Federica Fragapane è una information designer indipendente. Nata a Vercelli nel 1988, si è laureata in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano. Nel corso degli anni ha realizzato progetti per Google, le Nazioni Unite, l’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, BBC Science Focus e collabora periodicamente con La Lettura – Corriere della Sera. È coautrice dell’Atlante geopolitico dell’Acqua (Hoepli, 2019).
Federica Fragapane
Ha tenuto lezioni come guest lecturer, tra gli altri, all’Università di Harvard — Design Lab e al Royal College of Art di Londra ed è stata ospite in qualità di speaker a TEDx Verona.
A ottobre 2021 è stata premiata alle Serpentine Galleries con il Pierre Keller Award nel corso dello Hublot Design Prize.
Le tre visualizzazioni – realizzate tra il 2019 e il 2021 – sono state acquisite dal Dipartimento di Architettura e Design del MoMA.
Space Junk, data visualization pubblicata su BBC Science Focus nel 2019, racconta dei rifiuti che stiamo lasciando nello spazio: la visualizzazione mostra i detriti spaziali, classificati in base alla loro distanza dalla Terra e al tipo di oggetto.
Noise Pollution, pubblicata su La Lettura nel 2020, mostra i dati relativi all’inquinamento acustico e alla perdita dell’udito in 50 diverse città.
Land Defenders è una visualizzazione di dati sugli attivisti ambientali uccisi in Brasile tra il 2015 e il 2019. Il progetto è stato realizzato per accompagnare un lavoro di inchiesta scritto da Yessenia Funes sulla morte del difensore ambientale Fernando dos Santos Araújo. È stata pubblicata nel 2021 dal magazine Atmos.
Space Junk. Credits: MoMA
Noise Pollution. Credits: MoMA
Land Defenders. Credits: MoMA
I progetti di Federica Fragapane sono volti a raccontare temi nella loro complessità e multidimensionalità, consentendone la lettura e l’esplorazione attraverso la realizzazione di visualizzazioni statiche e interattive. Nel corso degli anni ha visualizzato dati legati a tematiche ambientali, alla migrazione e ai diritti umani.
“Credo fortemente nel potenziale comunicativo della data visualization e cerco di usarlo per aiutare il racconto e la lettura di argomenti complessi.”
Molti dei suoi lavori sono caratterizzati da un approccio sperimentale e da una ricerca continua di forme e linguaggi con cui dare forma a numeri e informazioni. Utilizza spesso elementi visivi morbidi, che richiamano mondi organici, per portare alla luce l’aspetto umano dietro ai dati.
Crede inoltre che la visualizzazione di dati possa essere usata non solo per comunicare alle persone, ma anche per dar loro voce e per fornire uno strumento a chi non ha piattaforme. Nel 2016 ha realizzato il progetto The Stories Behind a Line, il racconto visivo dei viaggi di sei richiedenti asilo arrivati in Italia e ospiti di un centro di accoglienza.
Federica Fragapane scrive: “I progetti acquisiti dal MoMA fanno parte del mio processo di ricerca di linguaggi visivi con cui comunicare numeri, informazioni e – soprattutto – storie. Dare una forma ai dati aiuta a leggerli e a comprenderli. Mi capita spesso di parlare di come per me disegnare visualizzazioni sia come scrivere. Scrivo con parole visive per raccontare temi che mi stanno a cuore, portare alla luce informazioni urgenti e poco conosciute o anche semplicemente per far scoprire qualcosa di nuovo ai lettori: sono questi i motivi che hanno guidato il processo progettuale dietro alle tre visualizzazioni che fanno ora parte della collezione del MoMA.
La visualizzazione di dati per me non è il fine, ma è un mezzo il cui fine è comunicare e raccontare. La forma di tale mezzo è parte stessa del processo di comunicazione. Le parole che usiamo sono importanti e importanti sono per me le parole visive che disegno. Sperimentare visivamente, curare l’estetica e affiancare all’attenzione per i contenuti uno studio profondo delle forme utilizzate sono passaggi fondamentali del mio processo progettuale. Con il mio lavoro – e con le sue forme – cerco (e spero!) di invitare le persone ad avvicinarsi alle mie visualizzazioni e a leggere e scoprire dati e storie.
Ringrazio di cuore le persone che fino a ora si sono avvicinate ai miei progetti e li hanno letti, ringrazio BBC Science Focus, La Lettura e Atmos per avermi dato lo spazio per sperimentare e comunicare e ringrazio il Museum of Modern Art per questo grandissimo onore.”
La competizione internazionale Cybathlon, a cui partecipa anche una squadra del Poli, prevede che persone con disabilità gareggino nello svolgere attività quotidiane utilizzando “assistive technologies” di ultima generazione. Si svolge ogni quattro anni ed è organizzata dall’ETH Zurigo. Il team Polimi partecipa alla disciplina FES bike (Functional Electrical Stimulation Bike), in cui un pilota con paraplegia completa gareggia utilizzando una carrozzina a tre ruote, tecnicamente chiamato trike passivo, attivato tramite uno stimolatore elettrico muscolare in grado di inviare impulsi coordinati attraverso elettrodi di superficie che inducono la contrazione dei muscoli paralizzati. Il gruppo di lavoro, composto da 6-10 studenti, si occupa di ottimizzazione della meccanica e della seduta del trike.
La prossima edizione del torneo si terrà nel 2024. Nel frattempo ci sono però anche altre competizioni Fes Bike, tipo quella che si è svolta lo scorso anno a Lione: “A Lione abbiamo fatto 100 metri in 39 secondi e 500 metri in 4 minuti e 18 secondi. Siamo arrivati quarti su 7”, commenta la professoressa Emilia Ambrosini, del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, e coach della squadra. “Nel 2020 invece abbiamo fatto 860 metri in 8 minuti e ci siamo piazzati al settimo posto su 9. Certo, non un super piazzamento ma avevamo fatto poco allenamento”.
A contare non è solo il podio, ci raccontano gli studenti della squadra: ma anche confrontarsi con un’esperienza come questa, che arricchisce sia dal punto di vista accademico che umano. “È stata l’esperienza accademica che mi ha entusiasmato di più tra tutte” ha detto Federico Cavallini, studente magistrale di ingegneria biomedica. “Rendersi conto che il proprio lavoro (benché una minima parte di un progetto ben più grande) aiuta persone e pazienti nelle loro difficoltà, per davvero, è stato ciò che mi ha segnato di più e mi ha fatto appassionare a questo mondo. E alla fine non posso nascondere la soddisfazione di vedere i piloti, persone con paraplegia, pedalare e muoversi in maniera indipendente con il trike su cui ho lavorato col mio gruppo”.
Seppur esperienza di studio l’aspetto emotivo di sentirsi utile per una persona bisognosa è un aspetto centrale nel Cybathlon: “Essermi interfacciata direttamente con il paziente, aver capito le sue esigenze, mi ha aiutato ad ampliare il modo approcciarmi al problema”, ha fatto notare Rachele Mariotti, anche lei studentessa magistrale di ingegneria biomedica. “Penso che progetti di questo tipo arricchiscano molto gli studenti ed il loro percorso. E il fatto di aver coinvolto studenti da diverse ingegnerie, io ero in team con due studenti di meccanica, mi ha insegnato ad interfacciarmi con persone con background differenti e saper capire ed esaltare i punti di forza di ognuno”. Partecipare a queste competizioni è anche un banco di prova, una sorta di possibile lavoro vero da realizzare: “Ho deciso di partecipare alla competizione di Lione per vedere messi in pratica gli insegnamenti teorici che si apprendono durante il percorso accademico. Ho potuto toccare con mano la complessità che lo sviluppo di una FES-bike richiede. È stato quindi stimolante dal punto di vista del problem solving attraverso un approccio più concreto verso le soluzioni hardware e software con cui si entra a contatto durante la formazione accademica”.
Milanese di nascita, californiano di adozione (insegna all’Università della California, Berkeley) Alberto Sangiovanni Vincentelli, alumnus del Poli, è uno dei maggiori esperti al mondo nel campo dell’informatica. Limitare i suoi interessi e le sue conoscenze ad un unico campo, tuttavia, sarebbe un errore: è infatti un grande appassionato di filosofia, di letteratura e di economia. “Nella mia vita ho dovuto scegliere quali strade non intraprendere, più che quali prendere”, ci ha raccontato durante una lunga chiacchierata che abbiamo fatto tra l’Italia e la California.
L’ENNESIMO PREMIO: IL FRONTIERS OF KNOWLEDGE AWARDS DELLA BBVA FOUNDATION
L’occasione dell’intervista è l’ennesimo riconoscimento ricevuto nel suo campo, il prestigioso premio della BBVA Foundation “Frontiers of Knowledge Award”: una sorta di premio alla carriera, simile al Nobel sia per la procedura che per il modo di comunicare la vittoria. “Mi hanno chiamato in piena notte!”, racconta Vincentelli. È un premio molto prestigioso che viene assegnato per otto settori diversi: la categoria di Vincentelli è Information and Communication Technologies (ICT).
AUTOMAZIONE DELLA PROGETTAZIONE ELETTRONICA: DI COSA SI TRATTA?
Il motivo dell’assegnazione del riconoscimento è “aver trasformato radicalmente il design dei chip che alimentano i dispositivi elettronici attuali, dando vita alla moderna industria dei semiconduttori”. In che modo? Creando nuovi strumenti di automazione della progettazione elettronica (electronic design automation, EDA), ovvero ideando algoritmi e programmi in grado di ottimizzare la progettazione dei circuiti integrati (i cosiddetti chip).
Entriamo nel dettaglio per capirne di più. “Nei chip ci sono molti elementi, chiamati transistor, che devono essere messi su una struttura planare”, spiega Vincentelli. “Questi transistor devono poi essere connessi tra loro attraverso dei fili elettrici, che portano ritardo: gli obiettivi, dunque, sono quelli di rendere le connessioni il più veloce possibili e di utilizzare il minor spazio per ospitare transistor e interconnessioni”. Una volta sistemati i transistor, bisogna assicurarsi che il chip funzioni. Per farlo esistono strumenti di simulazione, che vengono impiegati prima della fabbricazione: “Oggi li chiamiamo digital twins, modelli matematici che simulano digitalmente ciò che avverrà fisicamente per farci capire se il sistema funziona”, spiega Vincentelli. “La simulazione è stata una delle prime cose di cui mi sono occupato, nei primi anni ’70: ha consentito di velocizzare molto i progetti. La produzione automatica delle maschere fotolitografiche usate per indirizzare fasci di luce sul chip per creare connessioni e transistor è stata un altro passo miliare nello sviluppo della industria dei semiconduttori: agli albori di questa industria, nei primi anni 70, le maschere si ritagliavano a mano, ma con l’aumento esponenziale del numero di transistor, teorizzato dalla legge di Moore, già alla fine degli anni 70 non è stato fisicamente più possibile farlo. L’EDA ha consentito negli anni il passaggio da poche centinaia a miliardi di transistor presenti ora in un unico chip”.
UNA VITA DI SUCCESSI
Sono talmente tante le cose che il professor Vincentelli ha fatto nella sua vita, che non basterebbe un libro per elencarle tutte: la successiva ora di chiacchierata è un’immersione nel passato, tra fondazioni di aziende di EDA – come Cadence Design Systems e Synopyis, che insieme sono quotate al Nasdaq intorno a 120 miliardi di dollari −, collaborazioni con aziende automobilistiche del calibro di BMW, General Motors e Magneti Marelli, e successi universitari. Giovanissimo, all’età di 27 anni, con in mano un contratto da professore incaricato (equivalente al livello di associato di oggi) al Poli, si imbarca in una esperienza semestrale all’Università della California a Berkeley, incoraggiato dai colleghi anziani del Poli. Alla fine di questa esperienza arriva la richiesta di rimanere negli USA. Lui nicchia (a Milano avevo un ottimo contratto, la mia vita, i miei amici, spiega), ma a Berkeley non mollano, e dopo una richiesta ufficiale e la concessione del permesso da parte del Politecnico, riparte alla volta della California. E lì rimane.
INNOVAZIONE TECNOLOGICHE DELL’ULTIMO ANNO
Trovandoci di fronte a un guru dell’informatica, ne approfittiamo per chiedere quali siano le sue opinioni sulle ultime novità tecnologiche: “L’EDA è in continuo miglioramento, ma non c’è stato negli ultimi tempi uno sconvolgimento radicale nel campo: la cosa più innovativa degli ultimi anni è la estensione degli algoritmi e dei metodi EDA ad altri campi, per esempio, la progettazione mirata di medicine”, spiega Vincentelli.
Nel campo dell’utilizzo dei semiconduttori è in corso un trend che vede imprese che hanno impiegato chip comprati da imprese specializzate nella progettazione di semiconduttori quali Intel, buttarsi nell’avventura della progettazione di chip ottimizzati per i loro scopi. Apple è stata la prima ma Tesla ha veramente rivoluzionato il settore delle automobili con il loro progetto. In sostanza Tesla : “Ha preso di sorpresa tutti nel mondo automobilistico: la loro vettura è un sistema elettronico vestito da macchina. È questa, a mio parere, una delle più grandi innovazione degli ultimi tempi: il fatto che un’azienda automobilistica abbia progettato un chip”. Come a dire: che all’orizzonte ci sia una nuova rivoluzione non solo tecnologica, ma industriale, dove Amazon, Google, e Microsoft progettano i chip ottimizzati per server usati nel cloud?
“Poi, certo, ci sarebbe l’intelligenza artificiale: ma non sono proprio un grande fan…”, confessa. Come mai?
L’IMPERSCRUTABILITÀ DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
“Innanzitutto bisogna capire la differenza tra machine learning e intelligenza artificiale, che non sono termini equivalenti: il machine learning è una parte dell’intelligenza artificiale. È l’utilizzo di modelli matematici per approssimare, utilizzando una grande quantità di dati, il funzionamento di un sistema di cui non conosciamo il funzionamento o che è troppo complicato da descrivere. I parametri di questo modello che di solito prende la forma di rete neurale a molti livelli (deep learning), sono moltissimi e devono essere scelti in modo da minimizzare l’errore fatto con l’approssimazione (training). Questo processo è molto costoso in termini di calcolo (tra l’altro l’energia consumato per effettuarlo è molto elevata…) ed in più non ci consente di capire perché certe risposte vengono date. Ecco, a me questo non piace: io voglio capire!”. Ciò che “non va giù” a Vincentelli è il non riuscire a trovare il motivo per cui il machine learning dia determinate risposte: “Io devo andare a fondo del perché delle cose, e con un certo tipo di intelligenza artificiale non posso farlo”, spiega. “La introduzione dei grandi modelli di linguaggio (reti neurali immense utilizzate per sintetizzare e processare il linguaggio umano) ha fatto notizia dovunque. ChatGPT introdotta da OpenAI ha originato un dibattito a tutti i livelli. La capacità di interagire con uomini a livello di linguaggio naturale è in effetti una rivoluzione. Per altro, quando ChatGPT viene usata per rispondere a domande poste da un utente, risponde sulla base delle informazioni che sono presenti in rete. Data la dimensione del modello, è in grado di riassumere praticamente qualsiasi informazione in rete. Ma in rete si trovano informazioni errate (fake news), messaggi di odio razziale, testi contro le fasce svantaggiate, le donne e quindi c’è la possibilità reale che ChatGPT (o equivalenti) influenzi un grande numero di persone in modo negativo” Molti, inclusi i pionieri del machine learning quali Geoff Hinton, si sono espressi in modo molto preoccupato sul futuro utilizzo della tecnologia! E sulla presa di coscienza dell’intelligenza artificiale che ne pensa? Sarà possibile, in futuro, che faccia capolino una nuova “specie”, artificiale? “Non credo proprio: a volte abbiamo l’impressione che l’intelligenza artificiale capisca tutto e sia senziente, ma non può essere, è pur sempre l’espressione di una macchina! l’abbiamo costruita noi”.
LA LEZIONE PIÙ IMPORTANTE? CHE L’INGEGNERIA HA UN’ETICA DA SEGUIRE
Quali sono gli insegnamenti più importanti che ha ricevuto nella sua carriera? “Il primo me lo diede un mio professore del Politecnico, Giuseppe Grandori, che insegnava scienze delle costruzioni: mi fece pensare all’etica dell’ingegneria. Ci spiegava che i calcoli fatti durante la costruzione di una struttura di ingegneria civile (almeno negli anni 60 quando frequentavo il Poli) prendevano in considerazione perfino la possibilità di un crollo e ne valutavano il costo: tra una struttura economica che resisterà nell’80% e crollerà nel 20% dei casi in caso di un terremoto, uccidendo un certo numero di persone, e una più resistente ma più costosa che provocherebbe meno morti in caso di crollo, potrebbe essere scelta la prima nel caso in cui il costo complessivo considerando il pagamento di danni e le probabilità di crollo sia minore. E GPT per ricollegarsi al discorso di prima”.
“Il secondo insegnamento lo appresi quando arrivai negli USA, dove un ingegnere viene considerato alla stregua di un tecnico a cui ci si rivolge in albergo per problemi di scarico del bagno… o per la conduzione dei un treno. in contrasto con Paesi come la Francia, il Giappone e l’Italia dove la professione di ingegnere è considerata ai vertici della scala sociale Non solo, nel mondo scientifico l’ingegneria veniva ben al di sotto di scienze “nobili” quali la fisica. Ma io ero e sono convinto che l’ingegneria sia una vera e propria scienza, a pari di tutte le altre! Questa convinzione mi deriva dalle mie letture di Sant’Agostino e Kant che parlavano del fatto che Dio o il “reale” è fuori dal concetto di tempo e spazio, che sono categorie umane. Anche noi ingegneri creiamo sistemi a partire da un’idea al di fuori del tempo e dello spazio, e solo in ultimo della nostra attività creativa ci troviamo ad affrontare il mondo fisico nelle sue dimensioni spazio temporali”. Sta dicendo che gli ingegneri sono Dio? “Beh almeno nella parte creativa del nostro lavoro!”, conferma ridendo Vincentelli.
CONSIGLI, RIMPIANTI E RIMORSI
Se potesse scegliere di essere l’inventore di una qualsiasi cosa, cosa le piacerebbe aver inventato (o progettato)? “Direi l’mRna, perché è una vera rivoluzione con impatti sociali immensi: ha un potenziale di curaincredibile , ora si parla addirittura di un possibile vaccino anticancro basato su mRNA. E anche la tecnica di editing genetico CRISPR-Cas-9, peraltro perfezionato nella mia Università perché ci permetterà in futuro di curare le malattie genetiche”.
Qualche rimpianto? Qualche rimorso? “Di getto direi di no, mi è andato tutto troppo bene”, confessa Vincentelli. “I rimpianti riguardano più che altro delle porte che ho chiuso: mi sarebbe piaciuto fare filosofia all’Università, ma anche l’economista, il fisico e magari anche un po’ il letterato. Ci fu un’epoca in cui scrivevo poesie!”. “Rimorsi, solo uno: non essere stato abbastanza con la mia famiglia. Devo dire però che ho un ottimo rapporto come i miei due figli, che sento e vedo molto spesso, e mia moglie mi ha sempre sostenuto nei momenti difficili: non mi posso davvero lamentare”.
A cavallo tra Europa, Americhe, Oceania e Asia si incontrano gli studenti di fisica per sfidarsi a colpi di rompicapo sul campo dell’IPT, l’International Physicists Tournament, competizione di fisica sperimentale organizzata e gestita da studenti universitari.
I problemi da risolvere sono pratici e difficili, divertenti e un po’ assurdi. Qualche esempio:
– Costruire la più alta torre di mattoncini tipo “Lego”… Però attenzione: i mattoncini sono fatti di gelatina alimentare
– Capire quando il miele è completamente sciolto nel tè caldo
– Costruire con la carta dei modellini di semi dell’acero, che sono quelli che cadono con un volo a spirale grazie ad un’elica particolare
– Ricreare l’aurora boreale in una palla di vetro
– Mettere la grafite in un microonde e portarla alla temperatura giusta per farla illuminare
– Costruire un accendino con le cose che aveva a disposizione un uomo dell’età del bronzo
La squadra del Poli esiste da cinque anni grazie a uno studente francese in Erasmus a Milano. Come ha spiegato il professor Giacomo Ghiringhelli, del dipartimento di Fisica, è stato lo studente francese a introdurre il Poli a questa competizione. Del resto, questo torneo è nato in Francia. Al momento la squadra del Poli è l’unica italiana a prendere parte all’IPT. Il professor Ghiringhelli ci ha messo in contatto con tre studenti di 23 anni che hanno partecipato lo scorso anno: Sophie Cavallini, Luca Perego e Dario Ventura.
I tre hanno spiegato come funziona la competizione: “Dura da ottobre fino alla primavera, ci sono varie fasi da superare. La finale di solito si disputa in una città diversa, l’anno scorso eravamo in Colombia, quest’anno è stata a Parigi dal 23 al 29 aprile” ha spiegato Sophie. La squadra in cui erano Luca, Sophie e Dario lo scorso anno è arrivata settima su 15 partecipanti nel mondo. Quest’anno la squadra del Politecnico è arrivata sesta: “Il miglior risultato di sempre” ha commentato il professor Ghiringhelli. C’è ancora strada da fare!
Ogni competizione presenta una quindicina diproblemi diversi, proposti dagli studenti stessi o da dei dottorandi. Ogni squadra ha circa 10-15 componenti. Le squadre hanno 10 minuti per presentare la soluzione al problema e un’ora per discuterne con la squadra avversaria, mentre una terza squadra (detta “reviewer”) monitora la situazione e decide sui conflitti, come una sorta di arbitro. Una commissione composta da dottorandi assegna i voti alle varie squadre. Le squadre all’inizio sono divise in due gironi, le migliori accedono alle semifinali e da lì le migliori due alla finale.
A riassumere perché è un’esperienza da fare è stata un’ottima frase di Dario: “Stimolare il dibattito scientifico”. “Partecipare – ha aggiunto Luca – è utile anche perché si fanno cose pratiche e si impara a fare le presentazioni”. Ma cosa si vince? “Niente… cioè l’onore e la gloria! – ha detto ridendo Sophie –. Ma è una bellissima esperienza che ci permette di conoscere coetanei di tutto il mondo che hanno i nostri stessi interessi”.
Alessandro Garatti e Riccardo Ferrari sonostudenti del corso di Progetto di Velivoli, tenuto dal professor Lorenzo Trainelli, al Politecnico di Milano. Entrambi partecipano con le squadre del Poli a diverse competizioni internazionali di progettazione di velivoli: Garatti è stato capitano di Colibr-e – Progetto Sapphire e Ferrari è stato capitano di Poli-e Verse – Progetto Kairos.
La squadra di Garatti ha ottenuto il 1° posto alla American Institute of Aeronautics and Astronautics (AIAA) Graduate Student Design Competion 2021-22. Questo era l’obiettivo: “Progetta un velivolo pilotato elettricamente e in grado di portare vaccini, medicine e scorte di cibo atterrando su piste di atterraggio sterrate in aree remote del mondo e in grado di essere ricaricato da pannelli solari”. La squadra di Ferrari ha ottenuto il 2° posto alla Royal Aeronautical Society (RAeS) International Light Aircraft Design Competition 2021-22, in risposta alla richiesta: “Progettare un aerotaxi ibrido-elettrico. L’entrata in servizio è prevista per il 2031. Deve avere 4 posti e minimo 300 miglia nautiche (oltre 550km) di autonomia”.
Team Colibr-e
Team Pol-e Verse
Le squadre sono formate da un numero di membri che oscilla da un minimo di quattro a un massimo di otto, numero oltre il quale è poi difficile coordinarsi. “Si hanno a disposizione solo i requisiti tecnici – ha spiegato Ferrari – il nostro doveva essere un velivolo ultraleggero, cioè meno di 600 chili, completamente elettrico per portare medicinali in zona equatoriale. Un velivolo che si ricaricasse a terra con pannelli solari. Si trattava evidentemente di una sfida che prendeva le mosse dalla situazione post pandemica in atto”.
“Il nostro progetto – ha invece detto Garatti – doveva essere un aerotaxi con atterraggio e decollo entro 300 piedi (100 metri, cioè pochissimo, ndr), che avesse una componente elettrica oltre al motore termico, per ridurne l’impatto ambientale”.
“Si tratta – ha aggiunto Garatti – di un primo passo verso la Urban Air Mobility cioè la possibilità di spostare persone su tratte aeree a distanze medie ma senza l’uso di aeroporti. Teoricamente questo velivolo potrebbe atterrare anche su un campo da calcio”.
Render progetto Sapphire
Colibr-e ha vinto la competizione internazionale AIAA. Il concorso si è svolto per via telematica e il premio è arrivato per posta: un assegno da 750 dollari. Poli-e Verse è invece arrivata seconda e anche in questo caso il concorso RAeS si è svolto via web: “Potevamo andare a Londra a ritirare un attestato di partecipazione, ma non abbiamo potuto” ha spiegato il capitano. Ma perché prendere parte a queste competizioni? “Sono progetti sfidanti, ci vuole inventiva e una solida conoscenza tecnico-scientifica” hanno spiegato i due capitani. E proprio la possibilità di cimentarsi nel progettare-un-aeroplano è la ragione principale per cui i due studenti e i loro colleghi hanno scelto questa competizione: “Forse è il motivo per cui mi sono iscritto al corso di Progetto di Velivoli – ha detto Garatti -, in altri insegnamenti non capita di progettare qualcosa di proprio”. “In più – ha aggiunto Ferrari – si tratta di una sfida internazionale e il lavoro che fai viene valutato da un team di esperti”.
Render progetto Kairos
“In passato – ha concluso il professor Trainelli – sono anche stati depositati due brevetti del Politecnico, relativi a dei progetti realizzati da studenti. Nel 2019 è stato ideato un velivolo innovativo per l’addestramento dei piloti. Un velivolo che ha la caratteristica di funzionare sia come un monomotore, sia come un plurimotore. Nel 2016 invece è stato brevettato un velivolo con batterie strutturali, cioè il 60-70% delle componenti della cellula dell’aereo erano al contempo anche batterie per l’alimentazione elettrica”.
l’università è un luogo dove si ricerca la conoscenza, come motore di progresso positivo. Il Dottorato è l’ultimo gradino del percorso di preparazione dei giovani alla ricerca, e il Politecnico da anni investe molto su questo, con la sua Scuola di Dottorato (www.polimi.it/phd).
Forse non tutti di voi sanno che stiamo vivendo un periodo di forte promozione del dottorato qui in Italia: il governo ha infatti deciso di investire parte dei fondi del PNRR per finanziare 22.700 nuove borse di dottorato nel periodo 2022-24. Questa è una grande opportunità di crescita del contesto nazionale, considerando che attualmente nelle università italiane sono presenti complessivamente circa 30.000 dottorandi.
Questa iniziativa può essere anche un’occasione ulteriore di collaborazione tra il nostro Ateneo e i suoi Alumni. Tante sono le forme di collaborazione che si possono perseguire insieme:
le iscrizioni ai concorsi per l’ammissione ai percorsi di Dottorato sono aperte a tutti: se siete interessati, iscrivetevi, e se conoscete qualcuno interessato, consigliategli di iscriversi (in particolare se siete attori protagonisti del mondo accademico, potete condividere l’opportunità del dottorato al Politecnico di Milano con i vostri studenti e la vostra rete di conoscenze);
è incentivato il cofinanziamento di borse di dottorato per sviluppare ricerche in collaborazione con il Politecnico di Milano, con permanenza del candidato in Azienda per almeno 6 mesi;
sono incentivate anche iniziative volte ad accogliere dottorandi nelle istituzioni della Pubblica Amministrazione, per svolgere attività di ricerca in collaborazione con il Politecnico di Milano.
Cogliamo dunque questa opportunità unica, di grande investimento di risorse, per costruire nuove iniziative di collaborazione e rinnovare quelle esistenti.
Chiunque volesse approfondire il tema o avere maggiori dettagli sull’iniziativa può scrivere a internationalphd@polimi.it.
Il Politecnico di Milano si colloca al 2° posto in Italia e 91° tra le università mondiali nella classifica generale THE Impact Ranking 2023, migliorando la propria posizione globale di sette posti rispetto al 2022. La classifica, attiva dal 2019, misura il contributo delle università ai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e coinvolge in totale 1591 università a livello mondiale.
Il miglior posizionamento del Politecnico di Milano è nell’SDG 9 Imprese, Innovazione e Infrastrutture, in cui l’Ateneo raggiunge il 16° posto a livello mondiale (18° lo scorso anno) grazie alla rete di laboratori dell’università, composta da 6 grandi infrastrutture utilizzate sia per la ricerca che dalle imprese, 245 laboratori di ricerca e 34 laboratori interdipartimentali, a cui si aggiungono 28 spin-off e 2925 singoli brevetti.
Inoltre, il Politecnico ha ottenuto posizionamenti di rilievo nell’SDG 8 Lavoro Dignitoso e Crescita Economica, piazzandosi al 37° posto (dal 59° dello scorso anno), e nell’SDG 10 Riduzione delle disuguaglianze, al 28° posto (dal 45° nel 2022). L’università conduce anche programmi strategici come POP Pari Opportunità Politecniche, che punta a garantire un ambiente di studio e di lavoro rispettoso dell’identità di genere, della disabilità, della cultura e della provenienza e SCHOLARSHIPS@POLIMI, diversi programmi di borse di studio per garantire a tutti pari diritti all’istruzione e promuovere l’iscrizione di gruppi sottorappresentati.
“Il nostro impegno nella promozione della cultura dello sviluppo sostenibile in tutte le attività istituzionali, nella didattica e nella ricerca è totale e i primi risultati lo dimostrano. Un percorso appena iniziato ma che coinvolge tutte le energie della comunità politecnica su almeno quattro fronti: sostenibilità ambientale, promozione della ricerca responsabile, cooperazione internazionale e pari opportunità“.
ha commentato la Rettrice Donatella Sciuto.
Il THE Impact Ranking 2023 prevede che ogni università scelga da sola almeno 4 obiettivi di sviluppo sostenibile sui quali vuole confrontarsi. La graduatoria valuta l’impatto della ricerca e dell’insegnamento relativi agli SDGs, la gestione responsabile delle risorse dell’ateneo da parte di staff, docenti e studenti, e il coinvolgimento attivo degli stakeholder nazionali, utilizzando indicatori quantitativi come citazioni e pubblicazioni ma anche informazioni sui programmi attivi dell’università.
Il Politecnico di Milano ha come parte integrante della sua missione universitaria la collaborazione con la società per aiutarla a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile a livello globale, nazionale e locale, dimostrando l’importanza dell’università contesto comunitario di riferimento e nell’ambito accademico internazionale.
Si stanno per concludere i cinque progetti di ricerca a tema «Equità e Ripresa» selezionati dal Polisocial Award 2021 e finanziati grazie alle donazioni del 5 per mille al Politecnico. L’emergenza sanitaria derivata dalla pandemia ha contribuito ad acuire squilibri e marginalità e a rendere concreto il rischio di un aumento delle disparità; per questo, i progetti finanziati hanno agito in una prospettiva di ripresa economica, sociale e culturale, promuovendo lo sviluppo di metodi, strategie, strumenti e tecnologie tesi a ridurre le disuguaglianze e a favorire l’accesso a risorse e opportunità da parte di persone, categorie sociali o comunità particolarmente vulnerabili.
Il progetto Co-WIN ha messo a punto due esperienze pilota per il recupero e la valorizzazione degli immobili confiscati alla criminalità organizzata. Ce lo racconta Andrea Campioli, Preside della Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni del Politecnico di Milano e responsabile scientifico del progetto: “Abbiamo seguito i lavori di recupero di beni immobili confiscati alla mafia per restituirli alla società riqualificati dal punto di vista edilizio. Abbiamo attivato, in questi contesti, esperienze di cantiere-scuola, coinvolgendo, nel lavoro in cantiere, una quota di soggetti fragili (per esempio immigrati o persone che hanno perso l’impiego) a cui abbiamo offerto un percorso di riqualificazione professionale prima dell’inizio dei lavori, e una quota di studenti universitari per garantire loro un’esperienza “on the job””.
COME FUNZIONA LA CONFISCA DEGLI IMMOBILI
L’iter normativo è il seguente: a seguito di un processo giudiziario, i beni immobili vengono confiscati (generalmente l’intero procedimento richiede otto anni di tempo) e l’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC) li destina ai diversi comuni. I comuni lombardi (campo di indagine considerato nella ricerca) possono partecipare a un bando di finanziamento regionale per la riqualificazione dei beni immobili ricevuti in proprietà: “Regione Lombardia si fa carico di sostenere il 50% delle spese di ristrutturazione, all’interno di un budget prestabilito e previa presentazione di un progetto”, spiega Campioli. Gli immobili confiscati alla mafia sono generalmente di piccole dimensioni: box, autorimesse, appartamenti, ville bifamiliari e ville singole. Solo in Lombardia ce ne sono oltre 3.200, 1.242 dei quali assegnati ai comuni per la riqualificazione.
Qui subentra Co-WIN, che propone la messa a punto di un rapporto di cooperazione “win-win” tra i diversi soggetti coinvolti: la pubblica amministrazione, i soggetti in formazione, gli enti di formazione, le imprese di costruzioni, la collettività). “Nei due progetti pilota di cui ci stiamo occupando, una serie di villette a schiera a Gerenzago (PV) e una masseria a Cisliano (MI), sono stati coinvolti come tirocinanti degli studenti del Politecnico di Milano, che si sono occupati di seguire – direttamente negli uffici comunali − la procedura necessaria alla riqualificazione dei beni e apprendere la professione in cantiere, affiancando il Direttore dei Lavori”. Una volta riqualificati, i beni vengono restituiti alla collettività: “Generalmente vengono ceduti a soggetti del Terzo Settore con una vocazione sociale, come ad esempio associazioni e ONLUS, oppure vengono concessi in uso a famiglie bisognose”, spiega Campioli.
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE DI SOGGETTI FRAGILI
Un importante aspetto sociale del progetto è quello del coinvolgimento di soggetti fragili nei lavori in cantiere: “La nostra idea è dare loro la possibilità di qualificarsi professionalmente per poi entrare nel mercato del lavoro”, ci dice Campioli. “Abbiamo stipulato una convenzione con ESEM-Cpt (Ente Scuola Edile Milanese) per garantire a queste persone di seguire a titolo gratuito corsi di formazione abilitanti e professionalizzati al lavoro nei cantieri edili”. Ma trovare soggetti disponibili non è stato così semplice come previsto: “In questa fase abbiamo coinvolto il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA), un’associazione che si occupa della accoglienza e dell’inserimento lavorativo di soggetti fragili, e l’ENAIP (enti di formazione professionale),ma forse abbiamo sbagliato la modalità di veicolazione delle proposte di tirocinio: ad esempio abbiamo proposto sei mesi di tirocinio, ma molti immigrati hanno la possibilità di vivere nei centri di accoglienza per soli tre mesi prima di trovarsi a dover essere economicamente indipendenti, per cui non possono permettersi di partecipare a programmi di formazione così lunghi e per esigenza si rivolgono al mercato del lavoro in nero. Ora abbiamo riformulato i termini del percorso di tirocinio extra-curriculare in modo diverso e abbiamo ricevuto diverse candidature”.
UN MODELLO VIRTUOSO E REPLICABILE
Il progetto è in dirittura d’arrivo: il team di ricerca ha ottenuto una proroga di quattro mesi sulla scadenza ufficiale (fissata per il prossimo 15 giugno), per poter così seguire i lavori nei due cantieri-pilota. Entro ottobre tutto dovrebbe essere definitivamente concluso.
L’idea del progetto Co-WIN è produrre un modello replicabile poi in tutta Italia, per consentire l’attivazione sistematica di ulteriori esperienze di cantieri-scuola: “Vogliamo che si possa prescindere dalla presenza del Politecnico: stiamo cercando di produrre la documentazione necessaria da presentare a Regione Lombardia affinché il nostro progetto non rimanga un unicum”.
Tra i partner coinvolti ve n’è anche uno industriale, che ha donato materiale edile alle imprese che si occupano dei lavori: per le industrie è un ritorno di immagine in termini di sostenibilità sociale. “L’idea, in futuro, è anche quella di costituire un albo delle industrie disponibili a cedere materiale gratuitamente”. Il progetto verrà presentato il 21 e 22 aprile a Napoli, nell’ambito del Secondo Forum Espositivo sui beni confiscati.
Si è svolto il secondo meeting del progetto SafeCREW (https://safecrew.org/), finanziato dall’Unione Europea nell’ambito dei bandi Horizon Europe, che intende supportare l’applicazione della nuova direttiva europea sull’acqua potabile (Drinking Water Directive, DWD) generando conoscenze avanzate e sviluppando strumenti e linee guida per la gestione dei sistemi di produzione e distribuzione di acqua potabile, in breve i sistemi acquedottistici, disinfettati e non disinfettati.
La fornitura di acqua potabile sicura in quantità sufficiente è essenziale per la salute umana e riguarda 4 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG) definiti dalle Nazioni Unite. Sia le acque superficiali che quelle sotterranee sono risorse essenziali per l’approvvigionamento di acqua destinata al consumo umano in tutta l’Unione Europea. Mentre si pone grande attenzione alla disponibilità di acqua, minacciata da sempre più frequenti periodi di siccità, sono del tutto trascurate le conseguenze del cambiamento climatico sulla qualità dell’acqua approvvigionata, sui processi necessari per la sua potabilizzazione e sul mantenimento della qualità potabile lungo la rete di distribuzione.
Nonostante la lunga esperienza sull’affidabilità di funzionamento dei sistemi acquedottistici, gli impatti del cambiamento climatico sulla qualità dell’acqua impongono di affrontare nuove e molteplici sfide: la (futura) necessità di disinfezione, la stabilità microbica in rete di distribuzione, la formazione di sottoprodotti di disinfezione (DBPs), con potenziali effetti sulla salute umana.
Le aziende del servizio idrico integrato devono rispondere a queste sfide, sia nel breve che nel lungo termine, per una gestione ottimale degli attuali sistemi acquedottistici, che minimizzi il rischio per i consumatori, garantendo acqua potabile sicura anche in scenari di cambiamento climatico.
Attualmente, i sistemi acquedottistici sono assai diversificati per fonte di approvvigionamento, processi di potabilizzazione, caratteristiche delle reti di distribuzione, dovendo perciò fronteggiare criticità molto diverse per fornire acqua potabile sicura. SafeCREW affronta tali criticità, concentrandosi sul processo di disinfezione, le sue conseguenze e la riduzione al minimo dei dosaggi di disinfettante e la formazione di DBPs. Inoltre, affronta la potenziale necessità di disinfezione in sistemi acquedottistici attualmente non disinfettati.
Quattro casi di studio in tre paesi europei sono stati scelti come rappresentativi (Amburgo, Berlino, Milano, Tarragona) per sviluppare strumenti tecnologici e modellistici per gestire trattamento e distribuzione, con un approccio multidisciplinare che consenta di agire sull’intero sistema acquedottistico, dalla fonte di approvvigionamento al trattamento di potabilizzazione, dalla distribuzione fino al consumatore.
In dettaglio, saranno migliorati i metodi di caratterizzazione chimica e microbiologica della qualità dell’acqua, create banche dati sulla presenza, concentrazione e tossicità di DBPs finora sconosciuti, identificati protocolli di valutazione dei materiali in contatto con l’acqua, sviluppate soluzioni di trattamento innovative e sostenibili per rispondere attivamente alle minacce identificate, ottimizzata la gestione delle reti di distribuzione che non possono più essere viste solo come infrastrutture passive deputate al trasporto dell’acqua, definite procedure di valutazione del rischio che integrino gli effetti di miscele di contaminanti chimici e microbiologici.
SafeCREW vuole fornire strumenti trasferibili agli attori coinvolti (gestori dei servizi idrici, regolatori nazionali/UE, ricercatori, imprese), tra cui:
metodi affidabili per valutare la stabilità microbica, caratterizzare la sostanza organica naturale (Natural Organic Matter, NOM), rilevare i DBPs e tenere conto della loro tossicità per la salute umana;
protocolli sperimentali per selezionare i materiali più adeguati al contatto con acqua disinfettata e non disinfettata;
strumenti di monitoraggio e modellazione, anche sfruttando il machine learning, per l’ottimizzazione in tempo reale della gestione dei sistemi acquedottistici;
procedure integrate di valutazione del rischio, per guidare i futuri interventi di adeguamento dei sistemi acquedottistici disinfettati e non disinfettati, affinché continuino a fornire acqua potabile sicura anche in scenari di cambiamento climatico.
SafeCREW aumenterà la preparazione del settore idrico dell’Unione Europea alle sfide derivanti dal cambiamento climatico, e supporterà i leader dell’UE nell’elaborazione di politiche basate sulla scienza per la protezione dei consumatori di acqua potabile.
Il progetto SafeCREW unisce in partenariato 11 organizzazioni europee: oltre al Politecnico di Milano, il Centro di Ricerca DVGW (German Technical and Scientific Association for Gas and Water, Capofila) e Tutech Innovation GmbH, entrambi della Hamburg University of Technology (TUHH) (Germania), Kompetenzzentrum Wasser Berlin (KWB) (Germania), BioDetection Systems b.v. (BDS) (Paesi Bassi), EURECAT Technologic de Catalunya (Spagna), Umweltbundesamt (UBA) (Germania), Consorci d’Aigües de Tarragona (CAT) (Spagna), Metropolitana Milanese SpA (Italia), Umweltforschungszentrum Leipzig (Helmholtz Centre for Environmental Research, UFZ) e Multisensor Systems Ltd. (MSS) (Regno Unito).
In SafeCREW il Politecnico di Milano porta competenze multidisciplinari grazie alla collaborazione di ricercatori di quattro dipartimenti: Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale (DICA, prof. Manuela Antonelli), Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegnera Chimica “Giulio Natta” (DCMC, prof. Carlo Punta), Dipartimento di Matematica (DMAT, prof. Ilenia Epifani) e il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria (DEIB, prof. Francesco Trovò).
“Dal mondo antico, i tropici sono stati ampiamente riconosciuti come simbolo di bellezza esotica, animali pericolosi e vegetazione rigogliosa. Raffigurata come un luogo lontano, con storie, lingue e culture diverse, questa zona geografica rappresenta una miscela di qualità che definiscono la natura fantastica e misteriosa della realtà. Spesso considerati dal punto di vista occidentale come un ambiente ostile al progresso, i tropici rappresentano tutto ciò che l’Europa e gli Stati Uniti non sono (Lasso, 2019), l’antitesi della modernità civilizzata. L’esposizione del Padiglione panamense dovrebbe fornire una contro-narrazione a questo status quo, con Panama come caso studio per una visione futura di una nazione ‘tropicale’, recuperando e collegando le sue varie influenze storiche”. – Aimée Lam Tunon, curatore della mostra
SALA 1: SEPARAZIONE PER IL CONTROLLO
Per oltre 500 anni, l’istmo di Panama, una sottile striscia di terra meglio conosciuta come “il ponte di terra tra due oceani”, si è dimostrato una regione di importanza geopolitica globale nel settore dei trasporti. Sin dai primi colonizzatori europei, la storia panamense è stata plasmata dal tema ricorrente del commercio. Con la scomparsa dell’influenza spagnola e il controllo coloniale sulla regione all’inizio del XIX secolo, altri paesi iniziarono a perseguire i loro interessi economici attraverso la costruzione di un canale che collegasse i due oceani. Un primo tentativo fu guidato dai francesi: con un bilancio di oltre 22.000 morti, principalmente causati da malaria e febbre gialla, Panama fu immortalato come un luogo di pericolo e malattia. Dopo il fallimento dei francesi, gli Stati Uniti entrarono nella nuova nazione di Panama con una visione distintiva dell’amministrazione imperiale: la Zona del Canale di Panama.
Più che una colonia, si trattava di un’enclave ingegneristica, una striscia di terra di dieci miglia destinata a contrapporsi al suo ambiente naturale e sociale, definendo un paesaggio di modernità. All’interno di questi confini, una narrativa e un’ideologia di “altro” portarono alla delimitazione di zone sanificate, all’addomesticazione della giungla, alla segregazione razziale e alla depopolazione della “zona” da parte dei panamensi e delle loro città. Questa “zona cuscinetto” di protezione tra il colonizzatore e il colonizzato è una struttura architettonica in grado di attivare discorsi più ampi di uguaglianza, potenziamento e identità in un ambiente in continua evoluzione. Crea uno spazio liminale in cui il rapporto con la terra – che è minacciato perché la comunità è alienata – diventa fondamentale, smette di essere meramente decorativo ed emerge come un personaggio completo (Glissant, 1989).
La prima stanza sposterà l’attenzione dei visitatori sugli impatti di questi interventi di controllo e separazione (zone) che definiscono la ex Zona del Canale di Panama. Insetti e zanzare di Venezia sono invitati nello spazio attirati dalle apposite luci blu. Le ombre danzanti di questi insetti sulle pareti collegano la prospettiva del colonizzatore con l’allegoria della caverna di Platone: le moderne supposizioni sui “tropici” sono esposte come mere illusioni osservate da lontano.
IL CORTILE: IL PERCORSO MAGICO SOTTO LA SUPERFICIE
I ricordi influenzano l’autoidentificazione e forniscono continuità tra passato, presente e futuro. Diventano allusioni, echi e reminiscenze che creano molteplici connotazioni, definendo la complessità dell’organismo architettonico. Dato il potere del modernismo nell’eliminare le storie e le lingue indigene, le comunità locali panamensi sono state perse nel processo di costruzione del canale, con il risultato della dominazione di un’ideologia singolare di progresso umano, ordine e controllo.
La distruzione di piccoli villaggi, aree storiche, insediamenti rurali e paesaggi panamensi, ha evocato sentimenti di nostalgia per l’ambiente che era e il desiderio di preservarne l’immagine nella memoria collettiva, il che si riflette nel tema ricorrente del paesaggio nella letteratura panamense. “Gli scrittori caraibici hanno sempre avuto a disposizione solo un referente per plasmare il tema e il linguaggio delle loro opere: il paesaggio – insulare, oceanico, lussureggiante, misterioso e sempre resistente alla conquista e all’appropriazione tramite mappe o descrizioni “realistiche”. (…) Questo è uno dei precetti fondamentali del testo magico-realista. Solo la magia e il sogno sono veri perché sono gli unici elementi discorsivi capaci di presentare l’impresentabile, di parlare dell’indicibile dove il testo realistico fallisce”. (Arva, 2010) Seguendo questa linea di pensiero, il cortile fornirà uno spazio sicuro per la riflessione, evitando il confronto diretto con il trauma coloniale, al fine di sovvertire la percezione occidentale dei ‘tropici’ come terra ‘magica’. Alberi recuperati dalle acque dei laghi artificiali di Panama consentiranno ai visitatori di interfacciarsi indirettamente con la storia traumatica delle comunità cancellate attraverso la costruzione del canale (Lasso, 2019).
SALA 2: SEPARAZIONE PER PROTEZIONE
L’Isola di Barro Colorado (BCI) è uno spazio unico, una collina isolata nel mezzo del Canale di Panama quando le acque del fiume Chagres furono sbarrate per creare il Lago di Gatun, il principale passaggio della via navigabile. Riservata dallo Smithsonian Tropical Research Institute come riserva naturale dal 1923, oggi, esattamente 100 anni dopo, quest’ isola è la foresta tropicale più studiata al mondo. Spesso pubblicizzata come un “archivio” scientifico vivente e un “laboratorio” in cui il paesaggio è diventato sia oggetto che deposito di conoscenze scientifiche.
Discutendo le presunte prospettive opposte nei confronti di BCI come “un frammento di autentica natura tropicale che si trova al crocevia del mondo” e la sua posizione come “ombra della ex Zona del Canale”, questa ultima sala dell’esposizione metterà in discussione la storia, l’inclusività e l’eredità di questa stazione tropicale.
Qual è il suo ruolo nella conservazione della biodiversità locale e globale e nella ricerca ecologica? La sala sarà uno spazio di ascolto, per riflettere criticamente sulle connessioni tra controllo e protezione e per immaginare una visione futura per la scienza e la modernità in Panama e oltre.
L’iniziativa ha riguardato diversi ambiti di specializzazione, come ingegneria aerospaziale, meccanica o dei materiali. Cinque ragazze e 29 ragazzi, tutti giovani laureati già dipendenti Pirelli, cui è stata offerta la possibilità di arricchire la propria formazione all’avvio del loro percorso professionale nel team di Ricerca & Sviluppo di Pirelli.
Alla cerimonia ha partecipato Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano, con Andrea Casaluci, General Manager Operations di Pirelli, Piero Misani, Executive Vice President Research and Development and Cyber di Pirelli, e Davide Sala, Chief HR e Organization Officer di Pirelli.
Credits: La Repubblica
“Formazione e ricerca sono i presupposti di uno sviluppo industriale che guarda al futuro“, ha affermato Edoardo Sabbioni, Docente del Politecnico di Milano e Direttore Scientifico del Master. “Questo Master coglie appieno tali aspetti promuovendo una formazione trasversale e una visione sistemica in grado di coniugare gli elementi di progettazione, produzione e testing del pneumatico attraverso la conoscenza della dinamica del veicolo a supporto di una loro virtualizzazione e quella di materiali e processi per garantire uno sviluppo sempre più sostenibile. Durante il Master, ho visto una grande crescita degli studenti che ha raggiunto la sua migliore espressione con i project work, attraverso i quali hanno sintetizzato le competenze acquisite dalle diverse aree di apprendimento e le hanno applicate in modo critico e creativo a situazioni di vita reale, coniugando i background dei diversi componenti dei gruppi di lavoro.”
Piero Misani, Executive Vice President Research and Development and Cyber di Pirelli, ha affermato: “La complessità del pneumatico oggi è tale da richiedere un livello di specializzazione altissimo e un tempo di sperimentazione il più breve possibile. Solo con competenze digitali sempre nuove e aggiornate possiamo competere sul mercato da protagonisti. E questo master ci ha consentito di consegnare un know-how imprescindibile a questi 34 ragazze e ragazzi che già oggi stanno ripagando l’azienda conseguendo risultati importanti“.
Il progetto, che si inserisce nell’ambito dell’ormai storica collaborazione fra Pirelli e Politecnico di Milano finalizzata alla generazione di tecnologie all’avanguardia, si è focalizzato sulle competenze di prodotto del settore automotive, in particolare sulla progettazione e produzione di pneumatici del futuro e sulla conoscenza della dinamica del veicolo. Tutti elementi indispensabili per un utilizzo sempre più diffuso della virtualizzazione, ormai necessario per lo sviluppo dei pneumatici più innovativi e per una collaborazione proficua con le case automobilistiche.
Il Master, che ha visto gli studenti impegnati in didattica e laboratori, si è sviluppato su 5 moduli disciplinari su diverse aree tematiche: dalla conoscenza approfondita del pneumatico (forze, prestazioni, progettazione, prove, ecc…) alle tecnologie “smart tyre”, dallo studio dei materiali ai processi di produzione, ma anche dall’approfondimento delle problematiche ambientali fino alle tecniche di machine learning o all’analisi di dati. Le lezioni, che si sono in parte tenute all’interno del Learning Hub del nuovo Building Cinturato di Pirelli in Bicocca dedicato alle attività di formazione del gruppo e presso i laboratori della Ricerca e Sviluppo, si sono poi concluse con un project work aziendale elaborato in piccoli gruppi di studenti con il proprio tutor e un team dedicato con l’obiettivo di trovare ed evidenziare le principali connessioni tra argomenti innovativi, strategici e di crescita per l’azienda.
Il Master “R&D EXCELLENCE NEXT” è uno degli esempi del legame tra Pirelli e il mondo universitario e rafforza il suo modello di open innovation che oggi vede l’azienda al lavoro su circa 65 progetti con 18 Università. Le collaborazioni con il mondo accademico integrano e completano la Ricerca & Sviluppo di Pirelli, con i suoi 13 centri di ricerca interni che occupano oltre 2mila persone a livello mondiale.
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