Il Politecnico di Milano è coordinatore del progetto CRADLE (Collecting Asteroid-Orbiting Samples), finanziato nel quadro del programma europeo Marie Skłodowska-Curie Fellowship (MSCA-IF). Alla testa del progetto c’è Mirko Trisolini, 33 anni, esperto di dinamica di corpi celesti, satelliti e detriti spaziali, in particolare del moto di frammenti e particelle attorno a corpi minori del nostro Sistema Solare, come asteroidi e comete. Con il progetto CRADLE, Trisolini vuole mettere a punto un metodo innovativo per l’esplorazione e la raccolta di campioni di polveri di asteroidi e comete.
Di questi corpi celesti sappiamo ancora molto meno di quanto ci piacerebbe. Sappiamo però che sono ricchi di risorse preziose come metalli, silicati e acqua, che potrebbero sfruttate per consentire l’autosufficienza degli equipaggi durante future missioni di lunga durata, e che ci danno informazioni sulla storia della nostra galassia.
“Esplorare la composizione di questi corpi celesti ci permetterà di migliorare la conoscenza del Sistema Solare, ma anche di imparare come sfruttare le risorse dello spazio: risorse minerarie, per esempio, e altre vitali per future missioni con equipaggio, come l’acqua che potrebbe trovarsi sotto la superficie”
spiega Trisolini, che a questo scopo studia la dinamica e la composizione delle loro polveri e vuole mettere a punto un sistema efficace per la raccolta di campioni senza bisogno di far atterrare una sonda sul corpo celeste (operazione, questa dell’atterraggio, davvero molto complessa, come abbiamo imparato dalla Missione Rosetta).
COME FUNZIONA (IN TEORIA)
Le particelle verrebbero generate colpendo l’asteroide con un piccolo proiettile. Le particelle generate dall’esplosione vengono espulse in orbita, dove possono essere raccolte da una sonda orbitante. Cradle quindi studia il movimento della particella attorno all’asteroide per prevedere quali regioni saranno più favorevoli alla raccolta e, stimando il numero di particelle, deriva la dimensione richiesta dello strumento per la raccolta. Lo step intermedio del progetto porterà Trisolini a sviluppare modelli più precisi per la raccolta e il comportamento in orbita dei materiali estraibili dagli asteroidi, con tecniche di image processing e ricostruzione delle caratteristiche delle particelle.
“Utilizziamo modelli statistici, integrando anche le immagini dell’evento di impatto e del sito di impatto. La raccolta delle particelle in orbita si basa sulla previsione delle posizioni delle particelle dopo l’impatto; pertanto, il miglioramento della robustezza dell’analisi di impatto unito a metodi di analisi statistica è di fondamentale importanza. La raccolta in orbita significa, inoltre, capire dove posizionare il veicolo spaziale attorno all’asteroide e con quale tipo di strumento per la raccolta deve essere equipaggiato”, spiega il ricercatore.
Credits: https://www.compass.polimi.it/
DAL POLI SI ARRIVA OVUNQUE NEL SISTEMA SOLARE
Mirko Trisolini lavora con il gruppo COMPASS del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano. Di lui abbiamo parlato anche nel 2021, quando ha vinto un grant “Marie Curie Individual Fellowship”: un assegno di ricerca dedicato a giovani ricercatori che si occupano di temi cruciali per la società. “Ho scelto il Politecnico come host institution”, ci spiega, “per l’esperienza e il background tecnico del gruppo di ricerca in cui sono inserito e le radicate collaborazioni, anche internazionali, a cui ha accesso”: Trisolini infatti sta lavorando in rete con l’Università di Padova e l’Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA) allo sviluppo della tecnologia, sotto la supervisione della professoressa Camilla Colombo del Politecnico di Milano e del professore Yuichi Tsuda della Jaxa, Project Manager della missione Hayabusa 2, che ha raccolto campioni dall’asteroide Ryugu e li ha riportati sulla Terra.
“La scelta di un giovane collettivo composto interamente da trentenni, donne e uomini, risponde pienamente al tema della 18. Biennale di Architettura, intitolata ‘Il Laboratorio del Futuro’ e chiamata a indagare le risposte sostenibili ai modi di vivere e abitare di domani”
Con queste parole il ministro della cultura Dario Franceschini annuncia la nomina del collettivo Fosbury Architecture alla guida del prossimo Padiglione Italia della Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di Venezia, che si terrà dal 20 maggio al 26 novembre 2023.
Il collettivo è stato fondato nel 2013 ed è composto da una rosa tutta politecnica: gli Alumni e architetti Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni, Nicola Campri, Veronica Caprino e Claudia Mainardi, che sono già al lavoro sul tema “Il laboratorio del futuro”, il titolo a questa 18esima edizione della Biennale di Architettura.
Tra i vari criteri che hanno spinto la Direzione Generale Creatività Contemporanea a sceglierli ci sono “le esperienze maturate in campo nazionale e internazionale, l’attività scientifica, curatoriale e di ricerca, garantendo un’equilibrata distribuzione di genere”. Il collettivo Fosbury Architecture ha infatti già partecipato a numerose esperienze progettuali e curatoriali in importanti istituzioni museali e in spazi privati.
“Con immenso onore e riconoscenza, accogliamo la nomina a curatori del Padiglione Italia 2023 alla 18. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Ringraziamo il Ministro della Cultura Dario Franceschini e la Direzione Generale Creatività Contemporanea per la fiducia accordata a noi e a tutte le professioniste ed i professionisti che hanno sostenuto questo progetto. Lavoreremo con il massimo impegno, consapevoli del valore che questa nomina rappresenta soprattutto per le giovani generazioni”
commentano i curatori, che dovranno allestire i 1200 mq e i 900 mq di spazio in esterno che compongono il Padiglione Italia e saranno responsabili dell’immagine del Made in Italy e della ricerca italiana davanti a esperti e appassionati di architettura provenienti da tutto il mondo.
Nasce a Milano l’ecosistema della tecnologia e dell’innovazione sostenibile MUSA (Multilayered Urban Sustainability Action): la collaborazione tra l’Università di Milano-Bicocca, ente proponente, il Politecnico di Milano, l’Università Bocconi e l’Università Statale di Milano consentirà di sviluppare soluzioni smart per l’energia rinnovabile e la gestione dei rifiuti, studiare nuovi modelli di mobilità green, creare un polo di incubazione e accelerazione per startup, ottimizzare l’utilizzo dei big data per la salute e il benessere dei cittadini, mettere a punto nuove soluzioni di finanza sostenibile e creare le condizioni per una società sempre più inclusiva, libera da disuguaglianze.
Trasformare l’area metropolitana di Milano in un ecosistema di innovazione per la rigenerazione urbana, un modello replicabile a livello nazionale ed europeo. È questa l’ambiziosa sfida che i quattro atenei affronteranno nei prossimi tre anni grazie alle partnership con 24 soggetti pubblici e privati e a un investimento complessivo di 116 milioni di euro, finanziato per 110 milioni dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Gli ambiti di intervento del progetto, chiamati “spoke”, sono sei, ognuno coordinato da uno o più atenei:
Rigenerazione urbana (Urban regeneration – City of tomorrow)
Big data e open data per le Scienze della vita (Big Data-Open Data in Life Sciences)
Imprenditorialità e trasferimento tecnologico (Deep Tech: Entrepreneurship & Technology Transfer)
Impatto economico e finanza sostenibile (Economic Impact and Sustainable Finance)
Moda, lusso e design sostenibili (Sustainable Fashion, Luxury and Design)
Innovazione per società sostenibili e inclusive (Innovation for Sustainable and Inclusive Societies)
MUSA è stato presentato presso l’Università di Milano-Bicocca alla presenza dei rettori dei quattro atenei: Giovanna Iannantuoni (Università di Milano-Bicocca), Ferruccio Resta (Politecnico di Milano), Gianmario Verona (Bocconi), Elio Franzini (Università Statale di Milano), del presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, dell’assessore per l’Istruzione, università, ricerca, innovazione e semplificazione della Regione, Fabrizio Sala, del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, e del presidente di Fondazione Cariplo, Giovanni Fosti.
Gianmario Verona (Università Bocconi), Elio Franzini (Università Statale di Milano), Giovanna Iannantuoni (Università di Milano-Bicocca), Ferruccio Resta (Politecnico di Milano). | Credits Polimi
Sviluppare tecnologie per la sostenibilità economica e circolare e promuovere l’imprenditorialità high-tech. Sono questi i due principali obiettivi del Politecnico di Milano all’interno dell’ecosistema MUSA. La Regione Lombardia e l’area metropolitana di Milano, in particolare, rappresentano un unicum nel contesto nazionale, a partire da settori di punta, come la moda e il design, via via fino alle nuove imprese ad alto tasso di innovazione. La Fondazione Politecnico di Milano, da sempre vicino ai bisogni delle aziende, gestirà insieme all’ateneo i due spoke di riferimento.
ha commentato Ferruccio Resta.
Nell’immagine di copertina, da sinistra a destra, i rettori dei quattro atenei: Gianmario Verona (Università Bocconi), Elio Franzini (Università Statale di Milano), Giovanna Iannantuoni (Università di Milano-Bicocca), Ferruccio Resta (Politecnico di Milano).
Stonehenge continua ad attirare l’attenzione di studiosi e ricercatori a più di quattro millenni dalla sua costruzione. Il Professor Giulio Magli del Politecnico di Milano e il Professor Juan Antonio Belmonte dell’Instituto de Astrofísica de Canarias e Universidad de La Laguna di Tenerife hanno pubblicato su Antiquity, autorevole rivista di Archeologia, uno studio innovativo che aiuta a spiegare la funzione originaria del monumento: la teoria per la quale la funzione di Stonehenge sarebbe stata quella di calendario solare è errata. La sua conformazione mostrerebbe invece un interesse simbolico dei costruttori per il ciclo solare e sarebbe legata alla connessione tra vita ultraterrena e solstizio d’inverno, presente nelle società neolitiche.
L’archeoastronomia, che spesso utilizza le immagini satellitari per studiare l’orientamento di siti archeologici, ha un ruolo chiave in questa interpretazione, poiché Stonehenge mostra un allineamento astronomico rispetto al sole in connessione sia all’alba del solstizio d’estate, che al tramonto del solstizio d’inverno.
Nell’articolo, Magli e Belmonte confutano la teoria secondo cui il monumento sarebbe stato utilizzato come un gigantesco calendario basato su 365 giorni all’anno, suddivisi in 12 mesi, con l’inserimento di un anno bisestile ogni quattro, un calendario identico a quello Alessandrino, introdotto più di due millenni dopo, alla fine del I secolo a.C., come combinazione del Calendario Giuliano e del Calendario Egizio. Gli autori mostrano che questa teoria si basa su una serie di interpretazioni forzate delle connessioni astronomiche del monumento, oltre che su discutibili numerologie e analogie non supportate.
Magli e Belmonte analizzano in primo luogo l’elemento astronomico: mostrano che il lento movimento del sole all’orizzonte nei giorni prossimi ai solstizi rende impossibile controllare il corretto funzionamento del presunto calendario, poiché il dispositivo, composto da enormi pietre, dovrebbe essere in grado di distinguere posizioni molto precise, meno di 1/10 di grado.
In secondo luogo, la numerologia. Attribuire significati ai “numeri” in un monumento è una procedura sempre rischiosa: per esempio, in questo caso, un “numero chiave” del presunto calendario, 12, non è riconoscibile in nessun elemento di Stonehenge.
Infine, i modelli culturali. Una prima elaborazione del calendario di 365 giorni più 1 è documentata in Egitto solo due millenni dopo Stonehenge (ed è entrata in uso secoli dopo). Un trasferimento e un’elaborazione di nozioni con l’Egitto avvenuto intorno al 2600 a.C. non ha basi archeologiche.
Manager, ricercatori, content creator e sportivi: anche quest’anno Fortune Italia ha stilato la lista dei giovani under 40 che stanno cambiando il Paese portando innovazione nei loro settori di riferimento. Tra questi, ci sono anche tre Alumnae politecniche che si sono distinte per la loro professionalità, il talento e le idee. Conosciamole meglio.
Alumna magistrale in ingegneria dei sistemi edilizi e PhD, Annalisa Andaloro è Innovation manager di Alperia Spa, una multiutility per la quale sta sviluppando l’ecosistema di innovazione del gruppo, con focus su operation e formazione. È membro de ‘La carica delle 101’ dal 2021, un network di donne che opera pro-bono nel sostegno alle aziende emergenti, fornendo consulenze sullo sviluppo e la scalabilità del business.
Esperta di efficienza energetica nell’edilizia, ha coordinato diversi progetti europei. È direttore scientifico per il master internazionale di livello executive “Face”, sul tema dell’architettura e costruzione sostenibile delle facciate.
Dopo il Master al MIP Politecnico di Milano, Giulia Rossi è approdata ad Amazon nel 2019, per poi andare a ricoprire nel 2021 il ruolo di Principal digital innovation lead Southern Europe presso Amazon Web Services (AWS). Il suo obiettivo: sostenere le aziende nel percorso di trasformazione e accelerazione del loro business, e potenziare le loro competenze. Per oltre 15 anni è stata Innovation advisor e digital strategist, creando offerte di portafoglio di prodotti e strategie di mercato in settori come le telecomunicazioni, la sicurezza informatica e anche nel settore energetico, maturando esperienze in Silicon Valley, nel Regno Unito e nella penisola iberica.
Nel suo attuale ruolo in Amazon Web Services, supporta le aziende nell’adozione di un approccio innovativo e nello sviluppo di soluzioni basate sul cloud di AWS Cloud. Rossi è molto attiva nel sostegno alla parità di genere, ed è board member di Women & Technologies, oltre ad essere Executive MBA MIP Alumni ambassador.
Laureata in Ingegneria matematica, Maria Vittoria Trussoni è Head of sustainability & green tech di NTT Data Italia. In questo momento sta lavorando a tecniche di AI e digital twin computing per monitorare e prevedere l’impatto ambientale di alcuni processi ed edifici (come ad esempio i data center), e a un filone di ricerca che ha come obiettivo la costruzione di modelli di quantificazione dell’impatto in termini di produzione di CO2 equivalente dell’informatica e della tecnologia. “Il green tech è il punto di incontro tra la necessità di ridurre le emissioni o l’impatto in termini di sostenibilità e l’espansione della tecnologia: le prospettive sono (quasi) infinite”, ha detto Trussoni a Fortune Italia. E aggiunge:
“[Il consiglio che do ai giovani che vogliono inseguire i propri sogni è] essere poliedrici, dinamici, curiosi, sapersi contaminare con passioni e competenze diverse e focalizzarsi molto sulle persone e l’empatia”.
Puoi sostenere anche tu le borse di studio Girls@Polimi con una donazione a partire da 10 euro. Clicca qui.
Dal 1961, anno del primo volo orbitale, circa 600 persone sono andate nello spazio. Le donne a farlo sono state 75 (secondo i dati di marzo 2022, fonte: nasa.gov).
Senza andare tanto lontano, anche sulla Terra le professioni dell’aerospace sono dominate prevalentemente da uomini. Nel mondo, le donne in questo comparto industriale rappresentano circa il 25% della forza lavoro. È un tema di cui sempre più si occupano il mondo accademico, le aziende, le istituzioni e le fondazioni in tutto il mondo: un terreno fertile per i player che fanno sistema verso l’obiettivo di un maggior equilibrio di genere, anche attraverso borse di studio e di dottorato dedicate alle donne che intraprendono questa strada (lo spieghiamo anche qui e qui).
È il caso delle ricercatrici Eleonora Andreis e Mariachiara Gallia, dottorande del dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali del Politecnico di Milano, che nel 2022 hanno vinto due prestigiose borse di studio Amelia Earhart Fellowship, assegnata annualmente da Zonta International a 30 giovani donne che perseguono un dottorato di ricerca in campo aerospaziale o astrofisico in tutto il mondo. Abbiamo parlato con le due ricercatrici politecniche premiate quest’anno e ci siamo fatti raccontare su cosa stanno lavorando.
Eleonora Andreis
Eleonora Andreis, 25 anni, triennale in ingegneria aerospaziale in e magistrale in ingegneria spaziale, con un Erasmus all’università di Liegi in Belgio.
“Il tema di ricerca del mio Phd riguarda lo sviluppo di algoritmi per la navigazione autonoma di satelliti miniaturizzati nello spazio profondo, nel contesto del progetto EXTREMA (vincitore di un ERC- Consolidator Grant nel 2019). Lavoro nel DART GROUP supervisionato dal professor Francesco Topputo”.
Il progetto di Andreis consiste nello sviluppare algoritmi che permettano ad un satellite miniaturizzato di localizzarsi autonomamente nello spazio interplanetario: il satellite osserva l’ambiente esterno con delle fotocamere posizionate a bordo e riesce a ricavare la sua posizione triangolando le informazioni che ne estrae, “similmente – ci spiega Andreis – a quello che facevano i naviganti nell’antichità osservando il cielo stellato”.
Il suo progetto si focalizza su satelliti piccoli e a basso costo, che promettono di essere i principali protagonisti della ricerca spaziale nei prossimi anni. Ma navigare da Terra un satellite miniaturizzato ha un costo simile a pilotare un satellite standard, quindi Andreis lavora soprattutto per rendere autonomo il satellite nel compiere le sue operazioni di navigazione. Al contempo, sviluppa tecnologie e metodologie di navigazione piccole ed economiche, testandole su hardware rappresentativi della strumentazione a bordo.
“Un altro aspetto innovativo del mio progetto risiede nel contesto in cui gli algoritmi di navigazione vengono applicati, ovvero quello dello spazio profondo. Oggigiorno, la ricerca nel campo della navigazione ottica autonoma è maggiormente concentrata su altri casi studio, in particolare casi in cui il satellite è vicino o mediamente vicino al corpo che sta osservando che può essere ad esempio un corpo celeste o un altro satellite, mentre pochi gruppi di ricerca lavorano sull’applicazione interplanetaria”.
“In realtà durante gli anni universitari non avevo programmato di fare il dottorato”, conclude Andreis. “È stata una decisione presa nel corso dell’ultimo anno, mentre stavo lavorando per la tesi magistrale. Le tematiche su cui stavo lavorando in tesi mi avevano intrigato molto e allo stesso tempo si erano aperte delle posizioni di dottorato su temi di ricerca molto simili nel contesto di un progetto molto importante (EXTREMA), quindi ho preso la palla al balzo. Dopo aver concluso il mio percorso di dottorato, il mio progetto è di rimanere nell’ambito della ricerca”.
Mariachiara Gallia, 26 anni, triennale in ingegneria aerospaziale e magistrale in ingegneria aeronautica. Durante la magistrale ha svolto un periodo in Erasmus all’università di Southampton.
“Fin da quando ero bambina ho sempre avuto passione per la matematica e la fisica. Sono sempre stata molto curiosa e in particolare mi hanno sempre affascinato i velivoli e il loro funzionamento. Però dopo aver fatto il liceo scientifico avevo scelto di iscrivermi alla facoltà di matematica guidata dalla passione che avevo coltivato durante il liceo. Dopo pochi mesi, mi sono accorta che in realtà la matematica che avevo studiato alle superiori non aveva niente a che vedere con quello che stavo facendo. Quindi ho deciso di spostarmi su una facoltà più pratica e più vicina alla realtà. Ho quindi deciso di iscrivermi a ingegneria aerospaziale e ho subito capito che sarebbe stato l’ambito in cui avrei voluto lavorare, in particolare mi appassionava molto l’aeronautica e l’aerodinamica dei velivoli”.
Gallia si sta occupando di simulazione numerica dell’accrescimento di ghiaccio e dei sistemi di protezione anti-ghiaccio su velivoli ad ala fissa e rotante, tramite lo sviluppo del framework di simulazione PoliMIce. “Lavoro con il gruppo di ricerca del prof. Guardone con Dr. Barbara Re, Dr. Giulio Gori, Dr. Camilla Conti e i miei colleghi dottorandi: Tommaso Bellosta, Andrea Rausa, Alessandro Donizetti, Luca Abergo, Francesco Caccia e Yang Peng. L’obiettivo principale del mio progetto di ricerca è quello di sviluppare un framework che possa aiutare nel design e ottimizzazione di sistemi anti-ghiaccio.
Una parte del mio progetto consiste nello studiare la fisica del problema quindi l’aerodinamica del velivolo, la traiettoria delle particelle della nuvola che impattano sul velivolo e in particolare gli scambi die energia e di massa che regolano la formazione e lo scioglimento (quando viene attivato il sistema anti-ghiaccio) del ghiaccio. La seconda parte consiste nell’applicazione di metodi di ottimizzazione al design di un sistema anti-ghiaccio. In particolare, il fattore innovativo riguarda l’ottimizzazione che viene svolta in maniera robusta, cioè considerando le incertezze nei parametri di design in modo da ottenere un sistema più affidabile e sicuro anche fuori dalle condizioni deterministiche di design”.
Come Andreis, anche Gallia era inizialmente convinta di voler andare a lavorare in azienda una volta finita l’università. “Ho iniziato ad appassionarmi alla ricerca grazie all’ambiente sereno e stimolante che ho trovato mentre scrivevo la tesi con il prof. Guardone e il suo gruppo di ricerca. Così, finita la tesi, ho deciso di provare a intraprendere questo percorso che per ora, nonostante i normali alti e bassi, mi sta portando molte soddisfazioni. Il Poli è riconosciuto all’estero come un polo d’eccellenza, offre molte possibilità per svolgere la propria ricerca e anche possibilità di collaborazioni con istituzioni europee e extra-europee, permettendo di lavorare in un ambiente internazionale e costantemente connesso con il resto del mondo. Infine, grazie ai rapporti con le aziende è possibile vedere applicati “nel mondo reale” i risultati della ricerca che svolgiamo. Dopo il PhD mi piacerebbe sicuramente continuare a lavorare nell’ambito della ricerca magari anche in ambito accademico, in Italia o all’estero in base alle opportunità che si presenteranno in futuro”.
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Il Gruppo NHOA (NHOA.PA, ex Engie EPS) e il Politecnico di Milano firmano l’accordo per la creazione di un Joint Research Platform (JRP) con l’obiettivo di sviluppare maggior innovazione, ricerca e formazione nel settore dell’energia per consentire la transizione globale verso l’energia pulita e la mobilità sostenibile.
L’accordo di collaborazione scientifica consolida la storica partnership tra il Gruppo NHOA e il Politecnico di Milano e nasce dalla volontà comune di sviluppare iniziative congiunte di formazione, ricerca e innovazione. L’obiettivo principale è quello di affrontare temi di ricerca all’avanguardia in ambiti strategici come lo stoccaggio dell’energia, la mobilità elettrica e le risorse energetiche distribuite.
La collaborazione si concentra sulle seguenti aree: • controllo e progettazione di innovativi convertitori elettronici di potenza per sostenere le reti elettriche più deboli; • sviluppo di nuove tecnologie nell’ambito delle batterie, con particolare riguardo alla seconda vita delle batterie dei veicoli elettrici; • soluzioni all’avanguardia per la ricarica dei veicoli elettrici combinate con stoccaggio di energia rinnovabile; • sistemi di gestione dell’energia e cloud computing per sfruttare al meglio le risorse energetiche distribuite.
Sostenibilità, transizione globale, energia pulita e mobilità sostenibile non sono slogan. Sono impegni concreti e importanti priorità per la ricerca e per le agende economiche e politiche. Un obbligo per il Politecnico di Milano, prima università tecnica in Italia e una delle prime istituzioni in Europa.
commenta Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano.
Tra le numerose iniziative, NHOA Energy, Atlante e Free2move eSolutions, le tre Global Business Lines del Gruppo NHOA, investono molto sul futuro delle prossime generazioni, sostenendo dottorandi e giovani ricercatori.
NHOA Energy contribuisce inoltre al programma Pari Opportunità Politecniche (POP) con l’iniziativa Girls@Polimi, che prevede la donazione di una borsa di studio a ciclo unico per incentivare le studentesse dell’ultimo anno delle scuole superiori a iscriversi alle discipline STEM.
Le attività del JRC del Gruppo NHOA comprenderanno 8 nuove borse di studio di dottorato per sostenere le diverse iniziative di ricerca e nel 2023 la creazione di un laboratorio del JRC in cui studenti, ricercatori, professori del Politecnico di Milano e ingegneri del dipartimento R&D del Gruppo NHOA lavoreranno congiuntamente per sviluppare nuovi prodotti per NHOA Energy, Atlante e Free2move eSolutions.
La collaborazione con il Gruppo NHOA dà vita a un Joint Research Platform che non solo nasce da solide basi, ma riflette anche una visione di lungo periodo e un approccio reciproco che è paradigmatico nell’affrontare scenari globali complessi e altamente esigenti.
Il Premio Architettura e Urbanistica Urban File 2021 ha selezionato gli interventi recenti più significativi e virtuosi della città di Milano: 7 degli 8 progetti vincitori portano la firma di Alumni e Alumnae. Abbiamo intervistato alcuni di loro per farci raccontare come cambia e come cambierà la città. Sono Paolo Asti, Pasquale Mariani Orlandi, Sonia Calzoni, Sebastiano Pasculli.
Capitolo 1: Alserio 10, la curva del tempo
PROGETTO: Rigenerazione edifici esistenti, residenziale e ricettivo
STUDIO: Asti Architetti
ALUMNUS: Paolo Asti
ZONA: Isola
Paolo Asti (Credits: A. Cherchi)
Sul finire degli anni ‘80, al numero 10 di via Alserio, a Milano, una squadra di redattori della prestigiosa casa editrice Selezione dal Reader’s Digest lavorava alacremente a redigere l’Atlante del Mondo. Quotidianamente maneggiavano gli oceani e le epoche, le scienze e le Terre in un mondo, anch’esso a tutto tondo, dell’edificio che li ospitava: un palazzo architettato da Melchiorre Bega nel 1968, che conferì agli angoli della struttura delle curvature, cosi da sembrare che quasi ruotasse attorno al quartiere.
≪A differenza delle usuali architetture cittadine, che si pongono sempre a cornice della strada, questa si pone al centro del lotto ed e visibile a 360°≫, esordisce l’Alumnus Paolo Asti, fondatore di Asti Architetti, che ha curato il progetto di riqualificazione dello stabile. Oggi Alserio 10 è un complesso residenziale, composto da 70 ampi appartamenti affacciati ognuno su terrazza. ≪L’elemento curvo presente nel progetto originale è l’eredita che abbiamo preso ed enfatizzato con la creazione dei terrazzi che si rincorrono come onde attorno a tutto l’edificio, – spiega Asti. – La linea curva ammorbidisce la corsa dello sguardo. Da un senso del fluire e del divenire, della trasformazione. Il verde poi e parte integrante della facciata perché le persone amano esserne circondati; questo filtro verde e una sorta di portale, tra dentro e fuori. La natura ci ha orientati anche nella scelta dei materiali, c’è una forte presenza di legno, o simil legno, e nell’attacco terra e presente l’uso di alluminio con effetto bronzo. Il grande tema dei nostri anni e legato proprio alla terra: non vedo la necessita di ulteriore consumo del suolo ma un suo miglior utilizzo≫.
Credits: A. CherchiCredits: A. Cherchi
Il quartiere Isola, dove sorge Alserio 10, rappresenta al meglio secondo Asti il passaggio tra passato e futuro urbanistico,
≪Qui la Milano storica delle antiche botteghe, altrove scomparse, convive con la grande industria immobiliare. Milano e una città policentrica, che dato il dinamismo che la caratterizza non vive di un unico centro ma ha saputo crearsi tanti centri≫.
Questo dualismo temporale domina le imprese di Paolo Asti, attualmente impegnato nella riqualificazione di Torre Velasca. E proprio parlando di quest’ultima opera, Asti dice: ≪I cittadini hanno bisogno che un pezzo iconico della Milano degli anni ‘60 torni a essere sul territorio. Il restauro deve far rifunzionalizzare un edificio facendo sembrare che dal 1956 al 2022 non sia successo nulla. Spesso trattengo la mano e non mi sovrappongo a chi ha avuto la capacità di muoversi prima di me con edifici perfetti, anche se devastati dal tempo. Perché il tempo devasta tutto, uomini ed edifici≫.
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
«Prendete pochi crediti per il tempo che sottraete alla preparazione degli esami, ma in compenso è un salto di qualità incredibile, vi costringe a metterci le mani, a capire e a immaginare». A parlare è l’ing. Giampaolo Dallara, che nel 1972, a Varano de’ Melegari, in provincia di Parma, ha fondato l’omonima azienda italiana costruttrice di automobili da competizione. Dallara è Alumnus in Ingegneria Aeronautica, appassionato di motorsport e uno dei principali sostenitori della Formula SAE in Italia. Si sta rivolgendo agli studenti del team politecnico DynamiΣ PRC: oltre 100 ragazze e ragazzi che, ogni anno, progettano e costruiscono un prototipo di auto da corsa in stile Formula.
foto di Tommaso Chemello, Alumnus ingegneria meccanica e membro del team DynamiΣ
LA FORMULA 1 DEGLI STUDENTI
I veicoli di DynamiΣ PRC corrono il campionato Formula SAE (in Europa si chiama Formula Student), una delle maggiori competizioni per vetture a ruote scoperte, che conta più di 15 eventi globali e coinvolge gli studenti di oltre 600 atenei in tutto il mondo. Anche i piloti sono studenti e quindi, per ragioni di sicurezza, le gare non sono ruota a ruota ma a tempo (con poche eccezioni).
Si corre in 3 categorie: motori a combustione, motori elettrici e auto a guida autonoma. Ogni gara si disputa in un Paese diverso ed è divisa in due sessioni: la prima, statica, valuta l’aspetto tecnico della vettura, quello economico e la capacità di realizzare una strategia di marketing completa. Seguono le prove dinamiche, in pista: Acceleration (accelerazione), Skidpad (bilanciamento), Autocross (miglior tempo sul giro) ed Endurance&Efficiency (affidabilità del prototipo). In Italia le gare si svolgono sul circuito di Varano de’ Melegari, a pochi passi dalla Dallara Automobili (principale sponsor dell’iniziativa). L’ing. Dallara ogni anno fa il giro dei box, il venerdì prima della gara, quando le squadre hanno finito i test e stanno ultimando gli ultimi lavori sulle macchine.
Vedere i ragazzi quando discutono su come fare l’attrezzatura di un telaio o immaginare come costruire un’ala è un ricostituente per l’entusiasmo da portare in azienda, – commenta l’ingegnere. – E poi c’è la costatazione di come i giovani siano veramente una forza del nostro Paese, di come abbiano voglia di impegnarsi anche a caro prezzo: perché, per fare questo lavoro, spesso sono costretti a rimandare qualche esame.
Partecipare a queste competizioni è talmente impegnativo che comporta per forza qualche ritardo nella carriera accademica: per esempio Alberto Testa, studente di Ingegneria Spaziale e attuale responsabile tecnico di DynamiΣ, ci racconta che lui impegna nella squadra circa 70 o 80 ore alla settimana. «È inevitabile che gli esami passino un po’ in secondo piano».
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foto di Tommaso Chemello, Alumnus ingegneria meccanica e membro del team DynamiΣ
AI BOX
Moreno Palmieri si è laureato nel 2018 in Ingegneria Meccanica e oggi fa R&D in Ferrari. Durante gli studi ha fatto parte del team DynamiΣ: un team che ha vinto molto, ma che non è partito esattamente con il piede giusto.
«Nel 2014 abbiamo sperimentato per la prima volta il telaio in carbonio. Ma, non avendo tanti soldi, ci siamo ingegnati con pannelli di carbonio piani e incollati insieme. Risultava un po’ più pesante di un telaio in carbonio stampato con tecniche industriali, ma costava molto meno. Eravamo alle prime armi e abbiamo fatto un errore nella progettazione: gli inserti interni a cui saldare i componenti interni della macchina erano troppo piccoli. Durante alcuni test preliminari fatti sul circuito di Vizzola era andato tutto bene, ma sul circuito di Varano l’asfalto è molto più performante. Durante il brake test avevamo talmente tanto grip che le forze esercitate dai braccetti delle sospensioni sul telaio erano molto più forti del previsto, al punto da strappare uno degli inserti. Disastro! Eravamo sconfortati. Ma i giudici di gara, il personale della Dallara, passarono dai box per il consueto giro di ricognizione e ci incoraggiarono a cercare una soluzione. Lavorammo tutta la notte alle riparazioni, rappezzando il telaio con lastre d’acciaio. Una volta terminato, la macchina pesava 10 kg in più: sarebbe stata un po’ meno performante, ma almeno potevamo correre. La mattina seguente ci ripresentammo al brake test. Stavolta, il telaio resse, ma si ruppero i braccetti delle sospensioni, già danneggiati durante il primo test. Nuova nottata in bianco per le riparazioni, il giorno dopo ci sarebbe stata la gara, era l’ultima possibilità. Trovammo una soluzione di fortuna, ma la macchina non resse il terzo brake test e dovemmo ritirarci. Di tutta questa storia però quello che ci portammo a casa fu una grande opportunità. Gli ingegneri di Dallara ci notarono per la nostra tenacia, perché non avevamo mollato di fronte a una difficolta così grossa, avevamo tentato di tutto. Qualche mese dopo, l’ing. Dallara venne al Poli per incontrarci e ci offri la sua collaborazione per costruire il telaio con mezzi e strumenti adatti. Ci mise in contatto con la Bercella, azienda del settore, da cui anche abbiamo imparato molto sul manufacturing professionale».
foto di Tommaso Chemello, Alumnus ingegneria meccanica e membro del team DynamiΣ
Da quel momento DynamiΣ ha recuperato la sconfitta del 2014 molte volte, piazzandosi sempre sul podio nelle edizioni successive. «Gli studenti spesso mi sorprendono con espressioni di grande creatività e immaginazione, – racconta Dallara ricordando le innumerevoli visite ai box. – Sulle nuove tecnologie sono proiettati in avanti, invece a volte le parti più convenzionali, come l’attacco di una sospensione, sono caratterizzati da una certa ingenuità. Ma mi sorprende anche la velocita con cui imparano. I team arrivano la prima volta senza esperienza, sono molto distanti dalle squadre di punta. Ma nel giro di un anno o due recuperano il divario e raggiungono un pari livello di competitività».
SPORT SIGNIFICA UN LIMITE INCOGNITO
Alberto Testa fa parte della squadra dal 2019, anno in cui il Poli si classifica al quarto posto nella classifica mondiale e al primo in Italia, correndo nella categoria Combustion. «Dopo questo successo abbiamo deciso di accettare una nuova sfida, anzi, due. Nel 2020 abbiamo costruito il primo prototipo elettrico e da quest’anno verrà aggiunto alla macchina anche un sistema di guida autonoma, per poter gareggiare nel campionato elettrico sia con pilota sia nella categoria Driverless≫.
Anche Filippo Piovani e studente di Ingegneria Aeronautica: «in teoria ultimo anno≫, dice. È la sua terza stagione in DynamiΣ. Lo incontriamo in officina, dove, raccolti intorno al nuovo prototipo, i membri del team lavorano in parallelo su molte cose contemporaneamente: chi rifinisce dei pezzi, chi ne monta degli altri, chi fa e rifà i conti per controllare i risultati, chi sta in cabina di verniciatura per trattare lo stampo dell’inverter container. Stasera resteranno qui fino a mezzanotte, con un permesso speciale dal Dipartimento di Ingegneria Meccanica (che rimarrà aperto apposta per loro). «Una delle sfide dell’inverter container è la schermatura dell’interferenza elettromagnetica, causata dall’elettronica ad alta tensione, – racconta Filippo. – Rischia di sporcare i segnali di quella a bassa tensione che controlla il funzionamento della macchina. L’anno scorso era la prima volta in cui avevamo la macchina elettrica e c’erano dei momenti in cui i sensori di controllo dei parametri vitali restituivano informazioni sbagliate a causa di questo problema, trasmettendo l’errore al computer che gestisce la macchina. Quest’anno abbiamo aggiunto alla fibra di carbonio delle molecole di nichel, che dovrebbero aumentare la schermatura e risolvere il problema. Almeno in teoria, ma bisogna provare per scoprirlo».
Dopo il fire-up, i test in pista andranno avanti fino a metà luglio. Il campionato inizia il 12 luglio e proseguirà tutta l’estate: il Poli sarà a Varano dal 17 al 19 luglio, in Ungheria dal 7 al 13 agosto e in Germania dal 15 al 21 agosto. Che risultato vi aspettate?, chiediamo a Filippo.
Vincere, sempre e comunque. Poi si cerca di migliorare rispetto all’anno scorso. L’obiettivo è tornare con l’elettrico dove eravamo nel ’19 con il modello a combustione: quarti a livello mondiale.
«La squadra del Poli è abituata così, – commenta ridendo Dallara. – Non vogliono solo partecipare, sono abituati a vincere. Ma non sono gli unici. Quello della Formula Student è un campionato che diventa ogni anno più competitivo. Il Poli ha vinto molto, ma anche gli altri hanno voglia di vincere. Non basta più migliorare un po’: il confronto sportivo non ha un livello definito da superare, non è la ricerca di un record, è essere migliori del tuo avversario. Questo significa che il limite è incognito finché non ci si confronta in pista».
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
La E39 è una strada norvegese che non ha gli standard a cui siamo abituati. Per lunghi tratti non ha neanche la strada. Sette traghetti trasportano i mezzi in un percorso che, per risalire 1100 chilometri della costa occidentale, prevede un tempo di percorrenza di 21 ore.
L’obiettivo dell’amministrazione norvegese è di ridurre la durata del viaggio a 11 ore, tramite infrastrutture immerse nel paesaggio: ponti galleggianti e gallerie sottomarine, innovazioni e tecniche antiche come il ponte di Archimede, oggi realizzabile grazie alle ultime tecnologie.
Dietro i lavori di queste infrastrutture che cambieranno una nazione, e non solo, c’è un’italiana: l’Alumna Arianna Minoretti, ingegnere civile del Politecnico di Milano.
«Lo Stato norvegese cercava una persona che fosse interessata a lavorare su questo grande progetto della E39, mi è sembrata un’occasione unica e così ho inviato la mia candidatura»,
racconta.
Ripensandoci ora, mi sembra ancora così strano. «Mi ha chiamata il mio attuale capo per chiedermi se potessi sostenere il colloquio da lì a una settimana. Il colloquio è durato due ore e alla fine mi ha detto: “Guarda, io oggi fermo i colloqui perché credo che tu sia la persona che stiamo cercando. Ti manderemo una proposta economica e se sei d’accordo ti puoi trasferire e inizi a gennaio”».
Dietro al progetto di questa grande opera ci sono interessi economici (sulla costa ovest è localizzato il 50% delle esportazioni) e sociali. «So cosa vuol dire avere la necessita’ di vivere vicino ai servizi sanitari, avendo avuto problemi allergici importanti», continua Minoretti. «Ogni volta che arrivo in un posto nuovo chiedo dove si trovi l’ospedale più vicino. In alcuni posti lungo la costa norvegese è capitato mi dicessero che in macchina erano necessarie fino a tre ore (altrimenti si dipende dall’elicottero). Sono convinta che il progetto della E39 sia anche un progetto sociale. Basti pensare a chi vive al di fuori delle principali città della Norvegia: non è così semplice raggiungere i luoghi di lavoro, le scuole, gli ospedali, e queste sono le prime infrastrutture da dare alle persone».
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