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Autore: admin
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Lego incontra Vespa, icona del made in Italy
In questi giorni è andata sulla stampa nazionale una delle protagoniste indiscusse del Made in Italy, la Vespa Piaggio. Come una bellezza rinascimentale, è stata riprodotta a tuttotondo e in scala 1:1 usando mattoncini Lego da un moderno scultore: Riccardo Zangelmi, LEGO Certified Professional. Ne hanno parlato molte testate, tra cui Il Sole 24 Ore, La Stampa, ANSA e Wired.
Lego e Piaggio l’hanno definita “un capolavoro di ingegneria”: composta da 110.000 pezzi di 11 colori diversi, pesa 93.3 kg ed è stata montata in 320 ore di lavoro.
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L’occasione è l’uscita sul mercato del nuovo set Lego Vespa 125 #10298, che rappresenta, in particolare, la Vespa 125 del 1965. Una collaborazione tra Lego e Piaggio che celebra l’avanguardia ingegneristica e stilistica di Vespa, nata nel 1946 e prodotta in Italia, allo stabilimento Piaggio di Pontedera, per tutto il mondo, in 19 milioni di esemplari (finora, ma il conteggio è in salita e oggi punta all’elettrico).
Il set è composto da 1.106 mattoncini, di “apparente complessità media”, come scrive Il Sole, ma meno facile di quel che sembra (infatti è consigliato per appassionati adulti). Una volta assemblata, la Vespa in miniatura misura 22 centimetri di altezza, 35 cm di lunghezza e 12 cm di larghezza.
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Marco Lambri, Alumnus del Politecnico di Milano (Architettura) e Head of Piaggio Group Design Center, commenta così la collaborazione con Lego:
“Collaborare con Lego è stata una esperienza straordinaria perché ha avvicinato due sogni, Lego e Vespa, accomunati dalle possibilità di espressione infinite che sanno offrire ai loro appassionati. Due brand straordinari capaci di attraversare epoche diverse, sempre sapendosi reinventare perché nel loro Dna c’è la capacità di unire e costruire. Come designer la sfida è stata quella di far convivere le forme morbide di Vespa con quelle dei mattoni di Lego, e mi pare una sfida decisamente vinta”.
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Chi è l’Alumna under 30 che ci guida verso le rinnovabili secondo Forbes
“Sono sempre stata affascinata dall’essenzialità che il settore [dell’energia] riveste nelle nostre vite. E questo concetto credo sia ancora più forte oggi, alla luce della rivoluzione digitale, trovando nell’energia il proprio fattore abilitante”.
Così Francesca Bona, Alumna Ingegneria energetica 2015, già nella lista dei 100 giovani innovatori under 30 (ne abbiamo scritto qui), racconta in un’intervista a Forbes il percorso che l’ha portata a diventare “un’ambasciatrice che accompagna le aziende del settore e il loro management verso le scelte strategiche necessarie per la decarbonizzazione del sistema”.
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Dopo aver coltivato il suo interesse per il mondo dell’energia attraverso il percorso di studi al Politecnico, la sua carriera è iniziata con un periodo da ricercatrice nel mondo delle rinnovabili in Danimarca, su un progetto finanziato dall’Unione europea.
“La Danimarca è un paese all’avanguardia nel settore energetico, con una produzione eolica rilevante”, racconta Bona a Forbes . “Questo mi ha spinto a desiderare che anche l’Italia potesse contribuire alla transizione energetica, diventando un vero e proprio ambasciatore della rivoluzione verde”.
Dal 2019, l’Alumna è entrata nel team di Bain dove lavora nella practice Energy & natural resources occupandosi prevalentemente di energie rinnovabili.
ITALIA E RINNOVABILI: A CHE PUNTO SIAMO?
Per quanto riguarda le rinnovabili in Italia non partiamo da zero, ma la vera occasione – continua Bona – si arriva con il Pnrr che, grazie al suo 75% delle risorse totali destinate a opere infrastrutturali, rappresenta un’opportunità unica per realizzare una piattaforma abilitante per il più ampio sforzo di transizione ecologica.
“Siamo a un punto di svolta: l’Italia è finalmente pronta per passare dai piani alle azioni ma sarà necessario in primis agire su processi e sovrastrutture, in ottica di estrema semplificazione e de-burocratizzazione. E, poi, sulla stabilità del contesto normativo per agevolare gli investimenti. Davanti a noi abbiamo un percorso di progressiva trasformazione che dovrà portare il nostro sistema energetico a una maggiore sostenibilità”.
E, infine, una promessa e una speranza per il futuro delle donne nel settore:
“Intendo continuare a dare il mio contributo tecnico e concreto nell’affrontare queste sfide. Allo stesso tempo, vorrei vedere sempre più donne in questo settore che, come molti altri settori industriali, ha sofferto per anni un gap femminile ma che oggi è finalmente ricco di opportunità”.
Credits header: Appolinary Kalashnikova on Unsplash
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SOLUS: arriva la tomografia multimodale
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Un team di politecniche vince una challenge di Leonardo
Il team del Politecnico di Milano, composto dalla professoressa Mara Tanelli – Alumna Ingegneria informatica 2007 – e dalle dottoresse Valentina Breschi, Jessica Leoni – Alumna Ingegneria biomedica 2019 – ed Eugenia Villa – Alumna Ingegneria matematica 2020-, vince con il progetto POLIMonitor una challenge promossa dall’azienda Leonardo sulla piattaforma di scouting dell’innovazione Solvers Wanted.
![Polimonitor](http://alumni.polimi.it/wp-content/uploads/2022/02/leonardo-1024x536.jpeg)
La challenge, definita sulla base dei “Technology and Innovation Needs” legati alla “mappa dei fabbisogni” individuati dall’azienda, richiedeva lo sviluppo di una soluzione di Pilot Performance Monitoring in grado di monitorare lo stato di salute psico-fisico di un pilota di aereo, considerando, per esempio, stress, affaticamento e livello di attenzione.
Sono orgogliosa di essere tra i vincitori della innovation challenge #SolversWanted, e sono doppiamente orgogliosa di presentare il mio team di ingegneri tutto al femminile: Valentina Breschi, Jessica Leoni e Eugenia Villa.
Non vediamo l’ora di iniziare a lavorare con i colleghi di Leonardo e Leonardo Aircraft sul progetto per monitorare lo stato di salute psico-fisico di un pilota di aereo.
Mara Tanelli
Grazie alla vittoria, il team Polimi si aggiudica un contratto di collaborazione con Leonardo per implementare la propria soluzione e avrà la possibilità di aderire alla rete “Leonardo Team for Innovation”.
Si arricchisce così l’ecosistema di Leonardo che punta a favorire la ricerca e il processo di innovazione attraverso iniziative di Open Innovation, coinvolgendo in questa sfida anche il mondo accademico e delle startup e ampliando il suo network di realtà che condividono questa visione.
“La collaborazione con centri di ricerca, università e start up costituisce un acceleratore che dà impulso all’innovazione e alla competitività dell’azienda” sottolinea Franco Ongaro, Chief Technology & Innovation Officer di Leonardo e Alumnus Ingegneria Aeronautica 1986. “Solvers Wanted è un ulteriore strumento a supporto della strategia di open innovation di Leonardo per alimentare la filiera dell’innovazione sul territorio nazionale.”
Credits: https://diversityandinclusion.polimi.it/
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ERC Proof of concept, ovvero: la scienza alla prova dei fatti
Intelligenza artificiale, laser, trattamento dei tumori, nanoparticelle e viaggi spaziali: ecco di cosa si occupano i cinque progetti di ricerca politecnica selezionati dalla Commissione europea ricevere un finanziamento di 150 mila euro ciascuno. Sono gli ERC “Proof of Concept”, assegni di ricerca destinati a potenziare progetti europei già consolidati che, dopo aver ottenuto risultati promettenti, sono pronti per la fase due: esplorare le possibilità di applicazione pratica.
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UNA MEMORIA INFALLIBILE
Secure hardware with advanced nonvolatile memories, altrimenti detto SHANNON, è il titolo del progetto di Daniele Ielmini, del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria. Ha l’obiettivo di sviluppare un nuovo tipo di circuito per la crittografia basato sul concetto di funzione fisica non-clonabile. Le chiavi di crittografia vengono generate mediante stati di memoria casuali che sono completamente invisibili ad una ispezione esterna, grazie ad un nuovo algoritmo ed una nuova struttura di cella, rendendo questa soluzione molto interessante per la sicurezza dei sistemi Internet of Things. Ielmini si occupa di caratterizzazione e modellistica di memorie non-volatili: ne abbiamo parlato su MAP 6 a questo link.
ACCELERATORE TASCABILE
PANTANI è invece l’acronimo, che strizza l’occhio alla velocità, del progetto proton, electron and neutron sources for non-destructive testing and investigations and treatment of materials di Matteo Passoni, del Dipartimento di Energia. Vuole sviluppare una sorgente da laser compatta e multi-radiazione, più flessibile e con costi inferiori rispetto alle soluzioni oggi esistenti, con impiego in numerose applicazioni di rilevanza industriale e sociale, quali l’analisi di materiali d’interesse storico-artistico, il monitoraggio ambientale, la sterilizzazione di strumentazione biomedicale e il rilevamento di sostanze illegali all’interno di container presso aeroporti e dogane. Se volete approfondire un po’ la teoria, ne abbiamo parlato su MAP 5 a pagina 31.
L’INGEGNERIA IN MANO AL CHIRURGO
Paola Saccomandi, del Dipartimento di Meccanica, lavora allo sviluppo, alla validazione tecnologica e all’analisi di mercato di un dispositivo per l’asportazione laser di tumori, molto meno invasivo degli strumenti di cui disponiamo oggi. Sarebbe inoltre in grado di controllare in tempo reale il trattamento e di assistere il medico nella selezione dei parametri terapeutici. Il Progetto si chiama LEILA: closed-loop and multisensing delivery tool for controlled laser ablation of tumors. Saccomandi si occupa di misura della distribuzione di temperatura in tessuti biologici sottoposti a trattamenti ablativi, sviluppo di una piattaforma terapeutica che veda l’utilizzo del laser per trattamenti minimamente invasivi, sensoristica in fibra ottica e tecniche di imaging biomedicale, per il monitoraggio di procedure cliniche e parametri fisiologici. Scoprite le “puntate precedenti” a questo link.
DIMENSIONI NANO, PRESTAZIONI ULTRA
Con il progetto TCOtronics, acronimo di transparent conductive oxide nanocrystalline films for electronics and optoelectronics via low-cost solution processing, Francesco Scotognella vuole fabbricare strati sottili a base di nanoparticelle di ossidi metallici impiegabili come filtri ottici o elettrodi trasparenti per celle solari e diodi emettitori di luce. Un importante obiettivo di TCOtronics è l’impiego di elementi non tossici e abbondanti nel pianeta. Scotognella, del Dipartimento di Fisica, è esperto di fotofisica ultraveloce di composti organici, nanomateriali e fabbricazione e caratterizzazione di cristalli fotonici. Se siete curiosi di saperne di più sui suoi nanocristalli per celle solari più efficienti, leggete qui.
DEEP SPACE POLITECNICO
Francesco Topputo punta a sviluppare un sensore di navigazione autonoma per i satelliti nello spazio profondo. Grazie al progetto SENSE: a sensor for autonomous navigation in deep space, i satelliti stessi saranno in grado di stimare la propria posizione senza la necessità di comunicare con le stazioni di terra; questo permetterà di tagliare i costi di navigazione per l’esplorazione spaziale, rendendo lo spazio accessibile a università, centri di ricerca e piccole imprese. Topputo, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali, si occupa di dinamica di volo, guida autonoma, navigazione e controllo dei veicoli spaziali. Scoprite di più a questo link e a questo.
UN PO’ DI GLOSSARIO
Questi cinque progetti sono stati finanziati da grant (cioè assegni di ricerca) dell’European Research Council (in italiano Consiglio Europeo della Ricerca) o ERC. È un organismo dell’Unione Europea che ha il compito di sostenere il lavoro dei migliori ricercatori in tutti i settori scientifici, tecnici e accademici.
I finanziamenti ERC possono essere di vario tipo e riguardare somme tra i 150 mila e i 12 milioni di euro (qui vediamo tutti quelli ottenuti dal Poli). Sono tra i più prestigiosi grant dedicati alla ricerca di base in Europa. L’ERC promuove in particolare un approccio cosiddetto “investigator driven” o “bottom-up”, cioè la libera iniziativa dei migliori scienziati europei, che seguono progetti di ricerca di eccellenza, innovativi e ad alto rischio, tasselli chiave per raggiungere gli obiettivi di crescita sostenibile che si pone l’Unione.
COSTRUIAMO IL FUTURO DEL MONDO
La ricerca di base è indipendente dalle priorità che di solito guidano, per esempio, la ricerca industriale. È ricerca pionieristica e identifica nuove opportunità e direzioni, aprendo campi di ricerca a volte ancora inesplorati, altre volte attuali e urgenti.
Ad oggi in totale sono 48 i grant ERC ottenuti da ricercatori del Politecnico di Milano. Per un ateneo, accogliere ricercatori ERC significa avere la possibilità di assumere nuovi dottorandi e post doc, creare una base di giovani che lavorino costantemente su ricerche di altissimo livello e avere risorse da investire in infrastrutture e laboratori all’avanguardia, iniettando nuova linfa nel sistema universitario. Questo si riflette sull’intero sistema, con ricadute positive anche sulla didattica.
Per saperne di più: Tomatto, il primo ERC Synergy Grant al Politecnico di Milano
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Un satellite è come il maiale: non si butta via niente
Aggiornamento 12 Maggio 2023: Luca Rossettini, ingegnere aerospaziale, ceo e fondatore di D-Orbit è stato nominato tra i finalisti dell’European Inventor Award un riconoscimento dedicato a invenzioni eccellenti brevettate presso l’l’Ufficio europeo dei brevetti (Epo)
Disclaimer: questo è un articolo lungo. Prima di tutto, quindi…
…LA SINTESI
È di qualche giorno fa l’annuncio che la start-up D-Orbit si appresta a quotarsi sul Nasdaq tramite la Spac Breeeze Holdings, con un accordo che valuta la società 1,3 miliardi di dollari. Ne hanno parlato, tra gli altri, Corriere della Sera , Startup Italia e Forbes. Fondata nel 2011 da Luca Rossettini, Alumnus in ingegneria aeronautica e PhD, insieme a Renato Panesi (rispettivamente CEO e CCO), D-Orbit ha sede a Fino Mornasco, in provincia di Como. È un fornitore di prodotti e servizi per il mercato new space.
Lo scorso anno l’azienda ha registrato ricavi per 3,4 milioni di dollari e prevede una crescita a 22 milioni di dollari nel 2022. Attualmente conta un portafoglio ordini pari a $12,5 milioni, ma ha trattative in corso per ulteriori $167 milioni. La società prevede di diventare profittevole su base Ebitda entro il 2024, per cui avrà bisogno di una crescita dei ricavi a circa $445 milioni. È un caso che ha fatto notizia per la velocità di crescita della ormai ex start-up, ma anche per l’interesse sempre maggiore intorno agli aspetti commerciali e pioneristici dell’esplorazione spaziale.
La redazione di Alumni ha incontrato Rossettini per fargli qualche domanda. È finita che noi abbiamo imparato un sacco di cose sui mercati del new space e sugli effetti italiani di questa industria in espansione. Ve le raccontiamo.
SEMPLIFICANDO: SIAMO CORRIERI SPAZIALI, CONSEGNIAMO SATELLITI INVECE DI PACCHI
A bordo del razzo Falcon 9, partito da Cape Canaveral lo scorso 13 gennaio, viaggiava anche il veicolo di trasporto orbitale ION Satellite Carrier di D-Orbit. Una volta raggiunta l’orbita, ION si è occupato della consegna “ultimo miglio”, trasportando i satelliti nelle rispettive posizioni operative. “Nel new space la chiamiamo last mile delivery”, spiega Rossettini. “Un po’ come farebbe il camioncino del corriere, andiamo in giro per lo spazio a consegnare i pacchetti porta a porta, cioè a portare i satelliti dove servono”. È un servizio che ha radicalmente cambiato il modo di mandare i satelliti in orbita: “fa risparmiare fino all’85% del tempo e fino a un 40% di costi”.
D-Orbit è stata la prima azienda a offrire questo tipo di servizio nella logistica spaziale, ma è solo una delle attività sul loro registro. “Una volta consegnati i pacchi, abbiamo un “camioncino” perfettamente funzionante in orbita,” continua Rossettini. “Invece di farlo rientrare, si può usare quel satellite per fare altre cose, ad esempio operazioni di in-orbit demonstration and validation (cioè dimostrazioni di tecnologia in orbita)”. Normalmente, per mandare in orbita un pezzo di tecnologia possono servire anni; D-Orbit garantisce la possibilità di fare i test in pochi mesi. È un esempio di come i servizi di logistica spaziale evoluta rappresentino un acceleratore del go-to-market per molte aziende high tech, e non solo. “Gli end –user dei nostri servizi appartengono ai settori più svariati, dall’oil and gas ai servizi all’agricoltura”.
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STAZIONI DI SERVIZIO ORBITANTI DOVE TROVARE CARBURANTE, MECCANICI, PEZZI DI RICAMBIO. MANCA SOLO IL BAR
Essendo veneto di origini, scherza Rossettini, gli piacciono gli esempi concreti: un satellite è un po’ come il maiale, non si butta via niente.
“Un altro obiettivo su cui stiamo lavorando è quello di creare una rete cloud in cui ognuno di questi satelliti ION, una volta terminate le consegne, resti in orbita e rappresenti un nodo per offrire servizi a tutti i satelliti che ne hanno bisogno. Oggi non siamo ancora a questo punto, ma in un futuro prossimo i nostri ION saranno in grado di scambiare informazioni con gli altri satelliti, effettuare riparazioni, ricariche di carburante, riallocazione, qualsiasi cosa possa estendere la vita dei satelliti dei nostri clienti. Quando invece saranno proprio alla fine, invece di distruggerli facendoli precipitare nell’atmosfera come facciamo oggi, potremo di smantellarli e costruire stazioni di servizio in orbita, per immagazzinare pezzi di ricambio e materia prima. Una volta che avremo queste capacità, potremo andare verso la nostra vision: una rete di logistica e trasporto che colleghi Marte, fascia degli asteroidi, Luna e Terra, che permetterebbe di mantenere insediamenti su altri pianeti a costi sostenibili”.
Pronti per il balzo verso l’ultima frontiera.
MODELLO “PAPERON DE’PAPERONI”: TECNOLOGIE ABILITANTI, GRANDI RISCHI, GRANDI RICOMPENSE
Ma come mai il new space sta crescendo così velocemente? Cosa ci può portare di buono e quali sono i rischi di questa nuova corsa all’oro? “Tutti i settori high tech stanno crescendo enormemente e molte aziende tradizionali si stanno spostando verso digitalizzazione, industria 4.0, big data e informazioni predittive. L’agricoltura sta diventando agritech, la finanza fintech, l’automotive diventa autonomous driving e via dicendo. Per sostenere questa trasformazione, servono informazioni evolute. E vengono tutte da satellite”.
Più dell’80% della tecnologia che usiamo a terra è di derivazione spaziale. Il presidio dello spazio è quindi diventato un requisito abilitante per le trasformazioni tecnologiche e economiche terrestri. Anche il mercato satellitare è cambiato, e D-Orbit lo ha capito con un anticipo che le ha fornito un vantaggio strategico.
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“Prima si lanciava un grande satellite ogni tanto, costava 800 milioni e ci volevano 15 anni per produrlo, adesso si lanciano satelliti molto più piccoli, fino a 400 volte meno costosi. Durano anche meno, ma non importa, perché la tecnologia diventa obsoleta velocemente. D’altra parte, bisogna muoversi rapidamente e con precisione. Ecco che la logistica diventa un’infrastruttura abilitante. Mi viene in mente Paperon de’ Paperoni, che è diventato ricco non cercando l’oro ma vendendo piccozze ai cercatori d’oro. La logistica è questo, noi abilitiamo gli altri a fare meglio quello che devono fare e sono gli altri a decidere come usare gli strumenti che diamo loro”. I rischi sono chiari: lo spazio è difficile, è un ambiente ostile, con temperature insostenibili, dove qualsiasi cosa ti vuole uccidere. Le cose possono andare veramente tanto male. Servono capitali ingenti. Non sai mai se il lanciatore ce la farà o esploderà. Ma le ricompense sono altissime.
TORNIAMO CON I PIEDI PER TERRA…
…e chiediamo a Rossettini il perché della scelta di quotare D-Orbit proprio adesso. “Quando fai un’azienda high tech devi pensare ad una forma di exit per gli investitori. Quindi, hai due strade: o ti fai comprare o diventi una S.p.A. Noi abbiamo sempre lavorato per questa seconda via. Perché adesso? Perché è il momento di crescere velocemente per mantenere il nostro primato”. Si tratta di un modello di business molto diverso da quello tradizionalmente legato al contesto italiano, caratterizzato da una costellazione di PMI e imprese famigliari.
Ci stai dicendo il nostro contesto non è adatto alle industrie dell’high tech?, gli chiediamo. “Non sono un economista, la mia opinione si basa solo sulla mia esperienza e i contatti con investitori e clienti, da un punto di vista high tech e da italiano che viene dal Veneto (patria della PMI efficaci). Il modello italiano è basato sul concetto di ROI a breve termine: fai profitto il prima possibile perché è quello che mantiene l’imprenditore e la sua famiglia. Se ti quoti, le azioni vanno via in grossi pacchetti per piccole somme. È un modello basato su un mercato regionale, in un certo senso protetto e gestibile. Nel mondo high tech non puoi mai partire da un mercato protetto, sei nell’arena internazionale fin dal primo giorno. Ti trovi a competere immediatamente con player molto più finanziati che in Italia. Il profitto non è più un modo per remunerare gli investitori, non sono i dividendi a fine anno che li interessano, ma la crescita esponenziale dell’azienda. È quindi un modello diverso, non so quale dei due sia il migliore. Il modello high tech è molto recente, quello italiano invece si è dimostrato solido nel lungo periodo. Però il contesto era diverso. Vedremo”.
NEI PANNI DI ROSSETTINI-IMPRENDITORE: UN ITALIANO, VENETO, NEL MONDO
A cosa serve all’Italia avere casi di successo come il vostro? “Ci sono molte aziende meravigliose che sono partite da zero, ce l’hanno fatta e oggi sono un orgoglio nazionale, noi non abbiamo la velleità di essere un esempio per nessuno. Cerchiamo di mettercela tutta e di fare del nostro meglio insieme ai nostri fornitori locali, che sono ormai diventati quasi dei partner. Questo momento per noi ha attirato molta attenzione mediatica ma il messaggio è che noi siamo all’inizio di un nuovo percorso. A livello di territorio, ci sarà certamente un impatto sull’occupazione, vantaggi reputazionali e pratici e un indotto importante sulla ricchezza dell’ecosistema che ci circonda”.
Un successo non da poco, considerando che, quando bussi alla porta di un investitore, la prima domanda che ti fa è: perché mai dovrei investire nella tua impresa e non in quella di un tuo collega nella Silicon Valley? Come gli rispondi? “A livello di tecnologia, l’Italia non ha nulla da invidiare a nessuno. Nel settore space in particolare siamo pionieri da sempre: siamo stati il terzo paese al mondo a lanciare un satellite in orbita, in piena guerra fredda, dopo USA e URSS, con i miliardi di dollari che stavano investendo loro. Abbiamo una filiera che copre tutta la catena del valore, abbiamo un ottimo lanciatore, il Vega. E abbiamo anche altri vantaggi: uno è senza dubbio la qualità degli ingegneri e in generale dei nostri laureati, meno specializzati rispetto a altri, ma più flessibili. Un ingegnere italiano, di fronte a un problema, di certo ti sa dare risposte valide in tempi brevi. Questo è particolarmente un vantaggio per le start up, che non hanno abbastanza capitale da poter assumere subito un team molto numeroso, quindi servono persone più versatili.
![rossettini](http://alumni.polimi.it/wp-content/uploads/2022/02/LR_3-683x1024.jpg)
D-Orbit non sarebbe riuscita a nascere in un altro paese: è grazie alla creatività, alla resilienza e alla voglia di non mollare, tipica di noi italiani, che abbiamo risolto un problema dopo l’altro. Un altro punto di forza del modello italiano è che non è finita finché non è finita. Nel modello Silicon Valley vige il detto: “fallisci in fretta”. Il principio è corretto: se non hai un mercato non ti devi ostinare, ma, nella maggior parte dei casi, mollare alla prima occasione significa che non stai facendo il tuo dovere di imprenditore”.
Credits home/header: Courtesy of D-Orbit
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Mitigazione dei cambiamenti climatici e bacini fluviali africani
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Un nuovo modello di agricoltura e concorrenza per le risorse idriche
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Grazie al laser scoperti i meccanismi di protezione del DNA dalla luce solare
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Ranking QS: registrati e partecipa alla Global Employer Survey
Come ogni anno il Politecnico partecipa alla QS University Global Rankings, la classifica più prestigiosa delle migliori università del mondo.
Nel 2021 l’Ateneo ha ottenuto un ottimo posizionamento nel Ranking, classificandosi 142° università del mondo, ed un risultato ancora migliore nella ranking QS per facoltà, in cui il Politecnico ha ottenuto il 5° posto nel mondo per Design, il 10° per Architettura e il 20° per Ingegneria.
Diversi fattori hanno contribuito a questo risultato, come l’eccellenza della didattica, la dedizione degli studenti, ma è stata fondamentale anche la collaborazione degli Alumni.
Uno degli indicatori più significativi è infatti la Global Employer Survey, in cui si chiede ai partecipanti di esprimere la propria opinione sulla qualità dei laureati dell’Ateneo.
Ci piacerebbe ricevere anche quest’anno l’opinione dei nostri Alumni a tal proposito.