più diretto con gli studenti e di interagire con le comunità e con le realtà produttive locali.
Inoltre, nella zona di Milano Bovisa, dove c’erano alcuni capannoni dismessi e i vecchi gasometri, sono sorti a partire dal 1989 un campus universitario con le nuove Facoltà di Architettura Civile, di Design e di Ingegneria Industriale e una serie di laboratori tra i più avanzati e innovativi d’Europa: la Galleria del Vento, per lo sviluppo della ricerca in ambito fluidodinamico; il Laboratorio di Sicurezza dei Trasporti, con le spettacolari prove di crash; i Laboratori del Design.
Nel 2021 è stato inaugurato, a Milano Leonardo, il nuovo campus di Architettura progettato da Renzo Piano nell’area di via Bonardi, che ha portato a un incremento degli spazi aperti e di studio a disposizione degli studenti e a un miglioramento della qualità ambientale attraverso la creazione di ampi spazi verdi.
RICERCA E TRASFERIMENTO TECNOLOGICO
Nel corso degli anni l’Ateneo si è distinto per essere un punto di riferimento nella ricerca nazionale e internazionale.
Il Politecnico di Milano è la prima università in Italia e la settima in Europa per numero di progetti Horizon Europe.
281 progetti finanziati dall’UE (FP7) (2007-2013)
dal 2021 a oggi, ha raggiunto lo straordinario risultato di 126 progetti vinti, di cui 17 ERC, per un valore di oltre 64 milioni di euro (leggi qui).
Il Politecnico di occupa anche di trasferimento tecnologico: attraverso il TTO e Polihub, gestisce le fasi iniziali/l’analisi della sfruttabilità della ricerca, i contatti con gli inventori, il processo di brevettazione, e l’avvio degli spin-off aziendali), per poi intervenire a sostegno delle azioni avviate dal offrendo ai giovani imprenditori e ricercatori i servizi necessari all’avvio della prima fase della loro azienda.
spin-off: 105 società costituite e accreditate dal 2000 a oggi, di cui 82 attive [agg. 31/12/2022]
Da non dimenticare poi i progetti ad alto impatto sociale che l’Ateneo sviluppa e che vengono finanziati, ogni anno, dalle donazioni del 5 per mille (scopri qui come donare).
Nel 2022, con 985.530 €, l’Ateneo si classifica al 1° posto tra le università nella classifica degli enti ammessi al beneficio della donazione relativamente all’importo delle donazioni, mentre arriva al 6° posto tra tutti gli enti di ricerca (leggi qui).
L’Ateneo ha investito questi fondi in progetti di ricerca ad alto impatto sociale, integrandoli con una parte di co-finanziamenti stanziati dai dipartimenti stessi o da enti pubblici e sponsor, secondo la visione politecnica di sviluppo sostenibile che promuove il coinvolgimento di privato, pubblico, società civile, mondo della ricerca e istituzioni finanziarie.
Ambiente, energia, salute, rigenerazione urbana, sostegno a popolazioni e territori fragili (ma l’elenco potrebbe continuare) sono sfide globali che riguardano tutti e che pongono domande a cui la ricerca scientifica è chiamata a rispondere. È un impegno che il Politecnico di Milano ha nel proprio DNA.
Snam e Politecnico di Milano, anche attraverso la propria Fondazione, hanno rinnovato oggi l’accordo di collaborazione su attività congiunte di ricerca dedicate al ruolo del sistema gas per la sicurezza e la transizione energetica del Paese, con un focus specifico sulle potenzialità delle molecole verdi, come idrogeno e biometano, e sull’innovazione.
L’accordo quadro si concentrerà sullo sviluppo di studi e progetti in più ambiti: dalla sicurezza delle infrastrutture, a partire da monitoraggio e manutenzione degli asset, ai gas verdi (idrogeno e biometano) e alle tecnologie per la decarbonizzazione, come la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS – Carbon Capture and Storage).
“Un’intesa chiave in un contesto, quello della transizione energetica, che è centrale per i bisogni delle imprese, fondamentale per lo sviluppo di nuove competenze, aperto a potenzialità inesplorate sul fronte della ricerca. Un tema al centro di ogni politica di riqualificazione del Paese“.
commenta Donatella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano.
La sostenibilità è una delle priorità del nostro ateneo, in prima linea sulle tematiche verdi e sulle tecnologie per la decarbonizzazione. La condivisione di strategie, obiettivi e risorse con una grande impresa leader di settore come Snam traccia un percorso chiaro di crescita“.
La collaborazione prevede inoltre ricerche congiunte su modelli innovativi di sviluppo del biometano, che consentano di accelerarne la produzione su larga scala, e di misure di efficienza energetica per i settori della pubblica amministrazione, dell’edilizia residenziale, del terziario e industriale.
Sul fronte dell’idrogeno, si svolgeranno studi di fattibilità sulle tecnologie adoperabili nelle varie fasi della catena del valore (produzione, trasporto, stoccaggio e utilizzo), approfondimenti sull’impatto delle miscele di idrogeno e gas naturale sulla rete esistente, e analisi di mercato sui potenziali utilizzi del vettore energetico pulito nei settori industriale, residenziale e della mobilità.
L’accordo include anche iniziative di ricerca sulla digitalizzazione applicata alle infrastrutture gas (dati satellitari radar e ottici, intelligenza artificiale, machine learning, algoritmi predittivi e dispositivi robotici per ispezioni e monitoraggio), sulla finanza sostenibile, sulla formazione del personale e sull’attrazione dei talenti.
“L’accordo con Snam punta a ribadire la necessità di affrontare in modo sinergico i temi della transizione energetica in un’ottica di sostenibilità e innovazione“
sottolinea Andrea Sianesi, Presidente della Fondazione Politecnico di Milano.
“Un sodalizio che mira a consolidare rapporti duraturi per la realizzazione di ricerche all’avanguardia. La collaborazione nasce dal dialogo costante tra impresa e università, una partnership che sta diventando una prassi consolidata per il Politecnico di Milano e la sua Fondazione e che condivide con le aziende coinvolte fabbisogni, strategie e visioni“.
La guerra in Ucraina potrebbe scatenare la corsa agli investimenti fondiari come avvenuto durante la crisi finanziaria del 2008: questo è quanto è stato concluso dall’analisi pubblicata dalla prestigiosa rivista Science dei ricercatori Maria Cristina Rulli del Politecnico di Milano, Jampel Dell’Angelo della Vrije Universiteit di Amsterdam, e Paolo D’Odorico della University of California at Berkeley a un anno dall’inizio del conflitto.
“Dopo il 2008, all’indomani della crisi finanziaria e alimentare globale, si è verificato un notevole aumento di investimenti fondiari, le cosiddette acquisizioni di terreni su larga scala (LSLA)”,
spiega Maria Cristina Rulli, docente di Idrologia del Politecnico di Milano.
Nelle precedenti crisi globali dell’approvvigionamento alimentare, i picchi nei prezzi dei prodotti alimentari e dell’energia sono stati seguiti da nuove ondate di investimenti fondiari transnazionali e accaparramenti di terreni. Gli autori forniscono un’analisi dettagliata dei fattori che sono stati identificati come driver o precursori delle “corse alla terra” avvenute nel XXI secolo – come la crisi dell’approvvigionamento alimentare in periodi di aumento della domanda di prodotti agricoli, la richiesta di produzione di energia rinnovabile o la necessità di diversificazione degli investimenti finanziari – per tracciare un parallelo con le condizioni attuali.
“La guerra in Ucraina potrebbe stimolare una nuova corsa alla terra globale in grado di influenzare il sistema agrario mondiale. I nostri precedenti studi su questo argomento hanno dimostrato che le acquisizioni di terreno su grande scala spesso prendono di mira terreni forestali che vengono successivamente “sviluppati” attraverso il disboscamento, portando alla distruzione dell’habitat, a maggiori emissioni di gas serra e alla perdita di accesso alla terra ancestrale da parte delle popolazioni locali che storicamente facevano affidamento su queste foreste per legna da ardere, cibo o riparo.”,
continua Rulli.
“Sosteniamo che la carenza di approvvigionamento alimentare dalla regione del Mar Nero avrà un impatto importante sullo sviluppo rurale. Sulla base delle tendenze osservate dopo le recenti crisi alimentari, prevediamo di vedere una nuova ondata di acquisizioni di terra su larga scala (LSLA) con la conseguente espropriazione delle comunità rurali. Questi cambiamenti avverranno attraverso interazioni complesse e interdipendenti che avranno effetti a cascata e duraturi su molteplici dimensioni dello sviluppo rurale”, ha affermato Jampel Dell’Angelo.
Paolo D’Odorico spiega come “questo studio identifica alcune delle possibili risposte alla crisi indotta dalla guerra e l’impatto di esse sul sistema agrario globale, quali, ad esempio, l’espansione della produzione agricola verso i terreni incolti che potrebbe avvenire a scapito dei programmi di conservazione del suolo e/o delle riserve naturali ; intensificazione agricola in terreni che sono già stati acquisiti da investitori agroalimentari nel post 2008 che potrebbe esacerbare condizioni di scarsità idrica e di degrado del suolo; e una nuova ondata di investimenti fondiari”.
L’analisi riflette sulle implicazioni politiche della transizione agraria associata a questa nuova ondata di acquisizioni di terra, ricordandoci che i quadri politici attualmente in vigore sono stati storicamente inefficaci nel prevenire la precedente corsa alla terra e i suoi impatti dannosi sui mezzi di sussistenza e sull’ambiente.
Per celebrare la giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, vogliamo raccontarvi di 7 donne politecniche che hanno fatto la storia dei loro settori professionali nel mondo dell’ingegneria, dell’architettura e del design. Sette politecniche che hanno cambiato la visione delle professioni che hanno scelto.
A partire dal 1913, con la prima laureata Gaetanina Calvi, tutte le Alumnae del Politecnico sono diventate parte fondamentale di quella trasformazione culturale che ha visto le donne prendersi meritatamente (e, a volte, faticosamente) il loro spazio, tra i banchi del Poli e non solo.
Nomi che probabilmente avrete già sentito, alcuni famosi e altri meno, ma comunque importanti per aver sfidato le regole della società.
GAETANINA CALVI – ALUMNA INGEGNERIA CIVILE
Nell’anno 1913 si laurea la prima donna politecnica: Gaetanina Calvi, ingegnere civile, era l’unica donna del suo corso. I laureati di quell’anno erano 156 (di cui 149 ingegneri). Era passato mezzo secolo dalla fondazione del Politecnico di Milano (1863).
Tra i suoi traguardi professionali, ricordiamo la progettazione della nuova ala dell’Istituto per ciechi di Milano, destinato a casa di riposo nel 1925, che la vide impegnarsi in prima persona, insieme all’architetto Faravelli. Negli anni seguenti insegnò matematica e scienze sempre presso l’Istituto che iniziò a darle un compenso in denaro soltanto nel 1928 (fonte).
Dopo Gaetanina Calvi, al Politecnico iniziavano a vedersi le prime donne: nel 1918 a laurearsi fu Maria Artini, la prima elettrotecnica italiana, mentre nel 1928 Carla Maria Bassi e Elvira Morassi Bernardis saranno le prime donne a laurearsi in architettura (abbiamo parlato di loro nel libro ALUMNAE – Ingegnere e tecnologie).
Classe 1937, nel 1962 è la prima donna in Italia a laurearsi – con il massimo dei voti – in Ingegneria aeronautica. A tal proposito racconta:
«Sono stata una tra le prime ragazze in Italia a frequentare il liceo scientifico, che allora era una scuola prevalentemente maschile. Nella mia classe, per capirci, c’erano soltanto cinque femmine su 52 alunni totali. Poi, al momento di iscrivermi all’università, i miei genitori volevano che diventassi una matematica, ma io ho preferito frequentare la facoltà di ingegneria aeronautica. Quello che a me interessava davvero, infatti, era capire come funzionano le cose nel concreto».
Dopo gli studi, Ercoli-Finzi resta al suo Politecnico diventando docente (ha insegnato meccanica razionale e meccanica aerospaziale a moltissimi Alumni che leggeranno questa pagina) e ricercatrice. Le sue scoperte e i suoi esperimenti la portano a farsi un nome nel settore aeronautico internazionale. Collabora con NASA e con le agenzie spaziali italiana (ASI) ed europea (ESA).
Tra le sue più celebri iniziative ci sono il coordinamento e la partecipazione a diverse missioni spaziali, prima fra tutte la missione spaziale Rosetta, cominciata nel 2004 e conclusasi nel 2016 con l’obiettivo di studiare da vicino la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (qui per approfondire).
Da sempre attiva nel promuovere e sostenere le donne negli ambienti considerati “maschili”, in una recente intervista con Sky difende l’importanza di spingere sempre più donne a intraprendere percorsi di ricerca scientifica:
«Mi sono accorta davvero – ha detto – che per molte donne sono stata fonte d’ispirazione, le ragazze che studiano adesso hanno pensato che la soddisfazione che io trasmettevo per il mio lavoro fosse un motivo valido per copiare e fare il mio lavoro. È una grande responsabilità, anche con le parole e gli atteggiamenti trasmettiamo la passione per i valori che abbiamo sostenuto. […] Ai miei tempi le donne come me erano delle stelle, stelle isolate, Sirio piuttosto che Aldebaran, adesso ci sono le costellazioni. Rappresentano costellazioni perché riescono a fare massa, c’è ancor da fare ma arriveremo».
CINI BOERI – ALUMNA ARCHITETTURA
Cini Boeri si laurea al Politecnico nel 1951, con un bambino di due mesi nella carrozzina e già una proposta di lavoro da parte di Gio Ponti in tasca. Dopo diverse collaborazioni, nel 1963 apre uno studio dove la sua carriera decolla tra progetti, insegnamento e ricerca, concentrandosi su case, appartamenti privati e progettazione di oggetti di uso comune, che non venissero “posseduti bensì utilizzati”.
Credits: Maria Mulas
«Quando progetto una casa per una coppia di coniugi, ad esempio, propongo sempre di inserire una stanza in più. Loro mi chiedono sempre: “per gli ospiti?”. Ma no! Non per gli ospiti. Perché se una sera uno ha il raffreddore può andare a dormire in un’altra stanza, per esempio. Uno dovrebbe poter scegliere, sapere che può andare a dormire con il proprio compagno, ma che può anche decidere di non farlo, senza che questo pregiudichi la vita di coppia. Credo sarebbe molto educativo insegnare i giovani che quando si uniscono in coppia non è obbligatorio dividere il letto, è una scelta. È molto più bello».
È conosciuta per il suo approccio democratico all’architettura e al design:
«È il Politecnico che ci ha abituati così. Abbiamo avuto un insegnamento molto aperto, non so se oggi sia ancora così!»
Laureata nel 1953, Gae Aulenti comincia la sua carriera da progettista in un momento di profonda evoluzione della cultura architettonica italiana. Dopo la laurea al Politecnico, si avvicina a due dei principali luoghi di elaborazione teorica sull’architettura dell’epoca: la rivista Casabella Continuità, diretta da Ernesto Nathan Rogers, con cui collabora tra il 1955 e il 1965, e lo IUAV – Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove lavora a partire dal 1960 come assistente di Giuseppe Samonà.
Per Gae Aulenti l’architettura è sempre un gesto collettivo, mai individuale, qualcosa da partecipare con una comunità. Per questo, molte delle sue opere più celebri sono spazi pubblici: tra le tante, citiamo il Museo di Arte Moderna e il Museo d’Orsay a Parigi, l’Istituto di Cultura italiana a Tokyo, la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia, delle ex scuderie papali al Quirinale e Piazza Cadorna a Milano.
«Mi fa imbestialire la ghettizzazione in genere. A cominciare da chi dice: come architetto ho preso una donna»
L’architettura per Aulenti guarda avanti, oltre alle condizioni di genere da cui liberarsi e verso un nuovo destino da progettare e da costruire con il sapere. Rifiuta l’idea della “donna-architetto”, che trova ghettizzante: parlare di architettura e design di genere, per lei, rafforza l’idea che queste due specialità per le donne siano qualcosa che le circoscrive alle superfici e ai decori, mentre il cuore e lo scheletro del progetto sono riservati a progettisti uomini.
Anna Castelli Ferrieri inizia a studiare architettura al Politecnico nel 1938 ed è subito attratta dalle avanguardie e dalla Bauhaus. Durante gli anni è allieva di Franco Albini da cui apprende l’approccio razionalistico. In seguito lavora nel suo studio dove entra in contatto con gli architetti Piero Bottoni ed Ernesto Nathan Rogers, impegnati nella ricostruzione di Milano.
Nel 1942 si laurea in architettura e lascia Milano a causa dell’occupazione tedesca, per rientrarci solo nel 1946, quando diventa caporedattrice della rivista di architettura Casabella e fonda il suo studio.
A partire dal 1966, insieme al marito Giulio Castelli e alla sua azienda Kartell, è la prima donna a dedicarsi al design industriale e alla produzione di oggetti di uso quotidiano e arredi fatti in plastica: tra i più famosi ricordiamo la sedia sovrapponibile 4870 (vincitrice del Compasso d’oro) e i mobili 4970/84, contenitori componibili per la casa, progettati seguendo il suo principio secondo cui gli oggetti di uso comune debbano avere un design funzionale, che metta al centro la persona.
«Se un prodotto non ha successo è perché ha sbagliato l’architetto, non perché il pubblico non capisce. L’architetto deve solo – ma sempre – rispondere a due domande: “Cosa serve?” e “Cosa manca?”»
LILIANA GRASSI – ALUMNA ARCHITETTURA
”L’architettura, per me, è essere, proposta di libertà costantemente controllata, difesa con lo studio della storia, con la prudenza della ricerca, con la solitudine della fantasia, con il raccoglimento disinteressato…”
Alumna in architettura nel 1947, si laurea con Ambrogio Annoni, di cui sarà assistente per diversi anni sia in cattedra che in cantiere. Anni dopo inizia a insegnare Restauro dei monumenti. Illustre figura della cultura lombarda e italiana, Liliana Grassi ricopre vari e prestigiosi incarichi istituzionali ottenendo riconoscimenti soprattutto per il grande contributo pratico e teorico da lei portato nel campo del restauro. La sua realizzazione più importante è il restauro dell’antico Ospedale Maggiore di Milano, distrutto dai bombardamenti del 1943 e poi adattato.
Credits: Sara Calabrò (a cura di) “Dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti”
Fonte: “Dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti”
FRANCA HELG
“Il dettaglio è fondamentale per la definizione dell’insieme, il dettaglio può determinare un progetto e certamente lo caratterizza. Il risultato complessivo dell’opera è connesso ai dettagli, per disegno e qualità. Il dettaglio incide sui valori spaziali e volumetrici del costruito.”
Laureata nel 1945, dopo la laurea si associa con Franco Albini, al quale rimarrà legata fino alla morte di quest’ultimo. Nel suo lavoro progettuale, Franca Helg ha sempre mostrato una cura meticolosa per il dettaglio, fondendo modernità e classicità, razionalità e creatività, dando vita ad opere connotate da eleganza e semplicità, slegati dalle mode culturali del momento. Oltre a questo c’era il design industriale: Helg ha creato vasi, maniglie, sedie, lampade da sospensione, da scrivania, da terra, e la poltrona di giunco e midollino Primavera.
Credits: Sara Calabrò (a cura di) “Dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti”
L’insegnamento di Composizione Architettonica ha rappresentato una parte importante nella sua vita: prima all’istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) poi al Politecnico di Milano, dove divenne ordinaria nel 1984.
Sostenendo il progetto GIRLS @ POLIMI puoi contribuire insieme ad altri donatori a creare delle borse di studio per sostenere le ragazze che si iscrivono ai corsi di laurea in ingegneria a bassa frequentazione femminile. Dona ora.
Tra le figure professionali più ricercate dalle aziende ci sono quelle che fanno parte del vasto panorama delle figure tecniche dell’informatica. La ricerca di questi professionisti, in pochi anni, è cresciuta a tal punto che i laureati non bastano a coprire tutte le posizioni aperte: secondo le stime, sarebbero circa 100 mila in meno di quelli che servirebbero a coprire il solo mercato italiano della cybersecurity. Al Politecnico si laureano alla magistrale in informatica circa 400 studentesse e studenti ogni anno e il 97% di loro ha già un contratto di lavoro stabile entro 12 mesi dalla laurea; oltre il 70%, addirittura entro un mese.
Ma quali sono le figure più specializzate e difficili da trovare? Ne parla la rettrice prof.ssa Donatella Sciuto in un’intervista al Sole 24 Ore: “Nel mondo della cybersecurity, per esempio, servono figure come quella del penetration tester che ha il compito di provare ad attaccare i sistemi per testarne la resistenza. Nel campo della formazione c’è un progetto nazionale, il Cyber Challange, un programma per i giovani dai 16 ai 24 anni, che ha l’obiettivo di identificare e attrarre la prossima generazione dei professionisti di cybersecurity, anche in collaborazione con le università. Noi partecipiamo come Politecnico di Milano, selezioniamo i ragazzi più bravi per entrare nella squadra nazionale di cybersecurity. E i mHackeroni, nazionale italiana di hacker etici, si è piazza quinta a Las Vegas, ai mondiali di cybersecurity”.
Credits: Sole24ore
Fondamentale, a questo punto, il rapporto tra università e imprese, rapporto chiave per creare le competenze:
“Le aziende chiedono profili già pronti. Nel campo della cybersecurity è molto difficile completare la formazione in aula e laboratorio; bisogna, quindi, strutturare collaborazioni con le aziende per formare le persone”.
C’è poi un tema legato al rapporto tra professioni e intelligenza artificiale, un tema sempre più attuale e meno immediato di quanto si possa pensare: per esempio, commenta Sciuto, “la figura del data analyst richiede molte competenze statistiche e informatiche e di natura applicativa. Sono figure molto richieste e rimarranno molto richieste anche perché aiutano a valutare gli stessi sistemi di Ai e di machine learning. Occorre cioè verificare che i dati non siano bias, ma siano invece rappresentativi”.
Questa è la storia di due ingegneri e Alumni del Politecnico di Milano che sono diventati prima ricercatori e poi imprenditori. Camilla Conti ha studiato ingegneria energetica, Lorenzo Agostini ingegneria meccanica. Le loro strade si sono incrociate durante un semestre di scambio in Canada. Rientrati in Italia, si sono laureati e hanno scelto percorsi diversi: lei ha proseguito al Poli dopo un breve periodo in una multinazionale, prima con un dottorato in ing. energetica ed aerospaziale e adesso come ricercatrice post-doc, lui ha lavorato in azienda due anni prima di proseguire con un dottorato in emerging digital technologies alla scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; successivamente è diventato ricercatore (Assistant Professor) all’Università di Bologna, dove ha svolto l’attività di ricerca su trasduttori elettro-meccanici basati sul fenomeno fisico dell’elettrostaticità nel contesto del laboratorio SAIMA (Sensori e Attuatori Innovativi per il Manifatturiero Avanzato) congiunto con l’Istituto STIIMA del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
Da queste ricerche, ha preso vita una nuova tecnologia per produrre dispositivi meccatronici adattivi. Nel maggio 2022, Agostini e Conti, insieme al prof. Rocco Vertechy (UniBo), supervisor di post-doc di Agostini, hanno fondato una startup: Adaptronics, nata ufficialmente dopo un anno di lavoro sul business model, e basata sulle competenze maturate in quasi 10 anni di ricerca combinati.
I premiati innovazione COTEC 2022 (credits: Adaptronics)
DA UN PALLONCINO ALLA TECNOLOGIA…
La loro invenzione sfrutta il ben noto principio dell’elettroadesione: lo stesso per cui, strofinando un palloncino sui capelli, questo vi rimane attaccato. “Durante il dottorato”, spiega Agostini, “ho lavorato con un gruppo di ricerca che si occupa di sviluppo di trasduttori elettro-meccanici a base elastomerica, cioè sistemi deformabili come gomme e che, se stimolati con alimentazione elettrica, producono un’azione meccanica. Ad esempio, questa tecnologia può essere usata per creare un muscolo artificiale, morbido come uno naturale ma che si irrigidisce quando stimolato elettricamente”.
L’innovazione di Adaptronics consiste nell’aver saputo far evolvere questa base tecnologica per sviluppare una speciale pellicola composta di materiali polimerici, che permette di controllare ed ottenere un effetto elettroadesivo: il risultato è una pellicola dallo spessore inferiore a 0,5 mm, che diventa adesiva quando attivata elettricamente. È in grado di sollevare fino a 50 kg con due patch della dimensione di carte di credito (ovviamente, maggiore è la loro dimensione, maggiore sarà anche la forza esercitata), senza dover usare effetti magnetici o pneumatici, e con un consumo energetico nell’ordine di pochi Watt.
credits: Adaptronics
Una specie di “polpastrello elettronico sensorizzato”, quindi, in grado di rilevare il contatto con un oggetto target qualsiasi e spostarlo senza esercitare su di esso alcuna pressione che potrebbe in qualche modo danneggiarlo: può diventare una tecnologia abilitante per moltissime applicazioni, spiegano i fondatori, dallo spazio, alla logistica industriale, al trasporto merci e all’agricoltura (immagina cogliere un lampone senza doverlo stringere…).
…E DAL LABORATORIO ALLA STARTUP
“Ho sempre voluto fare l’imprenditore”, racconta Agostini, “e fondare la mia azienda. Ho scelto di studiare ingegneria e fare il dottorato perché volevo essere uno dei primi al mondo a maneggiare una tecnologia emergente”. Desiderio esaudito, e non certo strofinando una lampada magica. Per validare questa tecnologia, i fondatori e il loro gruppo di ricerca hanno lavorato in laboratorio diversi anni. Una volta dimostratone il funzionamento e verificatene le potenzialità industriali, è iniziato il lungo processo di trasferimento tecnologico (se volete scoprire come si diventa “inventori”, ne abbiamo parlato su MAP 10).
“Prima di arrivare alla forma finale di Adaptronics abbiamo presentato anche altre idee che avevano core business simili e si basavano sulla stessa tecnologia. Abbiamo partecipato a diversi concorsi di idee per start-up, (ne hanno vinti anche parecchi, tra cui la StartCup, il Premio Nazionale dell’Innovazione nella categoria Industrial, il Talentis di Confindustria Giovani Imprenditori e l’EIT Jumpstarter, n.d.r.). Queste esperienze offrono anche percorsi di formazione che sono stati utili per aiutarci a individuare il segmento di mercato su cui concentrarci”.
Oggi Adaptronics è una startup agli esordi, formata da 5 soci: Conti, Agostini, l’Università di Bologna (di cui è spin-off), il prof. Rocco Vertechy (UniBo), supervisor di post-doc di Agostini, e l’Ing. Gavino Boringhieri, manager di lungo corso e mentor di startup. Si rivolge al mercato dei sistemi robotici automatizzati per la logistica efficiente e sostenibile: automazione industriale, last-mile delivery con robot autonomi, raccolta automatizzata di frutta, rimozione dei detriti spaziali e servizi in orbita ai satelliti.
credits: Adaptronics
ADAPTRONICS: SEMPRE ALLA RICERCA DEL PROSSIMO PASSO
I due imprenditori politecnici puntano ora sulla strategia di internazionalizzazione per accedere a nuovi mercati e anche a round di finanziamento futuri. “È il momento di investire sulla formazione di un team operativo di ingegneri meccanici, elettronici e dell’automazione che ci supportino nello sviluppo prodotto. Stiamo guardando all’Europa ma anche agli Stati Uniti: sia per la maggiore accessibilità ai capitali d’investimento, sia per la prossimità con i maggiori programmi spaziali. Per noi quello è un mercato importantissimo dal momento che siamo impegnati anche nel settore aerospaziale che attualmente ha enormi potenzialità di crescita e un grande interesse da parte degli investitori. Possiamo essere una ‘enabling technology’ per operazioni in orbita, e per questo siamo incubati a Torino dal Business Incubation Center dell’Agenzia Spaziale Europea”, conclude Agostini.
“Vogliamo diventare competitivi nel mondo e vogliamo fare uno strumento che possa essere uno standard per l’automazione industriale di presa e spostamento di oggetti: se ci concentrassimo solo sull’Italia, saremmo presto superati da qualsiasi azienda asiatica o americana che può sviluppare lo stesso prodotto prendendo però soldi da tutto il mondo. Nei nostri piani però c’è quello di mantenere la ricerca e sviluppo in Italia, dove di certo i cervelli e l’eccellenza non manca e deve avere solo occasione di crescere.”
VisionAnchor è un progetto – e un prodotto – realizzato dal centro politecnico di innovazione digitale Cefriel con una startup slovena, la SeaVision. Sfrutta l’intelligenza artificiale e il deep learning per raccogliere dati sui fondali marini tramite le ancore delle imbarcazioni: gli “occhi elettronici” sono costituiti da un sistema di boe, capaci di scattare immagini dei fondali durante l’operazione di ancoraggio, che comunicano con l’algoritmo sviluppato da Cefriel, in grado di riconoscere i fondali più adatti attraverso la classificazione automatica delle immagini sulla base di alcune caratteristiche morfologiche.
La sua applicazione commerciale immediata, sviluppata da Sea Vision, trasforma lo Smart Anchoring System in una “ancora smart” che consente di analizzare i fondali marini e individuare il punto migliore per l’ancoraggio, evitando ecosistemi delicati, come barriere coralline o altri punti di interesse. Le informazioni vengono trasmesse ai marinai tramite un’app scaricabile da qualsiasi cellulare. Il prototipo è stato sviluppato con il coinvolgimento di due studenti del Politecnico di Milano e dell’Università di Milano-Bicocca, nell’ambito delle attività supportate da EIT Digital, community europea che riunisce le migliori realtà che si occupano di innovazione digitale.
Ma la tecnologia ha anche altre interessanti potenzialità di sviluppo, offrendosi come strumento di mappatura dei fondali oceanici, dei quali conosciamo ancora poco più del 20%.
“L’analisi e comparazione di grandi quantità di immagini è una delle opportunità offerte dall’applicazione dell’intelligenza artificiale. In questo caso in particolare, l’algoritmo potrebbe avere molteplici applicazioni anche legate alla sostenibilità ambientale, quali per esempio l’individuazione e mappatura di relitti o la segnalazione di eventuali rifiuti presenti nei fondali, magari con l’obiettivo di migliorare lo stato di salute di alcune zone marine”.
spiega Alfonso Fuggetta, AD e direttore scientifico di Cefriel.
Sviluppare modelli di data science che applicano l’AI a processi gestionali e industriali, per avvicinarli agli obiettivi di sostenibilità e impatto positivo sulla società. Questo il cuore della strategia del neo-insignito direttore scientifico del Gruppo Datrix (gruppo di Tech Company specializzato in Augmented Analytics e Machine Learning): Enrico Zio, docente di reliability, safety and risk analysis al dipartimento di Energia del Politecnico di Milano e delegato del Rettore per gli Alumni. “Nell’attuale contesto di molteplici transizioni”, commenta, “l’industria è chiamata a guidare il proprio sviluppo tecnologico verso soluzioni efficienti, sicure e sostenibili, ponendo l’ambiente e il benessere delle persone al centro nella visione emergente di Industria 5.0”.
Datrix, società quotata sull’Euronext Growth Milan specializzata nello sviluppo di soluzioni e servizi di Augmented Analytics basati su Intelligenza Artificiale e Modelli di Machine Learning, ha infatti comunicato la nomina del prof. Enrico Zio quale nuovo direttore Scientifico del Gruppo. Già presidente e direttore scientifico delle attività di ricerca e sviluppo svolte da Aramis, Zio è una figura di spicco nel panorama accademico internazionale. È autore di numerosi testi scientifici e oltre 500 articoli pubblicati su riviste internazionali; è, inoltre, presidente e vice-presidente di numerose conferenze internazionali, editore associato e referente di molteplici riviste internazionali. È stato insignito nel 2020 del premio internazionale Humboldt Research Award, uno dei premi di ricerca più prestigiosi al mondo per le discipline scientifiche, e da anni è incluso nella lista World’s Top 2% Scientists degli scienziati più autorevoli al mondo, stilata dalla Stanford University sulla base di indicatori di quantità, qualità e impatto del lavoro scientifico prodotto.
“Sono molto onorato per, e motivato da, questa nuova sfida come Direttore Scientifico del Gruppo Datrix, che offre un punto di osservazione e azione privilegiato per portare avanti la ricerca e mettere a terra innovazione per il mondo industriale. Gli sforzi del Gruppo Datrix e quelli di Aramix, sono rivolti allo sviluppo di soluzioni e alla condivisione di competenze per “far parlare” i dati, le immagini, i testi, estraendo conoscenza e informazioni, utili ai decisori dell’industria per fare scelte di progetto, operazione, manutenzione, organizzazione che siano efficienti e sicure”.
Il Corbetta solleva lo sguardo verso l’alto e guarda il padre che veglia sopra di lui, nella foto incorniciata sulla parete dell’Harp Pub, piazza Leonardo da Vinci al numero 20. Il locale ha aperto nel 1976, e quell’epoca, qui dentro, non è mai passata.
“La clientela qui ha sempre la stessa età”, racconta Angelo, “Va dai diciotto anni delle matricole ai venticinque anni dei laureandi. Finisce un ciclo e ne inizia un altro”. C’è una linea di confine immaginaria fra i tavoli e il bancone. Ai tavoli ci sono gli studenti, il bancone è il territorio di chi ha sessant’anni, ex studenti, professori.
Luigi Dadda, ingegnere a cui si deve l’arrivo dell’informatica in Italia, è stato testimone di nozze del Corbetta e di sua moglie Pina. E i nomi e i ricordi di chi ha frequentato questo posto si accavallano: luminari con la testa fra le nuvole che dopo aver mangiato il panino chiedevano: “Ma ho già mangiato il panino?”, oppure il ragazzo con i più begli occhi di Città Studi, secondo la definizione data da Pina.
“Una volta c’era una tenda a dividere lo spazio fra il pub e la sala sottostante – dice il Corbetta – Un giorno vidi alcuni studenti che, camminando a passi felpati s’intrufolavano dietro la tenda. Poi scoprii che il professor Vittoriano Viganò gli aveva assegnato come esercitazione la ristrutturazione del pub”.
La premiazione dei progetti naturalmente fu organizzata al pub, qualcuno degli studenti aveva immaginato di trasformare in un grande blocco d’acciaio suddiviso su due piani. Invece da allora nulla è cambiato.
“E nulla deve cambiare”, precisa il Corbetta che aggiunge, “Ogni tanto entra qualcuno, si guarda intorno e lo dice: «Non è cambiato niente». Ieri per esempio è passato un ex studente, non tornava qui da quarant’anni. L’ho riconosciuto, si è commosso e ha chiamato la moglie per dirglielo: «Mi hanno riconosciuto al pub».
Qualcun altro entra e, come in un Ritorno al futuro, ordina panini che sono fuori menù da vent’anni: il Cosacco, la Vecchia Vienna, che aveva l’ingrediente segreto di una fettina d’arancia, il Gourmandise, sparito dopo che questo formaggio francese era diventato introvabile. Oggi a fare i panini in cucina, e dietro il bancone a spillare birra e a fare cocktail, ci sono i due figli del Corbetta, Riccardo e Francesco. Lui invece, seduto alla cassa, in camicia e papillon, occhiali da vista sopra i capelli bianchi, dice: “Io sono sempre qui. Ma non mi laureo mai”.
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