Al via QUID, la rete di comunicazione quantistica italiana

Il progetto QUID (Quantum Italy Deployment) è la realizzazione italiana della European Quantum Communication Infrastructure (EuroQCI), promossa dalla Commissione Europea con l’obiettivo di creare un’infrastruttura europea per la comunicazione quantistica.

Nel corso del progetto saranno integrate le infrastrutture di comunicazione esistenti, in fibra ottica o in aria, e dotate di sistemi di distribuzione quantistica di chiavi crittografiche (QKD), che copriranno buona parte del territorio nazionale; allo stesso tempo, QUID promuove lo sviluppo delle aziende italiane che producono sistemi e servizi per la comunicazione quantistica a diverse categorie di utenti.

Lo scopo principale di QUID è lo sviluppo di nodi in reti di comunicazione quantistica metropolitane (QMANs), collegate tra loro attraverso l’Italian Quantum Backbone, infrastruttura che copre il territorio italiano e che distribuisce, con stabilità e accuratezza senza precedenti, segnali di tempo e frequenza campione, usando fibre ottiche commerciali. In ogni QMAN verranno effettuati scambi di chiave quantistica tra un nodo e l’altro utilizzando sistemi QKD a variabili discrete; distanze superiori a quelle metropolitane verranno coperte utilizzando dei nodi “trusted” o innovative tecniche di Twin-Field QKD (con nodi “untrusted”).

QUID unirà, inoltre, siti importanti per il collegamento tra la comunicazione in fibra ottica e il segmento spaziale del QCI europeo.

Accanto a queste attività di tipo infrastrutturale, QUID pone grande attenzione allo sviluppo dei metodi per l’erogazione ottimale dei servizi di comunicazione quantistica.

Infine, QUID lascia spazio allo sviluppo di tecniche innovative legate alla QKD, per l’incremento della frequenza di trasmissione, per l’utilizzo di nuovi tipi di fibre ottiche e per la trasmissione in aria.

Il consorzio QUID riunisce le aziende italiane leader nel settore, i principali Istituti di ricerca coinvolti nella comunicazione quantistica, sia per il segmento terrestre che per il segmento spaziale, e le università impegnate nell’innovazione e nella formazione.

La presenza delle aziende che producono dispositivi QKD, gestiscono reti di telecomunicazioni e servizi sia terrestri che spaziali, e che offrono soluzioni integrate di sicurezza informatica, permetterà di collegare agevolmente i sistemi QKD nelle reti di comunicazione sul territorio nazionale.

Il consorzio, guidato dall’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (INRiM), è composto, oltre che dal Politecnico di Milano, da: Agenzia Spaziale Italiana (ASI), Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Coherentia, Thales Alenia Space – Italia, QTI, Leonardo, ThinkQuantum, Tim SpA, Telsy, Telespazio, Consorzio TOP-IX, Università degli studi dell’Aquila, Università La Sapienza, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università degli Studi di Padova, Università degli Studi di Trieste.

Forse non sapevi che…anche loro sono politecnici 

Ingegneri, architetti e designer: questi sono la maggior parte dei professionisti sfornati dal Politecnico ma, si sa, a volte la vita lavorativa è imprevedibile e ti porta in luoghi inaspettati, che sia il palco di Sanremo o diventare uno degli street artist contemporanei più famosi. Quello che è certo è che tutti questi artisti, in un modo o nell’altro, hanno portato con sé quel “saper fare” politecnico che tutti noi conosciamo bene. 

Ecco, quindi, cinque Alumni musicisti e artisti che probabilmente conoscete, ma che forse non sapevate fossero passati dai banchi del Poli. Ne avete in mente altri? Fatecelo sapere, e scriveremo una seconda parte! 

STEFANO BELISARI, IN ARTE “ELIO” – Alumnus Ingegneria Elettronica (2002)

Noto al grande pubblico come il leader del complesso Elio e le Storie Tese, Stefano Belisari – in arte Elio – si è diplomato al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e nel 2003 si laurea in ingegneria elettronica al Politecnico di Milano, entrando ufficialmente a far parte degli Alumni. 

Abbiamo parlato con lui nel libro 2099, in cui tra le tante cose, ha lanciato un messaggio ai giovani per quanto riguarda il futuro e le scelte di carriera:  

“Cercate di conoscere bene i vostri punti di forza e di farvi guidare da loro. Prendetevi qualche anno per pensare a come far fruttare le vostre doti fatevi un piano e, soprattutto, siate imparziali: un altro falso mito oggi è Fare Quello Che Vi Piace. Io consiglierei di fare quello in cui siete bravi”. 

EDOARDO BENNATO | Alumnus Architettura (1988)

Sempre parlando di musica, anche Edoardo Bennato è laureato nel nostro Ateneo, ma in architettura: durante il suo periodo milanese si laurea e intanto riesce a prendere contatti con il mondo della discografia meneghina. Chitarrista, armonicista e cantante, è ritenuto uno dei maggiori esponenti del rock nostrano, Il 19 luglio 1980 fu il primo artista italiano a registrare un’affluenza di più di 50000 spettatori allo stadio milanese di San Siro. 

LUCA MANGONI | Alumnus Architettura (1986) 

Luca Mangoni è anche lui musicista nel gruppo Elio e le storie tese (sebbene non ne faccia ufficialmente parte, è apparso molto spesso nelle esibizioni live della band e nei videoclip) e Alumnus Architettura. Tra i suoi molti lavori come architetto, il più noto è forse la Mangoni Tower, un edificio residenziale in via Nervesa a Milano costruito tra il 1995 e il 2000. 

Fonte: Wikipedia
SALVATORE BENINTENDE, IN ARTE TV BOY | Alumnus Disegno Industriale (2004)

Artista di strada, è esponente del movimento NeoPop[1]. È noto per il personaggio da lui creato, “TVboy”, un alter ego che l’artista raffigura frequentemente come simbolo di distinzione dalla cultura massificata delle nuove generazioni, a opera principalmente della televisione. Al secolo Salvatore Benintende, si laurea nel 2004 in Design Industriale nel campus Bovisa da poco inaugurato. 

La sua prima mostra si tiene proprio alla Facoltà di Design, dove costruisce un’esposizione di vecchi tv abbandonati dipingendo sugli schermi spenti volti di VIP e di amici con gli stencil. Grazie a questa mostra ottiene il primo successo, e il battesimo del suo nome d’arte. 

Fonte: La Stampa
GUIDO BISAGNI, IN ARTE 108 – Alumnus Disegno Industriale 2006 

Storico esponente della scena italiana dell’arte urbana, Guido Bisagni è laureato in disegno Industriale al Politecnico di Milano, ed è considerato uno dei primi e maggiori esponenti del post-graffitismo astratto a livello nazionale ed europeo. Dipinge in particolare fra aree industriali abbandonate: è stato uno dei primi ad aver portato nello spazio pubblico la pittura non figurativa, con l’intento di creare “caos visivo”. 

Fonte: Urvanity Art

Fonti:  

https://www.elledecor.com/it/arte/a38441227/tvboy-mostra-milano-novita-biglietti-orari/

http://www.108nero.com/  

Controllare la forma di una goccia è possibile!

Controllare la forma di una goccia è una scoperta rivoluzionaria e ci permetterà presto di fabbricare dispositivi a tecnologia liquida in ambito farmaceutico e ambientale. Mediante l’incapsulazione di un liquido in un altro, saranno possibili applicazioni quali il rilascio controllato di farmaci, i processi di emulsificazione e, ad esempio, la bonifica di fuoriuscite di inquinanti liquidi come il petrolio.

I ricercatori del Politecnico di Milano in collaborazione con l’Università Aalto di Helsinki e l’Università di Oxford, hanno condotto uno studio sul controllo di forma di gocce costituite da una miscela di acqua e di una proteina (idrofobina).

“Se una goccia di fluido puro, ed esempio di sola acqua, mantiene sempre la sua forma iniziale durante l’evaporazione, queste gocce fatte di una miscela acqua-idrofobina mostrano invece sorprendenti cambiamenti di forma durante l’evaporazione”

afferma Pierangelo Metrangolo del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” del Politecnico.

“L’idrofobina – inizialmente disciolta nell’acqua raggiunge infatti la superficie libera della goccia nel corso dell’evaporazione e inizia ad auto-assemblarsi per creare un film sottile che incapsula la goccia e permette di controllarne la forma grazie ad una particolare combinazione delle condizioni di gravità e delle proprietà chimiche e meccaniche del soluto che è svelata e descritta da un modello matematico”

continua Pasquale Ciarletta del Dipartimento di Matematica del Politecnico.

Questa ricerca dimostra l’importanza di un approccio multidisciplinare per stimolare l’innovazione: l’interazione fra matematica e chimica ha permesso la comprensione di un nuovo fenomeno fisico ed il suo trasferimento tecnologico per ingegnerizzare materiali innovativi che rivoluzioneranno diverse applicazioni industriali.

La collaborazione degli autori dello studio Pasquale Ciarletta, Pierangelo Metrangolo e Davide Riccobelli, è stata finanziata dal progetto NewMed di Regione Lombardia per creare metodi e materiali innovativi per la medicina di precisione e personalizzata. 

I risultati di questi studi sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista scientifica Physical Review Letters.

Per maggiori informazioni
Lo studio pubblicato online
Life Sciences @polimi

Piena occupazione per i laureati del Politecnico di Milano

Il 97% dei laureati magistrali italiani del Politecnico di Milano è già occupato a un anno dal titolo. Quasi totale l’occupazione degli ingegneri al 98%, ma anche degli architetti e dei designer rispettivamente al 96% e al 93%. La percentuale di occupati sale fino al 99% a cinque anni dalla laurea (99% Ingegneria, 98% Architettura, 98% Design).

Un laureato magistrale italiano su tre risulta inoltre già assunto alla data della laurea, mentre la quasi totalità dei laureati (90%) svolge un lavoro coerente con gli studi. Più in dettaglio: il 93% è impiegato nel settore privato, l’87% lavora in Italia e il 66% assunto con un contratto a tempo indeterminato.

L’alto tasso di occupazione dei nostri laureati e delle nostre laureate conferma, ancora una volta, il buon operato e l’ottima reputazione di cui gode il Politecnico di Milano in Italia e fuori confine. Non possiamo che esserne soddisfatti. Non solo la quasi totalità dei nostri studenti è impiegata a un anno dal titolo, ma uno su tre trova lavoro già prima della tesi.

commenta la rettrice Donatella Sciuto.

Oltre a svolgere un lavoro coerente con gli studi, i laureati magistrali italiani del Politecnico di Milano sono soddisfatti del percorso formativo svolto (85%) e anche del lavoro attuale (87%).

A cinque anni dal titolo di studio la percentuale di contratti a tempo indeterminato per i laureati magistrali italiani sale al 93%, con un aumento del 40% rispetto a quattro anni fa.

Lo stipendio a un anno dalla laurea è pari a 1.699 euro, con un aumento di 150 euro circa al mese rispetto all’anno precedentementre a cinque anni dalla laurea raggiunge in media quota 2.322 euro netti (2.018 per le donne e 2.438 per gli uomini), segnando una crescita di 773 euro in quattro anni.

Merito di una formazione di eccellenza, in linea con i bisogni del mondo produttivo, e alla proposta di nuovi percorsi di studio innovativi, multidisciplinari e focalizzati sui temi di punta, con particolare riferimento alle due grandi transizioni in atto: digitale e sostenibilità.

Cresce l’occupazione anche per i laureati magistrali internazionali formati nelle aule del Politecnico, che raggiunge il 90% a un anno dalla laurea, percentuale che sale al 96% dopo cinque anni. Inoltre, il 51% dei neolaureati internazionali rimane a lavorare in Italia.

Per quanto riguarda i laureati triennali l’occupazione raggiunge il 90% a un anno dal titolo e cresce al 99% a cinque anni dalla laurea.

Voglio poi sottolineare come i dati più recenti indichino un progressivo assottigliamento nel gap salariale tra uomini e donne che rimane comunque molto ampio, volendo andare verso un mercato del lavoro più aperto e inclusivo.

conclude Sciuto.

Reti neurali su chip fotonici: sfruttare la luce per l’intelligenza artificiale ultraveloce e a basso consumo energetico

Realizzare reti neurali estremamente efficienti utilizzando chip fotonici che elaborano segnali luminosi è possibile. Lo ha dimostrato uno studio del Politecnico di Milano, condotto insieme all’Università di Stanford e pubblicato dalla prestigiosa rivista Science

 Le reti neurali sono strutture di calcolo distribuito ispirate alla struttura di un cervello biologico e mirano ad ottenere prestazioni cognitive paragonabili a quelle umane ma con tempi estremamente ridotti. Queste tecnologie sono oggi alla base di sistemi di apprendimento automatico e intelligenza artificiale in grado di percepire l’ambiente e adattare il proprio comportamento analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Sono utilizzate in molti campi di applicazione, come il riconoscimento e sintesi vocale e di immagini, i sistemi di guida autonoma e realtà aumentata, la bioinformatica, il sequenziamento genetico e molecolare, le tecnologie di high performance computing. 

Rispetto agli approcci di calcolo convenzionali, per svolgere funzioni complesse le reti neurali hanno bisogno di essere inizialmente addestrate (“training”) con un’elevata quantità di informazioni note attraverso le quali la rete si adatta apprendendo dall’esperienza. Il training è un processo estremamente costoso dal punto di vista energetico e con il crescere della potenza di calcolo i consumi delle reti neurali crescono molto rapidamente, raddoppiando ogni circa sei mesi.  

I circuiti fotonici costituiscono una tecnologia molto promettente per le reti neurali perché permettono di realizzare unità di calcolo ad alta efficienza energetica. Da anni il Politecnico di Milano lavora allo sviluppo di processori fotonici programmabili integrati su microchip di silicio di dimensioni di pochi mm2 per applicazioni nel campo della trasmissione e dell’elaborazione dei dati, ed ora questi dispositivi sono stati impiegati per la realizzazione di reti neurali fotoniche.  

“Un neurone artificiale, come un neurone biologico, deve compiere operazioni matematiche molto semplici, come somme e moltiplicazioni, ma in una rete neurale costituita da molti neuroni densamente interconnessi, il costo energetico di queste operazioni cresce esponenzialmente e diventa rapidamente proibitivo. Il nostro chip integra un acceleratore fotonico che permette di svolgere i calcoli in modo molto rapido ed efficiente, sfruttando una griglia programmabile di interferometri di silicio. Il tempo di calcolo è pari al tempo di transito della luce in un chip di pochi mm, quindi parliamo di meno di un miliardesimo di secondo (0.1 nanosecondi)”. Afferma Francesco Morichetti, Responsabile del Photonic Devices Lab del Politecnico di Milano.  

“I vantaggi delle reti neurali fotoniche sono noti da tempo, ma uno dei tasselli mancanti per sfruttarne pienamente le potenzialità era l’addestramento della rete. È come avere un potente calcolatore, ma non sapere come usarlo. In questo studio siamo riusciti a realizzare strategie di addestramento dei neuroni fotonici analoghe a quelle utilizzate per le reti neurali convenzionali. Il “cervello” fotonico apprende velocemente e accuratamente e può raggiungere precisioni confrontabili a quelle di una rete neurale convenzionale, ma con un notevole risparmio energetico e maggiore velocità. Tutti elementi abilitanti le applicazioni di intelligenza artificiale e quantistiche.” Aggiunge

Oltre alle applicazioni nel campo delle reti neurali, il dispositivo sviluppato può essere utilizzato come unità di calcolo per molteplici applicazioni in cui sia richiesta elevata efficienza computazionale, ad esempio per acceleratori grafici, coprocessori matematici, data mining, crittografia e computer quantistici. Il Politecnico di Milano collabora a questa attività di ricerca con il Photonic Devices Lab e con Polifab, il centro di micro e nanotecnologie dell’Ateneo. 

Lo Studio: https://www.science.org/doi/10.1126/science.ade8450 

FastMOT: rivoluzione nell’imaging medico

Con il suo innovativo sensore di singoli fotoni abilitato velocemente e ad altissima efficienza quantica, il progetto fastMOT (fast gated superconducting nanowire camera for multi-functional optical tomograph) consentirà l’imaging profondo nel corpo umano con tecniche di ottica diffusa. Il sensore, una volta integrato in un nuovo tomografo ottico multifunzionale, permetterà un miglioramento di due ordini di grandezza nel rapporto segnale-rumore, se confrontato con rivelatori esistenti.

Il progetto fastMOT riceverà un finanziamento totale di 3 milioni di euro: 2,49 milioni di euro dallo European Innovation Council e 525.000 euro dallo UK Research and Innovation (UKRI), nell’ambito del fondo di garanzia governativo per progetti Horizon Europe.

Il monitoraggio degli organi e l’imaging profondo nel corpo umano sono tradizionalmente ottenuti grazie all’uso di ultrasuoni, raggi X (inclusa la tomografia computerizzata), tomografia a emissione di positroni e risonanza magnetica. Queste tecniche consentono tuttavia solo misure di funzionalità molto limitate e sono solitamente combinate con agenti esogeni e radioattivi. Sei partner, coordinati dall’azienda olandese Single Quantum, hanno unito le forze per superare tali limiti sviluppando un sensore a elevatissime prestazioni in diverse tecniche di imaging, destinato a migliorare radicalmente la microscopia e l’imaging.

Il nuovo sensore è basato su rivelatori di singolo fotone a nanofilo superconduttivo (superconducting nanowire single-photon detectors, SNSPDs), già dimostratisi estremamente veloci ed efficienti. Tuttavia, fino ad oggi, la dimensione di questi rivelatori è limitata all’ordine di grandezza dei micrometri e il numero di pixel a poche decine.

Il consorzio di fastMOT ambisce ora allo sviluppo di nuove tecniche per superare questi limiti e arrivare a dimensioni dell’ordine di grandezza dei millimetri e al numero di 10.000 pixel. Tutto questo in aggiunta allo sviluppo di nuove strategie per la spettroscopia nel vicino infrarosso risolta in tempo (time domain near infrared spectroscopy, TDNIRS) e per la spettroscopia ottica a contrasto di speckle nel dominio del tempo (time domain speckle contrast optical spectroscopy, TD-SCOS), finalizzate a ottimizzare l’uso del nuovo rivelatore anche grazie a simulazioni Monte-Carlo. Il nuovo sensore verrà integrato in un tomografo ottico e consentirà il miglioramento di due ordini di grandezza nel rapporto segnale-rumore se confrontato con rivelatori di luce esistenti.

L’innovativa tecnologia di rivelazione avrà principalmente impatto in diversi settori: infatti non solamente migliorerà le prestazioni nell’ambito della spettroscopia e dell’imaging medicale, ma consentirà applicazioni rivoluzionarie che porteranno nuove conoscenze e a un notevole impulso economico. Il tomografo ottico multifunzionale proposto permetterà di ottenere immagini di organi e strutture ottiche profonde, nonché il monitoraggio di parametri funzionali, come ad esempio ossigenazione, emodinamica, perfusione e metabolismo. Avrà inoltre la possibilità di migliorare in modo significativo l’accuratezza nell’ambito della diagnosi non invasiva del tumore al seno, riducendo quindi il rischio di effettuare biopsie in conseguenza a falsi positivi a beneficio della qualità di vita delle pazienti e della sostenibilità del sistema sanitario.

In aggiunta a Single Quantum, le istituzioni partecipanti sono il Center for Ultrafast Science and Biomedical Optics (CUSBO) del Politecnico di Milano in Italia, l’Institute of Photonic Sciences (ICFO) in Spagna, la Technische Universiteit Delft nei Paesi Bassi, il network dello European laser research infrastructures Laserlab-Europe AISBL in Belgio, il Forschungsverbund Berlin e.V. in Germania e lo University College London nel Regno Unito.

Keeper: codice chiave basato su nanomateriali per proteggere servizi e prodotti

Oggi i prodotti contraffatti incidono seriamente sull’economia globale e possono avere un impatto negativo sulla sicurezza, sulla salute e sull’ambiente a causa della minore qualità dei loro componenti. Si stima che la gravità del problema abbia raggiunto i 3 miliardi di dollari nel 2022, causando alle imprese dell’UE una perdita di 121 miliardi di euro di vendite e oltre 671.000 posti di lavoro.

KEEPER è un progetto che mira a fornire una nuova soluzione tecnologica per questa sfida: è il primo sistema che combina un codice identificativo univoco con un numero virtualmente infinito di combinazioni (oltre 1024) per certificare l’autenticità del prodotto e un livello senza precedenti di sicurezza, facilità d’uso e economicità.

Si tratta di un’innovativa soluzione personalizzabile basata su due risorse principali: inchiostri nano-ingegnerizzati da applicare su documenti o confezioni di prodotti come cartellini adesivi o stampati direttamente in punti specifici (3Tag), e una tecnica di verifica estremamente selettiva tramite un lettore dedicato (3Check). La specificità degli inchiostri, la sequenza di codifica e il metodo di lettura rendono questa tecnologia estremamente difficile o quasi impossibile da replicare mediante processi di reverse engineering.

Il progetto KEEPER, cui contribuiscono partner universitari e privati di Italia, Polonia e Austria, è stato recentemente finanziato con oltre 2 milioni di € dallo European Innovation Council (EIC) nell’ambito del bando “EIC Transition” che ha l’obiettivo di sostenere la maturazione e la validazione in laboratorio di nuove tecnologie sviluppate nell’ambito di progetti sovvenzionati a livello europeo e la loro introduzione sul mercato.

Lo European Innovation Council è il programma di punta Europeo per l’innovazione tecnologica ed è la prima volta che un progetto presentato dal Politecnico di Milano come capofila accede a questa tipologia di sostegno; nel complesso, questa call EIC Transition ha finanziato 34 progetti in tutta Europa, di cui 6 in Italia e solo 3 con una università come coordinatore

afferma il prof. Carlo S. Casari, Dipartimento di Energia del Politecnico di Milano, responsabile di KEEPER e già titolare dell’ERC Consolidator Grant EspLORE, degli ERC Proof of Concept Grant PROTECHT e PYPAINT.

Nuova BEIC: una biblioteca dal futuro

Nel 1996 nasce l’Associazione “Milano Biblioteca del 2000” con lo scopo di promuovere la costruzione della Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Fra le tante voci che nel corso degli anni hanno parlato a favore di questo progetto c’è quella dello scrittore e saggista Claudio Magris: “Si tratta di un’iniziativa a mio avviso molto rilevante, ossia di una Biblioteca Europea a grande struttura multimediale, che dovrà unire libri e supporti digitali, il tutto a libero accesso e a scaffale aperto, offrendo così un formidabile, totale strumento di informazione, di formazione, di preparazione culturale e dunque, nel senso più ampio, civile. Strutture di questo genere esistono a Parigi, New York, San Francisco e Monaco di Baviera, dove hanno avuto ed hanno pieno successo di pubblico, mentre in Italia una grande biblioteca di questo tipo non c’è». Nel 2026, finalmente, ci sarà. In seduta pubblica del giorno 11 luglio 2022 infatti è stato proclamato il vincitore del Concorso di progettazione indetto dal Comune di Milano, individuato nel raggruppamento italiano formato, fra gli altri, dai progettisti di Onsitestudio e formato, fra gli altri, da Baukuh, dot dot dot, Abnormal, Luca Gallizioli e Yellow Office. «Siamo un team di architetti molto ampio e il risultato dei nostri progetti nasce sempre da un lavoro corale – ci tiene a precisare l’Alumnus Angelo Lunati, cofondatore di Onsistestudio insieme all’Alumnus Giancarlo Floridi  – in questo caso specifico, il team è allargato anche a competenze che coinvolgono esperti del mondo digitale e del cambiamento climatico, e che costruiscono i pilastri dell’idea del progetto: una biblioteca nuova, che sia in grado di essere una piattaforma flessibile, sempre rinnovabile».  

Cosa si intende per “biblioteca nuova”? 

Un luogo dell’arcaico e del futuribile. Una biblioteca che sia in grado di far coesistere la dimensione del libro e dell’universo dei documenti, quindi dove regna un’idea di public library ottocentesca dove i saperi di secoli si depositano, e la dimensione del digitale e della produzione di cultura contemporanea, in cui i saperi dunque si creano. L’edificio, composto da due navate a forma trapezoidale, comunicherà immediatamente l’immagine di un posto laborioso, produttivo, grazie all’archetipo di riferimento che nella forma rievocherà le grandi coperture delle fabbriche di una volta. Al contempo avrà in sé la modernità di una serra, in dialogo con il parco in cui si inserirà l’edificio, che è quello dell’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria. Un edificio monumentale, spettacolare nelle dimensioni, sarà alto 35 metri, e al contempo con una sua normalità data dai piani della biblioteca, che si replicano in verticale con una pianta molto semplice. 

Quasi fosse un libro, proviamo ad aprire questa biblioteca e ad entrarci: cosa ci si svelerà? 

Innanzitutto il piano terra dell’edificio sarà un grande spazio civico aperto, pensato come un esterno, cioè non sarà climatizzato; l’idea è che la biblioteca abbia parti condizionate, alternate ad altre che funzionino come una grande serra. La navata sud ospiterà i dipartimenti: da arti e letterature a scienze umane e sociali, fino a scienze e tecnologie. In cima, una terrazza con sala lettura. La navata nord invece sarà quella più fruibile e aperta alla possibilità di ospitare delle funzioni legate alla trasmissione di cultura, quindi un piano dedicato ad un fab lab e uno al coworking, per andare a salire con una sala gaming e studio di registrazione sino ad uno spazio espositivo con la possibilità di accedere, e usufruire, di una stazione radiofonica. Spazi insomma per la produzione, dotati di dispositivi di avvicinamento a mondi non accessibili a tutti. Una grande piattaforma collegherà questi due corpi: i mondi si uniranno infatti al secondo piano attraverso un ponte tra dimensione tradizionale e dimensione innovativa. 

Dato che siamo in un campo anche letterario, questo ponte che significato assume? 

Può rappresentare un’analogia, un ponte di avvicinamento alla cultura poiché vi è un sistema di scale che permette di accedere ai vari piani e al contempo di vederli in linea verticale. Dunque attraversando questo ponte si avrà una percezione sinottica dell’ampiezza culturale e della trasmissione delle conoscenza, quasi una passeggiata visionaria che permetterà di andare anche nel profondo: la pavimentazione  del piano terra infatti avrà una serie di oblò attraverso cui accedere con lo sguardo al deposito interrato che conterrà 2,5 milioni e mezzo di libri. Un archivio percorso da piccoli robot che si muoveranno a prendere libri e a distribuirli grazie a sistemi meccanizzati ai diversi piani; e che alimentando queste due navate mostrerà anche la dimensione del patrimonio dei documenti, che nella maggior parte delle biblioteche non è esposto, o completamente esposto. Alla Beic invece sarà visibile, anche dal foyer dell’Auditorium. 

Dove sarà collocato l’Auditorium? 

In un terzo padiglione che abbiamo chiamato Imaginarium, e che sarà la biblioteca per i bambini. L’abbiamo immaginato con un’architettura molto diversa rispetto alla grande struttura principale: un edificio rosso, costruito interamente in legno, quindi con un carattere più accogliente, da un certo punto di vista anche più domestico e con spazi molto grandi e flessibili. L’auditorium, che si troverà sottostante all’Imaginarium, avrà 300 posti e un suo programma di spettacoli ed eventi. Sempre in questa stessa struttura, vi sarà una sala accessibile dall’esterno 24 ore su 24, per trovare sempre un luogo dove studiare e confrontarsi con i contenuti della biblioteca. Ricordo che da studente, quando dovevo preparare gli esami, cercavo sempre un posto in cui studiare e per ripararmi andavo nelle biblioteche che chiudevano il più tardi possibile.  

Quali sono due libri che ritiene siano stati fondamentali per la sua formazione? 

Il primo è Esperienza dell’architettura di Ernesto Nathan Rogers, un libro che ha condensato in maniera significativa, attraverso la raccolta di testi elaborati durante una lunga traiettoria e frutto spesso di un racconto personale, le preoccupazioni e le ambizioni di un architetto intellettuale in un periodo decisivo per la cultura italiana, indicando un’idea straordinaria di modernità, a mio avviso ancora valida nella così distante condizione contemporanea. Il secondo libro, Unconscious Places, una raccolta di fotografie di Thomas Struth, accompagnate da un testo di Richard Sennett, che ritraggono luoghi ordinari di alcune città come Dusseldorf, Napoli, New York, nei quali emerge in maniera straordinaria la tensione che esiste tra la singolarità degli edifici e la loro condizione di sfondo, il carattere additivo e trasformativo dei luoghi urbani, la loro sorprendente unità fisica. 

L’insegnamento più rilevante che le ha dato il Politecnico di Milano? 

Intendere il progetto come una virtuosa combinazione tra dimensione sperimentale ed empirica insieme con la ricerca di forme di continuità culturale; questo insegnamento risuona con lo spirito che per molto tempo ha promosso la modernizzazione della città di Milano, caratterizzata da un’idea antidogmatica di progresso “radicata” nella cultura del luogo. 

Produzione di cibo a partire da farine da insetti: è possibile? 

Majno ha 35 anni e vive a Torino, Imparato ne ha 34 anni e vive a Milano. Entrambi sono originari del capoluogo lombardo. 

L’azienda si chiama Small Giants, piccoli giganti. Majno è anche un ex studente del politecnico, dove ha conseguito la laurea triennale e quella specialistica in design della comunicazione

La startup è nata nel 2017 dall’idea dei due amici. La scelta partire dall’Inghilterra è stata di natura normativa: lì c’era una regolamentazione per il cibo creato con farina di insetti, mentre in Europa ancora no, sarebbe arrivata dopo. Adesso le cose si sono un po’ ribaltate, come vedremo più avanti. 

Il lancio del brand Small Giants e del primo prodotto risale invece a novembre 2020. Nel 2023 la società è stata spostata in Italia, a Milano. Il trasferimento è stato totale, cioè sia a livello legale che di produzione e logistica. Anche il mercato di riferimento è l’Italia. 

Small Giants al momento propone tre prodotti (cracker, fette biscottate e easy mix) e ha un fatturato stimato di 300mila euro

Abbiamo intervista Majno che ha chiarito tanti aspetti di questa azienda innovativa (“innovativa per l’Europa”, direbbe lui). 

Francesco Majno ed Edoardo Imparato

Com’è nato questo progetto? 

“Più che dai nostri studi universitari è nato da un nostro interesse. Io ed Edoardo siamo amici di lunga data. Ci interroghiamo da sempre sulla sostenibilità legata all’alimentazione, entrambi non consumiamo carne, per aspetti sia di sostenibilità che etici. Cerchiamo delle fonti di proteine alternative. Di conseguenza ci eravamo appassionati su questo tema delle farine di insetti, abbiamo letto un documento della Fao che è stato il faro, per noi e per molti. Lì venivano spiegati vari aspetti tra cui che diverse specie di insetti vengono consumati da tempo in diverse parti del mondo”  

Quali sono le caratteristiche del cibo fatto con farina di insetti? 

“Dal punto di vista ambientale che nutrizionale sono eccezionali. Sono super food, come i grilli per esempio, hanno un altissimo contenuto di proteine, fino all’80%. E dal punto di vista ambientale hanno una richiesta di acqua, terra, mangime o emissioni di gas serra limitatissime, se confrontate alle proteine animali tradizionali, come la carne rossa” 

Insomma, avete deciso di provarci… 

“Sì, dopo aver letto e studiato tutto questo ne siamo rimasti affascinati e ci siamo chiesti: com’è possibile che esista questo super food e nessuno in Europa lo considera anzi, ne sono disgustati?” 

E qual è stata la vostra scelta per iniziare a produrre questo cibo? 

“Abbiamo deciso di usare una farina, che è più familiare, con cui ci si possono fare vari prodotti, cercando di dargli una forma tradizionale e più appetibile per noi consumatori occidentali” 

Se doveste individuare una filosofia alla base di Small Giants? 

“Cercare di portare gli insetti come proteine sostenibili nella dieta di noi occidentali, e non farlo come stravaganza esotica ma come cibo della quotidianità” 

Ma con quali prodotti? 

“Fette biscottate, snack, cracker e ora abbiamo lanciato un nuovo prodotto, un preparato per fare burger, polpette, falafel e che è direttamente sostituibile alle cose fatte con la carne” 

Avete degli allevamenti di insetti qui in Italia? 

“No, e non credo lo faremo mai. C’è proprio chi si occupa di farlo, sono anche molto complessi da gestire. Noi acquistiamo le farine, come quella del grillo comune o quella delle larve di coleottero che usiamo per fare le fette biscottate. Abbiamo due allevatori-fornitori diversi. Sono tra i pochi ad avere l’autorizzazione UE per commerciare queste farine” 

Questi due allevatori dove si trovano? 

“Uno nei Paesi Bassi, quello che ci fornisce la farina di larve di coleottero e l’altro in Vietnam, farina di insetti. Nei Paesi tropicali è ideale il clima per gli insetti, perché sono animali a sangue freddo” 

Incontrate più problemi a livello burocratico-legislativo o resistenza culturale delle persone a questi cibi? 

“Principalmente a livello burocratico-legislativo. Come ad esempio il fatto di dover essere partiti dal Regno Unito. Siamo fortemente vincolati e, giustamente secondo me, controllati. Anche dal punto di vista sanitario e igienico è vasto. Questo è il primo problema, è un prodotto che rimarrà per un certo periodo di nicchia, perché si devono comunicare troppe cose, perché la prima risposta che ti dà una persona media è “perché dovrei consumare prodotti fatti con farina di grillo?”. Però chi è avvezzo a sperimentare è una bella cosa e ci si lancia, ma molte persone sono più restie, perché gli insetti non hanno questa associazione al cibo” 

Precisamente quanti prodotti producete e sono sul mercato? 

“Al momento tre. Dei cracker con una percentuale di farina di grillo. Sono dei cracker che hanno 3 volte il contenuto di proteine di qualsiasi altro tipo di cracker tradizionale. Hanno anche un alto contenuto di vitamina B12 e hanno altri micronutrienti. Se ne mangi un pacchetto da 40 grammi, stai mangiando 10 grammi di proteine. Poi ci sono le fette biscottate e l’easy mix, che è il preparato per fare i burger” 

C’è qualche curiosità che vuoi dirci? 

“Beh per esempio che noi già consumiamo mezzo chilo di insetti all’anno, inconsapevolmente. È impossibile separare gli insetti dove ci sono le coltivazioni, come i pomodori, insalata, spighe di grano, tutti hanno una componente. La legge italiana consente quelle che chiamano “contaminazioni di insetti”. Quindi ognuno di noi già mangia insetti” 

Parlaci del passaggio dal Regno Unito all’Italia, come è successo e perché? 

“Ci sono varie ragioni. Fino a che non è stata attivata Brexit noi vendevamo i prodotti in una catena molto famosa, la seconda più importante del Paese. Poi con queste nuove normative, di fatto, sono tornati indietro su queste produzioni. Noi da subito avremmo preferito stare in Italia, ma per necessità siamo partiti da dove si poteva fare” 

E nei supermercati italiani si trovano i vostri prodotti? 

“Non ancora. Stiamo parlando con dei supermercati, ma essendo le normative recenti e i tempi dei supermercati lunghi ancora non ci siamo riusciti. L’interesse c’è, è ipotizzabile che da settembre o giù di lì potremo trovare prodotti Small Giants” 

Come vendete allora? 

“In Italia sul sito o altri distributori, che però non corrispondono con la Grande distribuzione organizzata. In Polonia ad esempio siamo in Ochan, supermercato molto importante e poi dovremmo entrare a breve in un altro” 

Quante persone lavorano in Small Giants? E qual è il fatturato? 

“Full time ci sono tre persone, poi ci sono una serie di collaboratori e consulenti. Il fatturato per quest’anno dovrebbe essere intorno ai 300mila euro” 

Come ha influito il tuo percorso di studio al Politecnico sul tuo percorso lavorativo? 

“In Small Giants il mio percorso di studi in design della comunicazione mi è servito molto. Per esempio per dare identità al brand. E sicuramente ha avuto ricadute positive sul parziale successo, per adesso, del nostro brand” 

Il nome Small Giants è molto carino… 

“L’abbiamo scelto dopo un rebranding con un’agenzia di comunicazione londinese” 

Abbiamo finito, c’è qualcosa che vuoi aggiungere? 

“Vorrei dire questo: dal 21 giugno abbiamo lanciato una campagna di equity crowdfunding, in sostanza vendiamo una parte di società a investitori. Contribuzione minima per entrare 250 euro (tutte le info sono qui)” 

Competizione SCORE

Grande soddisfazione per gli studenti del Polimi nell’ultima competizione SCORE (Student Contest on Software Engineering) la cui finale si è disputata a maggio a Melbourne, in Australia. 

  Quattro i gruppi di studenti ammessi alla finale, tutti e quattro avevano al loro interno studenti del Polimi. 

COME FUNZIONA 

“All’interno del corso Distributed software development che è un corso della laurea magistrale di Computer sciences – ha spiegato la professoressa Raffaella Mirandola – vengono fatti dei progetti. Questo corso è strutturato in collaborazione tra tre università: Politecnico di Milano, Università di Zagabria e Università di Malardalen (Svezia)”. 

Ancora la prof. Mirandola: “Ci sono delle lezioni, poche, e poi i ragazzi lavorano ad un progetto. I gruppi di persone che lavorano a un progetto sono misti,  scelti  cioè tra due università: o Poli-Zagabria, o Poli-Malardalen o Malardalen-Zagabria. Questo progetto viene fatto scegliendo tra quelli proposti dalla competizione internazionale Score. In questa competizione gli sponsor propongono argomenti per dei progetti e una commissione seleziona quelli più adeguati”. 

I PROGETTI DEL POLIMI

Il progetto del gruppo di Lorenzo Poletti è risultato vincitore. La richiesta prevedeva lo sviluppo di un progetto che rendesse sicura una fase della creazione di una app: “Per questo abbiamo creato una piattaforma web che permette agli utenti-sviluppatori di caricare il proprio codice sorgente. In automatico, attraverso dei tool che supportano linguaggi vari e aspetti di sicurezza, viene analizzato il codice e vengono messe in evidenza eventuali criticità e vulnerabilità del codice sorgente. Il nostro tool è per sviluppatori, non per l’utente finale”. 

Per fare un esempio: durante lo sviluppo di una App, prendiamo ad esempio Shazam, quella che riconosce titoli e autori delle canzoni che si stanno ascoltando, gli sviluppatori potrebbero utilizzare il tool del gruppo di Lorenzo per verificare che il codice che stanno creando è sicuro e non ha criticità o vulnerabilità. 

Il progetto di Matteo Visotto è arrivato in finale ed è stato molto apprezzato, seppur non abbia vinto. 

È forse più facile da comprendere per chi non è pratico della materia: “Ci siamo focalizzati su paper scientifici, cioè sul lavoro su documenti rivolti a dottorandi, studenti o docenti. Abbiamo modificato il lettore PDF di Mozilla (che è un’implementazione basata su una web app gratuita e modificabile) e ne abbiamo ridisegnato l’interfaccia. Pensando alle classiche attività che fa chi legge dei paper abbiamo creato un grafico che crea le citazioni all’interno del paper e un tool che genera automaticamente il riassunto del PDF. Abbiamo deciso di implementare  l’algoritmo di sintesi così che un utente possa selezionare un paragrafo o un  capitolo e avere subito il riassunto. È venuto piuttosto bene, devo dire”.  

“I vari gruppi di studenti che partecipano – ha aggiunto la prof. Mirandola – sono composti da studenti di livello master, noi partecipiamo con studenti che sono di due università diverse. Gli studenti selezionano uno dei progetti proposti, poi nel corso svolgono il progetto. Il corso ha gli stessi tempi della competizione, che è biennale”. 

La selezione dei semifinalisti viene fatta attraverso la presentazione di un documento PDF in cui viene spiegato come è stato svolto il loro lavoro per realizzare il progetto. Matteo Visotto: “Nel PDF viene spiegato come viene fatto il progetto, ma più che a livello di codice è chiarito il metodo di lavoro di gruppo, l’organizzazione e la suddivisione degli incarichi”. 

La commissione che organizza SCORE seleziona poi i semifinalisti. I gruppi ammessi, a questo punto,  devono inviare il codice che hanno creato per sviluppare il progetto.  

Riassumendo: nella prima fase viene inviato il documento di lavoro e come si sono organizzati i componenti. I semifinalisti devono presentare il codice. 

Nel 2023 sono stati scelti per la semifinale nove progetti,  sei dei quali del Polimi.  

I quattro gruppi finalisti hanno partecipato alla finale, che si tiene all’interno di una settimana di eventi, workshop e conferenze. Come detto nel 2023 è stata in Australia, a Melbourne. Nel 2025 sarà in Canada.  

Score ha finanziato in parte il viaggio degli studenti, l’altra parte è stata finanziata dal Polimi. 

“Abbiamo partecipato alla conferenza – ha spiegato ancora Lorenzo Poletti –, workshop e incontri interessanti con esperti del settore. La maggior parte del tempo abbiamo partecipato a questi eventi. La finale è stata giovedì e abbiamo presentato i nostri progetti.  Tempo a testa: 10 minuti. Spiegazione, live demo e domande della giuria. Il venerdì c’è stata la premiazione e il mio team ha vinto. Tutti e quattro i progetti e i prodotti erano buoni e ce la siamo giocata nella presentazione. È stata  un’ottima opportunità  per conoscere persone del settore”.