Al Poli c’è un progetto che si occupa di fare la spesa per chi non ce la fa

Si stanno per concludere i cinque progetti di ricerca a tema «Equità e Ripresa» selezionati dal Polisocial Award 2021 e finanziati grazie alle donazioni del 5 per mille IRPEF al Politecnico. L’emergenza sanitaria derivata dalla pandemia ha contribuito ad acuire squilibri e marginalità e a rendere concreto il rischio di un aumento delle disparità; per questo, i progetti finanziati hanno agito in una prospettiva di ripresa economica, sociale e culturale, promuovendo lo sviluppo di metodi, strategie, strumenti e tecnologie tesi a ridurre le disuguaglianze e a favorire l’accesso a risorse e opportunità da parte di persone, categorie sociali o comunità particolarmente vulnerabili. 

Il progetto SOSpesa, coordinato dal prof. Davide Fassi del Dipartimento di Design, prende spunto da una iniziativa di quartiere nata dal basso, all’interno di un gruppo Facebook – NoLo Social District: durante il primo lockdown 2020 è stato un punto d’incontro tra chi voleva donare cibo, chi ne aveva bisogno, e chi poteva rendersi disponibile per consegnare la spesa porta a porta. Con la fine del lockdown, Off Campus NoLo del Poli ha deciso di adottare questa iniziativa, iniziando a sperimentare varie metodologie per offrire, negli spazi Off Campus del Mercato Mercato Comunale di Viale Monza 54, un servizio che prima era lasciato all’iniziativa individuale. I ricercatori Valentina Ferreri e Stefano Quaglia, rispettivamente dei dipartimenti DESIGN e DIG, ci spiegano i dettagli di questo progetto, a partire dalla volontà di aiutare le famiglie in difficoltà. 

PANE, CARNE, FRUTTA E VERDURA  

“Volevamo offrire un servizio diverso rispetto alle classiche spese sospese delle GDO, evitando la calca da ‘chi prima arriva meglio alloggia’”, ci spiega Ferreri. Il cibo offerto è fresco e di qualità, e il sistema di distribuzione è gestito in modo ordinato: le famiglie beneficiarie (al momento circa 200) vengono contattate per organizzare la consegna della spesa, che avviene un paio di volte al mese. Ogni beneficiario ha diritto a ritirare due tipi di spesa, in modo alternato: una volta un pacco di cibo in eccedenza, recuperato grazie alla collaborazione con RECUP e con vari negozi di quartiere che donano il loro invenduto, una volta una borsa di 30 euro di prodotti comprati da Off Campus.  

LA FORZA DEL PASSAPAROLA 

Come vengono individuate le famiglie beneficiarie? “Inizialmente bisognava iscriversi su una piattaforma online, poi nel 2021, con l’arrivo del nostro progetto Polisocial, è stato definito un paniere di famiglie beneficiarie e una metodologia di distribuzione a rotazione”, spiega Ferreri. “Non chiediamo l’ISEE, ci fidiamo della buona fede delle persone: non abbiamo né mezzi né competenze per controllare. Funziona: molte persone ci vengono segnalate da Rete Qubì di Loreto, altre vengono presentate da famiglie che beneficiano già del servizio; alcune si sono anche auto-eliminate dalla lista, perché non hanno più bisogno di aiuto”.  

TRASFORMARE L’INVENDUTO 

Un altro aspetto del progetto SOSpesa è quello che riguarda la “trasformazione” (sì, si dice così) della merce invenduta: “Molti negozianti volevano supportare la nostra iniziativa con l’invenduto, ma avevano una quantità di eccedenze non sufficiente. Così abbiamo deciso di donare una minima parte delle cassette che recuperiamo grazie al lavoro dell’associazione Recup al ristorante Cunza e alla gastronomia Fola, che rielaborano e cucinano i prodotti per farne piatti e conserve da vendere. Per ogni piatto venduto, il progetto riceve un euro”, spiega Ferreri. 

Tra le maggiori criticità riscontrate, soprattutto con uno sguardo al futuro, vi è la necessità di raccogliere fondi continui per il progetto: “Abbiamo sempre bisogno di soldi per acquistare cibo di qualità”, spiega Ferreri. “Al momento chi lo desidera può donare in tre modi: con Satispay, tramite bonifico bancario o in contanti presso i punti di raccolta. In futuro, però, se il modello dovesse espandersi in altri quartieri, la raccolta fondi sarà un aspetto di cui tenere conto”. Secondo Quaglia, il valore aggiunto di SOSpesa è dato dal fatto che, coinvolgendo realtà di quartiere, è possibile curare meglio l’aspetto sociale e creare una rete di persone disposta a collaborare. 

IL RUOLO DEGLI STUDENTI 

Il progetto ha visto il coinvolgimento di molti studenti come volontari: “Alcune associazione studentesche, come Social Innovation Teams (SIT), si sono occupate di gestire il rapporto con i beneficiari, contattandoli quando è il momento di ritirare la spesa”, racconta Ferreri. Un’altra collaborazione attiva è quella con Associazione studenti musulmani, che si occupa di dare una mano ai volontari che consegnano la spesa nella sede di Off Campus NoLo, interloquendo con i beneficiari che non capiscono l’italiano. 

UN FRIGORIFERO CONDIVISO 

I ricercatori sono ormai pronti a tirare le fila del progetto, in fase di chiusura: una delle idee per il futuro, oltre a quella di portare il modello in altri quartieri (a partire magari da altri Off Campus), è quello di sviluppare un progetto di frigorifero di quartiere. “Sarebbe interessante condividere una cella frigorifera con altri enti e servizi che si occupano di recupero e redistribuzione alimentare. Rete Qubì ha partecipato a un bando comunale con questa idea, ora non ci resta che aspettare i risultati”, conclude Ferreri. 

Piazzale Loreto, una piazza aperta al futuro

Milano, 2026. All’uscita della fermata della metropolitana Loreto un uomo viene quasi preso in consegna della piazza che – scavata e fattasi ipogeo, in pietra naturale – scende al livello del mezzanino per portarlo su, a cielo aperto, dove alzando lo sguardo scopre anche il verde delle terrazze in cima a tre edifici, geometrie prismatiche dotate di pannelli solari e al cui interno si celano negozi mentre all’esterno si muove un reticolo di pedoni e ciclisti, fra trecento alberi, luoghi di passaggio e di ritrovo. Una rigenerazione urbana che si estende su oltre novemila metri quadrati, di cui quasi quattromila di verde pubblico e più di un chilometro di piste ciclabili nell’intero progetto. Torniamo a Milano, 2023. La visione appena immaginata è – in breve – il progetto della nuova Piazzale Loreto, vincitore del bando internazionale Reinventing Cities. Si intitola LOC – Loreto Open Community, il suo avvio di cantiere è previsto entro l’autunno 2023 verso il traguardo di Milano-Cortina 2026, e ha alla base l’idea di una piazza che vuole farsi aperta a persone e idee. Ne abbiamo parlato con l’Alumnus Carlo Masseroli, Development&Strategy Director di Nhood, società internazionale di soluzioni immobiliari specializzata nel commercial real estate e nella rigenerazione urbana – capofila di una cordata multidisciplinare che include alcune fra le migliori eccellenze nel campo della progettazione, del design e del paesaggio. 

Alumnus Carlo Masseroli
IL PROGETTO SI INTITOLA LOC – LORETO OPEN COMMUNITY: IN CHE MODO IL PROGETTO SI APRE ALLA COMUNITÀ?

Il progetto si divide in quattro fasi, che nel tempo e in vari modi prevedono l’incontro con la cittadinanza. Per noi è stato fondamentale partire innanzitutto dall’ascolto del territorio, il che non significa la neutralizzazione dei potenziali comitati di quartiere o lo stare attenti al non toccare tasti che avrebbero potuto generare contrarietà. Era necessario presentare il progetto e capire con gli abitanti stessi se fosse coerente. Nella prima fase di ascolto dunque è emerso subito che in questa piazza è ancora forte l’eredità del boom dell’automobile, quando una diversa concezione di città la trasformò non in un luogo di incontro ma di divisione. Tant’è vero che Piazzale Loreto separa parti di città profondamente distanti tra loro. Non c’è un altro luogo della città in cui, ponendosi al centro e guardandosi intorno, si dipanino tante Milano differenti: c’è il mondo di NoLo, percorso da una nuova vitalità generatasi proprio grazie alla cittadinanza, ma che rispetto ad esempio a Corso Buenos Aires nasce con minori servizi. Dalla parte opposta c’è appunto il mondo di Corso Buenos Aires, la parte più ricca e destinata allo shopping. Proseguendo in asse da qui, ci sono i mondi di viale Monza e la multiculturale via Padova. E poi c’è Città Studi, il quartiere universitario. Si tratta insomma di uno snodo stradale che dal punto di vista sociale ha creato una barriera alla condivisione della città. Noi vogliamo abbatterla. Da qui prende forma l’idea di realizzare un intervento che non sia di tipo monumentale e architettonico – cosa che all’origine era – ma che conferisca a questa piazza il ruolo di ricongiunzione di tanti pezzi di città diversi. Un’agorà, un punto di incontro.  

L’ATTUALE PUNTO DI INCONTRO È LOC 2026, UNO SPAZIO FISICO CHE SI TROVA IN VIA PORPORA, APERTO AI CITTADINI CHE VOGLIONO SCOPRIRE IL PROGETTO E LE SUE EVOLUZIONI.

Sì, e coincide con la fase in cui ci troviamo ora. LOC 2026 inizierà ad ospitare iniziative ed eventi che andranno ad anticipare ciò che vorremmo accadrà nella piazza. Organizzeremo anche un ciclo di incontri dedicato agli studenti del Politecnico di Milano, per raccontare le varie fasi realizzate e comprendere anche il loro punto di vista sul progetto. Allo stesso modo incontreremo altre scuole e soggetti del territorio per spiegare i tanti aspetti del progetto, dalla mobilità all’ambiente. Riguardo a quest’ultimo, durante il mio mandato da assessore allo sviluppo del territorio (dal 2006 al 2011, ndr) ci eravamo figurati il tema dei raggi verdi della città, ovvero un parco orbitale costituito da piste ciclabili e natura che cingesse la città, percorrendola dal centro alle periferie. Piazzale Loreto rappresenterà uno di questi raggi verdi. Tornando alla genesi del nucleo di questa idea, vorrei aggiungere che il primo punto fermo di questa piazza è stata la costruzione del team di lavoro. Quando è partito il bando di Reinventing Cities ero in Arcadis, società di consulenza in progettazione e ingegneria, e volevo costruire un team in grado di vincere una grade sfida: quella di un soggetto privato che per la prima volta trasforma una piazza pubblica, emblema proprio della rigenerazione che associa l’interesse pubblico e la sostenibilità economica del privato. Così abbiamo coinvolto Nhood, società specializzata in trasformazione di spazi in luoghi di vita, il team di architetti Metrogramma e MIC-HUB per quanto riguarda la mobilità infrastrutturale pubblica e privata.  

COME CI SI SENTE NEL RIPENSARE E RICOSTRUIRE UNA PIAZZA ATTRAVERSO CUI È LETTERALMENTE PASSATA LA STORIA?

Da un lato c’è una paura enorme perché l’aspettativa è alta. E potremmo prevedere degli incontri dedicati proprio al raccontare e conservare la storia di questa piazza. Nessuno della mia generazione poi ha calpestato il centro di questa piazza e sarà una grande novità: nella piazza futura, da qualunque parte vi si potrà arrivare a piedi. Dal punto di vista della mobilità l’impatto è molto basso perché ordiniamo, ma non limitiamo. Ridurremo il traffico del 5% ma crediamo che il periodo di cantiere – che sarà la terza fase – genererà naturalmente una nuova modalità di utilizzo di questa parte di città. L’ambizione, infine, e arriviamo alla quarta fase, è che questa piazza, come le grandi piazze di altri capitali, diventi un luogo che faccia parte dei tour turistici della città.  

E SE LEI DOVESSE RIFARE UN TOUR NEL PASSATO, NEI SUOI ANNI DA STUDENTE AL POLITECNICO DI MILANO, QUAL È L’INSEGNAMENTO PIÙ IMPORTANTE CHE REPUTA DI AVER QUI RICEVUTO E CHE ANCORA OGGI È PREZIOSO NEL SUO LAVORO?

Dopo la laurea in ingegneria gestionale ho aperto una società che si occupava di sistemi informativi per il controllo della gestione. Successivamente sono stato assessore all’urbanistica di Milano per cinque anni, rivestendo un ruolo pubblico focalizzato sulla rigenerazione urbana. Quindi, come direttore generale di MilanoSesto ho rivestito il ruolo di privato e oggi parte del mio lavoro è proprio far sì che gli interessi pubblici si accordino e dialoghino con gli interessi privati e la sostenibilità economica. Questo preambolo per sottolineare come io abbia iniziato a lavorare utilizzando le competenze gestionali apprese all’università ma poi ho fatto altro. Più che le competenze verticali, ciò che è rimasto è l’aver imparato un metodo, la capacità di affrontare qualsiasi tema complesso, di rendere processo qualsiasi tipo di problema. In un mondo che vertiginosamente cambia, ho la cassetta degli attrezzi che mi porto dal Poli. L’altro insegnamento ricevuto, consiste nella tendenza a dare sempre una quantificazione. Ad avere un approccio pragmatico. Soprattutto nel mondo della rigenerazione urbana, dove si associano competenze di ogni tipo e molto articolate e bisogna avere capacità di sintesi: dunque quantificare il processo, dare un senso di concretezza alle cose che stai gestendo. In poche parole: rendere numero le cose.  

TORNIAMO NEL FUTURO: COME IMMAGINA UNA SUA PASSEGGIATA IN PIAZZALE LORETO IN UN GIORNO DEL 2026?

Il centro di piazzale Loreto credo sia il luogo più irraggiungibile per i milanesi, quasi un’utopia. Ecco, calpestare quel punto e renderlo fruibile da tutti credo possa essere un buon obiettivo simbolico. Lì, all’ombra di un giorno di sole, vorrei poter brindare alla nuova piazza. 

Non ci vedi? Ti accompagna Budd-e, il robot-guida per persone non vedenti

Si stanno per concludere i cinque progetti di ricerca a tema «Equità e Ripresa» selezionati dal Polisocial Award 2021 e finanziati grazie alle donazioni del 5 per mille al Politecnico. L’emergenza sanitaria derivata dalla pandemia ha contribuito ad acuire squilibri e marginalità e a rendere concreto il rischio di un aumento delle disparità; per questo, i progetti finanziati hanno agito in una prospettiva di ripresa economica, sociale e culturale, promuovendo lo sviluppo di metodi, strategie, strumenti e tecnologie tesi a ridurre le disuguaglianze e a favorire l’accesso a risorse e opportunità da parte di persone, categorie sociali o comunità particolarmente vulnerabili. 

Il progetto BUDD-e (Blind-assistive aUtonomous Droid Device) si inserisce in questo quadro: il team, composto da ricercatori e ricercatrici provenienti da diversi dipartimenti del Poli (DEIB, DIG, DESIGN e DABC), ha lavorato per sviluppare un robot in grado di garantire più autonomia alle persone non vedenti e ipovedenti, guidandole in attività quotidiane come una corsa al parco o un giro al centro commerciale. “L’idea iniziale era fornire alle persone cieche e ipovedenti uno strumento che le rendesse autonome nella corsa, ma poi il progetto si è esteso ad altri ambiti quando ci siamo resi conto, insieme ai nostri partner, che esistono diverse difficoltà di accessibilità negli spazi pubblici”, ci spiega il prof. Marcello Farina (Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria), responsabile scientifico del progetto. 

Credits: marcato
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IN CORSO LE SPERIMENTAZIONI 

Prima di iniziare, i ricercatori e le ricercatrici hanno sottoposto a diversi utenti ciechi e ipovedenti una serie di questionari, per capire quali fossero le loro abitudini e le loro esigenze: è emerso che la maggior parte di loro (il 75%) si muoveva solo se accompagnato da amici, parenti o volontari, e che l’1% non usciva addirittura di casa per paura di farsi del male. 

Budd-e vuole sostituirsi all’accompagnatore per poter dare più libertà alle persone non vedenti e ipovedenti: “L’idea è renderlo un servizio pubblico, un aiuto di cui usufruire quando si va al supermercato, al parco o alla stazione”, spiega Farina. “I due luoghi dove faremo le prime sperimentazioni sono l’Ospedale Niguarda e il Centro Sportivo Giurati del Politecnico: al Niguarda probabilmente il test sarà a giugno, mentre al Centro Sportivo non l’abbiamo ancora fissato, ma entro settembre si concluderà il tutto con un evento finale”. 

ROBOT E RADAR PER LA VITA QUOTIDIANA 

Budd-e ha le stesse dimensioni e la stessa mobilità di una sedia a rotelle, ed è una versione 2.0 di Yape, un robot già in commercio utilizzato per la distribuzione ultimo miglio (ovvero l’ultimo step della catena di approvvigionamento, che avviene con la consegna del prodotto al cliente). 

Team Kick-off
Team Kick-off

Scopri di più su Yape a questo link 

Rispetto a Yape, la modifica più visibile di Budd-e è l’aggiunta del “cordino” che serve a guidare l’utente: “Il cordino è attivo, dà una tensione di 0,6 chilogrammi forza all’utente, che così sa dove andare: Budd-e non tira il braccio, e si muove solo quando si muove l’utente, adattandosi alla sua velocità e mantenendo sempre la stessa distanza”, spiega Farina. Alimentato con batterie elettriche, per funzionare Budd-e deve prima mappare il luogo dove si muoverà: nei luoghi chiusi (come ospedali o centri commerciali) è necessaria la tecnologia LIDAR (una tecnica di telerilevamento aereo, Light Detection and Ranging), mentre per parchi e spazi aperti è sufficiente la mappatura GPS. 

“Budd-e è un work in progress”, specifica Farina: “Anche la versione che testeremo a giugno non sarà definitiva, ma continueremo a migliorarla: Le modifiche più importanti che vogliamo apportare sono l’ottimizzazione del sistema di trazione del cordino e l’integrazione di un segnalatore acustico”. 

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Avviata la missione JUICE verso Giove

Il 14 aprile, alle 14:14 ora italiana, è stata lanciata dalla base di Kourou, in Guyana francese, JUICE (Jupiter Icy Moons Explorer), la sonda dell’Agenzia Spaziale Europea che nel 2031 raggiungerà il sistema di Giove per effettuare osservazioni dettagliate del pianeta gassoso e di tre delle sue lune: Callisto, Europa e Ganimede.

Anche il Politecnico di Milano è coinvolto nella missione: i ricercatori del MetroSpace Lab del Dipartimento di Meccanica, situato presso il Polo di Lecco, hanno contribuito alla progettazione di uno dei principali strumenti a bordo della sonda, MAJIS (Moons and Jupiter Imaging Spectrometer), uno spettrometro ad immagini che opera su due differenti canali spettrali, vicino infrarosso e infrarosso. Lo strumento è stato costruito da un consorzio francese e italiano, (Principal Investigator francese, Francois Poulet dello IAS di Parigi, con Co-Principal Investigator italiano, Giuseppe Piccioni dell’INAF di Roma) con una partecipazione belga; la testa ottica dello strumento è il contributo italiano.

In particolare, il team del Politecnico ha guidato la fase iniziale del progetto termomeccanico, studiando un sistema di raffreddamento passivo in grado di mantenere il sensore infrarosso a temperature inferiori ai 90 K (-183,15 °C) e l’intero sistema ottico a temperature inferiori ai 140 K (-133,15 °C), anche se il satellite opererà a temperature prossime a quelle terrestri.

Il progetto esecutivo e la realizzazione dello strumento sono stati condotti dall’azienda Leonardo, su finanziamento dell’Agenzia Spaziale Italiana, con la supervisione del team scientifico, all’interno del quale resterà attivo anche nella fase di volo e operativa della missione il gruppo del Politecnico, prima per effettuare un affinamento del modello termico dello strumento, utilizzando i dati raccolti in fase di crociera, poi per supportare la pianificazione delle osservazioni.

Per maggiori informazioni: Space @polimi

Nuovo primato digitale per l’Italia: una chiacchierata con Giuseppe Di Franco

“È un momento di grande evoluzione del mercato italiano per quanto riguarda la tecnologia del digitale, guidato da due trend fondamentali: gli investimenti europei (come quelli del PNRR) e i processi trasformativi sul digitale. Alla testa di questi due trend ci sono i grandi gruppi industriali, perché uno dei temi da tenere in considerazione è quello delle dimensioni che servono per avere un impatto nel settore del digitale”.  

A parlare è Giuseppe Di Franco, Consigliere Delegato del Gruppo Lutech, Amministratore Delegato di Lutech Advanced Solutions e Alumnus politecnico in ingegneria gestionale. Ci spiega che, da soli, in questo contesto, si fa ben poco; e questa è, come sappiamo, una criticità nel tessuto industriale italiano, caratterizzato da tante imprese piccole e medie (seppur eccellenti). “Uno dei grandi temi di efficienza del sistema economico italiano sta nella bassa produttività del lavoro rispetto ai grandi partner europei. Il percorso di miglioramento della produttività, della sicurezza nazionale, della sovranità dei dati, è connesso con importanti investimenti sul digitale. Che devono essere fatti coerentemente con gli obiettivi nazionali”.  

È una delle considerazioni che ha portato alla trattativa per l’acquisizione di Atos Italia da parte di Lutech, in partnership con i fondi Apax e con il Gruppo Atos. “Abbiamo lavorato per creare un campione del digitale in Italia, puntiamo a superare il miliardo di euro di fatturato in circa un anno e mezzo con una forza lavoro di oltre 5000 persone. Si tratta di un player di dimensioni rilevantissime a livello internazionale”.

Giuseppe Di Franco
INVESTIMENTI ITALIANI PER MOLTIPLICARE LA NOSTRA CAPACITÀ DI CALCOLO 

Il tema è importante perché va nella direzione di un primato del sistema Italia sulla capacità di innovazione e di progettazione. “Non credo che competeremo mai con la Cina sul costo del lavoro, no? Quindi bisogna puntare sulla capacità di calcolo per progettare e uscire dalla trappola della competizione sul costo del lavoro. Che è mortificante, e ha sempre portato a effetti devastanti”. Chiediamo a Di Franco quali siano i prossimi passi in questo processo.

“A fine 2022 è stato inaugurato dal Presidente della Repubblica il progetto informatico più rilevante degli ultimi anni. Mi riferisco al supercomputer Leonardo, che raddoppia la capacità di calcolo nazionale. È il quarto super computer più potente al mondo e è dedicato alla ricerca scientifica e tecnologica. Con tecnologia Atos e gestito dal consorzio universitario Cineca grazie anche alle competenze del team dell’allora Atos Italia, è accessibile da università e da aziende in tutta Italia. Leonardo è una delle dimostrazioni del fatto che il nostro Paese stia investendo per dotarsi di una capacità elaborativa di primissimo piano a livello sia europeo che internazionale. Che, direi, è un elemento basilare per poter parlare dello sviluppo del digitale”. 

I GEMELLI DIGITALI, DAI CONTATORI DELLA LUCE ALL’INTERO PIANETA 

Direttamente collegato alla potenza di calcolo, l’altro elemento di crescita è la nostra capacità di modellizzazione. “Da un modello grossolano del corpo umano, per esempio, non posso attendermi di poter studiare il DNA. Quanto più il modello del corpo diventa scomponibile in parti con una migliore risoluzione e sempre più fedeli ai loro gemelli fisici, tanto più efficace, dal punto di vista predittivo, sarà la ricerca scientifica che posso fare”. Parliamo, ovviamente, di Digital Twin, termine relativamente nuovo per definire una millenaria ambizione della nostra specie: quella di riuscire, avendo tutte le informazioni a disposizione, a prevedere lo sviluppo (cioè ottenere un modello) di qualsiasi fenomeno.  

“E qui tocchiamo due temi importanti. Prima di tutto, come dicevamo, la capacità di calcolo in crescita esponenziale. Stiamo cambiando l’ordine di grandezza di quello che si può simulare, di quello che abbiamo simulato e pensato fino ad oggi, che rischia fortunatamente di apparire, molto presto, obsoleto. A partire dal concreto: pensiamo ad esempio all’utilizzo del Digital Twin per la gestione delle città, per la progettazione di elementi tecnologici complessi, per il trattamento di organi del corpo con farmaci rivoluzionari, per studi di meteorologia, per tecnologie predittive… il limite, come si suol dire, è il cielo”.  

Atos – Supercomputer
Cineca – Giacomo Maestri
PESCARE IN LAGHI DI DATI NON È UN GIOCO DA RAGAZZI 

La criticità di tutto questo sta nella complessità e nel numero delle variabili delle informazioni che possiamo raccogliere a priori; l’errore è dietro l’angolo, e si porta dietro il rischio di un effetto deriva. “In linguaggio tecnologico si parla di costruzione di data lake; in generale, comunque, stiamo parlando di un punto di arrivo che non si accende con un interruttore on/off. È un percorso che ha degli step intermedi, tutte le grandi imprese stanno lavorando in maniera molto seria nella costruzione di questi dataset che hanno come presupposto la rilevazione dei dati (per esempio con l’IoT). Per citare un caso domestico, Enel ha realizzato uno dei più grandi data lake al mondo con i dati di lettura e provenienti dai contatori. Questo dà delle informazioni, per esempio sui consumi energetici, sulla possibilità di bilanciamento della rete, sul corretto utilizzo delle infrastrutture esistenti, eccetera”. 

Un’altra buona notizia è che questo è solo l’inizio. “La ricerca scientifica e tecnologica ci sta portando verso il quantum computing, che ci farà cambiare ulteriormente ordini di grandezza quando passeremo a applicazioni che utilizzano una capacità quantica invece di quella parallela”.  

SE LE MACCHINE PROGETTANO ALTRE MACCHINE, E SBAGLIANO, DI CHI È LA RESPONSABILITÀ? 

Ipotizziamo di essere alla guida. A un certo punto, il meccanismo dei freni si inceppa: c’è stato un errore di progettazione nell’automobile, che non era sufficientemente ben progettata per sostenere un certo utilizzo. Di chi è la responsabilità? Oggi siamo al punto di poter progettare un’automobile attraverso l’utilizzo Digital Twin: in pratica, sono le macchine a progettare altre macchine, dati i nostri desiderata. Questo modo di progettare dovrebbe ridurre ulteriormente il (già basso) margine di errore. Ma l’errore non è mai del tutto eliminabile e, nel momento in cui si verificano, ci chiediamo di chi sia la responsabilità. Abbiamo però l’impressione che l’utente umano chieda più garanzie, al digitale, in termini di sicurezza, di quante ne chieda a un suo simile. Allo stesso modo in cui ci poniamo dubbi, legittimi, sulla questione della guida autonoma. Poi c’è un tema di opacità delle scelte. La questione è questa: possiamo fidarci di una macchina come ci fidiamo di un umano

“Il nuovo induce sempre preoccupazione”, risponde Di Franco “Se passi dal cavallo all’automobile, ti preoccupi dell’automobile, oggi abbiamo il tema dell’auto self driving, domani chissà che altre domande ci porremo. La novità introduce l’incertezza, quindi ne siamo attratti ma anche spaventati. E questo è un altro elemento culturale: un paese evoluto deve avere un sistema scolastico e universitario evoluto, in grado di preparare la popolazione al cambiamento”.

È QUI CHE ENTRA IN GIOCO LA SICUREZZA INFORMATICA…  

“Digitalizzazione e cyber security devono crescere in parallelo, come anche le competenze richieste per gestirle, altrimenti è chiaro che si può andare incontro ai problemi che ogni tanto abbiamo visto apparire nei casi di cronaca. È un tema culturale e uno dei molti che evidenziano il ruolo importante di istituzioni come il Politecnico di Milano: le università come il Poli sono un motore di creazione di competenze (e cito per esempio il corso di laurea in high performance computing) come anche un motore di trasformazione culturale. Un altro nodo cruciale è la resistenza all’innovazione. Quante volte ci troviamo nelle imprese a parlare di questi argomenti e ci sentiamo rispondere, soprattutto dalla media e piccola impresa: non ci serve, non l’abbiamo mai usato, ne abbiamo sempre fatto a meno… ma la digitalizzazione richiede una sua filiera: se un’azienda manifatturiera vuole progettare digitalmente un’automobile, ho bisogno di fornitori che a loro volta siano digitalizzati. È il grande tema del coinvolgimento delle piccole e medie imprese come un elemento essenziale di sviluppo del Paese. Anche perché sono queste a rappresentare la nostra ossatura economica”. Anche in questa trasformazione, la collaborazione tra sistema industriale e università è centrale. In questo senso, Lutech Advances Solutios (già Atos Italia) e Politecnico di Milano hanno recentemente firmato un accordo triennale per sviluppare progetti condivisi di didattica, trasferimento tecnologico e ricerca applicata ad ambiti di frontiera: proprio quelli di cui abbiamo parlato qui, nel campo della digitalizzazione, quali Digital Twin, High Performance Computing, Intelligenza Artificiale, Cybersecurity e Internet of Things. “È un accordo che emerge naturalmente da un rapporto di lunghissimo corso, che ha visto il Politecnico coinvolto anche nella formazione dei nostri manager per saper gestire questo percorso di cambiamento. Il rapporto col Politecnico di Milano è un tassello essenziale del nostro percorso strategico e rappresenta un caso esemplare per il sistema Italia. La cooperazione intensiva con il sistema universitario significa portare innovazione nelle industrie e riuscire anche a pensare nuovi modelli di azione”.  

Water wars: l’acqua è il nuovo petrolio? No, di più 

Siamo abituati a aprire il rubinetto e veder sgorgare acqua in quantità, senza preoccuparci del fatto che potrebbe finire. Diamo per scontato che ne avremo a sufficienza per dissetarci, lavarci, ma anche per produrre beni primari come cibo e energia elettrica. Sebbene nel nostro Paese questo atteggiamento stia cambiando a causa della siccità, in alcuni Paesi in via di sviluppo l’acqua è un bene per il quale si arriva anche a uccidere: uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Poli e pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Sustainability ha indagato proprio il legame che esiste tra acqua e conflitti violenti nel bacino del Lago Ciad, in Africa, cercando di capire in particolare quale ruolo giochi questa risorsa nell’innesco del conflitto stesso. Abbiamo parlato con due degli autori, i ricercatori Nikolas Galli e Maria Cristina Rulli, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale: ecco cosa ci hanno raccontato. 

Nikolas Galli
Maria Cristina Rulli
CONFLITTI, NON GUERRE 

Sebbene la locuzione comunemente utilizzata in inglese sia water wars, in questo caso parlare di guerre per l’acqua, ci spiegano Galli e Rulli, è sbagliato: “Finora non abbiamo mai avuto evidenze di guerre per l’acqua nella storia, se non forse una ai tempi dei Sumeri nel III millennio a.C.”, sottolinea Rulli. “Il termine guerra nel diritto internazionale ha il significato di aggressione da parte di uno Stato verso un altro, nei casi da noi investigati è quindi più corretto parlare di conflitti, non di guerre”. 

L’ACQUA È SOLO UNO DEI FATTORI IN GIOCO 

“Abbiamo scelto di concentrarci sull’area del bacino del Lago Ciad perché è una regione che soffre di gravi fragilità istituzionali e ambientali”, ci spiega Galli. “È anche spesso rappresentata in modo distorto, e per questo abbiamo deciso di analizzare la questione dei conflitti nell’area in modo più scientifico”. Una delle conclusioni a cui giunge l’analisi è che l’acqua è solo uno dei fattori in gioco nell’ innesco dei conflitti: “Ci sono driver tipici del contesto socioeconomico dietro l’insorgenza dei conflitti, come motivi religiosi o politici che spesso interagiscono tra loro e con le dinamiche idrologiche”, specifica Galli. Molto spesso, poi, le zone più prone al conflitto sono quelle che già hanno alle spalle una storia di conflitti. E il cambiamento climatico, che si porta dietro la minaccia della desertificazione, è un acceleratore di questi driver

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CONFLITTI PER L’ACQUA IN EUROPA 

Visti i problemi di scarsità d’acqua e siccità che si fanno sempre più seri anche nel Vecchio Continente, in futuro toccherà a noi essere i protagonisti delle water wars? “Spero di no”, commenta Rulli. “Siamo in una fase storica un po’ diversa e spero non avremo dei conflitti violenti come quelli che si vedono in Africa Centrale, ma se parliamo di conflitti per la risorsa, quelli esistono già. Quando la risorsa è scarsa e ci sono più utenti che la utilizzano (come il settore agricolo, energetico o il comparto domestico), gestire la risorsa idrica in modo scorretto può determinare situazioni conflittuali”. Stiamo parlando di conflitto sociale ed economico, naturalmente, che non raggiunge escalation di violenza, ma che può comunque avere conseguenze importanti sul nostro modo di vivere. A tal proposito, Rulli cita un episodio avvenuto in Texas e New Mexico durante un forte periodo di siccità: “Gli agricoltori vendevano l’acqua che avevano in concessione per uso agricolo ai produttori di energia, che la pagavano a caro prezzo: il risultato è che invece di produrre cibo, si produceva energia”.  

L’acqua è dunque il nuovo petrolio? “L’acqua ha più valore del petrolio, e finalmente ora l’abbiamo capito. L’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari sono riconosciuti infatti dalle Nazioni Unite come diritti umani. In quanto tale ad essa va attribuito un valore ma non un prezzo”, afferma Rulli. 

OLTRE L’ACQUA: UN NUOVO STUDIO IN ARRIVO 

Il 6 aprile è uscito un nuovo articolo su Nature Water che prende in considerazione anche il cibo, come risorsa produttiva, estendendo il tema trattato nello studio di Nature Sustainability: “Abbiamo approfondito il nesso acqua-conflitto fino a includere anche il cibo”, spiega Rulli. “Ci siamo concentrati sui conflitti urbani del Centro America, analizzando il ruolo dell’acqua non solo come risorsa strategica a sé stante, ma anche come risorsa per la produzione di cibo”.

L’IMPORTANZA DELLA TRANSDISCIPLINARITÀ 

Concludiamo con una domanda: cosa vi ha insegnato questa ricerca? “L’importanza della transdisciplinarità”, risponde Rulli. “Avere una base scientifica solida è fondamentale, ma non sufficiente: bisogna essere umili e aperti alla collaborazione con altri colleghi esperti in altri ambiti, specie quando si trattano problematiche sociali globali come in questo caso”. Sulla stessa linea la risposta di Galli, che afferma: “Il momento più importante della nostra ricerca è stato quello in cui ci siamo accorti che riuscivamo a vedere meglio ciò che cercavamo accettando la complessità del problema, senza cercare di semplificarlo. Quando si analizzano fenomeni così importanti e allo stesso tempo complessi, bisogna essere umili, e studiarli con la consapevolezza che, spesso, non abbiamo gli strumenti per capirli del tutto”. 

La School of Management del Politecnico di Milano è la 4° migliore in Europa

Il panorama italiano delle business schools è in crescita, secondo QS Online MBA Ranking: Europe 2023, la periodica classifica di Quacquarelli Symonds sulla qualità delle business school a livello internazionale. 

In questo panorama, già un segnale positivo per il nostro Paese, la School of Management del Politecnico di Milano si posiziona al primo posto in Italia e al 4° in Europa, dietro a IE Business School (Spagna), Warwick Business School e Imperial College Business School (entrambe nel Regno Unito, il paese della zona europea più rappresentato in questo ranking per numero di business school).  La classifica comprende 26 programmi europei di MBA online. 

Credits: Dylan Gillis on Unsplash

La nostra scuola ha ottenuto risultati eccellenti nell’indicatore “Faculty & Teaching”, che in particolare ci posiziona primi in Europa per la qualità dei docenti e dell’insegnamento (la survey ha coinvolto oltre 100.000 profili accademici in tutto il mondo). La SoM primeggia anche nei parametri Employability, cioè il grado di occupabilità degli iscritti, dove ci troviamo al 5° posto in Europa, e per Class Experience, esperienza di learning offerta ai partecipanti, che ci vede al 3° posto. 

«Questo riconoscimento arriva a distanza di poche settimane da quello del Financial Times; essere tra le migliori business school europee con il nostro Executive MBA insegnato in modalità digitale anche secondo l’autorevole ranking QS sancisce, ancora una volta, la nostra leadership in ambito innovazione e digitalizzazione della formazione manageriale», hanno commentato Vittorio Chiesa e Federico Frattini, rispettivamente presidente e dean di Polimi Graduate School of Management, in un’intervista a il Sole 24 Ore. «Il primo posto in Europa per la qualità dei nostri docenti e del nostro insegnamento rappresenta un risultato storico che non può far altro che renderci orgogliosi poiché contribuisce ad accrescere la reputazione di cui gode la nostra scuola». 

Stonehenge

Stonehenge: il Politecnico svela uno dei misteri che avvolgono il sito archeologico 

Stonehenge continua ad attirare l’attenzione di studiosi e ricercatori a più di 4 millenni dalla sua costruzione. Il Professor Giulio Magli del Politecnico di Milano e il Professor Juan Antonio Belmonte dell’Instituto de Astrofísica de Canarias e Universidad de La Laguna di Tenerife hanno pubblicato uno studio innovativo che aiuta a spiegare la funzione originaria del monumento. 

Nel corso degli anni, infatti, sono state avanzate numerose teorie sul significato e sulla funzione del sito, come quella che fungesse da calendario. Oggi, invece, gli archeologi hanno un’immagine piuttosto chiara di questo monumento come “luogo degli antenati”. L’archeoastronomia, che spesso utilizza le immagini satellitari per studiare l’orientamento di antichi siti archeologici, ha un ruolo chiave in questa interpretazione, poiché Stonehenge mostra un allineamento astronomico rispetto al sole in connessione sia all’alba del solstizio d’estate, che al tramonto del solstizio d’inverno. Ciò spiega un interesse simbolico dei costruttori per il ciclo solare, molto probabilmente legato alle connessioni tra vita ultraterrena e solstizio d’inverno nelle società neolitiche. 

Una delle teorie più recenti da sfatare è che Stonehenge sia un calendario gigante basato su un’interpretazione numerologica dei calendari egizio e giuliano con 365 giorni e 12 mesi dell’anno. Secondo i professori Giulio Magli del Politecnico di Milano e Juan Antonio Belmonte dell’Instituto de Astrofísica de Canarias e dell’Universidad de La Laguna di Tenerife, questa affermazione non è corretta. 

«Tutto sommato, il presunto calendario solare neolitico di Stonehenge si è dimostrato un costrutto puramente moderno, le cui basi archeoastronomiche e calendariali sono scarse. Come più volte accaduto in passato, ad esempio per le affermazioni (dimostrate insostenibili dalla ricerca moderna) che Stonehenge fosse usata per predire le eclissi, il monumento torna al suo ruolo di testimone silenzioso del paesaggio sacro dei suoi costruttori, ruolo che – sottolineano Magli e Belmonte – non toglie nulla al suo straordinario fascino».

Credits: Juan Belmonte
Credits: Juan Belmonte
STONEHENGE: LA NUOVA TEORIA 

Questa è quindi la teoria che è stata sottoposta a un severo stress test da due esperti di Archeoastronomia, Juan Antonio Belmonte e Giulio Magli. Nel loro articolo, pubblicato su Antiquity, una delle più autorevoli riviste scientifiche di Archeologia, gli autori mostrano che la teoria si basa su una serie di interpretazioni forzate delle connessioni astronomiche del monumento. 

  1. L’ELEMENTO ASTRONOMICO 

Magli e Belmonte hanno analizzato in primo luogo l’elemento astronomico. Nonostante l’allineamento del solstizio sia accurato, gli autori mostrano che il lento movimento del sole all’orizzonte nei giorni prossimi ai solstizi rende impossibile controllare il corretto funzionamento del presunto calendario, poiché il dispositivo, composto da enormi pietre, dovrebbe essere in grado di distinguere posizioni molto precise, meno di 1/10 di grado. 

  1. LA NUMEROLOGIA 

Attribuire significati ai “numeri” in un monumento è sempre una procedura rischiosa. In questo caso, un “numero chiave” del presunto calendario, 12, non è riconoscibile in nessun elemento di Stonehenge, così come qualsiasi mezzo per tenere conto del giorno epagomeno aggiuntivo ogni quattro anni, mentre altri numeri non vengono presi in considerazione, il portale di Stonehenge, ad esempio, era fatto di due pietre. 

  1. I MODELLI CULTURALI 

Una prima elaborazione del calendario di 365 giorni più 1 è documentata in Egitto solo due millenni dopo Stonehenge (ed è entrata in uso secoli dopo). Pertanto, anche se i costruttori hanno ripreso il calendario dall’Egitto, lo hanno perfezionato da soli. Inoltre, hanno inventato anche un edificio per controllare il tempo, poiché nulla di simile è mai esistito nell’antico Egitto. Infine, un trasferimento e un’elaborazione di nozioni con l’Egitto avvenuto intorno al 2600 a.C. non ha basi archeologiche. 

L’auto a Guida Autonoma del Politecnico alla 1000 Miglia

Per la prima volta, a prendere il via alla manifestazione 1000 Miglia 2023, evento che incarna la storia dell’automobilismo mondiale, sarà un’auto autonoma, simbolo del futuro.

Denominato “1000-MAD” (1000 Miglia Autonomous Drive), il progetto del Politecnico di Milano rappresenta la prima sperimentazione al mondo di veicoli autonomi su strade pubbliche, con un percorso di estensione di più di 1500 km e con una finestra temporale di oltre 12 mesi.

1000-MAD è un’iniziativa che mira a far crescere le competenze tecniche dell’industria italiana, a contribuire allo sviluppo della mobilità sostenibile e a creare consapevolezza nel grande pubblico su questa tecnologia.

Il progetto del Politecnico vede il supporto e la collaborazione di 1000 Miglia S.r.l., il supporto e il patrocinio del MOST – Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile e di numerosi sponsor e partner tecnici. Diversi i gruppi di ricerca e i nostri dipartimenti coinvolti, per affrontare in modo integrato temi di sviluppo tecnologico, di management di progetto (guidato dall’Osservatorio Connected Car & Mobility), e anche di design e comunicazione.

Negli ultimi anni, il Politecnico di Milano ha lavorato intensamente sul fronte dell’Artificial Intelligence e delle tecniche di guida autonoma applicata alle auto da corsa, e ora, in vista di una possibile legislazione sulla circolazione di vetture autonome su strade pubbliche, il progetto “1000-MAD” si candida come la prima sperimentazione al mondo di veicoli autonomi in contesti pubblici, caratterizzata da altissima varietà di percorso, iterata su più round sperimentali.

LA VETTURA

Il veicolo che verrà usato per la sperimentazione è la nuovissima Maserati MC20 Cielo, una supersportiva iconica ed emozionale che unisce il meglio delle moderne tecnologie con il fascino della storia di Maserati (che si è più volte intrecciata con la storia della 1000 Miglia).

Su questa vettura, messa a disposizione da Maserati, il Politecnico di Milano ha installato tutti gli elementi tecnologici di un “robo-driver” (sistemi di attuazione, sensori, computer, sistemi di comunicazione, e tutto il software che implementa gli algoritmi dell’AI-driver), per poter mettere alla guida della “Cielo” un’Intelligenza Artificiale.

L’utilizzo di una Maserati come base veicolistica di questo progetto vuole anche testimoniare l’intensa collaborazione di ricerca che esiste da più di un decennio fra il Politecnico di Milano e l’ingegneria Maserati nell’ambito dei sistemi elettronici di controllo&automazione del veicolo.

LA 1000 MIGLIA 2023

Dal 13 al 17 giugno, la Maserati MC20 Cielo attraverserà l’intero tracciato della 1000 Miglia, affrontando in modalità “guida autonoma” alcuni tratti del percorso, in cui è in fase di completamento la richiesta di autorizzazione al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (in particolare, gli attraversamenti delle città di Bergamo e Brescia, Capitale italiana della cultura 2023, Milano, Ferrara, Modena e Parma). Nelle tratte che verranno autorizzate entro quella data il veicolo guiderà in totale autonomia, rispettando le regole del Codice della Strada, come previsto dalla gara di regolarità storica a tappe che si svolge in modo promiscuo al normale traffico automobilistico.

LA SPERIMENTAZIONE E LA 1000 MIGLIA 2024

La partecipazione alla 1000 Miglia 2023 è solo il primo passo di “presentazione” del progetto. Conclusa l’edizione 2023 della “Corsa più bella del mondo”, partirà un anno di intenso sviluppo e affinamento sperimentale della tecnologia dell’A.I-driver, in cui la vettura sarà addestrata su un percorso simile a quello della 1000 Miglia su strade comunali, provinciali e statali, e in parte anche tratte autostradali, con l’obiettivo finale di effettuare in modalità autonoma l’intero percorso della “1000 Miglia 2024”.

IL CO-DRIVER

Per rispettare i requisiti di autorizzazione alla sperimentazione (D.M.70 “smart-roads”), il veicolo guidato dalla A.I-driver del Politecnico di Milano dovrà essere costantemente supervisionato da un co-driver umano. Nella 1000 Miglia del 2023 il co-driver sarà d’eccezione: Matteo Marzotto, pilota esperto e membro del CdA di 1000 Miglia S.r.l., con numerose esperienze di partecipazione alla 1000 Miglia storica. Ricorderà così i 70 anni dalla vittoria (edizione 1953) dello zio Giannino, in un ideale passaggio di consegne fra passato, presente e futuro. Questo legame fra guidatore umano ed intelligenza artificiale sarà visivamente rappresentato da un oggetto di arte moderna, in fase di sviluppo al Dipartimento di Design del Politecnico, che verrà svelato all’apertura della 1000 Miglia e che affiancherà Matteo Marzotto per tutto il percorso.

LA PERCEZIONE DEGLI ITALIANI

Il progetto ha anche l’obiettivo di far conoscere la guida autonoma al grande pubblico. Secondo i dati dell’Osservatorio Connected Car & Mobility del Politecnico di Milano, infatti, oggi i consumatori italiani si dividono perfettamente in un 50% già propenso a utilizzare un’auto a guida autonoma e un altro 50% contrario. I principali motivi per i favorevoli sono la comodità di “poter fare altre attività durante il tragitto” (45%), e la maggiore sicurezza (31%); viceversa, i contrari sono frenati dal disagio di non avere il controllo della vettura (37%) e dalla sensazione di minore sicurezza (33%). C’è bisogno, dunque, di evidenze per informare e preparare i consumatori alla rivoluzione della mobilità autonoma.

IL VALORE PER IL PAESE

Il progetto “1000-MAD” potenzierà la capacità scientifica e tecnologica italiana, creando un contesto sperimentale unico al mondo in cui fare ricerca e sviluppo di nuove tecnologie per la mobilità autonoma. Inoltre, contribuirà a definire gli interventi normativi per promuovere lo sviluppo e l’utilizzo di vetture autonome; creerà una connessione tra i principali centri di ricerca e i territori attivi in Italia e all’estero sul tema; raccoglierà e pubblicherà dati tecnici per sviluppare strategie industriali e tecnologie. Infine, il progetto ha l’obiettivo di raccogliere e pubblicare dati sul territorio italiano, definendo e calcolando un AI Autonomous Drive Readiness Index, che possa aiutare tutte le amministrazioni ad indirizzare le loro politiche (e risorse) sui temi prioritari per quel territorio.

Leonardo da Vinci, scoperta del Politecnico sul Foglio 843 del Codice Atlantico

Milano, 18 aprile 2023 – Il Codice Atlantico è una delle raccolte più estese e affascinanti di disegni e scritti di Leonardo da Vinci. La sua conservazione è una grande sfida per studiosi e ricercatori. Un approfondito studio, pubblicato su Scientific Reports, è stato condotto dal Politecnico di Milano sul Foglio 843 del Codice, per comprendere le cause di alcune macchie nere apparse da qualche anno sul passepartout moderno che rilega i folii originali leonardeschi.

Il gruppo di ricerca interdisciplinare coordinato da Lucia Toniolo, professoressa di Scienza e Tecnologia dei Materiali del Politecnico di Milano, ha utilizzato una serie di tecniche di analisi non invasive e micro-invasive per esaminare il fenomeno e studiarne la natura e le cause.

Il Codice Atlantico, donato alla Veneranda Biblioteca Ambrosiana nel 1637, è stato oggetto di un importante restauro effettuato dal Laboratorio del Libro Antico dell’Abbazia di Grottaferrata tra il 1962 e il 1972. L’intervento è terminato con la realizzazione di 12 volumi con 1119 fogli: ogni pagina è composta da un passepartout con finestra (aggiunto dai restauratori a Grottaferrata) che incornicia i frammenti originali di Leonardo. Dal 1997 il Codice è conservato in un ambiente con un microclima strettamente controllato, secondo gli standard per la conservazione della carta.

Credits: Phys.org

Nel 2006 sono state scoperte delle piccolissime macchie scure sul passepartout, localizzate intorno alla finestra che incornicia e rilega il foglio. Questo fenomeno di annerimento, osservato su circa 210 pagine del Codice a partire dal Foglio 600 in poi, ha suscitato grande preoccupazione tra i curatori e conservatori del museo e gli studiosi. Un primo intervento, nel 2009, ha portato alla sfascicolazione dei volumi. Oggi i disegni sono montati singolarmente su passepartout, in cartelle e scatole non acide. La ricerca condotta dal Politecnico è iniziata nel 2021 in occasione di un primo progetto pilota su tre disegni del Codice finanziato dal Fondo Italiano di Investimento che ha previsto la rimozione e sostituzione del passepartout del Foglio 843.

Studi precedenti avevano escluso che le macchie derivassero da processi di deterioramento microbiologico. La ricerca del Politecnico di Milano combinando indagini di fotoluminescenza iperspettrale, imaging di fluorescenza UV, con un imaging micro-ATR nell’infrarosso, ha evidenziato la presenza di colla d’amido e colla vinilica localizzate nelle aree dove il fenomeno delle macchie è più intenso, proprio vicino al margine del foglio.

Inoltre, è stata rilevata la presenza di nano-particelle inorganiche tondeggianti, del diametro di 100-200 nanometri, composte da mercurio e zolfo, che si sono accumulate all’interno delle cavità formate tra le fibre di cellulosa della carta del passepartout. Infine, grazie all’utilizzo di analisi di sincrotrone, condotte a ESRF a Grenoble, è stato possibile identificare queste particelle come metacinabro, un solfuro di mercurio in una fase cristallina inusuale di colore nero.

Approfonditi studi sui metodi di conservazione della carta hanno permesso di formulare alcune ipotesi sulla formazione del metacinabro. La presenza di mercurio potrebbe essere associata all’aggiunta di un sale antivegetativo all’interno della miscela di colla utilizzata nel restauro di Grottaferrata, che potrebbe essere stata applicata solo in alcune zone del pacchetto di carta del passepartout, proprio dove questo trattiene il folio leonardesco, per garantire l’adesione e prevenire attacchi microbiologici al Codice. La presenza di zolfo, invece, è stata collegata all’inquinamento atmosferico (a Milano negli anni ’70 i livelli di biossido di zolfo SO2 erano molto elevati) o agli additivi usati nella colla, che nel tempo, avrebbero portato alla reazione con i sali di mercurio e alla formazione di particelle di metacinabro, responsabili delle macchie nere.

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Cosa vedere alla Design Week 2023: una (parziale) guida politecnica

La Milano Design Week può essere una vera e propria caccia al tesoro. Scegliere cosa vedere non è un gioco da ragazzi, noi abbiamo deciso di iniziare con l’aiuto del Sistema Design del Politecnico di Milano – cioè la Scuola del Design, il Dipartimento di Design e POLI.design, che partecipano a diversi appuntamenti con l’obiettivo di mettere in luce progetti e processi creativi degli studenti, veri protagonisti della nostra Accademia: un’occasione per scoprire il vostro Politecnico al di fuori delle “mura” dell’Ateneo. Ne trovate una guida (non esaustiva, sarebbe impossibile), a questo link.

UN TOUR PER GLI ALUMNI

Nell’attesa di questi sei giorni intensi, dal 17 al 23 aprile, abbiamo anche fatto una chiacchierata con l’Alumna e designer politecnica Elena Salmistraro, una delle figure più importanti del design contemporaneo internazionale, per (provare a) darvi una “guida tascabile” alla 61° edizione del Fuorisalone. Anche per lei, non è facile selezionare i posti più interessanti da vedere, viste le possibilità offerte dal Fuorisalone. Ci prova lo stesso: “Alcova ha tutte le novità, ed è un posto da visitare assolutamente anche perché lascia molto spazio alla sperimentazione”, inizia. Fondata nel 2018, Alcova è una piattaforma itinerante per il design indipendente e sostenibile che quest’anno, alla sua quinta partecipazione Fuorisalone, è ospitata dall’ex macello di Porta Vittoria, in Viale Molise 62 (che potrebbe essere la prossima hot zone di Milano, dopo l’espansione di NoLo). Qui troviamo anche una vecchia conoscenza della redazione, il designer Matteo Ragni.

“Anche il Brera Design District – aggiunge Salmistraro – rappresenta uno spazio consolidato, da non perdere”: Brera, tra il mistero dei suoi vicoli e la luce che invade le sue piazze, quest’anno ospita più di 200 eventi e installazioni. Tra un happening e l’altro, consigliamo una pausa rilassante all’Orto Botanico, dove potrete trovare, tra i protagonisti, anche il designer e architetto politecnico Italo Rota. Poi ci accompagna, metaforicamente, anche per i bellissimi chiostri dell’università Statale, che, come ormai da tradizione, ospitano numerose installazioni concettuali e interattive. Sempre per restare in tema “Poli”, qui troverete The Amazing Playground di Amazon, featuring Stefano Boeri Interiors.

Il nostro tour con Salmistraro (ma è solo uno dei mille possibili) si chiude nel luogo che sente più sente suo, legato indissolubilmente alla storia del Fuorisalone: il famoso Quadrilatero, che non ha bisogno di presentazioni. “Quest’anno Tortona è tornata in auge. Tra i moltissimi eventi, ospiterà anche una mostra di Giulio Cappellini alla quale partecipo anch’io”.

Elena Salmistraro. Credits: www.elenasalmistraro.com

UN APPUNTAMENTO FISSO, PER PASSIONE

Salmistraro ci racconta di come ha vissuto la Design Week da studentessa, attiva nel Fuorisalone, sino a diventare una figura di spicco del Salone stesso. “Quando ho iniziato a frequentare Industrial Design al Poli, aspettavo il Fuorisalone con grande entusiasmo e cercavo di vivere tutti gli eventi che si svolgevano nella zona di Via Tortona, partecipando attivamente con la distribuzione di biglietti e riviste. Per me il Fuorisalone era il Salone”. A guidarla era soprattutto la curiosità di osservare da vicino le nuove tecniche e i nuovi materiali, ma anche, soprattutto “da grande”, un’occasione di creare nuovi contatti e collaborazioni. “Ogni età ha la sua stagione”, spiega. Infatti, nel 2017 con I vasi dei Primati Elena vince il Premio come “Miglior Designer emergente del Salone del Mobile”, affermandosi come designer controcorrente in una fase in cui il minimale andava decisamente per la maggiore. Fu un rischio, ma finì tutto bene: “Si era creata una fila allo stand per vedere questi vasi che non ti dico. Sono passata dalla paura di un fallimento a vedere il mio nome sul palco come vincitrice del premio. Devo dire sinceramente che non ricordo nemmeno cosa ho detto nel discorso di premiazione ma l’emozione è stata unica.”

Primates, Ceramic vases for Bosa by Elena Salmistraro. Photo By: Tiziano Rossi. Credits: www.elenasalmistraro.com

LE COLLABORAZIONI DEL 2023

Nel corso della sei giorni della Design Week 2023, la nostra Alumna dovrà dividersi tra il Salone e il Fuorisalone. Si fa fatica a contare le iniziative che ospitano i suoi progetti, ve ne segnaliamo due. Per Tai Ping Carpets, azienda francese specializzata nella creazione di tappeti, ha realizzato una collaborazione esposta al Brera Design District, nel contesto del Fuorisalone: “Si tratta di una collezione di sei tappeti, che ho chiamato ‘Legami’, realizzati con tantissime tecniche diverse unite insieme: come un campionario di tutte le lavorazioni possibili che ricreano questi intrecci, formando dei nodi che vogliono rappresentare i legami umani. Per la Design Re-Evolution, l’installazione di Interni realizzata in zona Statale, invece ha collaborato con Hines, con un’installazione digitale sulla Torre Velasca, ancora in fase di ristrutturazione. Un’occasione unica per vedere questo storico simbolo milanese sotto una nuova luce. Ed è proprio questa una delle caratteristiche principali della Milano Design Week: quelli che sembravano capannoni abbandonati, magicamente prendono vita e luce, come moderne zucche magiche che ospitano non una Cenerentola, ma migliaia di persone.

È vero, non si trova un taxi, figuriamoci un parcheggio, ma non importa: meglio girare a piedi e godere della cornice, perché in questi giorni si aprono spazi che solitamente sono chiusi, come cortili, lussuosi loft, aree industriali, edifici storici. Se qualcuno lo chiedesse a noi, risponderemmo che il design è lo sforzo di portare la bellezza negli oggetti e nelle abitudini della vita quotidiana, un terreno dove si incontrano tecnica, estetica e funzionalità. E, ovviamente, progettualità politecnica. Per Elena, l’emozione è a tutti gli effetti una funzione dell’oggetto e forse è per questo che racchiude in queste poche parole il ‘senso’ del Fuorisalone: “per me, rappresenta la vita stessa di Milano”. Tutto sempre con concretezza, e, infatti, Salmistraro conclude così: “la cosa fondamentale per me è che le aziende con cui collaboro mantengano una qualità molto alta, in modo da facilitare il mio lavoro”.