«Quest’anno passerà alla storia come quello in cui si e fatto di più per l’istruzione e sono state aperte più infrastrutture scolastiche e asili rispetto agli ultimi cento anni a Tirana≫, ha dichiarato Erion Veliaj, sindaco di Tirana, in Albania. E fra queste infrastrutture, tre sono state ideate dall’Alumnus Stefano Boeri e dal suo gruppo nelle zone di Don Bosko, Koder-Kamez e Shqiponja.
Il complesso del Don Bosko, di 9812 m2, comprende una scuola media, una scuola superiore, gli spazi per l’educazione prescolare e una nursery; le scuole Koder-Kamez, per le quali è prevista un’offerta di servizi educativi analoga al Don Bosko, si estendono su un’area complessiva di 11.898 m2; e le scuole Shqiponja comprendono le strutture per l’educazione prescolare, una scuola media e una nursery e occupano una superficie di 7898 m2.
“Una scuola aperta vuol dire osmosi con il territorio, scambio di saperi e di esperienze, con un importante riverbero sulla vita di quartiere. Spesso gli edifici scolastici sono il centro della comunità, e realizzare nuove scuole costituisce l’occasione di costruire un nuovo tassello della citta pubblica.”
Gli edifici sono caratterizzati da un impianto semplice e funzionale e un accostamento di materiali e colori che richiama la tradizione delle architetture italiane a Tirana. La progettazione e la distribuzione degli spazi di apprendimento influenzano le prestazioni scolastiche degli studenti, e, considerando che i metodi di apprendimento sono in continua evoluzione, è necessario che le architetture seguano, se non anticipino, i cambiamenti.
Come, e dove, immagina potrebbe sorgere un primo progetto di Scuola Aperta in Italia?
Stefano Boeri:
“Stiamo già lavorando a progetti di questo tipo sia a Milano – dove stiamo realizzando un modello per ≪l’Aula del futuro≫ – che in Liguria, dove stiamo progettando un edificio scolastico che segua almeno in parte questi principi. Ma, più in generale, qualcosa si sta muovendo in questa direzione: le linee guida del PNRR prevedono un piano di sostituzione di edifici scolastici e di riqualificazione energetica che interesserà 195 immobili, per un totale di oltre 410 mila m2. Insieme a Renzo Piano, Cino Zucchi, Mario Cucinella, Massimo Alvisi, Sandy Attia, Luisa Ingaramo, con la Fondazione Giovanni Agnelli e Triennale Milano abbiamo seguito la redazione delle linee guida per la progettazione dei nuovi edifici scolastici, proprio a partire dal concetto di scuola aperta.”
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
È un mercato che secondo la maggior parte degli analisti raggiungerà tra due anni gli 800 miliardi di dollari, con un potenziale di crescita da capogiro: Fortune e Deloitte parlano di 13 trilioni di dollari entro il 2030, quando conterà 5 miliardi di utenti secondo Citi (al momento si stima siano 350 milioni, +900% nell’ultimo anno, con un’età media di 27 anni, suddivisi su 43 piattaforme). È il Metaverso, il sistema di tecnologie che abilita esperienze di realtà virtuale, aumentata e mista consentendo una sorta di estensione del mondo fisico in universi virtuali e semi-virtuali, con proprie logiche di funzionamento e comunicazione.
Sono già molti i brand importanti che hanno deciso di sbarcare nel Metaverso e costruirvi una presenza attrattiva per i consumatori, che grazie a tecnologie sempre più sofisticate vivono esperienze al limite del reale provando e acquistando i prodotti attraverso i loro avatar. Metaverse Marketing Lab, un’iniziativa della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con UPA e UNA (le associazioni che rappresentano inserzionisti e agenzie pubblicitarie), intende tracciare le evoluzioni di un mercato tanto dinamico quanto fluido, diffondere le buone pratiche e analizzare il comportamento del consumatore nella relazione con le esperienze di realtà immersiva, virtuale e aumentata.
“L’obiettivo – commenta Lucio Lamberti, Ordinario di Omnichannel Marketing Management e Responsabile scientifico del Metaverse Marketing Lab, presentato oggi al Politecnico – è comprendere se e in che modo questa ‘ebbrezza da Metaverso’ rappresenti un trend o un’onda. Per questo, oltre a studiare le iniziative dei brand a livello nazionale e confrontarle con le esperienze globali, il Lab si concentrerà sulla prospettiva dell’utente, analizzandone il comportamento e misurandone in maniera oggettiva il coinvolgimento emotivo. Crediamo fortemente nell’alleanza tra Università e Associazioni di filiera come strumento di condivisione e confronto: siamo alle soglie di un’ulteriore trasformazione dei modelli di relazione tra marche e consumatori, tanto più rapida e profonda quanto più il Metaverso riuscirà a suscitare emozioni forti, comparabili con quelle della vita reale. Un fenomeno che sta già accadendo, secondo i dati del Laboratorio PhEEL del Politecnico”.
“Un grande cuore biancorosso che ha sognato per anni questo momento. Sempre a un passo dalla vittoria ma mai abbastanza per portare a casa lo scudetto. Oggi il sogno si è finalmente realizzato, è tutto vero: gli Sharks Monza sono i Campioni d’Italia! FORZA SHARKS!”
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
È quanto si legge sulla pagina ufficiale degli (l’avrete capito) Sharks Monza: la squadra di Powerchair Hockey che, dopo 22 anni di vittorie mancate per un soffio, si aggiudica lo scudetto di campione d’Italia, imponendosi sugli IOP Madracs Udine per 9-2 durante la finale disputata a Lignano Sabbiadoro (Udine).
A raccontarci con passione questa storia è il meccanico degli Sharks, Pietro Ravasi, Alumnus in ingegneria meccanica e cittadino benemerito della città di Monza per i suoi meriti sportivi. Il Powerchair Hockey si gioca a bordo di carrozzine elettroniche. In Italia esistono circa 30 squadre competitive che si contendono lo scudetto nel campionato organizzato dalla F.I.P.P.S. (Federazione Italiana Paralimpica Powerchair Sport).
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
Il meccanico, in questo sport, fa la differenza: le carrozzine su cui corrono i giocatori sono, di base, sono quasi tutte uguali: “ci sono 3 o 4 costruttori in tutto il mondo, ma alla fine si tende sempre a comperare quella più competitiva. Quello che cambia è l’assetto del mezzo. L’ingegnerizzazione della carrozzina può essere determinante per il raggiungimento del risultato, ma è soprattutto il mezzo per tutelare il più possibile la sicurezza degli atleti”. Atleti come Mattia Muratore, ambasciatore paralimpico e capitano degli Sharks, affetto da osteogenesi imperfetta, conosciuta anche come la malattia delle ossa di cristallo: “Noi e la carrozzina dobbiamo essere una cosa sola”, racconta agli Alumni del Poli, “Ho sempre voluto fare sport, ma non era facile trovare un’attività adatta alla mia malattia: il minimo urto potrebbe avere conseguenze notevoli. Ciononostante, eccomi qui. Alle medie il professore di educazione fisica, al contrario di altri che mi tenevano in palestra a guardare gli altri, ha iniziato a farmi allenare con una mazza da hockey. Da lì, non ho più smesso».
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
Ravasi lavora come un meccanico di pezzi unici, modificando le carrozzine su misura dell’atleta e della sua specifica disabilità: “le smonto completamente e le rimonto da capo per perfezionarne l’assetto e personalizzarle per i giocatori”. Una collaborazione che inizia nel 2006: “Luigi Parravicini, allora capitano degli Sharks, aveva bisogno di una carrozzina da gioco ma non riusciva a trovarla. All’epoca c’era l’abitudine di farsi modificare da amici le carrozzine da passeggio, in modo artigianale e amatoriale. Io però sono un ingegnere del Poli. Arrivavo da un’esperienza come progettista e collaudatore di un’azienda che produceva go-kart e usai ciò che avevo imparato in quell’ambito e quanto imparato al Poli per mettermi al lavoro su una carrozzina su misura per Luigi. Poi nel 2014 fui convocato in nazionale come meccanico ufficiale e portai una carrozzina di riserva progettata da me. In quello stesso anno facemmo il primo mondiale insieme. Non ce lo possiamo dimenticare: arrivammo penultimi”.
Ravasi e la squadra, però, non si danno per vinti. “Tornando a casa, a Monza, realizzai per gli Sharks altri due prototipi di carrozzina e misi a punto per la squadra, per la prima volta nel campionato italiano, degli stick uguali e perfetti”. Le carrozzine per Powerchair Sport devono essere agili e fatte di materiali leggeri e resistenti per proteggere e essere maneggiate da persone dotate di poca forza muscolare: la mazza, una paletta in plastica simile a quella del floorball, è realizzata con materiali plastici molto leggeri, ma anche così ci sono giocatori che non possono usarla e utilizzano invece lo stick, una sorta di paletta applicata frontalmente alla carrozzina dell’atleta che permette anche a chi non è in grado di reggere la mazza di poter controllare la pallina ed essere fondamentale nel gioco. “C’è tanto lavoro e la parte elettronica è determinante. Ogni giocatore ha le sue caratteristiche e l’elettronica si adatta alla sua specifica rotazione e frenata. Gli atleti devono avere carrozzine personalizzate in base al ruolo e alle esigenze fisiche. Poi c’è il lavoro di manutenzione, che è molto importante. Sono sedie che costano circa 17 mila euro l’una”.
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
Da quella prima sconfitta nel 2014, il meccanico Ravasi e le “sue” powerchair hanno fatto molta strada. Quest’anno gli Sharks, come si è detto, si sono portati a casa lo scudetto. Ma è solo la più recente di una serie di soddisfazioni. “Nel 2016 con la nazionale abbiamo centrato la prima finale europea e siamo arrivati secondi. Siamo partiti che nessuno ci considerava, eravamo nel girone peggiore e abbiamo debuttato contro i vice-campioni del mondo; e li abbiamo battuti alla prima partita. Stavamo creando un bel gruppo”. Durante gli ultimi mondiali, nel 2018, l’Italia del Powerchair Hockey si è aggiudicata il primo posto in finale contro la Danimarca. Nel 2020 si sarebbero dovuti disputare nuovamente gli europei, che sono stati però fermati, come anche i campionati nazionali, a causa della pandemia. Il 2022 è quindi segnato da grande aspettativa. Il 5 ° IWAS Powerchair Hockey World Championship si svolgerà dal 7 al 15 agosto 2022 in Svizzera. Da campioni del mondo, puntiamo alla seconda coppa mondiale, contendendocela contro le altre 9 squadre classificate: Germania, Danimarca, Australia, Canada, Olanda, Svizzera, Belgio, Finlandia e Spagna.
Dopo questi risultati, Ravasi è pronto per una nuova avventura: “Porgo i miei auguri alla nostra Nazionale di Hockey, perché adesso ho un nuovo ruolo come meccanico nella neonata nazionale di Powerchair Football. In Italia è arrivato il calcio in carrozzina, nel mondo come sport è molto praticato, a differenza dell’hockey. Ci sono già i numeri per le paralimpiadi e le federazioni stanno lavorando per unificare i regolamenti”. Quest’anno si è svolto il primo campionato italiano, vinto dai Thunder Roma davanti alle Aquile di Palermo; terzi sono arrivati i Black Lions di Venezia che hanno avuto la meglio sulla Oltre Sport di Trani. In questo ambito ci sono squadre nate da zero che giocano solo a calcio, come Oltre Sport, ed altre che hanno creato la squadra di calcio avendo già quella dell’hockey, come le altre tre finaliste. “Per la nuova nazionale abbiamo convocato gli 8 che dal 16 al 22 Agosto rappresenteranno l’Italia alla EPFA (European Powerchair Football Association) CUP, che si disputerà a Ginevra e ci vedrà impegnati contro Austria, Belgio, Germania, Scozia, Spagna e Svizzera. Saremo anche la squadra con il maggior numero di atlete (3 donne su 8). Le carrozzine sono differenti da quelle da hockey, la migliore è americana, poi ci sono quelle svizzere che sono le migliori da hockey con un paraurti specifico per il calcio (che sono poi la maggioranza, come detto prima molti giocatori praticano entrambi gli sport), e poi c’è un costruttore italiano che ha iniziato a produrre i primi prototipi. Vedremo il da farsi, perché comunque a Monza non faremo il calcio e quindi dovrò per forza applicare un piano di lavoro differente. Sicuramente sarà una bella esperienza per gli atleti alla prima uscita in Azzurro, la maggior parte, mentre per me servirà per accumulare esperienza strizzando sempre l’occhiolino ad un bel risultato”.
La popolazione femminile è sottorappresentata in molte delle attività svolte presso le università tecniche. È anche il caso del Politecnico di Milano: le donne rappresentano meno del 30% dei suoi 47.000 studenti e 1400 ricercatori. È un dato macro, però: se guardiamo più da vicino, notiamo uno squilibrio maggiore sul totale degli studenti di Ingegneria, dove solo 1 su 4 è una donna.
Stringiamo ancora l’obiettivo e il numero precipita al di sotto del 20% nel caso di alcuni corsi come Ingegneria Meccanica, Elettronica, Informatica e Aerospaziale.
LE AZIONI DEL POLITECNICO VERSO LA PARITÀ DI GENERE
POP – Pari Opportunità Politecniche è il programma strategico con cui l’Ateneo si impegna per garantire un ambiente di studio e lavoro che rispetti le identità di genere, le diverse abilità, le culture e provenienze. Al suo interno, esistono diverse iniziative per promuovere le materie STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) tra le ragazze delle scuole superiori e incentivarle ad iscriversi al Politecnico di Milano. Girls@Polimi, per esempio, finanzia borse di studio per future immatricolate ai corsi di ingegneria con bassa percentuale femminile (Meccanica, Elettronica e Informatica), che mettono a disposizione delle candidate meritevoli 8000 euro ciascuna, ripetibili per i tre anni della laurea, oltre all’alloggio gratuito.
“La consapevolezza del divario di genere è un primo passo al quale devono seguire azioni concrete non solo all’interno delle nostre università, ma a livello esteso e nel contesto internazionale. Costruire reti e aderire a cause comuni aumenta la nostra capacità di influenzare i decisori”
commenta la prorettrice Donatella Sciuto, sottolineando la dimensione internazionale e sistemica di questo squilibrio.
Per questo, a guida delle azioni da perseguire, abbiamo messo nero su bianco due strumenti di lavoro: il primo è Bilancio di genere, un’analisi annuale dell’Ateneo rispetto alla prospettiva del genere nei percorsi di studio e di lavoro, all’interno del corpo docente e del personale tecnico-amministrativo. Indica obiettivi, strumenti e direzioni; il piano concreto delle azioni da intraprendere, con un orizzonte triennale, è descritto invece nel Gender Equality Plan: “abbiamo stanziato un budget specifico”, fa sapere il rettorato, con l’obiettivo di “riconoscere la dignità di ogni persona nel lavoro e nello studio, garantire la parità di trattamento, promuovere iniziative volte a rimuovere le discriminazioni nella formazione, nell’accesso al lavoro, nell’orientamento e durante la carriera”.
Quello che stai leggendo è un articolo dell’ultimo numero del MAP (leggilo qui). Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
Elda Sala, studentessa del Politecnico di Milano, è la vincitrice della seconda edizione della borsa di studio del valore di 5000 euro intitolata alla memoria di Mario Buzzella.
“Il mio corso di studi è la Magistrale in Materials Engineering and Nanotechnology – ci dice Sala -. Ho svolto la tesi presso il CNST (Center for Nano Science and Technology, afferente all’Istituto Italiano di Tecnologia) e mi sono occupata di semiconduttori organici. La borsa mi è stata assegnata sulla base di una graduatoria stilata tenendo in conto alcuni fattori: media dei voti, numero di crediti ottenuti rispetto al tempo trascorso dall’immatricolazione e situazione economica, il tutto con l’obbligo di essere in corso con la Laurea Magistrale.”
La premiazione si è tenuta gli ultimi giorni di giugno nella sala riunioni della Coim, la multinazionale della chimica della quale Buzzella era il fondatore, alla presenza della sua famiglia e dei vertici del Rotary Club di Crema.
Beatrice Buzzella, figlia di Mario, spiega cosa ha spinto i familiari e l’azienda ad istituire la borsa di studio destinata agli studenti del corso di laurea magistrale in Ingegneria dei Materiali e delle Nanotecnologie del Politecnico di Milano:
“Per la nostra famiglia ha un significato enorme perché premia un percorso coronato con un successo frutto di capacità, impegno e sacrificio, nel campo della ricerca e dello sviluppo”.
Tornando a Elda, quando le domandiamo del Politecnico non ha dubbi sulle lezioni più importanti che ha imparato durante gli anni di studio:
“Perseveranza e spirito di adattamento, ma ho anche appreso l’importanza di organizzare il mio tempo con efficienza. Sono sempre stata una studentessa lavoratrice e non è stato automatico imparare a gestire tanti impegni paralleli; la triennale è stata un campo d’allenamento, in questo senso. Con un po’ di determinazione, le difficoltà vengono superate e trasformate in esperienze formative.”
E il futuro cosa riserva?
“Nei miei piani c’è un progetto di Dottorato di Ricerca presso la stessa struttura in cui ho svolto il lavoro di tesi, quindi per ora conto di rimanere nella ricerca accademica. Dopodiché mi piacerebbe andare a lavorare nel settore di Ricerca e Sviluppo, possibilmente sempre in ambito di semiconduttori ed elettronica. In generale, mi piace stare in laboratorio e vorrei continuare”.
Sostieni studenti e le studentesse: con una donazione a partire da 10€ puoi contribuire a finanziare le borse di studio. Dona ora.
Nasce in questi giorni FPM.US, la Fondazione Politecnico di Milano negli USA, Fellows of Politecnico di Milano USA, una Fondazione di diritto americano con lo status di 501(C)3: per consolidare la rete politecnica negli Stati Uniti sulla base del lavoro portato avanti da diversi anni dal Chapter Alumni Polimi North America.
“È un’iniziativa che aggiunge forza alla nostra strategia di internazionalizzazione” secondo il prof. Andrea Sianesi (Alumnus e presidente di Fondazione Politecnico di Milano), che ci spiega come questo nuovo strumento si inserisca nel piano strategico dell’Ateneo. “L’obiettivo è quello di potenziare la rete politecnica in Nord America, a supporto delle missioni dell’Ateneo (formazione, ricerca e impatto sociale), appoggiandoci a uno dei nostri maggiori asset: gli Alumni”.
Sono infatti circa 2000 gli Alumni del Politecnico che risiedono e lavorano negli stati Uniti. “FPM.US servirà a facilitare le collaborazioni con istituzioni e aziende radicate nel contesto americano, che segue dinamiche diverse da quelle italiane e per questo necessita di uno strumento specifico”. La roadmap per consolidare questa rete segue 3 direzioni, ci spiega Sianesi: prima di tutto FPM.US è una charity, uno strumento di fundraising che ci permetterà di replicare in USA le raccolte fondi che l’Ateneo già promuove in Italia (come quelle dedicate alle borse di studio, a progetti didattici speciali, a progetti di ricerca specifici), garantendo ai donatori i benefici fiscali tipici di questa forma amministrativa. L’obiettivo è anche finanziare progetti specifici per il territorio, come per esempio borse per periodo di studio, stage e ricerca negli Stati Uniti.
“Una seconda linea d’azione va nella direzione di potenziare la cooperazione bilaterale tra Italia e Stati Uniti per la ricerca scientifica”: sul fronte accademico, significa la possibilità di sviluppare progetti di ricerca congiunti con centri di ricerca di eccellenza e accedere a fondi NSF per la ricerca accademica. Significa anche portare nel circuito Politecnico, aziende con le quali collaborare a livello di JRC (Joint Research Center, scopri di più sui JRC su MAP 10), fondi di venture capital e nuove opportunità per il trasferimento tecnologico. “Una terza fase ci vedrà impegnati in collaborazioni per supporto al placement e all’education, per offrire ai nostri laureati nuovi sbocchi professionali e un solido network di Alumni a cui far riferimento. Stiamo impostando questa sfida come il beta test di una strategia che potrà essere replicata in altri contesti nel mondo”.
Ci sono oltre 15 mila Alumni che risiedono e svolgono le proprie attività fuori dall’Italia, e di questi, circa 2000 sono negli Stati Uniti. Sono gli ambasciatori della cultura politecnica nel mondo. FPM.US offre l’opportunità agli Alumni oltre oceano di contribuire in modo diretto allo sviluppo futuro del Politecnico di Milano, sui fronti dell’internazionalizzazione, dell’innovazione didattica, del trasferimento tecnologico, della ricerca, del brand Politecnico e del sostegno economico a progetti e borse di studio.
Enrico Zio, Presidente di Alumni Politecnico di Milano
Si entra come di nascosto nella C.I.1 nell’Edificio 6, ovvero l’Aula “Giulio Natta” nel Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”, un composto organico di legno, ardesia e storia politecnica.
Da una piccola porta ci si trova al cospetto di una grande platea: tredici ripide file di grandi e solidi banchi in legno, una parete di lavagne quasi al soffitto, salgono e scendono e si moltiplicano, ma dopo anni e anni di lezione tengono traccia sempre e solo dell’ultima lezione svolta, in un ciclo di rinascita che ricorda i cicli degli studenti, generazioni di padri, figli e nipoti che hanno studiato qui. Le finestre sono quasi completamente schermate da spesse tende, come se la luce del sole di Città Studi potesse rubare qualcosa dello spirito del tempo. La cattedra, nello stesso legno rossastro dei banchi, è quella da cui insegnò Chimica Industriale Giulio Natta, dal 1938 al 1973, mentre nei laboratori qui attorno sperimentava e scopriva la sintesi stereospecifica del polipropilene.
Credits: sussidiario.net
Un’aula così grande in ogni elemento sembra essere stata costruita per studenti giganti. Quando entrano in visita, gli Alumni si fanno però piccoli, esitano circospetti sulla soglia, mentre le mogli, i mariti e i figli esplorano e si inerpicano lungo le scale, fino alla vetta, la finestra da cui si vede un albero ed il mondo intorno. I familiari vagano e gli ex studenti restano fermi nel ricordo di quello che è stato: qualcuno controlla negli angoli come quando si torna da una lunga vacanza, cercando un particolare fuori posto e trovando tutto nel solito ordine, altri cercano dei compagni di ricordo. Uno fa un giro rapido, riappropriandosi di uno spazio abbandonato, esce e con lo smartphone chiama subito un amico, gli racconta stupito di come “nulla sia cambiato nella Natta, mentre il Politecnico è tutta un’altra cosa, una cosa nuova”.
Inizia un elenco interminabile di corsi seguiti, “sembrano solo nomi ora – dice un Alumnus – ma al tempo erano lezioni, ore passate qui”: Chimica, Scienze delle Costruzioni, Teoria dell’Informazione e della Trasmissione. Ciascuno ricorda un mitico corso di un mitico anno, il proprio. Se si usassero i banchi come una carta-carbone si potrebbero ricalcare decine di migliaia di calligrafie, milioni di fogli di appunti, miliardi di formule. Un padre mostra al figlio le lavagne. Alcuni si riconoscono negli occhiali che portano, mostrandoseli reciprocamente:
“prima di cominciare i corsi in queste aule non avevamo gli occhiali, qui abbiamo lasciato qualche diottria per prendere appunti dalle file più lontane, intravedendo numeri a distanza”.
I figli si appoggiano sui banchi a cui i genitori arrivavano trafelati da casa nelle mattine della loro giovinezza, lasciavano sciarpe, cappelli, guanti e qualsiasi altro indumento per tenere un posto prezioso in prima fila. Per una volta gli Alumni sempre in anticipo incontrano i compagni di corso sempre in ritardo, quelli che arrivavano a lezione iniziata e per evitare lo sguardo dell’insegnante e della platea restavano fuori.
Un ingegnere elettrotecnico della classe ’87 racconta del corso più bello della storia: Meccanica Razionale tenuto da Amalia Ercoli-Finzi, il primo ingegnere aeronautico donna d’Italia, la “signora delle comete”. Esattamente allo scoccare dell’ora, senza quarto d’ora accademico, Amalia Finzi entrava, salutava e cominciava a scrivere le note dalla lavagna in basso a sinistra, spiegando con una voce limpida e pulita che saliva verso tutta la platea, come se parlasse e spiegasse a ciascuno dei duecento studenti, guidando i giovani nei segreti dei sistemi meccanici. Quando suonava la campana la professoressa fermava il gessetto, le ultime formule stavano nell’ultima lavagna in alto a destra. Ogni giorno una parete di formule, per una stagione, finché una delle ultime ore di uno degli ultimi giorni, dalla quattordicesima fila di panche, si rompe l’incantesimo: uno studente si alza e lancia un aeroplanino di carta, il primo del corso. La prima aeronautica d’Italia vede la planata e il rovinoso atterraggio e con uno sguardo indulgente perdona il lanciatore, non si sa se per il gesto goliardico o per gli errori costruttivi. Il corso è finito senza altri aeroplanini, quarant’anni dopo Amalia Ercoli-Finzi ha festeggiato al Politecnico i suoi 80 anni, il lanciatore forse gira nella Natta cercando il suo banco, la sua sciarpa, i suoi appunti.
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se ti piacciono questa e le altre attività gratuite per tutti i laureati, puoi sostenerle con una donazione.
Torna il MAP, la rivista dedicata agli architetti, designer e ingegneri del Politecnico di Milano con un numero importante, il 10°, pietra miliare che consolida questo bel progetto editoriale costruito con il sostegno economico dei soci.
Per celebrare questo traguardo abbiamo ripensato la rivista dandole una nuova veste grafica all’insegna della sostenibilità. Anche i contenuti hanno un nuovo taglio, da cui possiamo leggere, in modo ancora più chiaro, l’importanza degli Alumni che contribuiscono in modo sostanziale allo sviluppo del Politecnico e allo svolgimento delle sue importanti missioni: la didattica, la ricerca e la responsabilità sociale.
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
EssilorLuxottica e il Politecnico di Milano danno vita al primo EssilorLuxottica Smart Eyewear Lab, il centro di ricerca congiunto per progettare gli occhiali intelligenti del futuro.
L’accordo prevede un investimento di oltre 50 milioni di euro. È stato annunciato alla presenza del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao, del Sindaco di Milano Giuseppe Sala, dell’Assessore all’Istruzione, Università, Ricerca, Innovazione e Semplificazione della Regione Lombardia Fabrizio Sala, del Rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, e del Presidente e Amministratore Delegato di EssilorLuxottica Francesco Milleri.
Il progetto abbraccia ricerca industriale e sviluppo sperimentale di dispositivi alla base di una nuova generazione di wearable in grado di connettersi alla rete in modo completamente autonomo. Un progetto concreto e innovativo che permetterà di sviluppare tecnologie e servizi utilizzando un’interfaccia ampiamente diffusa e di uso comune come gli occhiali.
L’EssilorLuxottica Smart Eyewear Lab avrà una durata iniziale di cinque anni e impiegherà a regime oltre 100 tra ricercatori e scienziati che lavoreranno a stretto contatto tra loro in uno spazio dedicato all’interno dell’Innovation District, che il Politecnico di Milano sta sviluppando nel Parco dei Gasometri, nell’area di Bovisa a Milano. In questo modo l’Ateneo punta ad abbattere la distanza fra Università e imprese, con la creazione di un ambiente di ricerca fortemente internazionale che favorisca sinergie e trasversalità.
Credits: Polimi
La sfida principale del progetto sarà la definizione di tecnologie di base dal punto di vista hardware, software e di applicazione per permettere alla persona di interagire con il mondo digitale. I primi obiettivi riguardano lo studio e lo sviluppo di componenti elettronici, fotonici e di algoritmi che permettano di acquisire, elaborare e presentare all’utente tutte le informazioni nel mondo reale attraverso la realtà aumentata. Lo sviluppo di queste tematiche hardware e software permetterà di integrare la tecnologia all’interno di vari prototipi di occhiali, tramite lo sviluppo di materiali, sistemi di ricarica e algoritmi per validarne le prestazioni in ambienti reali.
L’EssilorLuxottica Smart Eyewear Lab di Milano lavorerà in rete con una struttura di ricerca e sviluppo del Gruppo già attiva e diffusa in tutto il mondo, che conta più di 30 R&D center dedicati a vision care, eyewear design, sostenibilità e trasformazione digitale, circa mille ricercatori e più di 11.000 brevetti.
EssilorLuxottica e il Politecnico puntano, inoltre, a realizzare insieme un percorso di studi ad hoc con un indirizzo specialistico nell’ambito del wearable e degli smart eyewear, alimentando in modo virtuoso le attività di ricerca della nuova struttura. L’intento è quello di attrarre giovani talenti – studenti, dottorandi, ricercatori e personale docente a livello internazionale – che mettano a disposizione le proprie energie in questo progetto innovativo, per formare nuove risorse in grado di rispondere alle richieste del mercato del lavoro attuale e futuro.
L’accordo con EssilorLuxottica è una pietra miliare nello sviluppo dell’area della Goccia di Bovisa, per diversi motivi. Il primo è certamente quello di avere al fianco del Politecnico di Milano un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale, un’azienda italiana che è sinonimo di innovazione, che è un grande catalizzatore per altre realtà imprenditoriali e di ricerca all’interno del distretto di innovazione che sta prendendo forma nell’area dei Gasometri.
Il secondo è legato al terreno sul quale opereremo: il metaverso, di cui oggi riusciamo solo ad intuirne le possibilità, è un ambito di studio e di sperimentazione complesso, che chiama in causa ambiti tecnologici sviluppati all’interno dell’ateneo: dall’elettronica, alla fotonica, al data science. Apre prospettive inedite che non si limitano alla sola innovazione tecnologica o allo sviluppo di nuovi prodotti, ma che ridisegnano interi processi, servizi e relazioni. Su queste basi opererà il Joint Research Platform nei prossimi cinque anni.
Ferruccio Resta, Rettore del Politecnico di Milano
Oltrepassati i tornelli automatici della Biblioteca del Campus Leonardo e proseguendo dritto, poco prima delle porte a vetro che separano l’ingresso dallo studio intenso, la coda dell’occhio destro può registrare una visione: c’è lì sulla parete un oblò, lanciando lo sguardo oltre questo si può avvistare un quadro.
È appeso al di là del muro, in una piccola camera dedicata. Custodito all’interno di una teca di vetro c’è “Ettore e Andromaca”, un olio su tela di 82×56 cm. Sulla tela, in basso a destra c’è la firma: Giorgio De Chirico, 1917. «Ogni tanto qualche studente ci chiede se è vero», dicono alla reception della biblioteca. E la risposta è affermativa, è un De Chirico originale.
Federico Bucci, Delegato del rettore alle Politiche Culturali e prorettore del Polo di Mantova del Politecnico di Milano, ne spiega la provenienza:
«L’opera arriva da un donatore che ha chiesto di rimanere anonimo. Ha voluto privarsene ad una condizione: che il dipinto fosse espressamente usufruito dagli studenti. Così abbiamo deciso di posizionarlo in un uno dei luoghi di passaggio del Campus, e in un luogo di passaggio del pensiero. L’abbiamo inserito in uno spazio particolare, c’è l’oblò che incuriosisce, si accede allo spazio e c’è una panca su cui sedere per godere appieno dell’opera. Volevamo che davanti a questo quadro si provasse la stessa tranquillità, e ci si ritrovasse nella stessa situazione, di quando si è seduti in biblioteca davanti ad un libro, ad approfondire la materia».
Il quadro raffigura i versi dell’Iliade in cui Andromaca supplica Ettore di non uscire dalle mura di Troia per affrontare in battaglia Achille. Scrive in quei versi Omero: Strignendolo, e per nome in dolce suono Chiamandolo, proruppe: Oh troppo ardito! Il tuo valor ti perderà: nessuna Pietà del figlio nè di me tu senti […] Ch’altro mi resta che perpetuo pianto?.
A pochi passi da questa immagine, nella Sala Guernica c’è la riproduzione del Guernica di Picasso, realizzata nel 1973 dal Movimento Studentesco. Bucci rievoca quel periodo:
«Erano anni in cui l’impegno ideologico degli studenti li portava a replicare un’opera, ancora attuale, contro la guerra. Riprodurre quell’opera di Picasso avevo un preciso significato: qui si studia, si lavora su un dato tema ma poi si alza lo sguardo e si riflette sul futuro della società, su una meta di pace. Aver posizionato questo De Chirico oggi ha la stessa valenza».
Federico Bucci
Poi si addentra nella descrizione della scena, «è un quadro di ambientazione architettonica, a partire dalla prospettiva centrale del pavimento, che presenta lo stesso cromatismo dei due manichini. I personaggi sono due oggetti sartoriali, che non possono abbracciarsi, a indicarci così che l’uomo contemporaneo ha bisogno di cuore, spirito, umanità. E ci ricorda che mentre sono qui e studio analisi matematica o scienze delle costruzioni, mentre progetto il futuro – perché è questo ciò che facciamo noi al Poli, gettiamo avanti delle cose per il futuro – ecco, sono richiamato all’umanità. È un modo per riflettere che, certo, diventerai architetto, ingegnere, designer, magari ambisci a essere un Nobel della chimica, ma l’importante è rimanere se stessi. Mettere dunque un artista qui corrisponde all’aver affisso un messaggio di avanguardia, per comunicare che sì, abbiamo la professione, ma non dimentichiamoci che siamo persone».
«UN’OPERA D’ARTE IN BIBLIOTECA CI RICORDA CHE MENTRE STUDIAMO PER PROGETTARE FUTURI SIAMO CHIAMATI ALL’UMANITÀ»
Andrea, studente di Ingegneria Elettronica, si ferma davanti al dipinto e commenta: «Trovarsi in un luogo di conoscenza, circondato da icone, mi stimola a studiare. È come sentirsi in un museo ma in qualche modo aperto solo per te». Gianluca, studente di Ingegneria Meccanica aggiunge: «Avere un’opera d’arte come questa dà personalità alla biblioteca. I personaggi sembrano possibili studi di aerodinamica applicati all’uomo». Beatrice, studentessa di Ingegneria Gestionale, che ha scelto fra i corsi opzionali quello di Storia dell’arte contemporanea, dice: «In un ambiente di menti tecniche vedo l’arte come una forma di libertà, una ricchezza in più, una nota che ci suggerisce che qui possiamo usare l’immaginazione. Il fatto poi che il dipinto sia quasi da scoprire dietro questo oblò racconta il senso del ricercare le cose e mi fa pensare che il Poli è un luogo legato anche all’arte».
Credits: Polimi
Nel catalogo della Biblioteca Campus Leonardo ci sono alcuni titoli dedicati proprio a De Chirico, come il libro dello storico dell’arte Vincenzo Trione, “Giorgio De Chirico. Le città del silenzio: architettura, memoria, profezia” (Skira editore). Uno studente ha lasciato il segno sottolineando a matita alcuni passaggi: “ciò che lo interessa non è la solida realtà, ma la teatralità dello spazio. Compie riprese e abbandoni, in un gioco tra omaggi letterali e camuffamenti. Si basa sempre su cifre vere, che in seguito modifica, fino a renderle quasi irriconoscibile, echi di un mondo aurorale”.
Pensando agli studenti, Federico Bucci osserva che «negli anni ’20 del ‘900 uno studente del Politecnico conosceva la pittura metafisica, probabilmente si era ritrovato a sua volta davanti a questo quadro. È importante che ci siano un recupero e uno scambio tra le giovani generazioni di allora e quelle contemporanee. In biblioteca abbiamo affisso anche dei disegni d’archivio, realizzati dagli studenti fra l’800 e il ‘900, proprio perché stiamo pensando ad una raccolta d’arte che sia in grado di interagire con le nostre memorie».
Intanto una ragazza, subito dopo essere passata dai tornelli d’ingresso della biblioteca, rallenta il passo. Prima di accedere all’aula studio, per un attimo, si affaccia incuriosita all’oblò.
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