PhD al Politecnico di Milano

Care Alumnae e Cari Alumni,

l’università è un luogo dove si ricerca la conoscenza, come motore di progresso positivo. Il Dottorato è l’ultimo gradino del percorso di preparazione dei giovani alla ricerca, e il Politecnico da anni investe molto su questo, con la sua Scuola di Dottorato (www.polimi.it/phd).

Forse non tutti di voi sanno che stiamo vivendo un periodo di forte promozione del dottorato qui in Italia: il governo ha infatti deciso di investire parte dei fondi del PNRR per finanziare 22.700 nuove borse di dottorato nel periodo 2022-24. Questa è una grande opportunità di crescita del contesto nazionale, considerando che attualmente nelle università italiane sono presenti complessivamente circa 30.000 dottorandi.

Questa iniziativa può essere anche un’occasione ulteriore di collaborazione tra il nostro Ateneo e i suoi Alumni. Tante sono le forme di collaborazione che si possono perseguire insieme:

  • le iscrizioni ai concorsi per l’ammissione ai  percorsi di Dottorato sono aperte a tutti: se siete interessati, iscrivetevi, e se conoscete qualcuno interessato, consigliategli di iscriversi (in particolare se siete attori protagonisti del mondo accademico, potete condividere l’opportunità del dottorato al Politecnico di Milano con i vostri studenti e la vostra rete di conoscenze);
  • è incentivato il cofinanziamento di borse di dottorato per sviluppare ricerche in collaborazione con il Politecnico di Milano, con permanenza del candidato in Azienda per almeno 6 mesi;
  • sono incentivate anche iniziative volte ad accogliere dottorandi nelle istituzioni della Pubblica Amministrazione, per svolgere attività di ricerca in collaborazione con il Politecnico di Milano.

Cogliamo dunque questa opportunità unica, di grande investimento di risorse, per costruire nuove iniziative di collaborazione e rinnovare quelle esistenti.

Chiunque volesse approfondire il tema o avere maggiori dettagli sull’iniziativa può scrivere a internationalphd@polimi.it.

Cari saluti,

Enrico Zio

The Impact Ranking: il Polimi tra le prime 100 università al mondo

Il Politecnico di Milano si colloca al 2° posto in Italia e 91° tra le università mondiali nella classifica generale THE Impact Ranking 2023, migliorando la propria posizione globale di sette posti rispetto al 2022. La classifica, attiva dal 2019, misura il contributo delle università ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e coinvolge in totale 1591 università a livello mondiale. 

Il miglior posizionamento del Politecnico di Milano è nell’SDG 9 Imprese, Innovazione e Infrastrutture, in cui l’Ateneo raggiunge il 16° posto a livello mondiale (18° lo scorso anno) grazie alla rete di laboratori dell’università, composta da 6 grandi infrastrutture utilizzate sia per la ricerca che dalle imprese, 245 laboratori di ricerca e 34 laboratori interdipartimentali, a cui si aggiungono 28 spin-off e 2925 singoli brevetti.

Inoltre, il Politecnico ha ottenuto posizionamenti di rilievo nell’SDG 8 Lavoro Dignitoso e Crescita Economica, piazzandosi al 37° posto (dal 59° dello scorso anno), e nell’SDG 10 Riduzione delle disuguaglianze, al 28° posto (dal 45° nel 2022). L’università conduce anche programmi strategici come POP Pari Opportunità Politecniche, che punta a garantire un ambiente di studio e di lavoro rispettoso dell’identità di genere, della disabilità, della cultura e della provenienza e SCHOLARSHIPS@POLIMI, diversi programmi di borse di studio per garantire a tutti pari diritti all’istruzione e promuovere l’iscrizione di gruppi sottorappresentati.

Il nostro impegno nella promozione della cultura dello sviluppo sostenibile in tutte le attività istituzionali, nella didattica e nella ricerca è totale e i primi risultati lo dimostrano. Un percorso appena iniziato ma che coinvolge tutte le energie della comunità politecnica su almeno quattro fronti: sostenibilità ambientale, promozione della ricerca responsabile, cooperazione internazionale e pari opportunità“.

ha commentato la Rettrice Donatella Sciuto.

Il THE Impact Ranking 2023 prevede che ogni università scelga da sola almeno 4 obiettivi di sviluppo sostenibile sui quali vuole confrontarsi. La graduatoria valuta l’impatto della ricerca e dell’insegnamento relativi agli SDGs, la gestione responsabile delle risorse dell’ateneo da parte di staff, docenti e studenti, e il coinvolgimento attivo degli stakeholder nazionali, utilizzando indicatori quantitativi come citazioni e pubblicazioni ma anche informazioni sui programmi attivi dell’università.

Il Politecnico di Milano ha come parte integrante della sua missione universitaria la collaborazione con la società per aiutarla a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile a livello globale, nazionale e locale, dimostrando l’importanza dell’università contesto comunitario di riferimento e nell’ambito accademico internazionale.

Attivare cantieri scuola per riqualificare immobili confiscati alle mafie

Si stanno per concludere i cinque progetti di ricerca a tema «Equità e Ripresa» selezionati dal Polisocial Award 2021 e finanziati grazie alle donazioni del 5 per mille al Politecnico. L’emergenza sanitaria derivata dalla pandemia ha contribuito ad acuire squilibri e marginalità e a rendere concreto il rischio di un aumento delle disparità; per questo, i progetti finanziati hanno agito in una prospettiva di ripresa economica, sociale e culturale, promuovendo lo sviluppo di metodi, strategie, strumenti e tecnologie tesi a ridurre le disuguaglianze e a favorire l’accesso a risorse e opportunità da parte di persone, categorie sociali o comunità particolarmente vulnerabili. 

Il progetto Co-WIN ha messo a punto due esperienze pilota per il recupero e la valorizzazione degli immobili confiscati alla criminalità organizzata. Ce lo racconta Andrea Campioli, Preside della Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni del Politecnico di Milano e responsabile scientifico del progetto: “Abbiamo seguito i lavori di recupero di beni immobili confiscati alla mafia per restituirli alla società riqualificati dal punto di vista edilizio. Abbiamo attivato, in questi contesti, esperienze di cantiere-scuola, coinvolgendo, nel lavoro in cantiere, una quota di soggetti fragili (per esempio immigrati o persone che hanno perso l’impiego) a cui abbiamo offerto un percorso di riqualificazione professionale prima dell’inizio dei lavori, e una quota di studenti universitari per garantire loro un’esperienza “on the job””. 

COME FUNZIONA LA CONFISCA DEGLI IMMOBILI  

L’iter normativo è il seguente: a seguito di un processo giudiziario, i beni immobili vengono confiscati (generalmente l’intero procedimento richiede otto anni di tempo) e l’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC)  li destina ai diversi comuni. I comuni lombardi (campo di indagine considerato nella ricerca) possono partecipare a un bando di finanziamento regionale per la riqualificazione dei beni immobili ricevuti in proprietà: “Regione Lombardia si fa carico di sostenere il 50% delle spese di ristrutturazione, all’interno di un budget prestabilito e previa presentazione di un progetto”, spiega Campioli. Gli immobili confiscati alla mafia sono generalmente di piccole dimensioni: box, autorimesse, appartamenti, ville bifamiliari e ville singole. Solo in Lombardia ce ne sono oltre 3.200, 1.242 dei quali assegnati ai comuni per la riqualificazione. 

Qui subentra Co-WIN, che propone la messa a punto di un rapporto di cooperazione “win-win” tra i diversi soggetti coinvolti: la pubblica amministrazione, i soggetti in formazione, gli enti di formazione, le imprese di costruzioni, la collettività). “Nei due progetti pilota di cui ci stiamo occupando, una serie di villette a schiera a Gerenzago (PV) e una masseria a Cisliano (MI), sono stati coinvolti come tirocinanti degli studenti del Politecnico di Milano, che si sono occupati di seguire – direttamente negli uffici comunali − la procedura necessaria alla riqualificazione dei beni e apprendere la professione in cantiere, affiancando il Direttore dei Lavori”. Una volta riqualificati, i beni vengono restituiti alla collettività: “Generalmente vengono ceduti a soggetti del Terzo Settore con una vocazione sociale, come ad esempio associazioni e ONLUS, oppure vengono concessi in uso a famiglie bisognose”, spiega Campioli. 

LA FORMAZIONE PROFESSIONALE DI SOGGETTI FRAGILI 

Un importante aspetto sociale del progetto è quello del coinvolgimento di soggetti fragili nei lavori in cantiere: “La nostra idea è dare loro la possibilità di qualificarsi professionalmente per poi entrare nel mercato del lavoro”, ci dice Campioli. “Abbiamo stipulato una convenzione con ESEM-Cpt (Ente Scuola Edile Milanese) per garantire a queste persone di seguire a titolo gratuito corsi di formazione abilitanti e professionalizzati al lavoro nei cantieri edili”. Ma trovare soggetti disponibili non è stato così semplice come previsto: “In questa fase abbiamo coinvolto il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), un’associazione che si occupa della  accoglienza e dell’inserimento lavorativo di soggetti fragili, e l’ENAIP (enti di formazione professionale),ma forse abbiamo sbagliato la modalità di veicolazione delle proposte di tirocinio: ad esempio abbiamo proposto sei mesi di tirocinio, ma molti immigrati hanno  la possibilità di vivere nei centri di accoglienza per soli tre mesi prima di trovarsi a dover essere economicamente indipendenti, per cui non possono permettersi di partecipare a programmi di formazione così lunghi e per esigenza si rivolgono al mercato del lavoro in nero. Ora abbiamo riformulato i termini del percorso di tirocinio extra-curriculare in modo diverso e abbiamo ricevuto diverse candidature”. 

UN MODELLO VIRTUOSO E REPLICABILE 

Il progetto è in dirittura d’arrivo: il team di ricerca ha ottenuto una proroga di quattro mesi sulla scadenza ufficiale (fissata per il prossimo 15 giugno), per poter così seguire i lavori nei due cantieri-pilota. Entro ottobre tutto dovrebbe essere definitivamente concluso. 

L’idea del progetto Co-WIN è produrre un modello replicabile poi in tutta Italia, per consentire l’attivazione sistematica di ulteriori esperienze di cantieri-scuola: “Vogliamo che si possa prescindere dalla presenza del Politecnico: stiamo cercando di produrre la documentazione necessaria da presentare a Regione Lombardia affinché il nostro progetto non rimanga un unicum”.  

Tra i partner coinvolti ve n’è anche uno industriale, che ha donato materiale edile alle imprese che si occupano dei lavori: per le industrie è un ritorno di immagine in termini di sostenibilità sociale. “L’idea, in futuro, è anche quella di costituire un albo delle industrie disponibili a cedere materiale gratuitamente”. Il progetto verrà presentato il 21 e 22 aprile a Napoli, nell’ambito del Secondo Forum Espositivo sui beni confiscati

DONA ANCHE TU IL TUO 5 PER MILLE AL POLITECNICO DI MILANO E SOSTIENI LA RICERCA: SCOPRI COME A QUESTO LINK https://www.dona.polimi.it/il-5-x-mille/ 

Distribuzione sicura di acqua potabile con SafeCREW

Si è svolto il secondo meeting del progetto SafeCREW (https://safecrew.org/), finanziato dall’Unione Europea nell’ambito dei bandi Horizon Europe, che intende supportare l’applicazione della nuova direttiva europea sull’acqua potabile (Drinking Water Directive, DWD) generando conoscenze avanzate e sviluppando strumenti e linee guida per la gestione dei sistemi di produzione e distribuzione di acqua potabile, in breve i sistemi acquedottistici, disinfettati e non disinfettati.

La fornitura di acqua potabile sicura in quantità sufficiente è essenziale per la salute umana e riguarda 4 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG) definiti dalle Nazioni Unite. Sia le acque superficiali che quelle sotterranee sono risorse essenziali per l’approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano in tutta l’Unione Europea. Mentre si pone grande attenzione alla disponibilità di acqua, minacciata da sempre più frequenti periodi di siccità, sono del tutto trascurate le conseguenze del cambiamento climatico sulla qualità dell’acqua approvvigionata, sui processi necessari per la sua potabilizzazione e sul mantenimento della qualità potabile lungo la rete di distribuzione.

Nonostante la lunga esperienza sull’affidabilità di funzionamento dei sistemi acquedottistici, gli impatti del cambiamento climatico sulla qualità dell’acqua impongono di affrontare nuove e molteplici sfide: la (futura) necessità di disinfezione, la stabilità microbica in rete di distribuzione, la formazione di sottoprodotti di disinfezione (DBPs), con potenziali effetti sulla salute umana.

Le aziende del servizio idrico integrato devono rispondere a queste sfide, sia nel breve che nel lungo termine, per una gestione ottimale degli attuali sistemi acquedottistici, che minimizzi il rischio per i consumatori, garantendo acqua potabile sicura anche in scenari di cambiamento climatico.

Attualmente, i sistemi acquedottistici sono assai diversificati per fonte di approvvigionamento, processi di potabilizzazione, caratteristiche delle reti di distribuzione, dovendo perciò fronteggiare criticità molto diverse per fornire acqua potabile sicura. SafeCREW affronta tali criticità, concentrandosi sul processo di disinfezione, le sue conseguenze e la riduzione al minimo dei dosaggi di disinfettante e la formazione di DBPs. Inoltre, affronta la potenziale necessità di disinfezione in sistemi acquedottistici attualmente non disinfettati.

Quattro casi di studio in tre paesi europei sono stati scelti come rappresentativi (Amburgo, Berlino, Milano, Tarragona) per sviluppare strumenti tecnologici e modellistici per gestire trattamento e distribuzione, con un approccio multidisciplinare che consenta di agire sull’intero sistema acquedottistico, dalla fonte di approvvigionamento al trattamento di potabilizzazione, dalla distribuzione fino al consumatore.

In dettaglio, saranno migliorati i metodi di caratterizzazione chimica e microbiologica della qualità dell’acqua, create banche dati sulla presenza, concentrazione e tossicità di DBPs finora sconosciuti, identificati protocolli di valutazione dei materiali in contatto con l’acqua, sviluppate soluzioni di trattamento innovative e sostenibili per rispondere attivamente alle minacce identificate, ottimizzata la gestione delle reti di distribuzione che non possono più essere viste solo come infrastrutture passive deputate al trasporto dell’acqua, definite procedure di valutazione del rischio che integrino gli effetti di miscele di contaminanti chimici e microbiologici.

SafeCREW vuole fornire strumenti trasferibili agli attori coinvolti (gestori dei servizi idrici, regolatori nazionali/UE, ricercatori, imprese), tra cui:

  • metodi affidabili per valutare la stabilità microbica, caratterizzare la sostanza organica naturale (Natural Organic Matter, NOM), rilevare i DBPs e tenere conto della loro tossicità per la salute umana;
  • protocolli sperimentali per selezionare i materiali più adeguati al contatto con acqua disinfettata e non disinfettata;
  • strumenti di monitoraggio e modellazione, anche sfruttando il machine learning, per l’ottimizzazione in tempo reale della gestione dei sistemi acquedottistici;
  • procedure integrate di valutazione del rischio, per guidare i futuri interventi di adeguamento dei sistemi acquedottistici disinfettati e non disinfettati, affinché continuino a fornire acqua potabile sicura anche in scenari di cambiamento climatico.

SafeCREW aumenterà la preparazione del settore idrico dell’Unione Europea alle sfide derivanti dal cambiamento climatico, e supporterà i leader dell’UE nell’elaborazione di politiche basate sulla scienza per la protezione dei consumatori di acqua potabile.

Il progetto SafeCREW unisce in partenariato 11 organizzazioni europee: oltre al Politecnico di Milano, il Centro di Ricerca DVGW (German Technical and Scientific Association for Gas and Water, Capofila) e Tutech Innovation GmbH, entrambi della Hamburg University of Technology (TUHH) (Germania), Kompetenzzentrum Wasser Berlin (KWB) (Germania), BioDetection Systems b.v. (BDS) (Paesi Bassi), EURECAT Technologic de Catalunya (Spagna), Umweltbundesamt (UBA) (Germania), Consorci d’Aigües de Tarragona (CAT) (Spagna), Metropolitana Milanese SpA (Italia), Umweltforschungszentrum Leipzig (Helmholtz Centre for Environmental Research, UFZ) e Multisensor Systems Ltd. (MSS) (Regno Unito).

In SafeCREW il Politecnico di Milano porta competenze multidisciplinari grazie alla collaborazione di ricercatori di quattro dipartimenti: Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICA, prof. Manuela Antonelli), Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegnera Chimica “Giulio Natta” (DCMC, prof. Carlo Punta), Dipartimento di Matematica (DMAT, prof. Ilenia Epifani) e il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (DEIB, prof. Francesco Trovò).

Un’Alumna per il Padiglione Panama alla Biennale di Venezia 

“Dal mondo antico, i tropici sono stati ampiamente riconosciuti come simbolo di bellezza esotica, animali pericolosi e vegetazione rigogliosa. Raffigurata come un luogo lontano, con storie, lingue e culture diverse, questa zona geografica rappresenta una miscela di qualità che definiscono la natura fantastica e misteriosa della realtà. Spesso considerati dal punto di vista occidentale come un ambiente ostile al progresso, i tropici rappresentano tutto ciò che l’Europa e gli Stati Uniti non sono (Lasso, 2019), l’antitesi della modernità civilizzata. L’esposizione del Padiglione panamense dovrebbe fornire una contro-narrazione a questo status quo, con Panama come caso studio per una visione futura di una nazione ‘tropicale’, recuperando e collegando le sue varie influenze storiche”. 
Aimée Lam Tunon, curatore della mostra 

SALA 1: SEPARAZIONE PER IL CONTROLLO

Per oltre 500 anni, l’istmo di Panama, una sottile striscia di terra meglio conosciuta come “il ponte di terra tra due oceani”, si è dimostrato una regione di importanza geopolitica globale nel settore dei trasporti. Sin dai primi colonizzatori europei, la storia panamense è stata plasmata dal tema ricorrente del commercio. Con la scomparsa dell’influenza spagnola e il controllo coloniale sulla regione all’inizio del XIX secolo, altri paesi iniziarono a perseguire i loro interessi economici attraverso la costruzione di un canale che collegasse i due oceani. Un primo tentativo fu guidato dai francesi: con un bilancio di oltre 22.000 morti, principalmente causati da malaria e febbre gialla, Panama fu immortalato come un luogo di pericolo e malattia. Dopo il fallimento dei francesi, gli Stati Uniti entrarono nella nuova nazione di Panama con una visione distintiva dell’amministrazione imperiale: la Zona del Canale di Panama. 

Più che una colonia, si trattava di un’enclave ingegneristica, una striscia di terra di dieci miglia destinata a contrapporsi al suo ambiente naturale e sociale, definendo un paesaggio di modernità. All’interno di questi confini, una narrativa e un’ideologia di “altro” portarono alla delimitazione di zone sanificate, all’addomesticazione della giungla, alla segregazione razziale e alla depopolazione della “zona” da parte dei panamensi e delle loro città. Questa “zona cuscinetto” di protezione tra il colonizzatore e il colonizzato è una struttura architettonica in grado di attivare discorsi più ampi di uguaglianza, potenziamento e identità in un ambiente in continua evoluzione. Crea uno spazio liminale in cui il rapporto con la terra – che è minacciato perché la comunità è alienata – diventa fondamentale, smette di essere meramente decorativo ed emerge come un personaggio completo (Glissant, 1989). 

La prima stanza sposterà l’attenzione dei visitatori sugli impatti di questi interventi di controllo e separazione (zone) che definiscono la ex Zona del Canale di Panama. Insetti e zanzare di Venezia sono invitati nello spazio attirati dalle apposite luci blu. Le ombre danzanti di questi insetti sulle pareti collegano la prospettiva del colonizzatore con l’allegoria della caverna di Platone: le moderne supposizioni sui “tropici” sono esposte come mere illusioni osservate da lontano.  

IL CORTILE: IL PERCORSO MAGICO SOTTO LA SUPERFICIE

I ricordi influenzano l’autoidentificazione e forniscono continuità tra passato, presente e futuro. Diventano allusioni, echi e reminiscenze che creano molteplici connotazioni, definendo la complessità dell’organismo architettonico. Dato il potere del modernismo nell’eliminare le storie e le lingue indigene, le comunità locali panamensi sono state perse nel processo di costruzione del canale, con il risultato della dominazione di un’ideologia singolare di progresso umano, ordine e controllo. 

La distruzione di piccoli villaggi, aree storiche, insediamenti rurali e paesaggi panamensi, ha evocato sentimenti di nostalgia per l’ambiente che era e il desiderio di preservarne l’immagine nella memoria collettiva, il che si riflette nel tema ricorrente del paesaggio nella letteratura panamense. “Gli scrittori caraibici hanno sempre avuto a disposizione solo un referente per plasmare il tema e il linguaggio delle loro opere: il paesaggio – insulare, oceanico, lussureggiante, misterioso e sempre resistente alla conquista e all’appropriazione tramite mappe o descrizioni “realistiche”. (…) Questo è uno dei precetti fondamentali del testo magico-realista. Solo la magia e il sogno sono veri perché sono gli unici elementi discorsivi capaci di presentare l’impresentabile, di parlare dell’indicibile dove il testo realistico fallisce”. (Arva, 2010) Seguendo questa linea di pensiero, il cortile fornirà uno spazio sicuro per la riflessione, evitando il confronto diretto con il trauma coloniale, al fine di sovvertire la percezione occidentale dei ‘tropici’ come terra ‘magica’. Alberi recuperati dalle acque dei laghi artificiali di Panama consentiranno ai visitatori di interfacciarsi indirettamente con la storia traumatica delle comunità cancellate attraverso la costruzione del canale (Lasso, 2019).

SALA 2: SEPARAZIONE PER PROTEZIONE

L’Isola di Barro Colorado (BCI) è uno spazio unico, una collina isolata nel mezzo del Canale di Panama quando le acque del fiume Chagres furono sbarrate per creare il Lago di Gatun, il principale passaggio della via navigabile. Riservata dallo Smithsonian Tropical Research Institute come riserva naturale dal 1923, oggi, esattamente 100 anni dopo, quest’ isola è la foresta tropicale più studiata al mondo. Spesso pubblicizzata come un “archivio” scientifico vivente e un “laboratorio” in cui il paesaggio è diventato sia oggetto che deposito di conoscenze scientifiche.  

Discutendo le presunte prospettive opposte nei confronti di BCI come “un frammento di autentica natura tropicale che si trova al crocevia del mondo” e la sua posizione come “ombra della ex Zona del Canale”, questa ultima sala dell’esposizione metterà in discussione la storia, l’inclusività e l’eredità di questa stazione tropicale.  

Qual è il suo ruolo nella conservazione della biodiversità locale e globale e nella ricerca ecologica? La sala sarà uno spazio di ascolto, per riflettere criticamente sulle connessioni tra controllo e protezione e per immaginare una visione futura per la scienza e la modernità in Panama e oltre. 

Trentaquattro giovani laureati formati al Master di Pirelli e Politecnico

L’iniziativa ha riguardato diversi ambiti di specializzazione, come ingegneria aerospaziale, meccanica o dei materiali. Cinque ragazze e 29 ragazzi, tutti giovani laureati già dipendenti Pirelli, cui è stata offerta la possibilità di arricchire la propria formazione all’avvio del loro percorso professionale nel team di Ricerca & Sviluppo di Pirelli.

Alla cerimonia ha partecipato Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano, con Andrea Casaluci, General Manager Operations di Pirelli, Piero Misani, Executive Vice President Research and Development and Cyber di Pirelli, e Davide Sala, Chief HR e Organization Officer di Pirelli.

Credits: La Repubblica

Formazione e ricerca sono i presupposti di uno sviluppo industriale che guarda al futuro“, ha affermato Edoardo Sabbioni, Docente del Politecnico di Milano e Direttore Scientifico del Master. “Questo Master coglie appieno tali aspetti promuovendo una formazione trasversale e una visione sistemica in grado di coniugare gli elementi di progettazione, produzione e testing del pneumatico attraverso la conoscenza della dinamica del veicolo a supporto di una loro virtualizzazione e quella di materiali e processi per garantire uno sviluppo sempre più sostenibile. Durante il Master, ho visto una grande crescita degli studenti che ha raggiunto la sua migliore espressione con i project work, attraverso i quali hanno sintetizzato le competenze acquisite dalle diverse aree di apprendimento e le hanno applicate in modo critico e creativo a situazioni di vita reale, coniugando i background dei diversi componenti dei gruppi di lavoro.”

Piero Misani, Executive Vice President Research and Development and Cyber di Pirelli, ha affermato: “La complessità del pneumatico oggi è tale da richiedere un livello di specializzazione altissimo e un tempo di sperimentazione il più breve possibile. Solo con competenze digitali sempre nuove e aggiornate possiamo competere sul mercato da protagonisti. E questo master ci ha consentito di consegnare un know-how imprescindibile a questi 34 ragazze e ragazzi che già oggi stanno ripagando l’azienda conseguendo risultati importanti“.

Il progetto, che si inserisce nell’ambito dell’ormai storica collaborazione fra Pirelli e Politecnico di Milano finalizzata alla generazione di tecnologie all’avanguardia, si è focalizzato sulle competenze di prodotto del settore automotive, in particolare sulla progettazione e produzione di pneumatici del futuro e sulla conoscenza della dinamica del veicolo. Tutti elementi indispensabili per un utilizzo sempre più diffuso della virtualizzazione, ormai necessario per lo sviluppo dei pneumatici più innovativi e per una collaborazione proficua con le case automobilistiche.

Il Master, che ha visto gli studenti impegnati in didattica e laboratori, si è sviluppato su 5 moduli disciplinari su diverse aree tematiche: dalla conoscenza approfondita del pneumatico (forze, prestazioni, progettazione, prove, ecc…) alle tecnologie “smart tyre”, dallo studio dei materiali ai processi di produzione, ma anche dall’approfondimento delle problematiche ambientali fino alle tecniche di machine learning o all’analisi di dati. Le lezioni, che si sono in parte tenute all’interno del Learning Hub del nuovo Building Cinturato di Pirelli in Bicocca dedicato alle attività di formazione del gruppo e presso i laboratori della Ricerca e Sviluppo, si sono poi concluse con un project work aziendale elaborato in piccoli gruppi di studenti con il proprio tutor e un team dedicato con l’obiettivo di trovare ed evidenziare le principali connessioni tra argomenti innovativi, strategici e di crescita per l’azienda.

Il Master “R&D EXCELLENCE NEXT” è uno degli esempi del legame tra Pirelli e il mondo universitario e rafforza il suo modello di open innovation che oggi vede l’azienda al lavoro su circa 65 progetti con 18 Università. Le collaborazioni con il mondo accademico integrano e completano la Ricerca & Sviluppo di Pirelli, con i suoi 13 centri di ricerca interni che occupano oltre 2mila persone a livello mondiale.

Fonte: La Repubblica

Buone notizie per bambini e genitori: il poli sta studiando gli asili nido

Si stanno per concludere i cinque progetti di ricerca a tema «Equità e Ripresa» selezionati dal Polisocial Award 2021 e finanziati grazie alle donazioni del 5 per mille IRPEF al Politecnico. L’emergenza sanitaria derivata dalla pandemia ha contribuito ad acuire squilibri e marginalità e a rendere concreto il rischio di un aumento delle disparità; per questo, i progetti finanziati hanno agito in una prospettiva di ripresa economica, sociale e culturale, promuovendo lo sviluppo di metodi, strategie, strumenti e tecnologie tesi a ridurre le disuguaglianze e a favorire l’accesso a risorse e opportunità da parte di persone, categorie sociali o comunità particolarmente vulnerabili. 

TRADOTTO DAL LINGUAGGIO BUROCRATICO, C’È UN GAP NEI SERVIZI ALL’INFANZIA 

Il punto di partenza del progetto Equi06 è il decreto legislativo 65/2017, che ha proposto la creazione di un “sistema integrato 0-6”, che integri i due segmenti nido d’infanzia-scuola dell’infanzia (quelle che una volta si chiamavano “scuole materne”), storicamente sviluppati in modo separato con un approccio educativo, gestori e enti istituzionali diversi. “Anche il livello di sviluppo dei due segmenti è disomogeneo”, sottolinea Stefania Sabatinelli, responsabile scientifica del progetto. “In Italia le scuole dell’infanzia sono frequentate dalla quasi totalità dei bambini tra i tre e i cinque anni, al contrario dei nidi 0-2”. 

Il sistema integrato 0-6 è ancora un work in progress: a livello pedagogico sono uscite alcune linee guida ministeriali, e il PNRR prevede dei finanziamenti per la realizzazione di poli 0-6, ovvero strutture dedicate all’educazione da zero a sei anni. Perché è necessario integrare questi due segmenti educativi? “La letteratura comparata ci dice che nei Paesi nei quali i servizi sono organizzati in un unico ciclo (quelli del nord Europa) i livelli qualitativi dell’offerta sono più elevati e più omogenei”, spiega Sabatinelli. “Il ciclo unico potrebbe inoltre favorire un accesso più precoce da parte dei bambini: al momento i costi di iscrizione ai nidi sono spesso molto elevati, a differenza di quelli delle scuole dell’infanzia, e questo è un ostacolo per molte famiglie”. L’accesso precoce a servizi di elevata qualità è importante perché nei primi anni di vita si impara ad imparare e a stare con gli altri: è in questa fase che è possibile contrastare più efficacemente le disparità che portano i bambini ad avere punti di partenza diseguali già all’inizio della scuola dell’obbligo. 

L’IMPATTO DI UN SISTEMA INTEGRATO 

Il progetto Equi06 ha tre obiettivi di ricerca principali: mappare i servizi 0-6 esistenti a Milano, approfondire le condizioni di un contesto territoriale specifico, sperimentare la trasformazione di uno spazio esistente per favorire l’integrazione 0-6. 

“Mappare i servizi 0-6 esistenti a Milano è stata un’azione di ricerca utile di per sé, che ci ha permesso di localizzarli su una mappa: questa operazione non era mai stata fatta”, sottolinea Sabatinelli. “Ora conosciamo anche le relazioni tra i nidi e le scuole dell’infanzia, i servizi pubblici e quelli privati, quelli comunali e quelli statali, quelli continuativi e quelli integrativi”. 

Con queste informazioni, i ricercatori hanno identificato un’area su cui concentrare il proprio studio: “Abbiamo scelto il quartiere Comasina perché qui abbiamo riscontrato un’alta domanda potenziale di servizi 0-6 e la presenza di indicatori di fragilità sociale”, spiega Sabatinelli. Restringendo ulteriormente il campo di ricerca, il team ha selezionato un riquadro di 1,5 km per 1,5 km nel quartiere, all’interno del quale si trovano servizi pubblici, privati, comunali, statali e anche una sede pluriservizio comunale nido-infanzia, dove i due cicli educativi funzionano separatamente ma vengono offerti nello stesso edificio. 

L’ultimo obiettivo, coordinato dal dipartimento di DESIGN e tutt’ora in corso, è quello di lavorare sulla sede pluriservizio Merloni con la coordinatrice dei servizi della zona, alcune educatrici e alcuni genitori, ragionando su come migliorare gli spazi interni ed esterni alla struttura e i percorsi per raggiungerla, per capire come l’ambiente educativo può essere trasformato e migliorato con interventi minimi. 

L’aspetto pedagogico non è trascurato: seppur non rientri nelle competenze politecniche dei dipartimenti coinvolti, viene integrato dai partner esterni – il Comune di Milano, l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE), Save the Children, il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia, Legacoop Lombardia. 

L’obiettivo finale è definire un documento di orientamento riguardo agli apprendimenti realizzati: “La nostra ambizione è trarre insegnamenti generali, linee guida che possano essere utili al di là del contesto specifico. Sarà interessante replicare il progetto in altri contesti, e forse anche su altre scale”, conclude Sabatinelli. 

Presentati i risultati del progetto 5A – Autonomie per l’autismo

Si è svolto venerdì 31 marzo l’evento di presentazione finale del Progetto 5A – Autonomie per l’Autismo, Attraverso realtà virtuale, realtà Aumentata e Agenti conversazionali.

Al termine di due anni di intenso e appassionante lavoro, è stato possibile conoscere e sperimentare le soluzioni innovative sviluppate nell’ambito di questo progetto di ricerca, nato per rafforzare l’autonomia delle persone con DSA (Disturbi dello Spettro Autistico) e favorirne l’inserimento sociale e migliorarne la qualità di vita. 

Il progetto 5A prevede infatti l’utilizzo di applicazioni interattive fruibili anywhere-anytime attraverso smartphone, tablet e visori indossabili che integrano Realtà Virtuale Immersiva, Realtà aumentata e Agenti conversazionali e, creando un continuum tra training nel mondo virtuale ed esperienze nel mondo reale, aiutano le persone con DSA a comprendere le caratteristiche ambientali e socio-organizzative degli ambienti di vita quotidiana e a eseguire correttamente le relative attività. Con benefici non solo di potenziamento funzionale, ma anche di rafforzamento emotivo-psicologico e di benessere generale.

Credits: www.5a.polimi.it

Gli sforzi della ricerca si sono concentrati sulla mobilità negli spazi cittadini: la metropolitana, il treno, il supermercato, il museo, la biblioteca, l’ospedale, etc. Ad esempio, le applicazioni 5A di Realtà Virtuale permettono alla persona di esercitarsi nell’uso dei mezzi pubblici, “immergendosi”, attraverso un visore indossabile, in un ambiente digitale che simula spazi e attività tipiche dell’uso di treno e metropolitana. Le applicazioni 5A di Realtà Aumentata supportano gli utenti mentre usano i mezzi pubblici nel mondo reale, generando, su tablet o smartphone, informazioni visive che appaiono come sovrapposte alla visione dell’ambiente circostante e aiutano le persone a capire come muoversi e che cosa fare. Entrambi i tipi di applicazioni integrano un Agente Conversazionale che agisce da compagno virtuale e dialoga proattivamente con l’utente per guidarlo sia durante la simulazione dell’utilizzo dei mezzi pubblici sia durante l’esperienza nel mondo reale

Le applicazioni 5A sono state co-progettate da un team multidisciplinare composto da ingegneri e interaction designer del Politecnico di Milano e specialisti di autismo di due prestigiosi istituti di assistenza e cura, partner clinici del progetto: Fondazione Sacra Famiglia IRCCS E. Medea – Associazione La Nostra Famiglia.

Il progetto 5A é stato realizzato con il contributo di Fondazione TIM (Bando “Liberi di comunicare. Tecnologie intelligenti e innovazione per l’autismo”) e del progetto PNRR MUSA (Multilayered Urban Sustainability Action/Spoke6 – Innovation for Sustainable and Inclusive Societies).

Working in a joint research lab: Smart Eyewear Lab 

Working as a PhD  

The Industrial PhD in SEL is a three-year, high-level research course launched by the University and funded with the contribution of EssilorLuxottica that participates in defining the research theme. The PhD is a recent graduate who acts as a driver of change and brings to the organization, after three years of training on a shared research topic, a young point of view and new methods. He or she will work in the research line group and generate results and publications. The doctoral student will then be able to pursue both academic and professional careers.

Ask here for more information: smarteyewearlab@polimi.it

See more:

Working as Researcher after your PhD 

You can pursue postdoctoral studies at SEL. As researcher, you help SEL professors, researchers and pm in the progress of research lines. To be a senior researcher, you must be supervised by one of our affiliated professors or Project Managers. 

Ask here for more information: smarteyewearlab@polimi.it

Are you a Polimi Student? 

As a Politecnico di Milano student in the lab you will be involved in teaching and project work activities related to your curriculum, but concretely connected to lab activities. As a student, you can bring your contribution to Smart Eyewear Lab supervised by one of its affiliated professors. 

Ask here for more information: smarteyewearlab@polimi.it

Il problema dello scambio tra rete elettrica e pannelli fotovoltaici

Si stanno per concludere i cinque progetti di ricerca a tema «Equità e Ripresa» selezionati dal Polisocial Award 2021 e finanziati grazie alle donazioni del 5 per mille al Politecnico. L’emergenza sanitaria derivata dalla pandemia ha contribuito ad acuire squilibri e marginalità e a rendere concreto il rischio di un aumento delle disparità; per questo, i progetti finanziati hanno agito in una prospettiva di ripresa economica, sociale e culturale, promuovendo lo sviluppo di metodi, strategie, strumenti e tecnologie tesi a ridurre le disuguaglianze e a favorire l’accesso a risorse e opportunità da parte di persone, categorie sociali o comunità particolarmente vulnerabili. 

Il progetto RESTARTHealth (da Renewable Energy Systems To Activate Recovery Through the Health sector) mira a ottimizzare l’efficienza energetica del secondo ospedale più grande dell’Uganda, il St. Mary’s Lacor Hospital, che sorge nel distretto di Gulu. “Da tempo collaboriamo con l’ospedale Lacor, che da pochi anni ha come responsabile tecnico Jacopo Barbieri, alumnus del Politecnico di Milano”, ci spiega Riccardo Mereu, project manager di RESTARTHealth e ricercatore del dipartimento di Energia. Con oltre 600 lavoratori, molti dei quali vivono nel complesso ospedaliero, quando si parla di efficienza energetica al Lacor non si fa riferimento solo a macchinari medici: “Il complesso ospedaliero comprende guesthouse, mense e gli alloggi dei dipendenti”, spiega Mereu. È una piccola città da duemila persone (anche le famiglie degli impiegati vivono “on campus”, oltre, ovviamente, ai pazienti): bisogna quindi pensare anche all’energia che viene utilizzata per cucinare (quasi sempre, al momento, lo si fa a legna), per lavarsi con l’acqua calda, per illuminare le case e per il trasporto.  

UN SISTEMA ELETTRICO IBRIDO MIGLIORABILE 

Attualmente il complesso è già dotato di un buon numero di pannelli fotovoltaici, che producono centinaia di kilowattora di energia. “I pannelli fotovoltaici sono indubbiamente la fonte energetica più adatta al luogo”, afferma Mereu. “Le risorse della zona non permettono certo di pensare a idroelettrico o eolico, mentre abbiamo valutato la possibilità di produrre biogas a partire dai rifiuti dell’ospedale. Dobbiamo capire se gli scarti sono sufficienti per produrne abbastanza”.  

Uno dei principali limiti è il fatto che l’energia prodotta dai pannelli fotovoltaici non può essere immessa nella rete elettrica nazionale: “Manca uno scambio bidirezionale, e questo fa sì che molta energia venga persa, che l’efficienza ne risenta”, spiega Mereu. “Il sistema è già e dev’essere per forza ibrido: attualmente sono attivi i pannelli fotovoltaici, la rete elettrica e alcuni gruppi elettrogeni diesel per quando salta totalmente la corrente. L’idea, in futuro, è che queste tre fonti vengano sfruttate in modo ottimizzato rispetto ad ora, con minori perdite di energia e migliore gestione dei picchi di potenza, che potrebbero stressare la rete interna dell’ospedale”. Quello dello scambio tra reti elettriche da rinnovabili e reti tradizionali è un tema molto attuale anche nel nostro continente, alla ricerca di una formula che ne permetta l’integrazione completa sia dal punto di vista infrastrutturale sia da quello amministrativo.  

LA CREAZIONE DI LINEE GUIDA 

L’obiettivo a lungo termine, oltre all’efficientamento energetico dell’ospedale, è quello di creare delle linee guida che possano essere utili in altri contesti. L’ospedale St. Mary’s Lacor è un caso particolare, perché non è statale ma privato, ed è gestito da una fondazione italiana: tuttavia i ricercatori hanno guardato anche ad altri casi studio, come alcuni ospedali governativi e di enti privati come Emergency, per avere un quadro ancor più completo della situazione. 

Oltre alla sede principale dell’ospedale, i test sono stati condotti anche in altri tre ambulatori dislocati in zone rurali a 50-60 km di distanza. “Il progetto termina a fine maggio 2023: al momento stiamo analizzando i dati raccolti, dai quali ricaveremo le informazioni necessarie a redigere delle linee guida energetiche specifiche e generali. Valuteremo l’impatto che alcuni miglioramenti energetici avrebbero nel complesso ospedaliero, come ad esempio la possibilità di uno scambio bidirezionale tra rete elettrica nazionale e pannelli fotovoltaici, la presenza di cucine elettrificate, l’introduzione di ulteriori pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua e la possibilità di elettrificare il trasporto interno di rifiuti medicali. Per il momento, ci fermiamo allo studio di fattibilità: la messa in pratica dipenderà dall’ottenimento da parte dell’ospedale di finanziamenti privati e donazioni, o dalla vincita di bandi pubblici o privati”, conclude Mereu. 

Guido Crepax: come architettare storie

Guardia notturna, Portiere, Agenzia di Viaggi, Telefono. Sono alcune delle indicazioni scritte a mano, con l’impronta tonda dei caratteri di un fumetto, che si trovano non in un baloon ma nelle linee geometriche della planimetria di un edificio di via Laghetto a Milano. Su un foglio della stessa serie si legge: “Corso di composizione architettonica 2, 1956-1957, Guido Crepas, Tema di Laurea”.

I personaggi e le indicazioni inserite nella planimetria ci mostrano che il ventiquattrenne Guido Crepax pensa già a chi abiterà esattamente fra quelle linee precise, è un’anticipazione dell’indole d’autore, di chi è interessato ad architettare soprattutto le storie. «Circa cinque anni fa abbiamo trovato queste planimetrie nel soppalco di casa di nostra madre», racconta Caterina, figlia del grande disegnatore e Alumnus del Poli, «ed è sempre un’emozione quando scoviamo qualcosa che ci racconta un nuovo aspetto di nostro padre».

Giacomo – che con Caterina e l’altro fratello Antonio – cura e valorizza l’archivio Crepax, accenna una breve biografia post-laurea: «Conclusi gli studi al Politecnico, oltre a lavorare già come disegnatore in campo pubblicitario e discografico, nostro padre inizia a lavorare per degli architetti realizzando per loro delle prospettive; ciò che fanno ora i computer. Possiamo dire che era la mano-render». Negli ultimi anni la mano e la figura di Crepax sono tornate al Politecnico per una serie di mostre, l’ultima proprio di quest’anno si intitola “Guido Crepax, Architetto del Fumetto” ed è una ricognizione nei lavori di tutta una carriera, alla ricerca della mano d’architetto in controluce con quella del disegnatore. «Celebrarlo nel luogo della formazione – spiega Giacomo – ha un grande valore perché è qui che ha cominciato a sperimentare ed è qui che ha appreso molte nozioni di carattere storico legate all’architettura e al design che sono letteralmente entrate nel suo lavoro. Ci sembra necessario dunque raccontare il periodo della sua formazione. E poi anche io e mia sorella siamo Alumni, entrambi laureati in architettura».

Entrando così nel suo ruolo professionale, commenta un’altra tavola paterna, che mostra la prospettiva dell’edificio: «La base di partenza era una specie di centro commerciale che si sviluppava poi come torre abitativa. Lo schema è interessante, presenta elementi curvi laterali, molto morbidi, che sembrano citare le architetture di Sant’Elia. Lo descriverei come un progetto che coglie pienamente l’idea futurista degli anni ’50, fatto di trasparenze che mettono in risalto anche la parte strutturale dell’edificio: i vuoti, tipici dell’architettura razionalista di quel periodo, e le parti moderne identificate tramite le vetrate e la struttura solida dei pilastri in cemento armato». Anche su questa tavola è possibile cogliere elementi dei fumetti che verranno: un auto americana, gli abiti delle persone, l’intestazione Hotel Sforza, lo scorcio del Duomo che compare sullo sfondo, stretto tra altri due palazzi. 

La laurea conseguita al Politecnico di Milano

Il percorso di studi emerge a tratti: Valentina che passeggia in zona Missori, alle sue spalle Torre Velasca, realizzata dal suo relatore di tesi, l’Alumnus Ernesto Nathan Rogers. La vignetta di un uomo al tecnigrafo ci riporta un altro scampolo di biografia, «Era suo nonno, ingegnere. Infatti nostro padre prima di iscriversi ad architettura aveva atto un anno di ingegneria ma ne era scontentissimo», svela Caterina. «Per tutta la vita però ha disegnato proprio sulla scrivania di suo nonno, che oggi si trova nello studio di architettura in cui lavoro», dice Giacomo. In questo flusso di memorie e rimandi Caterina dice: «Nella biblioteca di casa abbiamo sempre trovato libri di architettura, che poi abbiamo sfruttato a nostra volta. Per lui erano fonte di ispirazione soprattutto i libri di design, perché gli interessava disegnare gli interni e le persone nei loro ambienti, per raccontare le storie anche attraverso gli oggetti di design, le tappezzerie, le lampade. Molti erano pezzi di design provenienti dalla nostra casa, che ci ritrovavamo nei fumetti». La lampada Arco, i divani le Corbusier, il televisore Brionvega, il letto di Magistretti, riferimenti che si mischiano a ispirazioni più personali, come racconta Caterina: «La poltrona con il poggiapiedi sui cui nostra madre leggeva, di fronte al tavolo su cui nostro padre disegnava e così si innescava questo scambio fra realtà e carta». Mostrando una tavola con la città di Praga, Giacomo spiega: «Siccome non usciva quasi mai dal suo studio, chiedeva le foto dei nostri viaggi all’estero, che poi diventavano i luoghi delle avventure di Valentina».  

La scrivania originale di Guido Crepax

Altre due tavole ci restituiscono le sue coordinate: i ritratti di Gropius e Frank Lloyd Wright, il suo volto accanto ala Casa sulla cascata. Gli strumenti del suo mestiere, erano gli stessi del mestiere di architetto: le chine, i lucidi e le lamette con cui li grattava, il compasso, le rapidograph. «I bordi stessi delle vignette li stendeva con il rettilineo a punta piatte – analizza Giacomo – le sue tavole sono quasi delle sezioni, delle planimetrie dove nelle singole vignette le cose avvengono. Ad esempio c’è una tavola al cui centro vi è un letto, con sopra Valentina e il suo compagno, e da sotto spuntano altre visioni laterali del letto. Oppure, la scelta di inserire il disegno di una scala a chiocciola incastrandola in una vignetta stretta e lunga ci raccontano la cura architettonica che aveva nella composizione di una immagine». Su un foglio c’è una vera e propria proiezione ortogonale di Valentina che in questo modo diventa un dispositivo per passare, nel ribaltamento, alla vignetta e all’episodio successivo.  

Il suo occhio era sul dettaglio, lo spiega bene Caterina: «Le sue storie accadono poco all’esterno e molto negli interni, ma quando siamo fuori ci mostra i luoghi sempre per frammenti. Del Duomo di Milano non c’è una panoramica ma l’inquadratura di una guglia. Gli piacevano moltissimo le porte con le maniglie, perché sempre celavano il mistero. Aveva inventato il popolo dei sotterranei, che abitavano il sottosuolo ed emergevano attraverso squarci nelle tappezzerie, nelle crepe del muro, dai mobili, figure nascoste nei motivi floreali di una carta da parati». Che architetto sarebbe stato? «Probabilmente avrebbe fatto un’architettura molto rigorosa ma al contempo di grande fantasia, perché era precisissimo nella documentazione ma all’interno del suo lavoro lanciava cose più legate al futuro che al presente. Ecco, forse sarebbe stato vicino ai lavori di Oscar Niemeyer, come Brasilia», risponde Giacomo. Caterina aggiunge: «è sempre stato iscritto alla cassa architetti e aveva firmato il progetto di una casa di sua madre, in un paesino della Versilia. Solo che nel progetto si era sbagliato e aveva inserito la facciata principale sul retro e viceversa, le aveva invertite».  

Qual è l’insegnamento che vi ha lasciato?

«Percepire l’insieme, farsi avvolgere dalla realtà che è composta da tante cose: architettura, politica, design, proprio come le sue storie. Per far emergere questo, quando allestiamo le mostre cerchiamo sempre di far entrare fisicamente il visitatore all’interno del suo mondo, quasi come se entrasse nelle tavole perché lui non aveva confini. Forse è questo l’insegnamento più grande: la nostra vita è captare tutto».