È stato pubblicato sul sito di Ateneo il documento “Polimi 2040″”, che contiene alcune riflessioni strutturate volte a tracciare il ruolo delle università tecnico-scientifiche per i prossimi vent’anni.
“Ricerca, tecnologia e competenza sono elementi chiave nelle trasformazioni in atto”, su LinkedIn il rettore Ferruccio Resta commenta il lavoro di indagine partito nel 2018 dall’analisi di quattro importanti dimensioni costitutive dell’università oggi: education, research, entrepreneurial innovation, societal outreach. In inglese, perché oggi il futuro si gioca in un’arena globale.
Polimi 2040 sintetizza quindi una riflessione sul ruolo cruciale del sistema universitario in una società che mette la conoscenza al centro dei processi di crescita e sviluppo, identificando alcune possibili direzioni strategiche.
SCENARIO: NUOVE GEOGRAFIE DELLA CONOSCENZA E DELL’INNOVAZIONE
A livello geopolitico sono emersi nuovi equilibri, con l’Asia che pesa oggi oltre il 50% dell’economia globale. Si accentua l’emergere di aree attrattive e recessive che orientano flussi migratori e economici. Le università rappresentano in questo contesto un potente volano di sviluppo e uno strumento di equilibrio delle diseguaglianze.
commenta Resta in un’intervista a Il Giornale, a cura di Marta Bravi, uscita in edicola il 17 marzo.
FORMAZIONE, RICERCA, INNOVAZIONE
Le crisi di inizio secolo hanno avuto e continuano ad avere ripercussioni pesanti sulle economie occidentali. Come conseguenza vediamo un rallentamento nelle scienze sociali e organizzative e una crescente attenzione alle discipline tecnico-scientifiche, supportata anche dal velocissimo sviluppo di nuovi settori ad alta tecnologia.
Dal punto di vista tecnologico, la pervasività del digitale, della connettività e la Quarta Rivoluzione Industriale pongono grandi interrogativi etici e prospettando significativi impatti sociali. Una delle più grandi sfide del sistema universitario è proprio quella di progettare una esplorazione delle frontiere di conoscenza e innovazione che sia consapevole e sostenibile.
Ancora Resta su Il Giornale, che lo interroga sulle professioni del futuro:
IMPATTO SOCIALE
L’accelerazione di alcune dinamiche dovute alla crisi pandemica e la lotta al cambiamento climatico completano questo complesso quadro di riferimento. In questo contesto, si legge in Polimi 2040, è chiave il ruolo di traino delle università per lo sviluppo del sistema sociale, economico e produttivo: contribuire al progresso della conoscenza richiede spesso di essere alla frontiera più avanzata delle diverse discipline e di avere collegamenti forti con gli attori del sistema economico, in grado di tradurre in soluzioni pratiche gli avanzamenti scientifici di frontiera.
La storia si scrive. Con una matita. Giovedì 11 marzo 1954 l’ingegnere chimico Giulio Natta appunta sulla sua agenda la seguente nota: “Fatto il polipropilene”. Voltiamo le pagine degli anni e arriviamo al 1963, quando durante una vacanza a Sanremo, Natta riceve una notizia di notevole importanza per il calendario della sua vita: un annuncio ufficiale dall’Accademia Reale Svedese. Il 5 novembre 1963 il Corriere Lombardo titola: “Il Nobel per la chimica a Natta”. Poco sotto si legge: “È ligure, ma da anni residente a Milano dove dirige l’istituto di chimica industriale del Politecnico. L’alto riconoscimento per le sue scoperte nel campo delle materie plastiche”.
Il 10 dicembre 1963, Gustav VI Adolf, re di Svezia, si rivolge a Giulio Natta durante la cerimonia di assegnazione del Nobel:
«L’Accademia Reale svedese di Scienze Naturali ha voluto dimostrare il suo apprezzamento conferendo a lei, signor professore, il premio Nobel. Riceva da parte dell’Accademia i migliori auguri, e vorrei anche esprimere l’ammirazione dell’Accademia per la intensità con la quale lei, signor professore, malgrado certe difficoltà, continua le sue ricerche».
Le difficoltà sono il morbo di Parkinson, diagnosticatogli nel 1956. Le foto di quel periodo lo mostrano mentre scende le scale di un aereo con la moglie Rosita, sposata nel 1935, laureata in lettere; si deve a lei il suggerimento del nome di origine greca della scoperta del marito: polipropilene isotattico.
In uno dei tanti servizi televisivi usciti in quei giorni, Natta è seduto alla scrivania e sfoglia i telegrammi di auguri per il premio, una voce fuori campo commenta: «Un’insolita nota gentile nello studio dello scienziato». La camera inquadra un vaso ricolmo di rose, i petali si colorano dal bianco e nero al rosso, «È l’omaggio degli allievi della facoltà di chimica industriale di Milano al loro professore, premio Nobel per aver inventato un nuovo materiale, ignorato dal mondo della natura. Un polimero le cui molecole hanno lo stesso ordine che hanno le cose in natura».
Facciamo un passo indietro in questo almanacco degli anni e andiamo al maggio del 1952, quando a Francoforte si tiene il convegno dell’industria chimica Achema. In quell’occasione Karl Ziegler annuncia di aver scoperto una nuova rea-zione dell’etilene all’alluminio. Fra i presenti al convegno c’era anche Giulio Natta che, in seguito, provò a polimerizzare il polipropilene con lo stesso catalizzatore, nonostante il parere negativo di Ziegler. Il resto è storia, scritta a matita quel giovedì 11 marzo 1954: “Fatto il polipropilene”.
QUELLI DELLA SCUOLA DI NATTA
«Siamo gli allievi di Natta», dicono oggi gli Alumni Mario Iavarone e Mario Garassino, quelli della Scuola di Natta. «Abbiamo scelto il Politecnico perché c’era lui. E perché il Politecnico non è solo un’università, è il Politecnico, un’istituzione. In Italia finora ci sono stati venti premi Nobel e Natta è tutt’ora l’unico ingegnere chimico ad averlo vinto. Il messaggio più importante che ci ha lasciato non è solo legato a un’intuizione chimica, ma anche all’idea di lavoro».
Iavarone ha un ricordo preciso:
«Me lo vedo dietro la cattedra, alle sue spalle la lavagna, nella mano il gesso. E su quella lavagna ci costruiva un’immagine, illustrava il fascino della razionalità, del far nascere qualcosa con la forza della mente. La maggior parte dei problemi, sembrava suggerirci, sono problemi nuovi, e ci ha insegnato a risolverli con metodo: razionalizzandoli, inquadrando gli obiettivi e affrontandoli. E così quei segni sulla lavagna diventavano una realtà. Ecco, il valore del Nobel credo sia anche strettamente correlato alle persone che sapeva coinvolgere».
Paolo Centola, che a poco più di vent’anni ha avuto l’onore di essere coinvolto proprio da Natta nella scrittura del libro “Principi della chimica industriale volume 2”, lo descrive così: «Natta non era un ricercatore, era un direttore d’orchestra. E aveva scelto i suoi orchestrali in modo che suonassero tutti bene: erano dei primi violini, degli archi, delle trombe».
Nel libro “Giulio Natta, l’uomo e lo scienziato”, la figlia Franca ricorda: «Gli assistenti giovani erano in casa sino a tarda notte. Ricordo ancora la lampada accesa su uno spesso tavolo di noce davanti a una libreria quattrocentesca, mobili ai quali mio padre assegnava un grande valore».
Mario Iavarone spiega: «Dopo l’intuizione chimica, c’è stata l’intuizione manageriale di puntare sull’enorme potenziale di valorizzazione del polipropilene, allora relegato a prodotto minore del cracking e divenuto protagonista del mercato delle plastiche a seguito dei risultati della ricerca al Poli. La Montecatini mise a disposizione gli impianti pilota a Ferrara e questi giovani ingegneri chimici hanno vestito di metallo e di materia un’idea, per farla diventare produzione».
I DIARI DEL GIOVANE GIULIO
«28 Maggio 1910 sono tutto felice: ebbi un 9 in grammatica dal Sig. Direttore. Lessi alquanto. La mamma mi dice sempre: Leggi quei libri che ti parla-no al cuore, non quelli che interessa-no la fantasia; leggi non per curiosità ma per istruzione. Leggendo pensa, rifletti fra te e te, fa confronti, giudizi, ricorda, nota. Prendi l’abitudine di copiare i pensieri che ti piacciono, le frasi ben trovate, le parole pure e proprie».
Si tratta di una pagina originale dal diario tenuto da un piccolo Giulio Natta. Più tardi, una foto scattata alla festa delle matricole del 1919 a Pavia mostra un carro trainato da un cavallo e un gruppo di allievi ingegneri che, come in una carovana delle meraviglie, presentano la loro poderosa invenzione: «A macchina brevettata in tutto il mondo e altrove, per tagliare il brodo».
Tra i banditori, c’è un giovane Natta. Le cronache di Ateneo di allora, lo descrivevano come uno studente brillante, che per soddisfare la sua grande passione per la fisica si era costruito nella propria abitazione un laboratorio chimico, con tanto di bilancia analitica e altri strumenti utili ai fini della sperimentazione casalinga. Italo Pasquon, Alumno e collaboratore di Natta, per spiegare il forte legame che lo scienziato aveva con il proprio lavoro, racconta: «Quando ha fatto il servizio militare lo ha potuto fare a Milano nell’istituto di chimica generale e faceva esperimenti sull’iprite, un gas usato durante la prima guerra mondiale. Se lo provava sulla sua pelle per vedere se funzionava, e ha sempre avuto una cicatrice sulla pelle».
GINO BRAMIERI E LA RIVOLUZIONE DI UN MONDO NUOVO, E DI MOPLEN
Per capire l’importanza e l’impatto sociale della scoperta di Giulio Natta, anche a livello popolare, basta ricordare la TV dell’epoca. In un Carosello del 1961 intitolato “Quando la moglie non c’è”, l’attore Gino Bramieri impersona un “massaio” che mentre la moglie, architetto, è fuori per lavoro si ritrova a fare i servizi di casa. Scopre così che la piccola vasca di latta per fare il bagnetto al figlio ha un buco ma ecco la soluzione: c’è un materiale ben più resistente. Bramieri si rivolge in camera e dice:
«E mo’? E mo’ sapete che vi dico? Moplen».
Scorrono oggetti in plastica: un pettine, un sifone, vassoi da cucina, uno scolapasta, la vasca della lavastoviglie, automobili giocattolo, un mondo di cose che rivoluzioneranno l’industria e la società. «Ma signora badi ben», conclude Bramieri, «Che sia fatto di Moplen». Il logo chiude il Carosello: Moplen. Polipropilene Montesud.
… siete così bravi che non riusciamo a starvi dietro e questi due ce li eravamo persi: recuperiamo con orgoglio politecnico i traguardi di due Alumni che sono instancabili creativi.
“È sempre un onore ricevere un riconoscimento e, in questo caso, da una redazione di prestigio internazionale come quella di Wallpaper”, commenta Ilaria Marelli, designer e Alumna Architettura, che ha ricevuto il Wallpaper Design Awards 2022 nella categoria Best Outdoor Living per il suo il divano Calipso, “the floating sofa”, progettato per Ethimo.
Titolare dell’omonimo studio di design, Marelli è vincitrice di numerosi premi italiani e internazionali. Si occupa di progettazione a 360˚: art direction, design di prodotto, consulenza di strategia, interni e allestimenti, design e social innovation. Con lo sguardo puntato anche all’impatto sociale: lo ha raccontato sul palco della Convention Alumni Politecnico di Milano, che l’ha ospitata nel 2015. “Non ho mai veramente lasciato il Poli, è un grande amore”, commentava l’Alumna, (che inoltre ha insegnato proprio qui Design Innovation). Guarda il video di Ilaria Marelli alla Convention Alumni Politecnico di Milano.
Tornando indietro di qualche mese recuperiamo anche un’altra bella notizia: tra i top10 architetti & paesaggisti under 35 c’è il giovane Alberto Proserpio, architetto e ingegnere civile che ha vinto il Premio NIB 2021. Il riconoscimento NIB, NewItalianBlood, dal 2009 viene assegnato ogni anno ai dieci migliori progettisti (o studi con almeno un partner italiano), operanti in Italia o all’estero e rappresenta un importante osservatorio sui nuovi talenti italiani del mondo dell’architettura. Classe 1990, Proserpio si è laureato al Poli nel 2015 e vive a Varsavia, dove è responsabile del dipartimento di architettura di Arup Polonia e dove ha fondato il proprio studio proprio l’anno scorso.
“La mia architettura trae inspirazione dal contesto in cui si colloca e si contraddistingue per le forme chiare, semplici e razionali. È un’architettura consapevole di sé e dell’ambiente”, commenta Proserpio.
Sono stati premiati presso il Padiglione Italia di Expo Dubai i vincitori dell’Intellectual Property Award (IPA), la competizione tra brevetti tecnologici italiani frutto della ricerca pubblica organizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Netval (Network per la Valorizzazione della Ricerca).
Nell’ambito del concorso sono stati valutati 217 brevetti innovativi sviluppati da Università, Centri di Ricerca e istituti di ricovero e cura a carattere scientifico; 35 di questi sono stati selezionati per partecipare alla fase finale di Dubai.
Al termine del processo i progetti premiati sono stati quelli in grado di proporre le innovazioni con maggior impatto economico e sociale in 7 aree tecnologiche, a oggi riferimento della transizione ecologica e digitale globale: agritech e agrifood, cybersecurity, green tech, life science, future mobility, aerospace, energie alternative.
I brevetti del Politecnico di Milano vincitori sono stati:
HYBRIS: BATTERIE STRUTTURALI PER VELIVOLI ELETTRICI – Vincitore nel settore “aerospace”
Sviluppato da un gruppo di ricerca costituito da docenti e studenti del Dipartimento di Scienza e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano, si tratta del progetto di un aeromobile ibrido-elettrico dotato di batterie strutturali. Le batterie strutturali sono materiali compositi innovativi multifunzionali in grado di sopportare carichi meccanici e contemporaneamente di immagazzinare energia elettrica. Sia la fusoliera che la parte esterna delle ali di HYBRIS sono costituiti da batterie strutturali.
Inventori: Andrea Bernasconi, Fabio Biondani, Luca Capoferri, Alberto Favier, Federico Gualdoni, Carlo Riboldi, Lorenzo Trainelli, Carmen Velarde Lopez de Ayala.
SINERGY, BATTERIA A CELLE DI FLUSSO METALLO-POLISOLFURI – Vincitore nel settore “energie alternative”
Sviluppata al Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica, l’invenzione consiste in una batteria a celle di flusso metallo-polisolfuri che impiega materiali poco costosi, abbondanti e non tossici. Queste caratteristiche sono cruciali per l’applicazione della tecnologia nell’ambito dell’accumulo energetico di tipo stazionario in grado di supportare la produzione di energia rinnovabile intermittente. Ulteriore vantaggio è la possibilità di valorizzare gli scarti ricchi in zolfo, creando un circolo virtuoso di economia circolare (leggi di più su Sinergy qui).
Altri 3 progetti del Politecnico di Milano erano tra i finalisti della competizione:
“Composite propellant manufacturing process based on deposition and light-activated polymerization for solid rocket motors” – in collaborazione con il Politecnico di Torino. Selezionato nella sezione “aerospace”.
Riguarda un innovativo processo di produzione di grani di propellente solido composito per propulsori a reazione.
“I3D: dispositivo intraoculare a rilascio di farmaco”. Selezionato nella sezione “life science”.
Si tratta di un dispositivo a rilascio di farmaco iniettabile e bioriassorbibile in grado di somministrare a tempi prestabiliti dosi di farmaco. Sviluppato per il settore oftalmico può essere utilizzato anche in altri ambiti.
“Lift Energy”. Selezionato nella sezione “energie alternative”.
L’invenzione introduce un metodo veloce e scalabile al fine di creare una pellicola protettiva per batterie al litio in grado di migliorarne le performance.
Anche il 2022 è iniziato con nuovi riconoscimenti per il Politecnico di Milano: lo certifica il Global MBA Ranking del Financial Times, che posiziona il Master in Business Administration (MBA) – che fa parte dell’offerta formativa specialistica della Graduate School del MIP-Politenico di Milano – al 91° posto della classifica mondiale e al 2° posto a livello europeo, se si considerano le sole università tecniche.
Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente Presidente e Dean del MIP Politecnico di Milano hanno dichiarato:
“Per un numero sempre maggiore di studenti in tutto il mondo, il nostro Master Full Time in Business Administration rappresenta il trampolino di lancio verso una carriera di valore. La qualità del nostro percorso formativo per eccellenza ci viene riconosciuta dall’autorevole ranking del Financial Times, a dimostrazione di quello in cui da sempre crediamo: la scelta di un MBA oggi si rivela decisiva per la crescita professionale di un leader in azienda”.
I punti di forza che hanno determinato questo ottimo risultato sono tre:
1. VALUE FOR MONEY
Per il value for money, ovvero il rapporto qualità-prezzo, il Politecnico si piazza al sesto posto. Nelle categorie relative ai progressi di carriera una volta completato il master, l’incremento percentuale dello stipendio a tre anni dal conseguimento del master è passato dal 76% al 94% rispetto ai dati del 2021.
2. INTERNATIONAL MOBILITY
Per l’international mobility – calcolato considerando la cittadinanza degli studenti e la location in cui hanno lavorato pre-MBA, a master completato e tre anni successivi – il MIP raggiunge il 28° posto, a conferma dell’eccellente qualità dei propri Alumni riconosciuta a livello italiano ed internazionale.
3. CSR
Infine il master vanta la 30° posizione a livello globale per la proporzione delle ore di formazione su temi di CSR (etica, green, responsabilità sociale) sul totale delle ore di insegnamento.
“In un mercato dinamico che offre ogni giorno nuove sfide le aziende devono essere guidate da manager dotati delle migliori capacità per garantire competitività al proprio business motivazione e crescita ai propri dipendenti. Poter contare su un diploma rilasciato da una business school d’eccellenza, tra le poche a poter vantare i principali tre accreditamenti internazionali, è sicuramente uno stimolo per investire sul proprio futuro”.
La campagna di raccolta fondi 10 students | 10 stories, organizzata dalla School of Management del Politecnico di Milano, vuole aiutare 10 studentesse o studenti meritevoli che si trovano in condizioni di bisogno a realizzare il loro sogno: studiare ingegneria gestionale al Politecnico di Milano. Dona ora.
Oggi vogliamo raccontarvi di 7 donne politecniche che hanno fatto la storia dei loro settori professionali nel mondo dell’ingegneria, dell’architettura e del design. Sette politecniche che hanno cambiato la visione delle professioni che hanno scelto.
Premessa: non si tratta di una gara! A partire dal 1913, con la prima laureata Gaetanina Calvi, tutte le Alumnae del Politecnico sono diventate parte fondamentale di quella trasformazione culturale che ha visto le donne prendersi meritatamente (e, a volte, faticosamente) il loro spazio, tra i banchi del Poli e non solo. Ogni donna politecnica ha fatto e fa la differenza e continua a farla (ne parliamo nel libro ALUMNAE – Ingegnere e tecnologie).
Anche se nel 2021 l’Italia è salita dal 76° al 63° posto nella classifica mondiale secondo il Global Gender Gap report del World Economic Forum, quando si parla di divario di genere il nostro Paese ha ancora un gran margine di miglioramento (per approfondire: dati del 2021 da Il Sole 24 ore).
Anche per questo, il Politecnico, partendo dall’assunto che il primo vero terreno di gioco della partita contro il gender gap sia la scuola, ha aderito al programma ENHANCE (qui per saperne di più) e ha promosso Gender POP – Pari Opportunità Politecniche, che comprende iniziative come le borse di studio Girls@Polimi, create per ridurre il divario di genere nelle STEM e creare un ambiente più inclusivo.
Ma iniziamo con il nostro elenco di Politecniche che hanno fatto la storia: saranno nomi che probabilmente avrete già sentito, alcuni famosi e altri meno, ma comunque importanti per aver sfidato le regole della società in cui vivevano.
GAETANINA CALVI – ALUMNA INGEGNERIA CIVILE
Nell’anno 1913 si laurea la prima donna politecnica: Gaetanina Calvi, ingegnere civile, era l’unica donna del suo corso. I laureati di quell’anno erano 156 (di cui 149 ingegneri). Era passato mezzo secolo dalla fondazione del Politecnico di Milano (1863).
Tra i suoi traguardi professionali, ricordiamo la progettazione della nuova ala dell’Istituto per ciechi di Milano, destinato a casa di riposo nel 1925, che la vide impegnarsi in prima persona, insieme all’architetto Faravelli. Negli anni seguenti insegnò matematica e scienze sempre presso l’Istituto che iniziò a darle un compenso in denaro soltanto nel 1928 (fonte).
Dopo Gaetanina Calvi, al Politecnico iniziavano a vedersi le prime donne: nel 1918 a laurearsi fu Maria Artini, la prima elettrotecnica italiana, mentre nel 1928 Carla Maria Bassi e Elvira Morassi Bernardis saranno le prime donne a laurearsi in architettura (abbiamo parlato di loro nel libro ALUMNAE – Ingegnere e tecnologie).
Classe 1937, nel 1962 è la prima donna in Italia a laurearsi – con il massimo dei voti – in Ingegneria aeronautica. A tal proposito racconta:
«Sono stata una tra le prime ragazze in Italia a frequentare il liceo scientifico, che allora era una scuola prevalentemente maschile. Nella mia classe, per capirci, c’erano soltanto cinque femmine su 52 alunni totali. Poi, al momento di iscrivermi all’università, i miei genitori volevano che diventassi una matematica, ma io ho preferito frequentare la facoltà di ingegneria aeronautica. Quello che a me interessava davvero, infatti, era capire come funzionano le cose nel concreto».
Dopo gli studi, Ercoli-Finzi resta al suo Politecnico diventando docente (ha insegnato meccanica razionale e meccanica aerospaziale a moltissimi Alumni che leggeranno questa pagina) e ricercatrice. Le sue scoperte e i suoi esperimenti la portano a farsi un nome nel settore aeronautico internazionale. Collabora con NASA e con le agenzie spaziali italiana (ASI) ed europea (ESA).
Tra le sue più celebri iniziative ci sono il coordinamento e la partecipazione a diverse missioni spaziali, prima fra tutte la missione spaziale Rosetta, cominciata nel 2004 e conclusasi nel 2016 con l’obiettivo di studiare da vicino la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko (qui per approfondire).
Da sempre attiva nel promuovere e sostenere le donne negli ambienti considerati “maschili”, in una recente intervista con Sky difende l’importanza di spingere sempre più donne a intraprendere percorsi di ricerca scientifica:
«Mi sono accorta davvero – ha detto – che per molte donne sono stata fonte d’ispirazione, le ragazze che studiano adesso hanno pensato che la soddisfazione che io trasmettevo per il mio lavoro fosse un motivo valido per copiare e fare il mio lavoro. È una grande responsabilità, anche con le parole e gli atteggiamenti trasmettiamo la passione per i valori che abbiamo sostenuto. […] Ai miei tempi le donne come me erano delle stelle, stelle isolate, Sirio piuttosto che Aldebaran, adesso ci sono le costellazioni. Rappresentano costellazioni perché riescono a fare massa, c’è ancor da fare ma arriveremo».
CINI BOERI – ALUMNA ARCHITETTURA
Cini Boeri si laurea al Politecnico nel 1951, con un bambino di due mesi nella carrozzina e già una proposta di lavoro da parte di Gio Ponti in tasca. Dopo diverse collaborazioni, nel 1963 apre uno studio dove la sua carriera decolla tra progetti, insegnamento e ricerca, concentrandosi su case, appartamenti privati e progettazione di oggetti di uso comune, che non venissero “posseduti bensì utilizzati”.
«Quando progetto una casa per una coppia di coniugi, ad esempio, propongo sempre di inserire una stanza in più. Loro mi chiedono sempre: “per gli ospiti?”. Ma no! Non per gli ospiti. Perché se una sera uno ha il raffreddore può andare a dormire in un’altra stanza, per esempio. Uno dovrebbe poter scegliere, sapere che può andare a dormire con il proprio compagno, ma che può anche decidere di non farlo, senza che questo pregiudichi la vita di coppia. Credo sarebbe molto educativo insegnare i giovani che quando si uniscono in coppia non è obbligatorio dividere il letto, è una scelta. È molto più bello».
È conosciuta per il suo approccio democratico all’architettura e al design:
«È il Politecnico che ci ha abituati così. Abbiamo avuto un insegnamento molto aperto, non so se oggi sia ancora così!»ì
Laureata nel 1953, Gae Aulenti comincia la sua carriera da progettista in un momento di profonda evoluzione della cultura architettonica italiana. Dopo la laurea al Politecnico, si avvicina a due dei principali luoghi di elaborazione teorica sull’architettura dell’epoca: la rivista Casabella Continuità, diretta da Ernesto Nathan Rogers, con cui collabora tra il 1955 e il 1965, e lo IUAV – Istituto Universitario di Architettura di Venezia, dove lavora a partire dal 1960 come assistente di Giuseppe Samonà.
Per Gae Aulenti l’architettura è sempre un gesto collettivo, mai individuale, qualcosa da partecipare con una comunità. Per questo, molte delle sue opere più celebri sono spazi pubblici: tra le tante, citiamo il Museo di Arte Moderna e il Museo d’Orsay a Parigi, l’Istituto di Cultura italiana a Tokyo, la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia, delle ex scuderie papali al Quirinale e Piazza Cadorna a Milano.
«Mi fa imbestialire la ghettizzazione in genere. A cominciare da chi dice: come architetto ho preso una donna»
L’architettura per Aulenti guarda avanti, oltre alle condizioni di genere da cui liberarsi e verso un nuovo destino da progettare e da costruire con il sapere. Rifiuta l’idea della “donna-architetto”, che trova ghettizzante: parlare di architettura e design di genere, per lei, rafforza l’idea che queste due specialità per le donne siano qualcosa che le circoscrive alle superfici e ai decori, mentre il cuore e lo scheletro del progetto sono riservati a progettisti uomini.
Anna Castelli Ferrieri inizia a studiare architettura al Politecnico nel 1938 ed è subito attratta dalle avanguardie e dalla Bauhaus. Durante gli anni è allieva di Franco Albini da cui apprende l’approccio razionalistico. In seguito lavora nel suo studio dove entra in contatto con gli architetti Piero Bottoni ed Ernesto Nathan Rogers, impegnati nella ricostruzione di Milano.
Nel 1942 si laurea in architettura e lascia Milano a causa dell’occupazione tedesca, per rientrarci solo nel 1946, quando diventa caporedattrice della rivista di architettura Casabella e fonda il suo studio.
A partire dal 1966, insieme al marito Giulio Castelli e alla sua azienda Kartell, è la prima donna a dedicarsi al design industriale e alla produzione di oggetti di uso quotidiano e arredi fatti in plastica: tra i più famosi ricordiamo la sedia sovrapponibile 4870 (vincitrice del Compasso d’oro) e i mobili 4970/84, contenitori componibili per la casa, progettati seguendo il suo principio secondo cui gli oggetti di uso comune debbano avere un design funzionale, che metta al centro la persona.
«Se un prodotto non ha successo è perché ha sbagliato l’architetto, non perché il pubblico non capisce. L’architetto deve solo – ma sempre – rispondere a due domande: “Cosa serve?” e “Cosa manca?”»
LILIANA GRASSI
”L’architettura, per me, è essere, proposta di libertà costantemente controllata, difesa con lo studio della storia, con la prudenza della ricerca, con la solitudine della fantasia, con il raccoglimento disinteressato…”
Alumna in architettura nel 1947, si laurea con Ambrogio Annoni, di cui sarà assistente per diversi anni sia in cattedra che in cantiere. Anni dopo inizia a insegnare Restauro dei monumenti. Illustre figura della cultura lombarda e italiana, Liliana Grassi ricopre vari e prestigiosi incarichi istituzionali ottenendo riconoscimenti soprattutto per il grande contributo pratico e teorico da lei portato nel campo del restauro. La sua realizzazione più importante è il restauro dell’antico Ospedale Maggiore di Milano, distrutto dai bombardamenti del 1943 e poi adattato.
Fonte: “Dal Politecnico di Milano protagonisti e grandi progetti”
FRANCA HELG
“Il dettaglio è fondamentale per la definizione dell’insieme, il dettaglio può determinare un progetto e certamente lo caratterizza. Il risultato complessivo dell’opera è connesso ai dettagli, per disegno e qualità. Il dettaglio incide sui valori spaziali e volumetrici del costruito.”
Laureata nel 1945, dopo la laurea si associa con Franco Albini, al quale rimarrà legata fino alla morte di quest’ultimo. Nel suo lavoro progettuale, Franca Helg ha sempre mostrato una cura meticolosa per il dettaglio, fondendo modernità e classicità, razionalità e creatività, dando vita ad opere connotate da eleganza e semplicità, slegati dalle mode culturali del momento. Oltre a questo c’era il design industriale: Helg ha creato vasi, maniglie, sedie, lampade da sospensione, da scrivania, da terra, e la poltrona di giunco e midollino Primavera.
L’insegnamento di Composizione Architettonica ha rappresentato una parte importante nella sua vita: prima all’istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV) poi al Politecnico di Milano, dove divenne ordinaria nel 1984.
Sostenendo il progetto GIRLS @ POLIMI puoi contribuire insieme ad altri donatori a creare delle borse di studio per sostenere le ragazze che si iscrivono ai corsi di laurea in ingegneria a bassa frequentazione femminile. Dona ora.
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