Nuova BEIC: una biblioteca dal futuro

La nuova biblioteca di Milano, la Biblioteca Europea di Informazione e Cultura, sarà luogo di saperi storici ma anche di nuove storie. Ce la siamo fatta raccontare dall’Alumnus Angelo Lunati di Onsitestudio, studio capofila del team vincitore del progetto

Nel 1996 nasce l’Associazione “Milano Biblioteca del 2000” con lo scopo di promuovere la costruzione della Biblioteca Europea di Informazione e Cultura. Fra le tante voci che nel corso degli anni hanno parlato a favore di questo progetto c’è quella dello scrittore e saggista Claudio Magris: “Si tratta di un’iniziativa a mio avviso molto rilevante, ossia di una Biblioteca Europea a grande struttura multimediale, che dovrà unire libri e supporti digitali, il tutto a libero accesso e a scaffale aperto, offrendo così un formidabile, totale strumento di informazione, di formazione, di preparazione culturale e dunque, nel senso più ampio, civile. Strutture di questo genere esistono a Parigi, New York, San Francisco e Monaco di Baviera, dove hanno avuto ed hanno pieno successo di pubblico, mentre in Italia una grande biblioteca di questo tipo non c’è». Nel 2026, finalmente, ci sarà. In seduta pubblica del giorno 11 luglio 2022 infatti è stato proclamato il vincitore del Concorso di progettazione indetto dal Comune di Milano, individuato nel raggruppamento italiano formato, fra gli altri, dai progettisti di Onsitestudio e formato, fra gli altri, da Baukuh, dot dot dot, Abnormal, Luca Gallizioli e Yellow Office. «Siamo un team di architetti molto ampio e il risultato dei nostri progetti nasce sempre da un lavoro corale – ci tiene a precisare l’Alumnus Angelo Lunati, cofondatore di Onsistestudio insieme all’Alumnus Giancarlo Floridi  – in questo caso specifico, il team è allargato anche a competenze che coinvolgono esperti del mondo digitale e del cambiamento climatico, e che costruiscono i pilastri dell’idea del progetto: una biblioteca nuova, che sia in grado di essere una piattaforma flessibile, sempre rinnovabile».  

Cosa si intende per “biblioteca nuova”? 

Un luogo dell’arcaico e del futuribile. Una biblioteca che sia in grado di far coesistere la dimensione del libro e dell’universo dei documenti, quindi dove regna un’idea di public library ottocentesca dove i saperi di secoli si depositano, e la dimensione del digitale e della produzione di cultura contemporanea, in cui i saperi dunque si creano. L’edificio, composto da due navate a forma trapezoidale, comunicherà immediatamente l’immagine di un posto laborioso, produttivo, grazie all’archetipo di riferimento che nella forma rievocherà le grandi coperture delle fabbriche di una volta. Al contempo avrà in sé la modernità di una serra, in dialogo con il parco in cui si inserirà l’edificio, che è quello dell’ex scalo ferroviario di Porta Vittoria. Un edificio monumentale, spettacolare nelle dimensioni, sarà alto 35 metri, e al contempo con una sua normalità data dai piani della biblioteca, che si replicano in verticale con una pianta molto semplice. 

Quasi fosse un libro, proviamo ad aprire questa biblioteca e ad entrarci: cosa ci si svelerà? 

Innanzitutto il piano terra dell’edificio sarà un grande spazio civico aperto, pensato come un esterno, cioè non sarà climatizzato; l’idea è che la biblioteca abbia parti condizionate, alternate ad altre che funzionino come una grande serra. La navata sud ospiterà i dipartimenti: da arti e letterature a scienze umane e sociali, fino a scienze e tecnologie. In cima, una terrazza con sala lettura. La navata nord invece sarà quella più fruibile e aperta alla possibilità di ospitare delle funzioni legate alla trasmissione di cultura, quindi un piano dedicato ad un fab lab e uno al coworking, per andare a salire con una sala gaming e studio di registrazione sino ad uno spazio espositivo con la possibilità di accedere, e usufruire, di una stazione radiofonica. Spazi insomma per la produzione, dotati di dispositivi di avvicinamento a mondi non accessibili a tutti. Una grande piattaforma collegherà questi due corpi: i mondi si uniranno infatti al secondo piano attraverso un ponte tra dimensione tradizionale e dimensione innovativa. 

Dato che siamo in un campo anche letterario, questo ponte che significato assume? 

Può rappresentare un’analogia, un ponte di avvicinamento alla cultura poiché vi è un sistema di scale che permette di accedere ai vari piani e al contempo di vederli in linea verticale. Dunque attraversando questo ponte si avrà una percezione sinottica dell’ampiezza culturale e della trasmissione delle conoscenza, quasi una passeggiata visionaria che permetterà di andare anche nel profondo: la pavimentazione  del piano terra infatti avrà una serie di oblò attraverso cui accedere con lo sguardo al deposito interrato che conterrà 2,5 milioni e mezzo di libri. Un archivio percorso da piccoli robot che si muoveranno a prendere libri e a distribuirli grazie a sistemi meccanizzati ai diversi piani; e che alimentando queste due navate mostrerà anche la dimensione del patrimonio dei documenti, che nella maggior parte delle biblioteche non è esposto, o completamente esposto. Alla Beic invece sarà visibile, anche dal foyer dell’Auditorium. 

Dove sarà collocato l’Auditorium? 

In un terzo padiglione che abbiamo chiamato Imaginarium, e che sarà la biblioteca per i bambini. L’abbiamo immaginato con un’architettura molto diversa rispetto alla grande struttura principale: un edificio rosso, costruito interamente in legno, quindi con un carattere più accogliente, da un certo punto di vista anche più domestico e con spazi molto grandi e flessibili. L’auditorium, che si troverà sottostante all’Imaginarium, avrà 300 posti e un suo programma di spettacoli ed eventi. Sempre in questa stessa struttura, vi sarà una sala accessibile dall’esterno 24 ore su 24, per trovare sempre un luogo dove studiare e confrontarsi con i contenuti della biblioteca. Ricordo che da studente, quando dovevo preparare gli esami, cercavo sempre un posto in cui studiare e per ripararmi andavo nelle biblioteche che chiudevano il più tardi possibile.  

Quali sono due libri che ritiene siano stati fondamentali per la sua formazione? 

Il primo è Esperienza dell’architettura di Ernesto Nathan Rogers, un libro che ha condensato in maniera significativa, attraverso la raccolta di testi elaborati durante una lunga traiettoria e frutto spesso di un racconto personale, le preoccupazioni e le ambizioni di un architetto intellettuale in un periodo decisivo per la cultura italiana, indicando un’idea straordinaria di modernità, a mio avviso ancora valida nella così distante condizione contemporanea. Il secondo libro, Unconscious Places, una raccolta di fotografie di Thomas Struth, accompagnate da un testo di Richard Sennett, che ritraggono luoghi ordinari di alcune città come Dusseldorf, Napoli, New York, nei quali emerge in maniera straordinaria la tensione che esiste tra la singolarità degli edifici e la loro condizione di sfondo, il carattere additivo e trasformativo dei luoghi urbani, la loro sorprendente unità fisica. 

L’insegnamento più rilevante che le ha dato il Politecnico di Milano? 

Intendere il progetto come una virtuosa combinazione tra dimensione sperimentale ed empirica insieme con la ricerca di forme di continuità culturale; questo insegnamento risuona con lo spirito che per molto tempo ha promosso la modernizzazione della città di Milano, caratterizzata da un’idea antidogmatica di progresso “radicata” nella cultura del luogo. 

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