Sciuto: nell’ambito dell’innovazione, la tecnologia non è l’unico fattore-chiave

“Non credo che, se avessimo a disposizione un computer un milione di volte più potente, riusciremmo a mettere a punto sistemi di intelligenza artificiale più vicina a quella umana”.

Tendiamo a pensarla anche noi come Donatella Sciuto, prorettrice del Politecnico di Milano, che così ipotizza in un editoriale sul Corriere della Sera intitolato «Un elogio della velocità». Spoiler: la velocità non è sempre un bene. Per gestirla serve puntare sul capitale umano: nel grande “gioco” dell’innovazione, il ruolo degli stimoli che arrivano dalla società, dalla cultura, dalla scienza, dalla politica e in generale dall’ecosistema delle attività umane sono altrettanto determinanti della tecnologia.

donatella sciuto
Credits: Wired Trends

Per mettere a sistema tutti questi elementi e anticipare il cambiamento tecnologico (ma, soprattutto, per stimarne e indirizzarne l’impatto sul mondo in cui viviamo) il Politecnico di Milano ha da poco inaugurato il Technology Foresight Center, uno strumento fatto di competenze specialistiche e reti di esperti accademici e industriali, nazionali e internazionali, che ha il duplice obiettivo di elaborare previsioni di sviluppo tecnologico e fornire indicazioni utili a supporto delle scelte di investimento pubblico e privato.

 “Negli ultimi cinquant’anni il numero di transistor disponibili su un chip di pari dimensioni (l’elemento di base delle operazioni digitali) è raddoppiato ogni diciotto mesi, seguendo la così detta legge di Moore, che nel 1965 predisse empiricamente l’aumento della capacità di elaborazione nel tempo”,

commenta Sciuto.

Biotecnologie e life sciences, energia, intelligenza artificiale, mobilità, nuovi materiali: sono alcuni dei campi di ricerca più urgenti in cui la velocità di innovazione delle tecnologie tende a crescere in modo esponenziale. “Di solito si sovrastima l’impatto di una tecnologia nel breve periodo e lo si sottostima nel lungo periodo”, spiega, in una video-lezione agli Alumni, la prof. Cristiana Bolchini, docente della Scuola di Ingegneria Industriale e dell’Informazione del Politecnico di Milano e membro del comitato scientifico del Technology Foresight Center. “Perché non è semplice avere un’idea dell’interdipendenza [della tecnologia] con gli aspetti sociali politici ambientali ed economici”.

Con un focus importante sugli obiettivi di sostenibilità condivisi su scala globale, il Technology Foresight Center si chiede, continua Sciuto sul Corriere, in che misura sia possibile “anticipare il cambiamento tecnologico, stimarne la velocità, la capacità di diffusione e l’impatto”. Rispondere a queste domande diventa ancora più urgente oggi, in vista, conclude la prorettrice “dei grandi investimenti in atto. Il Paese ha di fronte a sé un’occasione imperdibile. A partire dalle infrastrutture digitali, alle tecnologie verdi, all’investimento in ricerca, l’innovazione tecnologica ci offre grandi opportunità. Dobbiamo saperle cogliere a tre condizioni: agire in modo rapido ed efficace, correre sulle lunghe distanze e puntare sul valore del capitale umano, che è il vero fattore abilitante di ogni cambiamento”.

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Perché stiamo parlando di MADE, il competence center di Milano?

MADE è un hub di sviluppo per progetti di ricerca applicata e trasferimento tecnologico. È anche un “demo center” dove poter vedere e toccare con mano le tecnologie allo stato dell’arte dell’industria manifatturiera. Girando per i suoi 2500 m2 di nastri trasportatori, bracci meccanici e sensori, si ha quasi l’impressione di trovarsi in una fabbrica nel futuro; in realtà, il futuro che immaginiamo è già qui.

Guidato dal Politecnico di Milano, MADE unisce 4 università (oltre al Poli, collaborano le Università di Bergamo, Brescia e Pavia), INAIL e 43 imprese (tutti i partner a questo link) del territorio lombardo. Vi convergono quindi i più aggiornati metodi, strumenti e conoscenze sulle tecnologie digitali, dalla progettazione all’ingegnerizzazione, dalla gestione della produzione al termine del ciclo vita del prodotto. Ciascuno dei partner porta in MADE una dimostrazione della propria tecnologia, mostrando quali potenzialità si aprono quando le tecnologie esponenziali incontrano l’operation technology e non solo.

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Credits: Alessandro Spada

Progettato pre-pandemia e inaugurato a fine 2020, oggi MADE torna a occupare spazio nel discorso pubblico. Come mai? Ne abbiamo parlato con Stefano Rebattoni, Alumnus ingegneria gestionale e amministratore delegato di IBM Italia, uno dei partner fondatori del competence center.

“MADE è un luogo in cui mostrare alle PMI, gruppi industriali, start up innovative e incubatori cosa si può ottenere ripensando la fabbrica in termini di collaborazione tra information technology e operation technology. È stato creato sul territorio lombardo, caratterizzato dalla presenza di università di eccellenza e un forte tessuto imprenditoriale, per fare sistema tra questi player di punta e trainare il territorio circostante. Il PNRR oggi ci dà la grande opportunità di portare tutto questo su un fattore di scala differente, non più regionale e locale ma nazionale. Questo vuol dire maggiore occupazione e rapido sviluppo: migliora la competitività dell’intero settore manifatturiero italiano. Il quale, ci tengo a precisarlo, già oggi ha una posizione di assoluta rilevanza: è il secondo in ordine di importanza a livello europeo, con una decisa presenza delle PMI, ossatura del sistema economico del Paese”.

TRA LE MURA DEL MADE, 3 CAMPI DI RICERCA CON IMPATTO GLOBALE

Non solo per l’Italia, ma per tutto il mondo, ripensare il manifatturiero significa per prima cosa doversi occupare con urgenza di cyber security e efficientamento energetico. “Erano temi importanti quando abbiamo pensato MADE, oggi sono diventati un’emergenza”, commenta Rebattoni. Poi si lavora anche su altre cose, come il cloud, prerequisito per un concept di fabbrica più aperta, sicura ed efficiente.

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Credits: Digital4

Qualche esempio? “Come IBM, stiamo lavorando con MADE a diversi progetti, ne cito alcuni. Lato cyber security: attraverso l’utilizzo della piattaforma QRadar, è possibile monitorare accessi alle risorse e identificare in anticipo comportamenti sospetti che si devono intercettare prima che si verifichino danni agli impianti o furti di dati. Sul controllo qualità, sviluppiamo un sistema di sensori che raccolgono immagini lungo tutto il ciclo di produzione. Questi dati vengono poi utilizzati dai modelli di intelligenza artificiale per identificare i difetti di fabbricazione e istruire le macchine per eliminarli. Sul fronte energia, lavoriamo con Icopower a un sistema in grado di monitorare il consumo energetico dei grandi macchinari industriali, rilevando comportamenti straordinari rispetto alle medie attese e normalizzando i profili di carico e consumo dell’energia”.

Come gruppi industriali, istituzioni e società in tutto il mondo siano ormai legati a doppio filo gli uni alle altre è qualcosa che possiamo leggere ogni giorno nei titoli di tutti i giornali. Quali criticità si nascondono in un sistema sempre più integrato?

I rischi sono sempre proporzionali alle opportunità. Si va verso una economia di piattaforme digitali, i dati sono distribuiti, le infrastrutture devono essere in grado di comunicare. L’opportunità è quella della scalabilità e della flessibilità; i rischi sono soprattutto legati al tema della cyber security (per esempio alla governance dei dati), all’aggiornamento delle infrastrutture, che devono essere resilienti e in grado di gestire carichi sempre più imprevedibili. E poi ci sono gli investimenti per le competenze: senza le adeguate professionalità, non saremo in grado di cogliere tutte le opportunità che oggi ci offre l’innovazione tecnologica”.

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Zanuso e Mendini: i due grandi architetti e Alumni in mostra al museo dell’ADI

Due grandi Alumni e professionisti dell’architettura e del design a confronto: è la mostra “Marco Zanuso e Alessandro Mendini. Design e Architettura”, in esposizione all’ADI Design Museum di Milano.

“Una mostra che intende porre le basi per una riflessione attorno al design made in Italy e ai suoi valori” afferma Luciano Galimberti, Presidente ADI Associazione per il Disegno Industriale, e che ruota attorno a un percorso espositivo che stimola la riflessione giocando sulla contrapposizione delle opere dei due architetti, grazie a un percorso di rimandi e influenze.

ZANUSO E MENDINI: DUE VOLTI DEL MADE IN ITALY, DIVERSI MA FORSE COMPLEMENTARI

Marco Zanuso, Alumnus e professore del Politecnico, è considerato uno dei fondatori del design industriale italiano.

A partire dal secondo dopoguerra, uno dei suoi interessi principali furono l’accessibilità e i costi degli articoli della produzione di massa, che lo spinsero a diventare il primo a interessarsi all’uso di nuovi materiali e tecnologie per gli oggetti comuni e ai problemi di industrializzazione del prodotto.

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Credits: Grand Vintage

Alessandro Mendini, invece, si laurea nel 1959 e inizia a praticare durante le stagioni dell’architettura radicale e del postmoderno, occupandosi dei suoi progetti di “redesign”, riesce a dare vita a pezzi classici del design reiventandoli con colori e materiali nuovi.

Il suo è un approccio eclettico, di cui abbiamo parlato direttamente con lui nel MAP 0:

“Ho fatto molta fatica a capire che cosa fossi. Ho una certa indifferenza tecnica: mi piace pitturare, scrivere, fare grafica ecc… una cosa non prevale sull’altra. Mi spiego meglio: Medardo Rosso era uno scultore con la cera. Sapeva fare solo quello, e lo faceva in modo eccellente. Oppure, dal punto di vista dei contenuti, Morandi si è centrato sulle bottiglie. Io invece sono dispersivo, eclettico. Sono sempre attratto da quello che non mi appartiene e spreco le mie energie cercandolo. Pertanto mi è molto difficile dire che cosa faccio e quali obbiettivi ho raggiunto. È tutto molto frammentato e caleidoscopico.  Ma in tutto questo casino che ho nella testa, c’è anche un metodo, un’ipotesi di lavoro. Lavoro come un operaio, dalla mattina alla sera, anzi di più, perché un operaio non lavora la domenica.”

Alessandro Mendini PH Montibeller
Credits: Montibeller

La mostra diventa quindi un modo di mettere a confronto il metodo progettuale e rigoroso di Zanuso e il procedimento postmoderno di Mendini, che ha saputo fare rielaborazioni poetiche dell’esistente.

A proposito della mostra, il curatore Pierluigi Nicolin sottolinea:

“Oltrepassando lo stesso contesto italiano possiamo vedere come le tematiche moderniste ‘forti’ alla Zanuso e quelle postmoderniste ‘deboli’ alla Mendini si fondano sulla capacità di invalidare le premesse da cui partono e, nel particolare ‘viaggio sentimentale’ che li accomuna, vedere come ciascuno finisca per negare a modo suo l’esistenza di un confine invalicabile alla propria esperienza”.

La mostra sarà visitabile fino al 12 giugno 2022.

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4 Alumni che lavorano in Formula 1

È iniziato il mondiale di Formula 1 e per tanti Alumni sono giorni molto intensi. Per i tifosi, naturalmente, per gli appassionati, ma ancora di più per quelli che ci lavorano. Abbiamo parlato con alcuni di loro e concordano su questo: uno degli aspetti più interessanti del lavoro in Formula 1 è il continuo rinnovarsi dei regolamenti e delle tecnologie.

“Creano sempre condizioni nuove, da analizzare e a cui adattarsi al meglio”, commenta Lucia Conconi. Secondo Francesca Gnani, per un progettista può essere uno dei massimi raggiungimenti professionali: “perché ti permette di azzardare e testare nel giro di pochissimo tempo idee nuove”. Per Alberto Taraborrelli, “la vita di un ingegnere è plasmata nel profondo dalla necessità di risolvere problemi e quando la maggior parte di essi viene risolta c’è il rischio di annoiarsi!”. “Io non ho la fortuna di vivere di persona l’atmosfera delle gare”, aggiunge Filippo Giussani, “ma essere sul divano di casa con amici o colleghi e sperare che il tuo lavoro abbia dato i suoi frutti ti tiene con il fiato sospeso: dopo un cambiamento radicale di regolamento, eravamo tutti ansiosi di vedere la macchina in gara”.

Sono stati giorni di grande attesa per tutti, in cui ci si aspetta di vedere i risultati di un anno di lavoro. “La preparazione è molto importante”, commenta Conconi, 51 anni, Alumna ingegneria aerospaziale. Ci racconta che ogni team di Formula 1 ha due anime: “l’anima concentrata sull’evento della pista e l’anima concentrata sullo sviluppo (e quindi un po’ nel medio termine). Nel mio team siamo un po’ l’una e un po’ l’altra e dobbiamo alternare il ritmo in modo armonico”.

Negli ultimi 18 anni, Conconi ha lavorato nel motorsport, nei settori di simulazione, prestazioni, dinamica del veicolo e sospensioni. Oggi è Head of Vehicle Performance in Alfa Romeo F1 Team ORLEN: “sono a capo del dipartimento di Prestazioni Veicolo”, spiega.

“Ci occupiamo di simulare e definire le caratteristiche principali della vettura per la fase di progettazione e sviluppo e di analizzare e ottimizzare le prestazioni quando la macchina è in pista”.

La parte più difficile del suo lavoro, confessa, è anche la più importante: “quando i risultati non sono come vorremmo, quando gli eventi e le richieste si susseguono velocemente, è cruciale mantenere il dipartimento motivato, concentrato sulle priorità, aiutare i colleghi ad affrontare i problemi con calma e metodo”. Logica e metodo arrivano dal Poli, insieme alle competenze tecniche: “Sono molto legata agli anni universitari, il Politecnico non è solo un’ottima scuola. Mi ha dato modo di coltivare la mia passione e imparare da professori eccezionali, nella tecnica, nel metodo di lavoro e nei consigli che ho trovato su come superare alcune difficoltà dal punto di vista umano”.

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Credits: Sauber Group

Giussani ha 32 anni, una laurea in ingegneria energetica e un dottorato in scienze ed energie energetiche e nucleari. “Da piccolo volevo fare lo scienziato. Forse questo è anche il motivo per cui ho deciso di fare il dottorato. Però mi sono reso conto che il mondo accademico non fa per me e ho dovuto rivedere i miei piani. Fortunatamente, il mio percorso accademico mi ha consentito di ampliare i miei orizzonti e interessi”.

Oggi ricopre il ruolo di Junior CFD software developer in Aston Martin Aramco Cognizant F1 Team: “sviluppo e mantengo il software con cui si fanno le simulazioni di aerodinamica della monoposto. Fortuna ha voluto che facessi qualcosa di simile durante il dottorato, applicato ai motori a combustione interna ed in particolare agli iniettori.” Ci spiega che il lavoro è diverso ogni giorno: “Un lavoro tecnico presenta sempre le sue difficoltà intrinseche, ma il dottorato mi ha dato il giusto mindset per affrontare problemi mai visti prima”.

Tanto studio, quindi, tenacia e passione sono gli ingredienti per accedere a questo ambiente, insieme a curiosità e una buona comunicazione con il proprio team. “Ma a uno studente consiglierei di fare più esperienze di vita possibili. Lo studio è essenziale ma esistono altre capacità che si sviluppano solo uscendo dalla propria comfort zone”.

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Credits: motorsport.com

Anche Francesca Gnani in Formula 1 c’è arrivata da poco: “Ho iniziato da un mesetto come Programme Manager in Haas F1 Team per seguire lo sviluppo della macchina che andrà in gara l’anno prossimo. Sono entrata in un momento di fermento per la costruzione della macchina VF22 e per lo sviluppo tecnico dopo i test di Barcellona e Bahrain. Finora non c’è stato tempo né energia da dedicare alla macchina nuova ma cominceremo a breve”.

Il suo lavoro consiste nel gestire i piani di sviluppo dell’intero progetto, dall’emissione dei disegni dall’ufficio tecnico all’arrivo dei pezzi nei tempi stabiliti. 33 anni, Alumna in ingegneria aeronautica, approda in F1 dopo un dottorato di ricerca, un MBA e un’esperienza lavorativa in ambito gestionale.

Il mio percorso ha preso talmente tante direzioni che convergere in F1 è stata più che altro una questione di fortuna”, racconta Francesca che, da bambina, sognava di fare la veterinaria. “Poi al Liceo la mia passione per la matematica mi ha portato a fare una scelta più “razionale”: avevo deciso che volevo diventare pilota di aereo e volevo iscrivermi all’Accademia Aeronautica. Non so ancora dire se per fortuna o per sfortuna, ma mi mancava un centimetro di altezza per entrare: come ripiego mi sono iscritta ad Ingegneria Aerospaziale. Ricordo il momento in cui dissi ai miei compagni di classe che mi ero iscritta al test di selezione del Poli. Una mia compagna commentò letteralmente: “sì… sogna…”. Sono parole che mi continuano a rimbombare in testa ogni volta che devo affrontare una nuova sfida, che puntualmente supero a testa alta”.

Gnani ci racconta un contesto professionale complesso, fatto di tecnica come di fattore umano, in cui occorre avere una visione a 360°: essere in grado di comprendere la natura e l’entità dei problemi e saper gestire le persone.

“Bisogna essere in grado di fare previsioni solide ma sufficientemente flessibili. Ci vogliono sicuramente un po’ di esperienza (che mi devo costruire) e un po’ di capacità innata”.

Francesca ci lascia con un ricordo del Poli: “La consegna a mano dell’ultimo elaborato di gruppo appena 1 minuto prima della scadenza in segreteria la Poli Bovisa. Il tutto dopo una notte di revisione/rilettura, corsa a stampare e rilegare le copie, e guida sportiva tra i viali di Milano verso il Poli con la macchina imbottigliata nel traffico e la fronte che gocciolava. Infine ultimo scatto di corsa uscendo dalla macchina ancora in movimento (guidava la mia compagna di elaborato) e salendo le scale antincendio di corsa per fare il tragitto più breve. Probabilmente, nella mia memoria questo ricordo è stato rielaborato un po’ in stile Hollywoodiano, ma la mia percezione fu proprio quella”.

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Credits: formula1.it

Taraborrelli ha 30 anni e ha sempre sognato di lavorare in Formula 1. Si è laureato in ingegneria meccanica a indirizzo meccatronica e robotica e del Poli il ricordo più bello è quello del Dynamis PRC, team di Formula Student del Politecnico di Milano.

“Sono entrato nel team alla fine del 1° anno come motorista. Eravamo in 12. Quando sono andato via, dopo la laurea, eravamo in 80. Nell’ultimo anno sono stato direttore tecnico del team che ha costruito la DP8, la macchina portata in gara nei successivi due anni. È grazie alla Formula Student che mi sono appassionato all’elettronica, che ha indirizzato tutte le mie scelte successive. È un’esperienza che consiglio a tutti gli studenti”.

Taraborrelli oggi è Trackside Control Systems Engineer in Alpine F1 Team: si occupa del software a bordo della vettura che gestisce cambio, frizione, freni, differenziale, DRS e volante. Vive in Inghilterra, Brackley, ma nei periodi più intensi viaggia in continuazione per seguire la scuderia. “Questi giorni a ridosso dell’inizio del mondiale sono tra i più duri e difficili dell’anno”, racconta, “specialmente perché le macchine sono così diverse e quindi così sconosciute, il lavoro per comprendere i tratti caratteristici e le risposte alle modifiche è davvero tanto intenso”.

Alberto Taraborrelli
Alberto Taraborrelli

Il cambio regolamentare, spiega, è fondamentale per poter dare l’opportunità di mischiare le carte, con la prospettiva che outsiders della griglia possano trovare una quadra che i top team non hanno necessariamente trovato, ma è anche vero che può causare problemi imprevisti: “non è semplice gestire la pressione nei momenti concitati, quando c’è poco tempo per risolvere un problema che alle volte non hai la piena certezza di sapere da cosa sia causato. Il weekend di gara si vive con tensione, ma anche sempre con positività. In ogni occasione è fondamentale prendere il meglio dal peggio e cercare di voltare a tuo favore le situazioni sfavorevoli. Mai scoraggiarsi!”

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Alberto Taraborrelli

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10 famosi oggetti politecnici da Compasso d’Oro

Nato nel 1954 dall’intuizione dell’Alumnus Gio Ponti e gestito dall’Associazione Design Italiano (ADI), il Compasso d’Oro negli anni è diventato il massimo riconoscimento italiano nel campo del design nazionale e internazionale.

Sono circa 2300 gli oggetti e i progetti della collezione. Nel corso degli anni la mappatura si è evoluta e oggi copre anche campi non strettamente attinenti al mondo industriale. In occasione dell’Italian Design Day, vi presentiamo una lista di alcuni “made in Polimi”– sicuramente non esaustiva (ma se avete suggerimenti, scriveteceli!) –, grazie al supporto di articoli di Domus, Corriere Living, AD Italia e il podcast “Il design è donna”. Ne abbiamo scelti 10: 8 grandi classici e 2 “new entry” che cercano di rivelarci cosa ci aspetta nel futuro.

I CLASSICI DELLA STORIA DEL DESIGN

1. SEDIA 832 LUISA – 1955 – Successori Carlo Poggi – Alumnus Franco Albini

L’idea di Albini era quella di creare un modello ideale di seduta, identificandone gli elementi essenziali e i possibili utilizzi all’interno della casa. La sedia Luisa fu il risultato di una lunga ricerca dettata dalla necessità di arrivare alla “sostanza della forma” e alla possibilità della produzione in serie, come risposta al boom economico tra gli anni ‘50 e ‘60.

Nella motivazione della giuria del Compasso d’Oro, si legge:

“La Giuria, di fronte alla ragguardevole produzione presentata quest’anno nel campo delle sedie e delle poltrone ha riconosciuto al termine della discussione, l’interesse ed il livello della problematica suscitata dalla sedia disegnata dall’arch. Albini, sia per la soluzione elementare del raccordo gambe – bracciolo – schienale, che per, l’organicità formale degli innesti del materiale, che per gli incastri visibili, che per i problemi produttivi collegati alla intera concezione della struttura.”

2. TELEVISORE DONEY 14 – Brion Vega – 1962 – Alumnus Marco Zanuso e Richard Sapper

II televisore Doney vinse il prestigioso Compasso d’Oro nel 1962 e diventò presto il simbolo di uno stile di prodotti tecnologici attento al design.

TELEVISORE DONEY 14
Credits: ADI Design Museum

Dal sito dell’ADI Design Museum si legge che “Doney 14 è il primo televisore portatile a transistor fabbricato in Europa, dove la disposizione degli organi interni permette la loro inclusione in un volume compatto a tubo, ottenuto con il semplice accostamento di due valve su un bordo visibile. Per questo, la prima serie, ora ricercatissima, viene realizzata in acrilico trasparente, mentre le successive lasceranno posto a una più ampia gamma cromatica. Richard Sapper e Marco Zanuso vincono così il Compasso d’Oro nel 1962, proprio grazie alla forma ricurva inimitabile e al puzzle di componenti interni, tutti contenuti in un’unica scatola. Un’icona del design italiano prodotta da un altrettanto iconico brand, Brion Vega”.

3. SEGNALETICA E ALLESTIMENTO DELLA METROPOLITANA DI MILANO – 1964 – Alumna Franca Helg, Alumnus Franco Albini e Bob Noorda

Il Compasso d’Oro premia non solo gli oggetti, ma anche i progetti. Se durante gli anni al Politecnico vi siete mossi con i mezzi, allora sicuramente la segnaletica della metropolitana vi sarà familiare: ma lo sapevate che ha ricevuto il Compasso d’Oro?

segnaletica metropolitana milano
Credits: ADI Design Museum

 “Il Compasso d’oro 1964 viene attribuito agli architetti Franco Albini e Franca Helg ed al grafico Bob Noorda per le particolari qualità del coordinamento architettonico e dell’organizzazione della segnaletica delle nuove stazioni della Metropolitana Milanese”

si legge sulla motivazione della giuria del premio.

Si tratta del conferimento di un’identità precisa che si traduce in una serie di elementi grafici e di allestimento volti sia a dare un’immagine coordinata della metropolitana milanese, sia a rispondere in modo immediato e intuitivo alle veloci richieste d’informazione da parte degli utilizzatori della stessa, siano essi abituali od occasionali.

4. TELEFONO GRILLO – 1964 – Siemens – Alumnus Marco Zanuso

Il telefono Grillo è uno tra gli apparecchi che maggiormente hanno rappresentato un’innovazione nel campo della telefonia. Simbolicamente antenato del telefono portatile, ha introdotto per la prima volta il concetto di telefonata come momento privato e intimo. Il bilanciamento di tecnica, funzionalità ed estetica decretarono la sua vittoria al Premio Compasso d’Oro nel 1967.

“Progettato da Richard Sapper e Marco Zanuso, Grillo era molto più piccolo, leggero e maneggevole di qualunque altro apparecchio dell’epocacommenta il sito dell’ADI -. Di più: la chiusura a scatto anticipa di trent’anni buoni i primi cellulari analoghi ed è disponibile in diverse colorazioni. La SIP (‘madre’ di Telecom) lo adottò fra gli apparecchi distribuiti ai suoi abbonati, decretandone il successo di pubblico. Il Compasso d’Oro premiò la novità e l’agibilità dell’apparecchio, nonché le innovazioni tecniche e progettuali derivanti dalla riduzione dello spazio, ottenuta senza sacrificarne la funzionalità.”

Nel 1993, divenuto oggetto cult e tra i simboli del design moderno, Grillo è stato esposto al MoMa di New York.

5. LAMPADA DA TAVOLO ECLISSE – 1967 – Artemide – Alumnus Vico Magistretti

Ideata dall’Alumnus Vico Magistretti per Artemide nel 1965, la lampada Eclisse è “un equilibrio all’avanguardia tra forma e funzione, design e utilità”. La base del concetto sta nella sua funzionalità di regolazione dell’intensità della luce attraverso il suo paralume interno rotante che “eclissa” la sorgente luminosa. Infatti, con un involucro esterno fisso e un involucro interno mobile, la lampada può fornire luce diretta o diffusa.

“La Commissione stima che l’oggetto presentato abbia la doppia qualità di un alto valore progettistico-estetico e di una possibile diffusione di massa. Sottolinea inoltre la novità della soluzione tecnica che, con un semplice movimento a schermo rotante, gradua l’intensità dell’erogazione luminosa.”

6. DIVANO STRIPS – 1979 – Arflex – Alumna Cini Boeri

Alla fine degli anni 60, l’Alumna Cini Boeri (abbiamo parlato di lei qui) rivoluziona il settore del mobile con un suo pezzo che è rimasto un “evergreen” per la sua versatilità: il divano componibile Strips.

“Esso è usato come un vero guscio da sfilare, lavare, mutare, rinfilare e si chiude con una cerniera lampo come un vestito sopra il corpo di poliuretano,scriveva Cini Boeri nel 1974. “Il letto, pure sgusciabile e quindi lavabile, offre un uso più svelto del solito, perché la parte superiore apribile come un sacco a pelo, funge da coperta e lenzuolo. Si apre, ci si entra e si richiude, si apre e se ne esce. Gli Strips sono cose necessarie, facili da usare.”

Oggi il divano Strips è nelle collezioni permanenti di musei autorevoli come la Triennale di Milano e il MoMA di New York.

7. LAMPADA PARENTESI – 1979 – Flos – Alumnus Achille Castiglioni e Pio Manzù

Il progetto è basato su uno schizzo di Pio Manzù, che per primo concepì l’idea di una lampada che potesse scorrere in verticale dal pavimento al soffitto e viceversa e ruotare di 360°, ma che morì prima di vederla realizzata.
Una volta arrivato nelle mani di Achille Castiglioni, il bozzetto viene re-interpretato dando vita a Parentesi, dove Castiglioni sostituisce l’asta con una corda metallica e riduce al minimo l’utilizzo dei materiali e il numero di componenti (fonte).

La lampada è esposta in molti musei e mostre dedicate al disegno industriale di tutto il mondo, come per esempio il MoMa di New York, mentre in Italia è esposta alla Triennale di Milano, al GAMeC di Bergamo e altre gallerie e musei di rilevanza nazionale.

Sempre parlando di Castiglioni, una menzione d’onore va anche alla celebre lampada “Arco”, che nel 2020 ha vinto un premio Compasso d’Oro per la “Carriera del Prodotto”. Questa lampada, a causa dei numerosi tentativi di imitazione, è stata il primo oggetto di design industriale a cui è stata riconosciuta la tutela del diritto d’autore al pari di un’opera d’arte (fonte).

8. SEDIA SOVRAPPONIBILE K4870 – Kartell -1987 – Alumna Anna Castelli Ferrieri

Ogni azienda ha il suo stile e quello di Kartell è inimitabile – scrive il sito ufficiale dell’ADI -, perché è partito da una tecnologia, quella dello stampaggio di plastiche colorate, continuamente reinterpretata dai migliori progettisti, con forme e funzioni sempre nuove e diversificate.

sedia K4870
Credits: ADI Design Museum

Con la K4870, nel 1987, il Compasso d’Oro premia però anche una protagonista assoluta del design italiano: Anna Castelli Ferrieri (ne abbiamo parlato anche qui), riconosciuta e riconoscibile per un rigore formale straordinario ma mai scevro da una punta di giocoso engagement, anticamera di una poetica della funzione. Qualità che si esprimono nella sedia sovrapponibile 4870, tanto essenziale quanto funzionale e piacevole al tempo stesso. Anna Castelli Ferrieri riceverà un secondo premio nel 1994 con un progetto per Sambonet. Fra i suoi mille meriti, c’è anche quello di essere stata la prima Presidente(ssa) di ADI, dal 1969 al 1971.

UNO SGUARDO AL FUTURO

9. E-LOUNGE – 2020 – Alumnus Antonio Lanzillo & Partners

E-LOUNGE è design innovativo e polifunzionale, un prodotto che, se da una parte assolve alla naturale funzione di una panchina, dall’altra mette a disposizione dei cittadini diversi servizi come la connessione wi-fi, la rastrelliera per lo stazionamento delle biciclette, le prese di corrente per la ricarica di apparecchi elettronici e di dispositivi di mobilità elettrica (e-bike, monopattini ed hoverboard).

Per la giuria del Compasso d’Oro, E-LOUNGE è “una nuova tipologia di prodotto in grado di unire diversi aspetti progettuali: digitale, sharing economy, cultura del vicinato, arredo urbano, connessione. Impresa che si fa interprete dello spirito dei tempi attraverso il design”.

Leggi il commento dell’Alumnus politecnico Antonio Lanzillo sul sito Alumni 

10. HANNES – 2020 – Alumni Lorenzo De Bartolomeis, Gabriele Diamanti, Filippo Poli – Ddpstudio 

HANNES è una mano protesica realizzata da Lorenzo De Bartolomeis, Gabriele Diamanti e Filippo Poli, tre Alumni Designer laureati al Politecnico di Milano, e sviluppata da Istituto Italiano di Tecnologia e Inail.

Per la giuria del Compasso d’Oro “il design si rivela uno strumento indispensabile per aiutare le persone in difficoltà a riappropriarsi del proprio futuro. Tecnologia ed estetica aiutano a superare un disagio psicologico e un deficit fisico”. HANNES si caratterizza per l’estrema somiglianza con un arto umano sia nei movimenti che può eseguire sia nella forma, ed è in grado di restituire oltre il 90% delle funzionalità perdute a chi la usa.

Approfondisci su www.alumni.it la storia di Hannes, la mano robotica
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Ricerca di frontiera: l’Europa premia 11 progetti italiani pioneristici

Un po’ di contesto per questa bella notizia: ERC, l’European Research Council, è uno strumento della commissione europea che, come ormai sanno a memoria i nostri lettori, ha l’obiettivo di finanziare i migliori ricercatori creativi che conducono ricerche pionieristiche e di frontiera.

Proprio in questi giorni sono stati assegnati i primi grant ERC nell’ambito di Horizon Europe, il nuovo programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione che copre il periodo 2021-2027 con un finanziamento complessivo di 95,5 miliardi (cifra che include i 5,4 miliardi destinati al piano per la ripresa Next Generation EU).

È il più vasto programma di ricerca e innovazione transnazionale al mondo e nel 2022 ha selezionato 313 progetti per condurre ricerche pionieristiche in tutte le discipline scientifiche. I vincitori rappresentano 42 nazionalità e realizzeranno i loro progetti presso università e centri di ricerca in 24 Stati membri dell’Ue. Tra di loro ci sono 11 italiani.

“Trovare nuove soluzioni nei settori dell’energia, della salute o delle tecnologie digitali è possibile solo se riusciamo ad attrarre e mantenere il talento scientifico”

ha commentato la commissaria europea per l’Innovazione, Mariya Gabriel.

A Sara Bagherifard, con ArcHIDep, e a Massimo Tavoni, con EUNICE, vanno i 2 ERC consolidator Grant 2022. Le ricerche sono state selezionate tra le oltre 2mila proposte ricevute da ERC (un grande risultato per il nostro Ateneo, considerando che quest’anno solo il 11,8% dei progetti presentati hanno ottenuto il finanziamento). Oltre a questi due progetti, ad oggi in totale sono 48 i grant ERC ottenuti da ricercatori del Politecnico di Milano.

CONVERTIRE IN AZIONE LE MAPPE DEL FUTURO E RIVOLUZIONARE LA SCIENZA DEI MATERIALI

Ridurre le incertezze per affrontare i cambiamenti climatici è l’obiettivo di Massimo Tavoni, docente di climate change economics presso il dipartimento di ingegneria gestionale e Direttore di RFF-CMCC, European Institute on Economics and the Environment.

massimo tavoni
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La sua ricerca copre temi di economia dell’energia e del clima, e specificatamente la modellistica delle politiche climatiche internazionali (leggi anche su Il Corriere). Con il progetto EUNICE, Tavoni affronta il problema delle incertezze nei percorsi di stabilizzazione climatica e negli attuali modelli clima-energia-economia che ne identificano gli scenari. L’obiettivo principale è quello di convertire queste “mappe del futuro”, generate dai modelli, in indicazioni che aiutino a definire policy resilienti, solide e affidabili per contrastare il cambiamento climatico.

Grazie alla combinazione unica di scienza computazionale e comportamentale, EUNICE mette a punto un metodo rilevante anche per altri ambiti di ricerca che coinvolgono valutazioni ambientali, sociali e tecnologiche ad alto rischio (Scopri di più a questo link).

Sara Bagherifard, ricercatrice senior del Dipartimento di Meccanica, ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche e diversi premi per un’ampia attività di ricerca, che comprende approcci numerici e sperimentali per progettare, fabbricare e caratterizzare materiali multifunzionali per applicazioni ingegneristiche emergenti. I suoi interessi scientifici coprono trattamenti superficiali ad impatto, rivestimenti superficiali, nanomateriali e additive manufacturing. I risultati dei suoi studi e delle sue ricerche hanno valenza multidisciplinare e possono essere implementati nei settori più diversi, come aerospaziale, automobilistico, ferroviario, biomedico ecc.

sara begherifard
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Con il progetto ArcHIDep, Bagherifard intende mettere a terra un rivoluzionario sistema di deposizione allo stato solido per ottenere materiali eterogenei con architettura strutturata su tre livelli di scala, micro, meso e macro. ArcHIDep permetterà di sviluppare un framework, attualmente inesistente, per progettare e costruire elementi in grado di superare i limiti legati alla odierna impossibilità di coniugare proprietà tra loro in conflitto (Link per approfondire).

Stay tuned! Ne parleremo ancora su MAP 10, in uscita a Giugno 2022