formula 1 home

4 Alumni che lavorano in Formula 1

È iniziato il mondiale di Formula 1 e per tanti Alumni sono giorni molto intensi. Per i tifosi, naturalmente, per gli appassionati, ma ancora di più per quelli che ci lavorano. Abbiamo parlato con alcuni di loro e concordano su questo: uno degli aspetti più interessanti del lavoro in Formula 1 è il continuo rinnovarsi dei regolamenti e delle tecnologie.

“Creano sempre condizioni nuove, da analizzare e a cui adattarsi al meglio”, commenta Lucia Conconi. Secondo Francesca Gnani, per un progettista può essere uno dei massimi raggiungimenti professionali: “perché ti permette di azzardare e testare nel giro di pochissimo tempo idee nuove”. Per Alberto Taraborrelli, “la vita di un ingegnere è plasmata nel profondo dalla necessità di risolvere problemi e quando la maggior parte di essi viene risolta c’è il rischio di annoiarsi!”. “Io non ho la fortuna di vivere di persona l’atmosfera delle gare”, aggiunge Filippo Giussani, “ma essere sul divano di casa con amici o colleghi e sperare che il tuo lavoro abbia dato i suoi frutti ti tiene con il fiato sospeso: dopo un cambiamento radicale di regolamento, eravamo tutti ansiosi di vedere la macchina in gara”.

Sono stati giorni di grande attesa per tutti, in cui ci si aspetta di vedere i risultati di un anno di lavoro. “La preparazione è molto importante”, commenta Conconi, 51 anni, Alumna ingegneria aerospaziale. Ci racconta che ogni team di Formula 1 ha due anime: “l’anima concentrata sull’evento della pista e l’anima concentrata sullo sviluppo (e quindi un po’ nel medio termine). Nel mio team siamo un po’ l’una e un po’ l’altra e dobbiamo alternare il ritmo in modo armonico”.

Negli ultimi 18 anni, Conconi ha lavorato nel motorsport, nei settori di simulazione, prestazioni, dinamica del veicolo e sospensioni. Oggi è Head of Vehicle Performance in Alfa Romeo F1 Team ORLEN: “sono a capo del dipartimento di Prestazioni Veicolo”, spiega.

“Ci occupiamo di simulare e definire le caratteristiche principali della vettura per la fase di progettazione e sviluppo e di analizzare e ottimizzare le prestazioni quando la macchina è in pista”.

La parte più difficile del suo lavoro, confessa, è anche la più importante: “quando i risultati non sono come vorremmo, quando gli eventi e le richieste si susseguono velocemente, è cruciale mantenere il dipartimento motivato, concentrato sulle priorità, aiutare i colleghi ad affrontare i problemi con calma e metodo”. Logica e metodo arrivano dal Poli, insieme alle competenze tecniche: “Sono molto legata agli anni universitari, il Politecnico non è solo un’ottima scuola. Mi ha dato modo di coltivare la mia passione e imparare da professori eccezionali, nella tecnica, nel metodo di lavoro e nei consigli che ho trovato su come superare alcune difficoltà dal punto di vista umano”.

formula 1 alfa romeo
Credits: Sauber Group

Giussani ha 32 anni, una laurea in ingegneria energetica e un dottorato in scienze ed energie energetiche e nucleari. “Da piccolo volevo fare lo scienziato. Forse questo è anche il motivo per cui ho deciso di fare il dottorato. Però mi sono reso conto che il mondo accademico non fa per me e ho dovuto rivedere i miei piani. Fortunatamente, il mio percorso accademico mi ha consentito di ampliare i miei orizzonti e interessi”.

Oggi ricopre il ruolo di Junior CFD software developer in Aston Martin Aramco Cognizant F1 Team: “sviluppo e mantengo il software con cui si fanno le simulazioni di aerodinamica della monoposto. Fortuna ha voluto che facessi qualcosa di simile durante il dottorato, applicato ai motori a combustione interna ed in particolare agli iniettori.” Ci spiega che il lavoro è diverso ogni giorno: “Un lavoro tecnico presenta sempre le sue difficoltà intrinseche, ma il dottorato mi ha dato il giusto mindset per affrontare problemi mai visti prima”.

Tanto studio, quindi, tenacia e passione sono gli ingredienti per accedere a questo ambiente, insieme a curiosità e una buona comunicazione con il proprio team. “Ma a uno studente consiglierei di fare più esperienze di vita possibili. Lo studio è essenziale ma esistono altre capacità che si sviluppano solo uscendo dalla propria comfort zone”.

aston martin
Credits: motorsport.com

Anche Francesca Gnani in Formula 1 c’è arrivata da poco: “Ho iniziato da un mesetto come Programme Manager in Haas F1 Team per seguire lo sviluppo della macchina che andrà in gara l’anno prossimo. Sono entrata in un momento di fermento per la costruzione della macchina VF22 e per lo sviluppo tecnico dopo i test di Barcellona e Bahrain. Finora non c’è stato tempo né energia da dedicare alla macchina nuova ma cominceremo a breve”.

Il suo lavoro consiste nel gestire i piani di sviluppo dell’intero progetto, dall’emissione dei disegni dall’ufficio tecnico all’arrivo dei pezzi nei tempi stabiliti. 33 anni, Alumna in ingegneria aeronautica, approda in F1 dopo un dottorato di ricerca, un MBA e un’esperienza lavorativa in ambito gestionale.

Il mio percorso ha preso talmente tante direzioni che convergere in F1 è stata più che altro una questione di fortuna”, racconta Francesca che, da bambina, sognava di fare la veterinaria. “Poi al Liceo la mia passione per la matematica mi ha portato a fare una scelta più “razionale”: avevo deciso che volevo diventare pilota di aereo e volevo iscrivermi all’Accademia Aeronautica. Non so ancora dire se per fortuna o per sfortuna, ma mi mancava un centimetro di altezza per entrare: come ripiego mi sono iscritta ad Ingegneria Aerospaziale. Ricordo il momento in cui dissi ai miei compagni di classe che mi ero iscritta al test di selezione del Poli. Una mia compagna commentò letteralmente: “sì… sogna…”. Sono parole che mi continuano a rimbombare in testa ogni volta che devo affrontare una nuova sfida, che puntualmente supero a testa alta”.

Gnani ci racconta un contesto professionale complesso, fatto di tecnica come di fattore umano, in cui occorre avere una visione a 360°: essere in grado di comprendere la natura e l’entità dei problemi e saper gestire le persone.

“Bisogna essere in grado di fare previsioni solide ma sufficientemente flessibili. Ci vogliono sicuramente un po’ di esperienza (che mi devo costruire) e un po’ di capacità innata”.

Francesca ci lascia con un ricordo del Poli: “La consegna a mano dell’ultimo elaborato di gruppo appena 1 minuto prima della scadenza in segreteria la Poli Bovisa. Il tutto dopo una notte di revisione/rilettura, corsa a stampare e rilegare le copie, e guida sportiva tra i viali di Milano verso il Poli con la macchina imbottigliata nel traffico e la fronte che gocciolava. Infine ultimo scatto di corsa uscendo dalla macchina ancora in movimento (guidava la mia compagna di elaborato) e salendo le scale antincendio di corsa per fare il tragitto più breve. Probabilmente, nella mia memoria questo ricordo è stato rielaborato un po’ in stile Hollywoodiano, ma la mia percezione fu proprio quella”.

formula 1 haas
Credits: formula1.it

Taraborrelli ha 30 anni e ha sempre sognato di lavorare in Formula 1. Si è laureato in ingegneria meccanica a indirizzo meccatronica e robotica e del Poli il ricordo più bello è quello del Dynamis PRC, team di Formula Student del Politecnico di Milano.

“Sono entrato nel team alla fine del 1° anno come motorista. Eravamo in 12. Quando sono andato via, dopo la laurea, eravamo in 80. Nell’ultimo anno sono stato direttore tecnico del team che ha costruito la DP8, la macchina portata in gara nei successivi due anni. È grazie alla Formula Student che mi sono appassionato all’elettronica, che ha indirizzato tutte le mie scelte successive. È un’esperienza che consiglio a tutti gli studenti”.

Taraborrelli oggi è Trackside Control Systems Engineer in Alpine F1 Team: si occupa del software a bordo della vettura che gestisce cambio, frizione, freni, differenziale, DRS e volante. Vive in Inghilterra, Brackley, ma nei periodi più intensi viaggia in continuazione per seguire la scuderia. “Questi giorni a ridosso dell’inizio del mondiale sono tra i più duri e difficili dell’anno”, racconta, “specialmente perché le macchine sono così diverse e quindi così sconosciute, il lavoro per comprendere i tratti caratteristici e le risposte alle modifiche è davvero tanto intenso”.

Alberto Taraborrelli
Alberto Taraborrelli

Il cambio regolamentare, spiega, è fondamentale per poter dare l’opportunità di mischiare le carte, con la prospettiva che outsiders della griglia possano trovare una quadra che i top team non hanno necessariamente trovato, ma è anche vero che può causare problemi imprevisti: “non è semplice gestire la pressione nei momenti concitati, quando c’è poco tempo per risolvere un problema che alle volte non hai la piena certezza di sapere da cosa sia causato. Il weekend di gara si vive con tensione, ma anche sempre con positività. In ogni occasione è fondamentale prendere il meglio dal peggio e cercare di voltare a tuo favore le situazioni sfavorevoli. Mai scoraggiarsi!”

taraborrelli
Alberto Taraborrelli

Credits header: Photo by Abed Ismail on Unsplash

compasso d'oro home

10 famosi oggetti politecnici da Compasso d’Oro

Nato nel 1954 dall’intuizione dell’Alumnus Gio Ponti e gestito dall’Associazione Design Italiano (ADI), il Compasso d’Oro negli anni è diventato il massimo riconoscimento italiano nel campo del design nazionale e internazionale.

Sono circa 2300 gli oggetti e i progetti della collezione. Nel corso degli anni la mappatura si è evoluta e oggi copre anche campi non strettamente attinenti al mondo industriale. In occasione dell’Italian Design Day, vi presentiamo una lista di alcuni “made in Polimi”– sicuramente non esaustiva (ma se avete suggerimenti, scriveteceli!) –, grazie al supporto di articoli di Domus, Corriere Living, AD Italia e il podcast “Il design è donna”. Ne abbiamo scelti 10: 8 grandi classici e 2 “new entry” che cercano di rivelarci cosa ci aspetta nel futuro.

I CLASSICI DELLA STORIA DEL DESIGN

1. SEDIA 832 LUISA – 1955 – Successori Carlo Poggi – Alumnus Franco Albini

L’idea di Albini era quella di creare un modello ideale di seduta, identificandone gli elementi essenziali e i possibili utilizzi all’interno della casa. La sedia Luisa fu il risultato di una lunga ricerca dettata dalla necessità di arrivare alla “sostanza della forma” e alla possibilità della produzione in serie, come risposta al boom economico tra gli anni ‘50 e ‘60.

Nella motivazione della giuria del Compasso d’Oro, si legge:

“La Giuria, di fronte alla ragguardevole produzione presentata quest’anno nel campo delle sedie e delle poltrone ha riconosciuto al termine della discussione, l’interesse ed il livello della problematica suscitata dalla sedia disegnata dall’arch. Albini, sia per la soluzione elementare del raccordo gambe – bracciolo – schienale, che per, l’organicità formale degli innesti del materiale, che per gli incastri visibili, che per i problemi produttivi collegati alla intera concezione della struttura.”

2. TELEVISORE DONEY 14 – Brion Vega – 1962 – Alumnus Marco Zanuso e Richard Sapper

II televisore Doney vinse il prestigioso Compasso d’Oro nel 1962 e diventò presto il simbolo di uno stile di prodotti tecnologici attento al design.

TELEVISORE DONEY 14
Credits: ADI Design Museum

Dal sito dell’ADI Design Museum si legge che “Doney 14 è il primo televisore portatile a transistor fabbricato in Europa, dove la disposizione degli organi interni permette la loro inclusione in un volume compatto a tubo, ottenuto con il semplice accostamento di due valve su un bordo visibile. Per questo, la prima serie, ora ricercatissima, viene realizzata in acrilico trasparente, mentre le successive lasceranno posto a una più ampia gamma cromatica. Richard Sapper e Marco Zanuso vincono così il Compasso d’Oro nel 1962, proprio grazie alla forma ricurva inimitabile e al puzzle di componenti interni, tutti contenuti in un’unica scatola. Un’icona del design italiano prodotta da un altrettanto iconico brand, Brion Vega”.

3. SEGNALETICA E ALLESTIMENTO DELLA METROPOLITANA DI MILANO – 1964 – Alumna Franca Helg, Alumnus Franco Albini e Bob Noorda

Il Compasso d’Oro premia non solo gli oggetti, ma anche i progetti. Se durante gli anni al Politecnico vi siete mossi con i mezzi, allora sicuramente la segnaletica della metropolitana vi sarà familiare: ma lo sapevate che ha ricevuto il Compasso d’Oro?

segnaletica metropolitana milano
Credits: ADI Design Museum

 “Il Compasso d’oro 1964 viene attribuito agli architetti Franco Albini e Franca Helg ed al grafico Bob Noorda per le particolari qualità del coordinamento architettonico e dell’organizzazione della segnaletica delle nuove stazioni della Metropolitana Milanese”

si legge sulla motivazione della giuria del premio.

Si tratta del conferimento di un’identità precisa che si traduce in una serie di elementi grafici e di allestimento volti sia a dare un’immagine coordinata della metropolitana milanese, sia a rispondere in modo immediato e intuitivo alle veloci richieste d’informazione da parte degli utilizzatori della stessa, siano essi abituali od occasionali.

4. TELEFONO GRILLO – 1964 – Siemens – Alumnus Marco Zanuso

Il telefono Grillo è uno tra gli apparecchi che maggiormente hanno rappresentato un’innovazione nel campo della telefonia. Simbolicamente antenato del telefono portatile, ha introdotto per la prima volta il concetto di telefonata come momento privato e intimo. Il bilanciamento di tecnica, funzionalità ed estetica decretarono la sua vittoria al Premio Compasso d’Oro nel 1967.

“Progettato da Richard Sapper e Marco Zanuso, Grillo era molto più piccolo, leggero e maneggevole di qualunque altro apparecchio dell’epocacommenta il sito dell’ADI -. Di più: la chiusura a scatto anticipa di trent’anni buoni i primi cellulari analoghi ed è disponibile in diverse colorazioni. La SIP (‘madre’ di Telecom) lo adottò fra gli apparecchi distribuiti ai suoi abbonati, decretandone il successo di pubblico. Il Compasso d’Oro premiò la novità e l’agibilità dell’apparecchio, nonché le innovazioni tecniche e progettuali derivanti dalla riduzione dello spazio, ottenuta senza sacrificarne la funzionalità.”

Nel 1993, divenuto oggetto cult e tra i simboli del design moderno, Grillo è stato esposto al MoMa di New York.

5. LAMPADA DA TAVOLO ECLISSE – 1967 – Artemide – Alumnus Vico Magistretti

Ideata dall’Alumnus Vico Magistretti per Artemide nel 1965, la lampada Eclisse è “un equilibrio all’avanguardia tra forma e funzione, design e utilità”. La base del concetto sta nella sua funzionalità di regolazione dell’intensità della luce attraverso il suo paralume interno rotante che “eclissa” la sorgente luminosa. Infatti, con un involucro esterno fisso e un involucro interno mobile, la lampada può fornire luce diretta o diffusa.

“La Commissione stima che l’oggetto presentato abbia la doppia qualità di un alto valore progettistico-estetico e di una possibile diffusione di massa. Sottolinea inoltre la novità della soluzione tecnica che, con un semplice movimento a schermo rotante, gradua l’intensità dell’erogazione luminosa.”

6. DIVANO STRIPS – 1979 – Arflex – Alumna Cini Boeri

Alla fine degli anni 60, l’Alumna Cini Boeri (abbiamo parlato di lei qui) rivoluziona il settore del mobile con un suo pezzo che è rimasto un “evergreen” per la sua versatilità: il divano componibile Strips.

“Esso è usato come un vero guscio da sfilare, lavare, mutare, rinfilare e si chiude con una cerniera lampo come un vestito sopra il corpo di poliuretano,scriveva Cini Boeri nel 1974. “Il letto, pure sgusciabile e quindi lavabile, offre un uso più svelto del solito, perché la parte superiore apribile come un sacco a pelo, funge da coperta e lenzuolo. Si apre, ci si entra e si richiude, si apre e se ne esce. Gli Strips sono cose necessarie, facili da usare.”

Oggi il divano Strips è nelle collezioni permanenti di musei autorevoli come la Triennale di Milano e il MoMA di New York.

7. LAMPADA PARENTESI – 1979 – Flos – Alumnus Achille Castiglioni e Pio Manzù

Il progetto è basato su uno schizzo di Pio Manzù, che per primo concepì l’idea di una lampada che potesse scorrere in verticale dal pavimento al soffitto e viceversa e ruotare di 360°, ma che morì prima di vederla realizzata.
Una volta arrivato nelle mani di Achille Castiglioni, il bozzetto viene re-interpretato dando vita a Parentesi, dove Castiglioni sostituisce l’asta con una corda metallica e riduce al minimo l’utilizzo dei materiali e il numero di componenti (fonte).

La lampada è esposta in molti musei e mostre dedicate al disegno industriale di tutto il mondo, come per esempio il MoMa di New York, mentre in Italia è esposta alla Triennale di Milano, al GAMeC di Bergamo e altre gallerie e musei di rilevanza nazionale.

Sempre parlando di Castiglioni, una menzione d’onore va anche alla celebre lampada “Arco”, che nel 2020 ha vinto un premio Compasso d’Oro per la “Carriera del Prodotto”. Questa lampada, a causa dei numerosi tentativi di imitazione, è stata il primo oggetto di design industriale a cui è stata riconosciuta la tutela del diritto d’autore al pari di un’opera d’arte (fonte).

8. SEDIA SOVRAPPONIBILE K4870 – Kartell -1987 – Alumna Anna Castelli Ferrieri

Ogni azienda ha il suo stile e quello di Kartell è inimitabile – scrive il sito ufficiale dell’ADI -, perché è partito da una tecnologia, quella dello stampaggio di plastiche colorate, continuamente reinterpretata dai migliori progettisti, con forme e funzioni sempre nuove e diversificate.

sedia K4870
Credits: ADI Design Museum

Con la K4870, nel 1987, il Compasso d’Oro premia però anche una protagonista assoluta del design italiano: Anna Castelli Ferrieri (ne abbiamo parlato anche qui), riconosciuta e riconoscibile per un rigore formale straordinario ma mai scevro da una punta di giocoso engagement, anticamera di una poetica della funzione. Qualità che si esprimono nella sedia sovrapponibile 4870, tanto essenziale quanto funzionale e piacevole al tempo stesso. Anna Castelli Ferrieri riceverà un secondo premio nel 1994 con un progetto per Sambonet. Fra i suoi mille meriti, c’è anche quello di essere stata la prima Presidente(ssa) di ADI, dal 1969 al 1971.

UNO SGUARDO AL FUTURO

9. E-LOUNGE – 2020 – Alumnus Antonio Lanzillo & Partners

E-LOUNGE è design innovativo e polifunzionale, un prodotto che, se da una parte assolve alla naturale funzione di una panchina, dall’altra mette a disposizione dei cittadini diversi servizi come la connessione wi-fi, la rastrelliera per lo stazionamento delle biciclette, le prese di corrente per la ricarica di apparecchi elettronici e di dispositivi di mobilità elettrica (e-bike, monopattini ed hoverboard).

Per la giuria del Compasso d’Oro, E-LOUNGE è “una nuova tipologia di prodotto in grado di unire diversi aspetti progettuali: digitale, sharing economy, cultura del vicinato, arredo urbano, connessione. Impresa che si fa interprete dello spirito dei tempi attraverso il design”.

Leggi il commento dell’Alumnus politecnico Antonio Lanzillo sul sito Alumni 

10. HANNES – 2020 – Alumni Lorenzo De Bartolomeis, Gabriele Diamanti, Filippo Poli – Ddpstudio 

HANNES è una mano protesica realizzata da Lorenzo De Bartolomeis, Gabriele Diamanti e Filippo Poli, tre Alumni Designer laureati al Politecnico di Milano, e sviluppata da Istituto Italiano di Tecnologia e Inail.

Per la giuria del Compasso d’Oro “il design si rivela uno strumento indispensabile per aiutare le persone in difficoltà a riappropriarsi del proprio futuro. Tecnologia ed estetica aiutano a superare un disagio psicologico e un deficit fisico”. HANNES si caratterizza per l’estrema somiglianza con un arto umano sia nei movimenti che può eseguire sia nella forma, ed è in grado di restituire oltre il 90% delle funzionalità perdute a chi la usa.

Approfondisci su www.alumni.it la storia di Hannes, la mano robotica
erc home

Ricerca di frontiera: l’Europa premia 11 progetti italiani pioneristici

Un po’ di contesto per questa bella notizia: ERC, l’European Research Council, è uno strumento della commissione europea che, come ormai sanno a memoria i nostri lettori, ha l’obiettivo di finanziare i migliori ricercatori creativi che conducono ricerche pionieristiche e di frontiera.

Proprio in questi giorni sono stati assegnati i primi grant ERC nell’ambito di Horizon Europe, il nuovo programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione che copre il periodo 2021-2027 con un finanziamento complessivo di 95,5 miliardi (cifra che include i 5,4 miliardi destinati al piano per la ripresa Next Generation EU).

È il più vasto programma di ricerca e innovazione transnazionale al mondo e nel 2022 ha selezionato 313 progetti per condurre ricerche pionieristiche in tutte le discipline scientifiche. I vincitori rappresentano 42 nazionalità e realizzeranno i loro progetti presso università e centri di ricerca in 24 Stati membri dell’Ue. Tra di loro ci sono 11 italiani.

“Trovare nuove soluzioni nei settori dell’energia, della salute o delle tecnologie digitali è possibile solo se riusciamo ad attrarre e mantenere il talento scientifico”

ha commentato la commissaria europea per l’Innovazione, Mariya Gabriel.

A Sara Bagherifard, con ArcHIDep, e a Massimo Tavoni, con EUNICE, vanno i 2 ERC consolidator Grant 2022. Le ricerche sono state selezionate tra le oltre 2mila proposte ricevute da ERC (un grande risultato per il nostro Ateneo, considerando che quest’anno solo il 11,8% dei progetti presentati hanno ottenuto il finanziamento). Oltre a questi due progetti, ad oggi in totale sono 48 i grant ERC ottenuti da ricercatori del Politecnico di Milano.

CONVERTIRE IN AZIONE LE MAPPE DEL FUTURO E RIVOLUZIONARE LA SCIENZA DEI MATERIALI

Ridurre le incertezze per affrontare i cambiamenti climatici è l’obiettivo di Massimo Tavoni, docente di climate change economics presso il dipartimento di ingegneria gestionale e Direttore di RFF-CMCC, European Institute on Economics and the Environment.

massimo tavoni
Fonte: Linkedin

La sua ricerca copre temi di economia dell’energia e del clima, e specificatamente la modellistica delle politiche climatiche internazionali (leggi anche su Il Corriere). Con il progetto EUNICE, Tavoni affronta il problema delle incertezze nei percorsi di stabilizzazione climatica e negli attuali modelli clima-energia-economia che ne identificano gli scenari. L’obiettivo principale è quello di convertire queste “mappe del futuro”, generate dai modelli, in indicazioni che aiutino a definire policy resilienti, solide e affidabili per contrastare il cambiamento climatico.

Grazie alla combinazione unica di scienza computazionale e comportamentale, EUNICE mette a punto un metodo rilevante anche per altri ambiti di ricerca che coinvolgono valutazioni ambientali, sociali e tecnologiche ad alto rischio (Scopri di più a questo link).

Sara Bagherifard, ricercatrice senior del Dipartimento di Meccanica, ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche e diversi premi per un’ampia attività di ricerca, che comprende approcci numerici e sperimentali per progettare, fabbricare e caratterizzare materiali multifunzionali per applicazioni ingegneristiche emergenti. I suoi interessi scientifici coprono trattamenti superficiali ad impatto, rivestimenti superficiali, nanomateriali e additive manufacturing. I risultati dei suoi studi e delle sue ricerche hanno valenza multidisciplinare e possono essere implementati nei settori più diversi, come aerospaziale, automobilistico, ferroviario, biomedico ecc.

sara begherifard
Fonte: Linkedin

Con il progetto ArcHIDep, Bagherifard intende mettere a terra un rivoluzionario sistema di deposizione allo stato solido per ottenere materiali eterogenei con architettura strutturata su tre livelli di scala, micro, meso e macro. ArcHIDep permetterà di sviluppare un framework, attualmente inesistente, per progettare e costruire elementi in grado di superare i limiti legati alla odierna impossibilità di coniugare proprietà tra loro in conflitto (Link per approfondire).

Stay tuned! Ne parleremo ancora su MAP 10, in uscita a Giugno 2022

2040 home

Polimi 2040: cosa dice l’analisi del Politecnico sull’era delle sfide globali

È stato pubblicato sul sito di Ateneo il documento “Polimi 2040″”, che contiene alcune riflessioni strutturate volte a tracciare il ruolo delle università tecnico-scientifiche per i prossimi vent’anni.

“Ricerca, tecnologia e competenza sono elementi chiave nelle trasformazioni in atto”, su LinkedIn il rettore Ferruccio Resta commenta il lavoro di indagine partito nel 2018 dall’analisi di quattro importanti dimensioni costitutive dell’università oggi: education, research, entrepreneurial innovation, societal outreach. In inglese, perché oggi il futuro si gioca in un’arena globale.

Polimi 2040 sintetizza quindi una riflessione sul ruolo cruciale del sistema universitario in una società che mette la conoscenza al centro dei processi di crescita e sviluppo, identificando alcune possibili direzioni strategiche.

SCENARIO: NUOVE GEOGRAFIE DELLA CONOSCENZA E DELL’INNOVAZIONE

A livello geopolitico sono emersi nuovi equilibri, con l’Asia che pesa oggi oltre il 50% dell’economia globale. Si accentua l’emergere di aree attrattive e recessive che orientano flussi migratori e economici. Le università rappresentano in questo contesto un potente volano di sviluppo e uno strumento di equilibrio delle diseguaglianze.

“Come Politecnico stiamo creando delle alleanze europee potenziando i nostri punti di forza, che sono l’alta formazione e la ricerca”

commenta Resta in un’intervista a Il Giornale, a cura di Marta Bravi, uscita in edicola il 17 marzo.

FORMAZIONE, RICERCA, INNOVAZIONE

Le crisi di inizio secolo hanno avuto e continuano ad avere ripercussioni pesanti sulle economie occidentali. Come conseguenza vediamo un rallentamento nelle scienze sociali e organizzative e una crescente attenzione alle discipline tecnico-scientifiche, supportata anche dal velocissimo sviluppo di nuovi settori ad alta tecnologia.

Dal punto di vista tecnologico, la pervasività del digitale, della connettività e la Quarta Rivoluzione Industriale pongono grandi interrogativi etici e prospettando significativi impatti sociali. Una delle più grandi sfide del sistema universitario è proprio quella di progettare una esplorazione delle frontiere di conoscenza e innovazione che sia consapevole e sostenibile.

Ancora Resta su Il Giornale, che lo interroga sulle professioni del futuro:

“In modo un po’ poetico a tutti dico “seguite le vostre passioni” perché si ha più energia, voglia e determinazione, però […] sappiamo che le STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) saranno le regine delle nuove professioni, soprattutto per le studentesse”.

IMPATTO SOCIALE

L’accelerazione di alcune dinamiche dovute alla crisi pandemica e la lotta al cambiamento climatico completano questo complesso quadro di riferimento. In questo contesto, si legge in Polimi 2040, è chiave il ruolo di traino delle università per lo sviluppo del sistema sociale, economico e produttivo: contribuire al progresso della conoscenza richiede spesso di essere alla frontiera più avanzata delle diverse discipline e di avere collegamenti forti con gli attori del sistema economico, in grado di tradurre in soluzioni pratiche gli avanzamenti scientifici di frontiera.

Leggi il documento completo: Polimi 2040, IL NUOVO RUOLO DELLE UNIVERSITÀ TECNICO SCIENTIFICHE NELL’ERA DELLE SFIDE GLOBALI

Credits home: freepik.com

giulio natta home

I giorni di Natta: la squadra, il lavoro e la passione dietro al Nobel

La storia si scrive. Con una matita. Giovedì 11 marzo 1954 l’ingegnere chimico Giulio Natta appunta sulla sua agenda la seguente nota: “Fatto il polipropilene”. Voltiamo le pagine degli anni e arriviamo al 1963, quando durante una vacanza a Sanremo, Natta riceve una notizia di notevole importanza per il calendario della sua vita: un annuncio ufficiale dall’Accademia Reale Svedese. Il 5 novembre 1963 il Corriere Lombardo titola: “Il Nobel per la chimica a Natta”. Poco sotto si legge: “È ligure, ma da anni residente a Milano dove dirige l’istituto di chimica industriale del Politecnico. L’alto riconoscimento per le sue scoperte nel campo delle materie plastiche”.

agenda natta
Le pagine dell’agenda personale di Giulio Natta del 1954, nel giorno in cui appuntò: “Fatto il polipropilene”.
Credits: “Giulio Natta: l’uomo e lo scienziato”

Il 10 dicembre 1963, Gustav VI Adolf, re di Svezia, si rivolge a Giulio Natta durante la cerimonia di assegnazione del Nobel:

«L’Accademia Reale svedese di Scienze Naturali ha voluto dimostrare il suo apprezzamento conferendo a lei, signor professore, il premio Nobel. Riceva da parte dell’Accademia i migliori auguri, e vorrei anche esprimere l’ammirazione dell’Accademia per la intensità con la quale lei, signor professore, malgrado certe difficoltà, continua le sue ricerche».

Le difficoltà sono il morbo di Parkinson, diagnosticatogli nel 1956. Le foto di quel periodo lo mostrano mentre scende le scale di un aereo con la moglie Rosita, sposata nel 1935, laureata in lettere; si deve a lei il suggerimento del nome di origine greca della scoperta del marito: polipropilene isotattico.

In uno dei tanti servizi televisivi usciti in quei giorni, Natta è seduto alla scrivania e sfoglia i telegrammi di auguri per il premio, una voce fuori campo commenta: «Un’insolita nota gentile nello studio dello scienziato». La camera inquadra un vaso ricolmo di rose, i petali si colorano dal bianco e nero al rosso, «È l’omaggio degli allievi della facoltà di chimica industriale di Milano al loro professore, premio Nobel per aver inventato un nuovo materiale, ignorato dal mondo della natura. Un polimero le cui molecole hanno lo stesso ordine che hanno le cose in natura».

Giulio Natta al Politecnico di Milano
Giulio Natta al Politecnico di Milano
Credits: giulionatta.it

Facciamo un passo indietro in questo almanacco degli anni e andiamo al maggio del 1952, quando a Francoforte si tiene il convegno dell’industria chimica Achema. In quell’occasione Karl Ziegler annuncia di aver scoperto una nuova rea-zione dell’etilene all’alluminio. Fra i presenti al convegno c’era anche Giulio Natta che, in seguito, provò a polimerizzare il polipropilene con lo stesso catalizzatore, nonostante il parere negativo di Ziegler. Il resto è storia, scritta a matita quel giovedì 11 marzo 1954: “Fatto il polipropilene”. 

QUELLI DELLA SCUOLA DI NATTA 

«Siamo gli allievi di Natta», dicono oggi gli Alumni Mario Iavarone e Mario Garassino, quelli della Scuola di Natta. «Abbiamo scelto il Politecnico perché c’era lui. E perché il Politecnico non è solo un’università, è il Politecnico, un’istituzione. In Italia finora ci sono stati venti premi Nobel e Natta è tutt’ora l’unico ingegnere chimico ad averlo vinto. Il messaggio più importante che ci ha lasciato non è solo legato a un’intuizione chimica, ma anche all’idea di lavoro».

giulio natta
Credits: sussidiario.net

Iavarone ha un ricordo preciso:

«Me lo vedo dietro la cattedra, alle sue spalle la lavagna, nella mano il gesso. E su quella lavagna ci costruiva un’immagine, illustrava il fascino della razionalità, del far nascere qualcosa con la forza della mente. La maggior parte dei problemi, sembrava suggerirci, sono problemi nuovi, e ci ha insegnato a risolverli con metodo: razionalizzandoli, inquadrando gli obiettivi e affrontandoli. E così quei segni sulla lavagna diventavano una realtà. Ecco, il valore del Nobel credo sia anche strettamente correlato alle persone che sapeva coinvolgere».

Paolo Centola, che a poco più di vent’anni ha avuto l’onore di essere coinvolto proprio da Natta nella scrittura del libro “Principi della chimica industriale volume 2”, lo descrive così: «Natta non era un ricercatore, era un direttore d’orchestra. E aveva scelto i suoi orchestrali in modo che suonassero tutti bene: erano dei primi violini, degli archi, delle trombe».

Nel libro “Giulio Natta, l’uomo e lo scienziato”, la figlia Franca ricorda: «Gli assistenti giovani erano in casa sino a tarda notte. Ricordo ancora la lampada accesa su uno spesso tavolo di noce davanti a una libreria quattrocentesca, mobili ai quali mio padre assegnava un grande valore».

Mario Iavarone spiega: «Dopo l’intuizione chimica, c’è stata l’intuizione manageriale di puntare sull’enorme potenziale di valorizzazione del polipropilene, allora relegato a prodotto minore del cracking e divenuto protagonista del mercato delle plastiche a seguito dei risultati della ricerca al Poli. La Montecatini mise a disposizione gli impianti pilota a Ferrara e questi giovani ingegneri chimici hanno vestito di metallo e di materia un’idea, per farla diventare produzione». 

I DIARI DEL GIOVANE GIULIO 

«28 Maggio 1910 sono tutto felice: ebbi un 9 in grammatica dal Sig. Direttore. Lessi alquanto. La mamma mi dice sempre: Leggi quei libri che ti parla-no al cuore, non quelli che interessa-no la fantasia; leggi non per curiosità ma per istruzione. Leggendo pensa, rifletti fra te e te, fa confronti, giudizi, ricorda, nota. Prendi l’abitudine di copiare i pensieri che ti piacciono, le frasi ben trovate, le parole pure e proprie».

Si tratta di una pagina originale dal diario tenuto da un piccolo Giulio Natta. Più tardi, una foto scattata alla festa delle matricole del 1919 a Pavia mostra un carro trainato da un cavallo e un gruppo di allievi ingegneri che, come in una carovana delle meraviglie, presentano la loro poderosa invenzione: «A macchina brevettata in tutto il mondo e altrove, per tagliare il brodo».

Tra i banditori, c’è un giovane Natta. Le cronache di Ateneo di allora, lo descrivevano come uno studente brillante, che per soddisfare la sua grande passione per la fisica si era costruito nella propria abitazione un laboratorio chimico, con tanto di bilancia analitica e altri strumenti utili ai fini della sperimentazione casalinga. Italo Pasquon, Alumno e collaboratore di Natta, per spiegare il forte legame che lo scienziato aveva con il proprio lavoro, racconta: «Quando ha fatto il servizio militare lo ha potuto fare a Milano nell’istituto di chimica generale e faceva esperimenti sull’iprite, un gas usato durante la prima guerra mondiale. Se lo provava sulla sua pelle per vedere se funzionava, e ha sempre avuto una cicatrice sulla pelle». 

GINO BRAMIERI E LA RIVOLUZIONE DI UN MONDO NUOVO, E DI MOPLEN 

Per capire l’importanza e l’impatto sociale della scoperta di Giulio Natta, anche a livello popolare, basta ricordare la TV dell’epoca. In un Carosello del 1961 intitolato “Quando la moglie non c’è”, l’attore Gino Bramieri impersona un “massaio” che mentre la moglie, architetto, è fuori per lavoro si ritrova a fare i servizi di casa. Scopre così che la piccola vasca di latta per fare il bagnetto al figlio ha un buco ma ecco la soluzione: c’è un materiale ben più resistente. Bramieri si rivolge in camera e dice:

«E mo’? E mo’ sapete che vi dico? Moplen».

Scorrono oggetti in plastica: un pettine, un sifone, vassoi da cucina, uno scolapasta, la vasca della lavastoviglie, automobili giocattolo, un mondo di cose che rivoluzioneranno l’industria e la società. «Ma signora badi ben», conclude Bramieri, «Che sia fatto di Moplen». Il logo chiude il Carosello: Moplen. Polipropilene Montesud. 

moplen natta
Credits: mudeto.it

Credits header e home: corriere.it

Questo articolo è stato pubblicato nel MAP , la rivista degli Alumni del Politecnico di Milano. Sfoglia la rivista e scopri tutti i contenuti..

architetti designer home

Due belle notizie da recuperare per gli architetti-designer politecnici

… siete così bravi che non riusciamo a starvi dietro e questi due ce li eravamo persi: recuperiamo con orgoglio politecnico i traguardi di due Alumni che sono instancabili creativi.

“È sempre un onore ricevere un riconoscimento e, in questo caso, da una redazione di prestigio internazionale come quella di Wallpaper”, commenta Ilaria Marelli, designer e Alumna Architettura, che ha ricevuto il Wallpaper Design Awards 2022 nella categoria Best Outdoor Living per il suo il divano Calipso, “the floating sofa”, progettato per Ethimo.

ethimo ilaria marelli
Credits: Ethimo

Titolare dell’omonimo studio di design, Marelli è vincitrice di numerosi premi italiani e internazionali. Si occupa di progettazione a 360˚: art direction, design di prodotto, consulenza di strategia, interni e allestimenti, design e social innovation. Con lo sguardo puntato anche all’impatto sociale: lo ha raccontato sul palco della Convention Alumni Politecnico di Milano, che l’ha ospitata nel 2015. “Non ho mai veramente lasciato il Poli, è un grande amore”, commentava l’Alumna, (che inoltre ha insegnato proprio qui Design Innovation). Guarda il video di Ilaria Marelli alla Convention Alumni Politecnico di Milano.

ilaria marelli
Credits: Linkedin

Tornando indietro di qualche mese recuperiamo anche un’altra bella notizia: tra i top10 architetti & paesaggisti under 35 c’è il giovane Alberto Proserpio, architetto e ingegnere civile che ha vinto il Premio NIB 2021. Il riconoscimento NIB, NewItalianBlood, dal 2009 viene assegnato ogni anno ai dieci migliori progettisti (o studi con almeno un partner italiano), operanti in Italia o all’estero e rappresenta un importante osservatorio sui nuovi talenti italiani del mondo dell’architettura. Classe 1990, Proserpio si è laureato al Poli nel 2015 e vive a Varsavia, dove è responsabile del dipartimento di architettura di Arup Polonia e dove ha fondato il proprio studio proprio l’anno scorso.

“La mia architettura trae inspirazione dal contesto in cui si colloca e si contraddistingue per le forme chiare, semplici e razionali. È un’architettura consapevole di sé e dell’ambiente”, commenta Proserpio.

Credits header: Photo by Maarten Deckers on Unsplash

intellectual property award home

Intellectual property award: premiati due brevetti Polimi

Sono stati premiati presso il Padiglione Italia di Expo Dubai i vincitori dell’Intellectual Property Award (IPA), la competizione tra brevetti tecnologici italiani frutto della ricerca pubblica organizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Netval (Network per la Valorizzazione della Ricerca).

Nell’ambito del concorso sono stati valutati 217 brevetti innovativi sviluppati da Università, Centri di Ricerca e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; 35 di questi sono stati selezionati per partecipare alla fase finale di Dubai.

Al termine del processo i progetti premiati sono stati quelli in grado di proporre le innovazioni con maggior impatto economico e sociale in 7 aree tecnologiche, a oggi riferimento della transizione ecologica e digitale globale: agritech e agrifood, cybersecurity, green tech, life science, future mobility, aerospace, energie alternative.

I brevetti del Politecnico di Milano vincitori sono stati:

HYBRIS: BATTERIE STRUTTURALI PER VELIVOLI ELETTRICI – Vincitore nel settore “aerospace”

Sviluppato da un gruppo di ricerca costituito da docenti e studenti del Dipartimento di Scienza e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano, si tratta del progetto di un aeromobile ibrido-elettrico dotato di batterie strutturali. Le batterie strutturali sono materiali compositi innovativi multifunzionali in grado di sopportare carichi meccanici e contemporaneamente di immagazzinare energia elettrica. Sia la fusoliera che la parte esterna delle ali di HYBRIS sono costituiti da batterie strutturali.

Inventori: Andrea Bernasconi, Fabio Biondani, Luca Capoferri, Alberto Favier, Federico Gualdoni, Carlo Riboldi, Lorenzo Trainelli, Carmen Velarde Lopez de Ayala.
intellectual property award
Credits: Aerospace Polimi

SINERGY, BATTERIA A CELLE DI FLUSSO METALLO-POLISOLFURI – Vincitore nel settore “energie alternative”

Sviluppata al Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica, l’invenzione consiste in una batteria a celle di flusso metallo-polisolfuri che impiega materiali poco costosi, abbondanti e non tossici. Queste caratteristiche sono cruciali per l’applicazione della tecnologia nell’ambito dell’accumulo energetico di tipo stazionario in grado di supportare la produzione di energia rinnovabile intermittente. Ulteriore vantaggio è la possibilità di valorizzare gli scarti ricchi in zolfo, creando un circolo virtuoso di economia circolare (leggi di più su Sinergy qui).

intellectual property award
Credits: Associazione Netval
Inventori: Luca Magagnin, Gabriele Panzeri, Eugenio Gilbertini, Alessandra Accogli, Matteo Salerno, Luca Bertoli.

ALTRI TRE PROGETTI IN FINALE

Altri 3 progetti del Politecnico di Milano erano tra i finalisti della competizione:

  • “Composite propellant manufacturing process based on deposition and light-activated polymerization for solid rocket motors” – in collaborazione con il Politecnico di Torino. Selezionato nella sezione “aerospace”.

Riguarda un innovativo processo di produzione di grani di propellente solido composito per propulsori a reazione.

  • “I3D: dispositivo intraoculare a rilascio di farmaco”. Selezionato nella sezione “life science”.

Si tratta di un dispositivo a rilascio di farmaco iniettabile e bioriassorbibile in grado di somministrare a tempi prestabiliti dosi di farmaco. Sviluppato per il settore oftalmico può essere utilizzato anche in altri ambiti.

  • “Lift Energy”. Selezionato nella sezione “energie alternative”.

L’invenzione introduce un metodo veloce e scalabile al fine di creare una pellicola protettiva per batterie al litio in grado di migliorarne le performance.

Credits header: © Massimo Sestini