Chi sono i 50 guru della sicurezza informatica in Italia?

Quello della sicurezza informatica è un ambito in cui l’Italia offre “competenze, creatività e spirito imprenditoriale”, secondo Arturo di Corinto de La Repubblica, che ha pubblicato una lista italiana di Who’s Who del settore della sicurezza informatica. Tra i 50 big della cyber security, selezionati dal quotidiano tra gli esperti in ambito accademico e industriale, ci sono 4 Alumni politecnici di spicco, ve li raccontiamo.

VINCENZO IOZZO

È Senior Director di CrowdStrike, azienda leader nel campo della cyber-security, che nel 2017 ha acquisito Iperlane, fondata dall’Alumnus. Vincenzo Iozzo ha studiato ingegneria informatica al Politecnico di Milano, è angel investor e membro del Review Board della Black Hat Conference. Già ricercatore associato presso il MIT Media Lab, è coautore del “iOS Hacker’s Handbook” (Wiley, 2012).

Intervistato lo scorso aprile da Il Sole24Ore, che lo definisce “il CEO con un’anima tech”, Iozzo riflette sulle tecnologie più promettenti della nostra epoca, machine learning, intelligenza artificiale e biotech, e commenta che la nuova generazione di imprenditori e dirigenti del mondo tecnologico, che si è formata o si sta formando in questi anni, è una generazione di persone attente alle implicazioni etiche e sociali del proprio lavoro e agli impatti che esso ha in termini di equità e sostenibilità.

LUIGI REBUFFI

https://dnsc.ro/certcon11/speakers/

È segretario generale dell’ECSO, European Cyber Security Organisation. Alumnus ingegneria nucleare al Politecnico di Milano, ha lavorato in Thomson CSF/Thales tra Francia e Germania, diventando nel 2003 Direttore per gli Affari europei per le attività civili del gruppo. Ha coordinato la creazione di EOS, European Organisation for Security, di cui è stato CEO per 10 anni, ha contribuito alla creazione di ECSO e partecipato a diverse iniziative in questo ambito come supporto alla Commissione Europea. Nel 2019 ha partecipato alla creazione della Fondazione Women4Cyber, “un’idea nata nel 2017 durante una conversazione con la prof.ssa Sciuto, prorettore del Politecnico di Milano”, ricorda Rebuffi, per promuovere la partecipazione delle donne nel settore della cybersecurity. Nel 2020 è entrato nella lista “IFSEC Global Influencers in security – Executives“. Ha preso parte alla nascita di Stem in the City e alla creazione del corso di laurea congiunto tra Politecnico e Bocconi in Cyber Risk Strategy and Governance. Leggi di più sulla nuova laurea in Cybersecurity

“Trovarmi nominato in una lista è una cosa che mi sorprende sempre”, commenta Rebuffi. “Non mi è mai venuto in mente di essere un influencer, ma mi rendo conto che oggi è importante essere riconosciuti per il lavoro che si fa”. E continua: “Le nostre università devono potenziare le possibilità per gli studenti di orientarsi verso questa trasformazione delle competenze, che risponde alle necessità della trasformazione digitale: tecnici e scienziati, ma anche avvocati, manager e persone in grado di valutare l’impatto del rischio informatico a 360°”.

GIOVANNI VIGNA
https://sites.cs.ucsb.edu/~vigna/bio.html

Vive in California, dove è docente presso il Dipartimento di Informatica dell’Università della California a Santa Barbara (UCSB). “Mi sono laureato e ho fatto il PhD al Politecnico di Milano”, racconta Giovanni Vigna. “Ho finito nel ’97 e sono andato a fare un postdoc in UCSB: doveva durare 6 mesi, ma dopo due anni di postdoc il dipartimento mi ha chiesto di restare come docente e sono ancora lì 24 anni dopo”. La ricerca di Vigna si focalizza su diverse aree, quali l’analisi del malware, lo studio del crimine informatico, l’analisi delle vulnerabilità, la sicurezza del web e l’applicazione dell’apprendimento automatico a tematiche di sicurezza.

Nel 2009 ha fondato Lastline, acquisita nel 2020 da VMware, per la quale oggi Vigna lavora dirigendo il gruppo di threat intelligence. Dal 2001 Vigna partecipa alla progettazione di competizioni di hacking e nel 2005 ha fondato il gruppo hacker Shellphish. Le sue lezioni sull’hacking sono disponibili su YouTube.

“La bellezza del fare ricerca è che ti mette sempre a contatto con idee nuove”, commenta, “ma penso che l’impatto del lavoro di un docente e ricercatore vada oltre alle idee e ai contributi scientifici. È soprattutto un impatto umano: quello di formare individui che a loro volta daranno il loro contributo”. In questo approccio, racconta, c’è molto Politecnico: “è stato l’ambiente in cui sono cresciuto e mi sono formato: il mio advisor, Carlo Ghezzi, non era un esperto di sicurezza informatica ma era un mentore eccezionale e mi ha insegnato a fare ricerca e a seguire gli studenti. Quasi tutti i miei colleghi di dottorato, infatti, sono entrati in grandi università in tutto il mondo”.

STEFANO ZANERO

https://sector.ca/speakers/stefano-zanero/

È professore associato al Politecnico Milano. Alumnus ingegneria informatica 2002, si occupa di sicurezza dei sistemi cyber-fisici, di virologia informatica e analisi dei dati applicata alla sicurezza. Ha avviato diverse startup di settore.

“Il Poli ha una lunga tradizione legata alla cyber security che risale alla metà degli anni ’90, con i contributi del prof. Dècina”, commenta Stefano Zanero. “Siamo stati uno dei primi atenei al mondo a partecipare a competizioni internazionali universitarie di hacking nei primi anni 2000, e ad inserire l’insegnamento di sicurezza come obbligatorio nel corso di laurea magistrale in ingegneria informatica, nel 2010. Negli anni, tanti Alumni si sono formati qui e oggi sono ben inseriti nel mondo accademico e industriale, anche se non sono sulla lista stanno facendo cose molto interessanti”.

Una delle particolarità di chi si è formato in sicurezza informatica al Politecnico è la capacità di prendere in considerazione il lato umano di questi strumenti. “Faccio l’esempio più diffuso, quello delle password per accedere ai servizi”, continua Zanero. “Se il sistema di autenticazione chiede password impossibili da ricordare, so già che l’utente se le scriverà su un post-it, compromettendo la propria sicurezza. Le politiche di sicurezza devono tenerne conto ed essere pensate per essere usate dalle persone, altrimenti non funzionano”. La parte tecnologica, insomma, è importante (diremmo un prerequisito), ma c’è altro: “L’elemento di natura economica di analisi del rischio sottende a tutto, come anche quello di natura sociale e psicologica”. Autenticarsi a Netflix, insomma, non è la stessa cosa che accedere al proprio conto in banca.

La sicurezza informatica è un campo in cui il Politecnico investe molto anche in termini di ricerca. “Il rischio zero non esiste: al Poli studiamo come rompere le cose, anche i sistemi di sicurezza, per trovare soluzioni più difficili da rompere”, continua Zanero, sottolineando che quanto più informatizziamo la produzione e il digitale diventa diffuso nelle nostre vite, tanto più questo rappresenta un rischio (si pensi per esempio alla protezione dei dati sensibili, ma anche alla domotica sempre più presente nei trasporti, nella gestione di edifici e spazi, l’internet of things ecc.) e quindi la sicurezza informatica deve diventare altrettanto pervasiva. “La pervasività è una delle principali sfide dei ricercatori: ovunque ci sia un oggetto informatico deve esserci un sistema di sicurezza, dal computer che regola la distribuzione di energia elettrica all’app per smartphone con cui accendo le luci in casa”.

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L’Alumna Valentina Sumini nominata “Ambasciatore del Design Italiano”

Valentina Sumini, Alumna e Visiting Professor del Politecnico di Milano, è stata nominata “Ambasciatore del Design Italiano per il 2021”. Il titolo le è stato conferito a Washington durante la quinta edizione dell’Italian Design Day, promosso dall’Ambasciata italiana per celebrare il design e la creatività italiana nel mondo.

PROGETTARE PER LO SPAZIO

“Sono sempre stata affascinata dallo spazio e già da studente del Politecnico mi ero potuta cimentare nell’affrontare un progetto per la creazione di un’infrastruttura ricettiva sulla Luna. Il mio desiderio è quello di riuscire a progettare una struttura che permetta all’uomo di diventare una specie multiplanetaria, dove la Terra sarà sempre il nostro pianeta madre” ha raccontato Sumini a Forbes.

Valentina Sumini
Credits: TEDx Talks

Secondo l’architetta, proprio per la sua naturale propensione al viaggio la specie umana è destinata a diventare multi-planetaria, e le prime tappe non possono che essere la Luna e Marte. Per questo è importante essere preparati: si tratta infatti di arrivare su altri pianeti e restarci, e di conseguenza progettare soluzioni abitative è di primaria importanza.

“Il punto fondamentale da cui partire, – dichiara l’Alumna al Sole24ore –  è considerare bene la differenza fra l’ambiente in cui viviamo e ci siamo evoluti e gli altri due che consideriamo. Qui da noi la gravità è determinante, addirittura il nostro corpo è modellato da millenni e millenni di azione della gravità sulle nostre ossa, sistema venoso e dell’equilibrio. Se parliamo invece di Luna e Marte scendiamo a 1/6 per il nostro satellite e a 1/3 circa per il Pianeta Rosso. Una persona di 60 chili ne pesa solo 10 sulla Luna e circa 20 su Marte, per avere un’idea. Il problema, quindi, non è l’azione verticale costante della gravità, che in pratica spinge verso il basso anche gli edifici, ma si sposta verso i problemi dati dalla differenza di temperatura e pressione atmosferica e dalla presenza o meno di radiazione nociva all’essere umano.”

DESTINAZIONI: STAZIONE SPAZIALE – LUNA – MARTE

Progettare per lo spazio per gli architetti come Sumini significa pensare a tre stadi diversi: il primo è il più “vicino” a noi, a 400 chilometri dalla Terra, e consiste nel mandare in pensione la Stazione spaziale internazionale – il più grande manufatto costruito ad oggi nello Spazio – per trasformarla in un albergo, da costruire proprio sullo scheletro dell’ISS. Attorno al nucleo centrale sono state progettate 12 camere realizzate in tessuto super resistente ma anche leggero, per potere arrivare in orbita più facilmente, piegato.

Il secondo stadio prevede la realizzazione del progetto Moon Village, l’insediamento sulla Luna di un villaggio formato da piccole abitazioni, ciascuna pensata per quattro ospiti, realizzate anche con materiali locali, come la regolite. La criticità principale della Luna è la scarsità d’acqua, che è presente in zone limitate; per questo le “case” saranno costruite in una regione al Polo Sud del Satellite, in una zona con più disponibilità di acqua, di energia solare e con vista costante sulla Terra.

“Mai come ora è necessario, quasi urgente, sviluppare una visione architettonica su un possibile insediamento lunare “permanente” che recuperi quello spirito e dia linee guida e prospettive di condivisione e di sviluppo pianificato, quindi un vero e proprio masterplan in cui aree residenziali, infrastrutturali e produttive evolvano secondo una filosofia unitaria, un po’ come se ci si rifacesse al concetto delle “città ideali” teorizzato tante volte in passato, dal Palladio a Le Corbusier” ha aggiunto l’architetta sul Corriere Innovazione.

moon village
Credits: forbes.it

L’ultimo stadio è l’insediamento su Marte: per questo è stato scelto un cratere in una zona depressa del pianeta, che garantirebbe una maggiore densità dell’atmosfera e più acqua nel sottosuolo e un minor livello di radiazione. La gran parte dei locali come case, uffici, palestre e uffici saranno sottoterra, sotto delle cupole trasparenti.

Credits header e home: forbes.it

Oro olimpico e record del mondo: nel ciclismo italiano un po’ di Politecnico

La squadra maschile di inseguimento su pista formata dai ciclisti Filippo Ganna, Simone Consonni, Francesco Lamon e Jonathan Milan ha vinto la medaglia d’oro e stabilito un nuovo record del mondo (3:42.032) in una gara all’ultimo secondo. l’Italia ha vinto con una rimonta mozzafiato di oltre mezzo secondo di svantaggio, come racconta Il Post, “tirata” da Ganna e strappando l’oro ai campioni in carica della squadra danese.

Record del mondo e 30° medaglia conquistata per l’Italia durante queste Olimpiadi: un’“impresa epica per un titolo olimpico nell’inseguimento che mancava da più di 60 anni”, riporta la Gazzetta, che continua sottolineando i progressi “impetuosi” fatti da questo gruppo negli ultimi anni.

UN SUCCESSO ITALIANO E POLITECNICO

L’impresa del C.T. Marco Villa e della squadra italiana passa anche per il Politecnico di Milano, in particolare passa dalla Galleria del Vento, il grande laboratorio di ricerca di cui vi abbiamo raccontato su MAP 6 a pagina 40. “Per preparare al meglio le Olimpiadi di Tokyo, i quartetti dell’inseguimento su pista maschile e femminile sono venuti in Galleria del Vento per ottimizzare le prestazioni dal punto di vista aerodinamico, verificando i materiali e la posizione in sella. Le prove sono state fatte in stretta collaborazione con i commissari tecnici FCI e l’istituto di scienza dello sport del CONI”, commenta il prof. Marco Belloli, docente del Dipartimento di Meccanica che nel video qui sotto racconta il “behind the scene” di uno dei laboratori di ricerca più straordinari al mondo, la Galleria del Vento del Politecnico di Milano, di cui è direttore scientifico.

Le prestazioni aerodinamiche sono determinanti negli sport che sono caratterizzati da alte velocità perché permettono di guadagnare secondi preziosi. Nel corso degli anni, oltre all’Italia Olimpica dell’inseguimento su pista, alla nostra Galleria del Vento hanno provato campioni come Elia Viviani, Oro Olimpico a Rio, Alex Zanardi con la sua handbike, la campionessa slovena di sci Tina Maze, il campione olimpico di slittino Armin Zoeggeler e Luna Rossa.

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Laboratorio di crash test al Politecnico di Milano, dalle moto agli aerei

Nel Campus Bovisa, cuore della storica zona industriale della città di Milano, c’è un laboratorio unico al mondo: LaST, il Laboratorio Sicurezza Trasporti del Politecnico di Milano, sorge in un vecchio edificio industriale appartenuto alla Ceretti e Tanfani e fa parte del dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali.

Come racconta focus.it in questo video, all’interno del LaST i ricercatori studiano come ridurre il rischio di lesioni per gli occupanti di un mezzo di trasporto, dalle automobili ai treni e persino agli elicotteri.

Le attività del laboratorio si occupano di sicurezza passiva e attiva. Il Poli è uno dei pionieri del campo fin dagli anni ‘60 e la storia di LaST inizia proprio in quegli anni, come il primo laboratorio di crash test a livello accademico in Italia.

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Credits: polimi.it

I ricercatori e gli studenti che gravitano intorno a LaST si occupano di valutare il comportamento delle strutture durante un impatto, dal singolo componente a veicoli o velivoli in scala reale, di modellazione di eventi catastrofici e del comportamento del corpo umano. Per esempio, si fanno prove di assorbimento di energia su oggetti accelerati e poi distrutti dinamicamente per valutarne il comportamento durante l’urto; prove in decelerazione per le componenti che non sono coinvolte direttamente nell’impatto ma che ne ricevono gli effetti, come i sedili delle auto; o anche prove di bird impact, rischio sempre più grave vista la crescita del traffico aereo.

Questo tipo di attività di ricerca al Politecnico di Milano si avvale anche della collaborazione di moltissime imprese nel settore dei trasporti, per progetti condivisi che vanno dalla progettazione alla certificazione di prodotti che poi entrano in circolazione sulle nostre strade e nei nostri cieli.

Il MAP è la rivista degli Alumni del Politecnico di Milano. Sfoglia la rivista e scopri gli altri laboratori del Politecnico di Milano..

Credits Header e Home: Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali

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Mestieri del futuro: architetti e scenografi virtuali secondo Mario Taddei

Alumnus in disegno industriale a indirizzo multimediale, Mario Taddei è uno dei primi designer al mondo ad aver preso la strada della realtà virtuale. “Nel 1998 feci la tesi su uno dei primi caschi virtuali: volevo ricostruire il Castello Sforzesco così com’era al tempo di Leonardo da Vinci, ma era ancora fantascienza, la tecnologia non era pronta. I caschi facevano venire il mal di testa e la risoluzione delle immagini era ancora deludente rispetto alle aspettative delle persone”.

Vent’anni dopo, la tecnologia ha recuperato terreno e Taddei è di nuovo uno dei primi designer al mondo a realizzare una postazione per la realtà virtuale in un museo: si trova in piazza della Scala a Milano, al museo di Leonardo 3, di cui Taddei è stato curatore e co-founder.

Mario Taddei
Credits: Mario Taddei

“Adesso i caschi sono leggeri e user-friendly. Possiamo vedere le cose in risoluzione molto alta, in fotorealismo e possiamo quindi davvero realizzare i musei virtuali in esperienza immersiva. Nelle mostre che realizza, per la prima volta, è possibile per esempio visitare la scena dell’Ultima Cena ricostruita così come doveva essere al tempo di Leonardo da Vinci: il visitatore mette il casco e improvvisamente si ritrova nel 1500, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie, può muoversi al suo interno e osservarne le parti che oggi non esistono più, come il soffitto e le pareti laterali che Leonardo aveva dipinto”.

MEGLIO CHE DAL VIVO

Taddei si occupa di ricerche storiche e divulgazione tramite realtà virtuale, a cavallo quindi tra storia e tecnologia: “Studiare e ricostruire la storia con la realtà virtuale ci permette di fare un viaggio indietro nel tempo per vedere e toccare con mano cose che oggi non esistono più”, continua, mentre racconta la sua ricostruzione della Battaglia di Anghiari e del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio a Firenze, presentato in occasione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci. Su spunto del governo cinese, Taddei sta anche lavorando alla ricostruzione una sezione della Città Proibita.

“La Città Proibita, lo dice il nome stesso, è un luogo visitabile solo dall’esterno: gli interni sono chiusi ai turisti. La realtà virtuale permetterà di entrarci, ammirare l’architettura cinese antisismica dell’anno 1000 e i suoi meravigliosi incastri; non solo, con il manipolatore VR, si potranno toccare e maneggiare manufatti che oggi sono assolutamente inaccessibili. Per la prima volta, il visitatore li può prendere in mano, ruotare, portarseli davanti agli occhi, persino romperli, se vuole. L’unica cosa che batte la realtà virtuale è andarci di persona, e neanche sempre: in VR puoi interagire con l’artefatto in modi che dal vivo non sarebbero possibili”.

NUOVE PROFESSIONI PER MONDI VIRTUALI

Quello dei musei virtuali, e della realtà virtuale in generale, è un mondo in espansione e apre la strada a molte professioni completamente nuove: designer, programmatori, architetti, scenografi specializzati in VR, esperti di modellazione.

Il lavoro che sta dietro a questa tecnologia è estremamente complesso e i dispositivi non sono semplici da usare, per un utente poco esperto: ci vogliono tecnici specializzati che personalizzino ogni utilizzo. “Per ora si vede solo in qualche museo. Ma non è lontano il giorno in cui chiunque possieda un visore potrà comprare su uno store online una visita virtuale alla Città Proibita, al Louvre, agli Uffizi, alla Stazione Spaziale Internazionale, senza coda e con la possibilità di fare esperienze inimmaginabili dal vivo. Siamo molto vicini, questione di al massimo un paio d’anni”.

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Credits: Mario Taddei

L’arte virtuale è il campo di studi d’elezione di Taddei, che ha pubblicato in proposito il saggio “Leonardo da Vinci è morto!”, appena uscito su Amazon. Parla di arte digitale e NFT, un quadro divulgativo su questa tecnologia dalle potenzialità disruptive nel mondo dell’arte digitale.

“Le stesse problematiche che affrontavano sia Michelangelo che Leonardo sul concetto (assurdo e a volte paradossale) di copyright sono ancora più attuali nel mondo digitale. Il libro vuole far riflettere sul fatto che gli artisti del passato sono morti e sono a quelli contemporanei che un investitore dovrebbe guardare; e, proprio come i nostri antichi maestri utilizzavano il massimo della tecnologia a loro disposizione, anche gli artisti di oggi fanno lo stesso”.

IL CUCCHIAIO NON ESISTE… MA A NOI SERVE LO STESSO!

Taddei sarà uno dei primi a esplorare il nuovo mestiere di curatore d’arte virtuale: “I miei studi politecnici mi tornano utili ancora una volta, in particolare quelli di usability, ergonomia e propriocezione. Non posso mandare un utente qualsiasi in un ambiente a cui non è abituato. Facendo l’esempio del museo virtuale, come ti muovi tra le varie stanze? Cammini o ti teletrasporti schiacciando un pulsante? Di per sé, l’ambiente virtuale non ha bisogno di regole fisse: non servono pavimenti, luce naturale, la fisica può essere ingannata. Ma il nostro corpo, invece, ne ha bisogno, altrimenti sta male, prova nausea, vertigini, persino panico. Tutto è possibile, ma non tutto è tollerato dal sistema nervoso. Per rendere la realtà virtuale usufruibile da tutti, bisogna applicare le regole del mondo fisico a cui siamo abituati. Vale anche per la possibilità di fare viaggi, esperienze, lezioni virtuali a distanza indistinguibili dall’esperienza reale”.

Taddei realtà virtuale
Credits: Mario Taddei
DALLA PROGETTAZIONE ALL’ARTE

Taddei è anche un artista digitale: “L’opera a cui sono più affezionato ha un carattere digitale tutto suo. Non è come le altre… vive da 16 anni!”. Sponge, creata nel 2004, è una forma dinamica digitale le cui strutture geometriche si modificano su tre piani di simmetria.

“La sua forma originale risiede in una quarta dimensione (temporale) e si manifesta proprio come farebbe un oggetto tetradimensionale nel nostro spazio 3D, assumendo cioè diverse forme nel momento in cui attraversa i suoi piani di simmetria”.

Vive, insomma, nelle intenzioni dell’artista, all’interno di un software. “Ci sono affezionato perché si potrebbe considerare la più antica forma d’arte digitale vivente ad oggi, vive in un pc da 16 anni. Anche se ogni tanto salta la corrente, lei ritorna in vita da dove la avevo lasciata. Nel 2006 è stata pubblicata su diverse riviste d’arte e nel 2013 è stata esposta in diverse gallerie d’Italia sia in forma digitale sia reale, attraverso la stampa 3D. Nel 2021 è diventata un NFT ed è entrata nel museo Virtuale Neoart3”.

Le sue opere sono esposte in tutto il mondo: per esempio il museo d’arte contemporanea Yellow Box Art a Quingdao, in Cina, gli ha dedicato un’intera sezione: “Non ci sono mai stato fisicamente e questa è anche una delle tante rivoluzioni che il digitale ci insegna. Ho trasferito le mie opere digitali, immagini, modelli 3d e video via internet. Il museo le ha stampate e sistemate in un allestimento che ho curato stando comodamente seduto nel mio laboratorio in Neoart3, dall’altra parte del globo”.

“Oggi lavoro come architetto curatore di mostre e musei virtuali e collaboro con uno dei grandi galleristi di Milano, Deodato, con il quale stiamo preparando in anteprima mondiale una mostra virtuale che presenteremo ad ottobre e che collegherà arte e tecnica, passato e presente con la tecnologia odierna della realtà virtuale”.

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Regione Lombardia e Politecnico di Milano, accordo da 4 milioni

Ricerca e tecnologia a supporto della competitività delle imprese, questo il focus dell’accordo siglato da Politecnico e Regione Lombardia, che punta sullo sviluppo di ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico nell’ambito del programma di interventi per la ripresa economica. L’accordo svilupperà tre macro-obiettivi con investimenti sulla ricerca di frontiera e sullo sviluppo di infrastrutture all’avanguardia. Vediamoli.

UNA RETE DI COMUNICAZIONE VELOCE E CRIPTATA A MILANO

Il progetto POLIQI – POLItecnico Quantum Infrastructure, a partire dalle fibre ottiche di telecomunicazioni standard già installate nel territorio, intende realizzare una rete di comunicazione quantistica ancora più veloce e in grado di trasmettere dati con livelli di sicurezza inviolabili, con possibili applicazioni in ambito finanziario, amministrativo, sanitario e di intelligence. La ricerca servirà anche a sperimentare nuove soluzioni di cifratura grazie a chiavi quantistiche intrinsecamente sicure.

L’accordo prevede inoltre un focus sulla “manifattura avanzata” su due fronti, life sciences e green deal.

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BIOSTAMPA 3D PER LA MEDICINA

Il Politecnico si doterà di una delle prime installazioni su scala mondiale di un sistema di biostampa 3D multifotone per tessuti vascolarizzati, primo passo verso la stampa di tessuti organici per la ricerca in medicina e farmacologia. Negli ultimi anni l’Ateneo sta portando avanti diversi progetti a supporto delle Scienze della Vita (ne abbiamo parlato in diverse occasioni su MAP), impegno che si è tradotto anche nella creazione di un nuovo corso di Laurea Magistrale (Medtech, in collaborazione con Humanitas) volto a formare la nuova figura professionale del medico-ingegnere (info qui, a pag. 22).

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Credits: Regione Lombardia
NANOMATERIALI E IDROGENO PER LA TRANSIZIONE ENERGETICA

La collaborazione punta inoltre a potenziare le infrastrutture di ricerca per lo sviluppo di materiali innovativi e sostenibili al servizio del comparto manifatturiero anche in ottica di soluzioni innovative per l’energy storage e la transizione energetica: al centro degli studi ci saranno la prototipazione e il testing di innovativi dispositivi elettrochimici per la conversione e l’accumulo di energia, in particolare batterie e celle a combustibile ad idrogeno. Per la progettazione dei nanomateriali che saranno utilizzati, il Politecnico si doterà di uno dei laboratori ai raggi X tra i più attrezzati di Europa.

polimi facciata
UN LINK TRA RICERCA E MONDO PRODUTTIVO

L’intesa prevede uno stanziamento complessivo 4.163.400 euro, di cui 1.687.500 euro saranno finanziati da Regione Lombardia, il resto dal Politecnico di Milano. “Vogliamo sostenere i nostri atenei e promuovere le loro esigenze al fine di garantire una sempre maggiore competitività del territorio, anche attraverso la sperimentazione di nuove tecnologie”, commenta l’assessore all’Istruzione, Ricerca, Università, Innovazione e Semplificazione Fabrizio Sala. “Questi investimenti – ha aggiunto Sala – sono infatti mirati allo sviluppo di soluzioni che abbiano una ricaduta concreta e che leghino sempre di più il mondo universitario con quello produttivo”.

Secondo il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, “La ricerca avanzata come motore dello sviluppo del territorio lombardo: grazie all’accordo con Regione Lombardia, frutto di un’interazione costante tra istituzioni, dotiamo Milano e il suo indotto di infrastrutture competitive. Un vantaggio non solo per l’università, grande laboratorio di idee e di sperimentazione, ma per il tessuto socio-economico”.

ARTERY: robot e realtà aumentata nel futuro degli interventi cardiovascolari

Il Politecnico di Milano, con la collaborazione della Fondazione Politecnico di Milano e dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ha dato vita ad ARTERY (Autonomous Robotics for Transcatheter dEliveRy sYstems), un progetto H2020 finanziato dalla Commissione europea che si occupa di ricerca nel campo delle malattie cardiache strutturali.

L’obiettivo di ARTERY è creare una piattaforma robotica che sfrutti l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata per implementare il trattamento non invasivo delle malattie delle valvole del cuore.

COME FUNZIONA ARTERY?

Il progetto ARTERY mira a sviluppare nuovi sistemi di guida e monitoraggio e sistemi capaci di formare e supportare gli operatori, rendendo gli interventi più sicuri ed efficaci per il paziente ed eliminando l’uso dei raggi X.

I medici in training riusciranno, grazie all’utilizzo della realtà virtuale, a sperimentare gli interventi cardiovascolari in simulazione, riducendo così notevolmente lo stress e migliorando l’approccio agli interventi. In questo modo il medico non impara direttamente sul paziente ma sul simulatore, in sicurezza e azzerando i rischi.

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Credits: tecnicaospedaliera.it

ARTERY prevede la creazione di una piattaforma robotica che semplificherà le procedure percutanee (ovvero le procedure in cui le strutture malate sono riparate o sostituite impiantando uno o più dispositivi nel cuore tramite un catetere inserito da un piccolo accesso periferico) e che eliminerà l’uso dei raggi-X intra-operatori; il sistema sarà inoltre semi-autonomo e le decisioni, che saranno guidate dall’intelligenza artificiale, verranno sempre condivise e concordate con l’operatore umano.

Il progetto Artery introdurrà due grandi innovazioni che avranno un importante impatto sulle operazioni cardiache: – afferma Emiliano Votta, Alumnus e professore associato del Politecnico di Milano – il telecontrollo dei robot attraverso l’intelligenza artificiale e la realtà aumentata, e quindi la possibilità di gestire operazioni complesse in modo intuitivo e potenzialmente da remoto, e l’uso di cateteri sensorizzati, che permetteranno più controllo e precisione nei movimenti del catetere dentro il corpo del paziente. Queste innovazioni renderanno gli interventi percutanei sul cuore più semplici da imparare e da eseguire, e più sicuri per pazienti e operatori.”

Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, il Politecnico di Milano unisce le proprie competenze con quelle dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, che fornisce la guida clinica nello sviluppo, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che si occupa della sensorizzazione del sistema, dell’università Cattolica di Leuven, che si occupa dell’attuazione robotica dei cateteri e di tre aziende che contribuiranno alla traslabilità della ricerca: FBGS, esperta di sensori a fibre ottica, Artiness, esperta di realtà aumentata applicata al mondo medicale, e Swissvortex, esperta di tecnologie transcatetere.

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Politecnico di Milano: il migliore d’Italia secondo Censis

Il Politecnico di Milano si conferma la migliore università italiana per la sua categoria con il punteggio di 93,3 punti. A dirlo è Censis, che ogni anno stila una classifica dei migliori atenei del nostro Paese.

L’analisi delle università, suddivisa tra atenei statali, non statali e politecnici e a seconda delle dimensioni, prende in esame diversi parametri, tra i quali anche le strutture dei campus, i servizi erogati, il numero di borse di studio in favore degli studenti, il livello di internazionalizzazione, la comunicazione, i servizi digitali e l’occupabilità a un anno dal titolo.

Questa classifica conferma il trend positivo che vede il Politecnico come eccellenza nel panorama universitario italiano: secondo il QS Ranking, il nostro Ateneo è la prima università italiana nella classifica generale e anche in quelle per ambiti disciplinari; nell’ambito dell’Employer Reputation, cioè l’opinione che i datori di lavoro hanno degli Alumni, il Politecnico è al 67° posto nel mondo.

Anche l’indagine occupazionale condotta sui laureati politecnici magistrali italiani ha confermato gli ottimi risultati: il 96% dei laureati ha un lavoro a un anno dalla laurea, il 99% dichiara di averlo cinque anni dopo il conseguimento del titolo.

IMMATRICOLAZIONI IN CRESCITA

Censis nel suo report dichiara che le iscrizioni all’università in Italia sono aumentate del 4,4% nel 2020, smentendo le previsioni che ipotizzavano un calo delle immatricolazioni dovuto alla pandemia.

Anche al Politecnico di Milano si conferma questo andamento positivo: gli immatricolati nell’anno accademico 2021/2022 sono stati 15.413 (5.442 donne; 9.971 uomini), contro i 12.811 dell’anno precedente (4.497 donne; 8.314 uomini). Questo dimostra la tenuta del Politecnico di Milano che, di fronte all’emergenza pandemica, ha consolidato e potenziato prassi già in atto per garantire, nonostante il distanziamento sociale, l’accesso alle attività formative online e offline durante gli ultimi 18 mesi.

Per approfondire: leggi l’intervista al prof. Lamberto Duò, delegato del rettore alla Didattica e all’Orientamento, sull’ultimo numero di MAP (pag. 14)
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L’Alumna Regina De Albertis è la prima donna a guidare l’Associazione Costruttori

Regina De Albertis, Alumna in Ingegneria Edile, è stata eletta presidente di Assimpredil Ance, l’Associazione delle Imprese Edili e Complementari di Milano, Lodi, Monza e Brianza.

De Albertis, che lavora nell’impresa di famiglia Borio Mangiarotti spa, di cui è direttore tecnico e consigliere delegato, è la prima donna a coprire questo ruolo e lo farà per i prossimi quattro anni.

“Ho scelto di accettare questa sfida, candidandomi alla guida dell’associazione perché in questo momento, così cruciale per le nostre imprese e per il territorio, dobbiamo lavorare insieme per costruire il nostro futuro ed innovare la nostra filiera, orgogliosi di essere costruttori e protagonisti della ripresa economica” ha dichiarato la nuova presidente.

regina de albertis
Credits Assimpredil Ance Milano Lodi Monza e Brianza

L’obiettivo sarà rimettere il territorio al centro delle strategie del Sistema Italia, perché al settore edile è affidata la riuscita del Pnrr: si tratta di una sfida che porterà “il Paese verso una vera rinascita in senso sostenibile, con un patto di fiducia tra generazioni, tra società civile e politica, tra economia e amministratori della cosa pubblica”.

L’affiancheranno, oltre a una squadra di  Vicepresidenti e un Tesoriere, anche i quattro coordinatori dei Consigli di Zona, che assicureranno all’Associazione il presidio dell’area metropolitana di Milano e delle province di Lodi e Monza Brianza, per facilitare il dialogo tra Istituzioni e stakeholder.

“La rigenerazione urbana guiderà la trasformazione green del Paese – continua De Albertis – perché dalle città può nascere un nuovo modello di sviluppo che consenta di trasformare il territorio invertendo tutti i parametri di consumo delle risorse, parametri che per secoli sono stati alla base dei modelli di crescita. La visione per il futuro deve prevedere la costruzione di alleanze di filiera in grado di affermare un nuovo modello di relazioni tra le componenti produttive, ma anche tra la filiera e la comunità. Oggi gli interventi sul costruito devono generare valore ambientale e sociale per le generazioni future”.

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Cini Boeri: nel 2021 l’Alumna politecnica avrebbe compiuto 70 anni di laurea

Cini Boeri si laureava nel 1951. Nel 2015 l’abbiamo incontrata tra le sue opere, alcune più anziane di chi scrive, per raccontare i suoi oltre 60 anni di carriera attraverso una delle sue ultime mostre monografiche: “Progettando la gioia”. Ricordiamo la celebre architetta viaggiare con occhi sognanti e con ironia attraverso i suoi lunghi anni e attraverso la storia dell’architettura e del design del ‘900, mentre rispondeva alle domande degli Alumni:

cini boeri
foto Maria Mulas

AP: Cini, lei si è laureata nel 1951, poi ha aperto molto presto il suo studio, nel ’63. La sua carriera è decollata tra progetti, insegnamento, ricerca, fino a questa esposizione, “Progettando la Gioia”, una sorta di compendio della sua vita professionale.

CB: Sì, non ho dovuto aspettare molto, dopo la laurea, per iniziare a lavorare. Da Gio’ Ponti sono rimasta solo un anno. È stato lui spingermi verso la professione. Mi diceva: “Tu, coi colori che fai, devi fare l’architetto!”. Poi sono andata da sola. Avevo una segretaria e ogni tanto qualche stagista a fare pratica.

AP: Durante un’intervista, ha dichiarato che una buona parte del suo lavoro consiste nel progettare oggetti di uso comune, con lo scopo che non siano posseduti bensì utilizzati. L’utilizzo degli oggetti e il rapporto con lo spazio può essere una fonte di gioia. Cosa significa?

CB: Quando progetto una casa per una coppia di coniugi, ad esempio, propongo sempre di inserire una stanza in più. Loro mi chiedono sempre: “per gli ospiti?”. Ma no! Non per gli ospiti. Perché se una sera uno ha il raffreddore può andare a dormire in un’altra stanza, per esempio. Uno dovrebbe poter scegliere, sapere che può andare a dormire con il proprio compagno, ma che può anche decidere di non farlo, senza che questo pregiudichi la vita di coppia. Credo sarebbe molto educativo insegnare i giovani che quando si uniscono in coppia non è obbligatorio dividere il letto, è una scelta. È molto più bello.

AP: Quindi secondo lei si possono usare gli spazi quotidiani per educare le persone a diversi modelli di vita?

CB: Esattamente! Certo.

Serpentone cini boeri
foto archivio storico Arflex

AP: In che modo pensa che il suo lavoro possa contribuire a questa educazione della cittadinanza?

CB: Un po’, la società matura per conto suo. Oggi le persone sono più autonome e indipendenti. È un processo in atto. Io, nella mia veste di architetto, posso proporre dei modi alternativi di abitare e vivere gli spazi, agevolando un processo di emancipazione già in atto e promuovendo ovunque possibile la libertà di scelta.

AP: Parlando della sua opera, parole che emergono spesso sono quelle di un approccio democratico all’architettura e al design. Cosa significa? Quali sono i suoi padri intellettuali?

CB: È il Politecnico che ci ha abituati così. Abbiamo avuto un insegnamento molto aperto, non so se oggi sia ancora così!

AP: Ci racconta qualcosa degli anni del Poli?

CB: Ecco… si discuteva abbastanza. Io arrivavo con delle idee già maturate sull’autonomia e la responsabilità reciproca: già allora pensavo che fosse importante mettere il focus su libertà degli individui, e i miei progetti hanno sempre cercato di concretizzare questo principio. Per cui si discuteva! Perfino oggi, è difficile che queste idee vengano accolte come proposte serie. Quella della camera da letto in più, ad esempio, viene presa come una minaccia al matrimonio! Ma non è così. Imparare a pensare per conto proprio favorisce il benessere della coppia, non lo minaccia.

AP: Con chi discuteva? Con gli insegnanti?

CB: non necessariamente. I professori erano di ampie vedute. Mi ricordo, ad esempio, del prof. Renato Camus (immagino oggi non ci sia più!): sempre orientato verso la modernità, verso nuovi modi di vivere. Ma il modello famigliare era ancora molto tradizionale e gerarchico. La libertà non era sempre considerata uno strumento accettabile.

AP: Uno strumento?

CB: La libertà è uno strumento, in senso allargato. Ad esempio, quando un bambino impara a fare qualcosa da solo, acquisisce al tempo stesso la responsabilità di doverlo fare e la libertà di poterlo fare.

AP: Lei ha avuto e ha tuttora molti collaboratori più giovani. Cos’è cambiato negli architetti, nei 60 anni della sua carriera?

CB: C’è più libertà d’azione, più possibilità di scegliere e più consapevolezza. Questo dipende sia dall’evoluzione generale della società, sia dal fatto che oggi la professione è meglio riconosciuta, è diventata un valore culturale oltre che estetico. Ai miei tempi, l’architetto era visto un po’ come il decoratore, non come quello che rende funzionale uno spazio, e quell’approccio ci toglieva il nostro valore principale, la funzionalità. La funzionalità è un invito a vivere lo spazio in un certo modo, invece che in un altro: nel mio caso, un invito a togliere le dipendenze, a promuovere l’autonomia e la riflessione. Progettare per la funzionalità è progettare per la gioia.

cantina pieve vecchia
foto Cantina Pieve Vecchia

AP: Lei però non ha progettato solo spazi, ma anche oggetti di design. Un tempo architettura e design non erano due discipline separate, mentre oggi vengono insegnate, al Poli, in due diverse facoltà. Qual è il rapporto che le lega?

CB: È un rapporto molto stretto. Il motivo sottostante un progetto, che sia di un mobile o di un locale, è sempre la funzionalità. La fisionomia dello spazio è legata alla sua funzione d’uso. Lo stesso vale per il design. Gli oggetti devono aiutare a vivere lo spazio, non occuparlo.

AP: Sempre a proposito del rapporto tra le varie discipline di matrice politecnica, le riporto una recente dichiarazione di Renzo Piano: “Negli anni del Poli crebbe in me l’idea che quelli dell’Architetto e dell’ingegnere siano lo stesso mestiere”. È un invito a riflettere sulle cose che ci legano in quanto Alumni Polimi, invece che su quelle che ci dividono. Cosa ne pensa?

CB: [ride] Per certi versi è vero! Cioè, non sono la stessa cosa, ma un progetto non si realizza senza la collaborazione dell’uno e dell’altro. Sono due mestieri molto vicini e devono collaborare. Non sono la stessa cosa perché all’ingegnere manca una cosa: il focus sulle necessità della persona. Insomma, se io devo progettare un appartamento per una famiglia, vado a conoscerla, passo del tempo con loro, cerco di entrare nelle loro dinamiche famigliari.

AP: Qual è l’elemento portante del rapporto tra lei e il suo committente?

CB: La comunicazione e la fiducia, che deve essere reciproca. Non sempre quello che io propongo è quello che il committente si aspetta. Non sempre ci si capisce al volo. Ad esempio, quella storia della camera in più, talvolta, mi ha fatto passare per una “killer dei matrimoni” [ride]. Ma non è così! Io, come architetto, devo saper ascoltare e interpretare loro necessità. Il committente deve imparare a fidarsi. Di solito funziona!

AP: I suoi committenti sanno quello che vogliono, quando vengono da lei?

CB: No! Vogliono il meglio… [ride], e, di solito, vogliono quello che hanno visto. Una volta mi proponevano i divani in stile ottocentesco, tutti sagome e volute, oggi mi propongono cose astratte che non servono a niente. D’altra parte credono che l’architetto porti la novità in quanto tale. Invece, io voglio portare benefici alla vita! Quindi, bisogna ascoltarsi e venirsi incontro. Alla fine, sono tutti sempre molto soddisfatti.

AP: Lei ha dichiarato in un’intervista che un progetto nasce, per dirlo con parole politecniche, da un processo di analisi e sintesi. Me lo spiega meglio?

CB: Il momento di analisi è quello dell’ascolto, in cui, come ho spiegato, imparo a conoscere il committente. Il momento di sintesi è quello creativo, che è altrettanto importante. Noi proponiamo il nuovo, che è frutto della creatività, ma non lo proponiamo in modo indiscriminato: deve avere un posto e una funzione chiara nella vita delle persone.

AP: È una “creatività controllata”?

CB: In un certo senso… ad esempio, se devo fare una sedia non butto lì la prima cosa che mi viene in mente, sarebbe una stupidata. Invece, penso a come ci si siede, a come le diverse forme del corpo umano possono avere il sostegno giusto. La forma del corpo determina la linea interna di un sedile, punto di partenza del progetto. La funzionalità dirige la creatività.

AP: Cos’è per lei l’innovazione?

CB: È ciò che avvicina un progetto al committente, alle sue necessità. Che sono personali. Per evitare di riproporre sempre gli stessi schemi, l’architetto deve essere in grado di personalizzare il progetto. Deve conoscere il committente. E per conoscerlo deve avere un modo facile e diretto di comunicare.

AP: Quindi la comunicazione è un fattore chiave per l’innovazione?

CB: Esatto.

AP: Perché ha scelto la strada dell’architetto?

CB: Ah, questa è una domanda difficile! Non le so rispondere. Forse il momento determinante è stato durante la Resistenza, in montagna, quando conobbi De Finetti. Inizialmente mi diceva che ero una ragazzina, e che l’architetto era un mestiere da uomo. Poi, però, mi portava a fare delle passeggiate, mi faceva vedere delle case, mi chiedeva cosa ne pensassi. E alla fine mi disse che forse ero abbastanza seria per diventare architetto. “Ricordati che è una cosa seria”, mi diceva, “non un gioco”.

cini boeri casa nel bosco
Casa nel bosco, 1969 (foto Matteo Piazza)

AP: Mi racconta qualcosa degli anni della Resistenza?

CB: Ah, sì. L’ho fatta in pieno, con molto entusiasmo e molta buona volontà. Ero giovane! Siamo partiti dalle cose più banali, come portare la corrispondenza ai ribelli in montagna. Poi le cose si sono fatte serie. Alla fine abbiamo guidato le truppe partigiane.

AP: Non aveva paura?

CB: No, ero molto appassionata. La mia gioventù è stata determinata dall’anti-fascismo, che per fortuna era vivo nella mia famiglia e nei nostri amici. Ero già politicizzata, in un certo senso, con una sensibilità sul contesto sociale e le sue manifestazioni. Era tutto molto chiaro. L’anti-fascismo ci ha portato alla lotta e la lotta ad essere gli autori della nuova società. Parlo al plurale: non ero da sola, ero circondata dai miei coetanei.

AP: Sapevate cosa dovevate fare?

CB: Sapevamo molto bene che il fascismo andava condannato. Aveva troppi lati contrari al nostro modo di pensare: la propaganda personale, l’autorità, il rapporto autoritario con il lavoratore, eccetera. Sulla negazione di quello che viveva intorno a noi, ci siamo formati e abbiamo cominciato a costruire.

AP: Cos’ha voluto dire essere partigiani?

CB: Era una guerra semplice. Si combatteva sulle montagne, si sparava, si scendeva in città a scambiare documenti e si ritornava su. Ma non era una massa di persone, non era un esercito. Era un modo di essere e di pensare, la nostra natura. E quindi per noi era naturale agire così. A sua volta, la Resistenza ha formato il mio carattere e ha rassicurato i principi trasmessi dalla famiglia.

AP: Quei principi che sono alla base del suo lavoro…

CB: Esatto, l’autonomia, la libertà personale, l’approccio democratico, la responsabilità, il rispetto dell’altro nei rapporti interpersonali… tutti questi valori, che hanno determinato la mia carriera, vengono da lì. Io sono felice della mia professione, ma se dovessi sceglierne un’altra farei l’insegnante, anche alle scuole elementari. Questi sono valori che vanno trasmessi.

AP: Un’ultima domanda e poi la lascio ai suoi ospiti: qual è la lezione più importante che le ha lasciato il Poli?

CB: La serietà. L’architettura è costruire. È disciplina. Quando ero in studio con Gio’ Ponti, lui mi sgridava se trascuravo dettagli come riordinare la scrivania. Mi diceva: “L’architetto non fa questi errori. L’architetto tiene tutto organizzato, in modo che sia ben stabile”.

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La pandemia non ferma gli Alumni del Politecnico di Milano

Tra gli Alumni del Politecnico, circa uno su tre (29%) risulta già assunto alla data della laurea: nell’82% dei casi si tratta di impieghi come lavoratore dipendente (il 94% nel settore privato con il 52% di contratti a tempo indeterminato e 1.549 euro di stipendio medio all’ingresso nel mondo del lavoro). Il 96% è già occupato a un anno dal titolo (98% Ingegneria; 93% Architettura; 88% Design). La percentuale di occupazione sale fino al 99% a cinque anni dalla laurea (99% Ingegneria; 97% Architettura; 97% Design), con il 90% di contratti a tempo indeterminato e stipendio medio di 2062 euro.

Lo certifica l’indagine occupazionale resa nota dal Politecnico di Milano, condotta sui laureati magistrali italiani che hanno conseguito il titolo nel 2015: in totale sono 4.567. Hanno risposto alla survey in 3.490. L’indagine occupazionale 2021 è stata coordinata dal Career Service del Politecnico di Milano, che supporta e prepara gli studenti all’ingresso nel mondo del lavoro, coltivando contatti con le più importanti aziende nazionali e internazionali.

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Per quanto riguarda i laureati magistrali stranieri, l’82% di loro risulta occupato a un anno dal titolo, percentuale che sale al 93% dopo cinque anni dalla laurea. Buona la percentuale di occupazione anche per i laureati triennali del Politecnico che decidono di non proseguire il proprio percorso di studi: l’87% di loro è occupato a un anno dal titolo, il 97% dopo cinque anni, con uno stipendio di ingresso medio di 1.393 euro che sale a 1.830 euro a cinque anni dalla laurea triennale.

“Siamo molto felici di constatare che, nonostante i lasciti della pandemia, l’occupazione dei nostri laureati non subisce flessioni, ma anzi mostra un trend positivo. Una crescita che continua ininterrotta per il Politecnico di Milano e che trova conferma anche a distanza di cinque anni dal conseguimento del titolo”, commenta Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano. “È, questa, la dimostrazione di una formazione capace di rivalutarsi nel tempo e apprezzata dal tessuto produttivo. Una ricetta necessaria per la ripresa. Un investimento per il futuro”.