Abbiamo avuto anni turbolenti (a dir poco). Lungi dall’essere spaesati, gli Alumni del Poli cavalcano le onde di questa complessità: pianificando dove si può, preparandosi a repentini cambi di scenario e scommettendo (ma con cognizione di causa!) sul prossimo trend. E sulla tecnologia: dal deep tech all’IoT, dalla manifattura 4.0 alla piena automazione, dall’evoluzione dei servizi alla rivoluzione delle telecomunicazioni… “WHAT, NOW?” è una serie di interviste a Alumni in posizioni apicali nel panorama delle imprese, della cultura e della tecnologia, che si chiedono: cosa dobbiamo aspettarci, adesso?
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Il bisnonno faceva impastatrici per lavorare la pasta. Dalle trafilatrici agli impianti per la lavorazione di cavi in metallo, il passo è tutt’altro che breve: oltre 120 anni di storia, per la precisione. Oggi MFL, fondata da Mario Frigerio nel 1897, è una multinazionale di ingegneria con 450 dipendenti, un fatturato consolidato di 100 milioni di euro e sedi, oltre che in Italia, anche in Germania, Spagna, Cina e Stati Uniti. Il core business è la progettazione e produzione di macchinari per la produzione di cavi, fili e funi di acciaio, alluminio e rame. Macchinari prodotti interamente in Europa ed esportati in tutto il mondo.
“Cavi, funi e fili di metallo si trovano ovunque”, ci spiega l’ing. Lucia Frigerio (bisnipote di Mario e Alumna in Ingegneria Meccanica), oggi alla guida del gruppo, rimasto sempre nelle mani della famiglia attraverso numerose trasformazioni. Si trovano ovunque, letteralmente: nelle pagliuzze delle spugne, nelle grucce per gli armadi (a Milano si chiamano “omètti”), nei cavi che fanno funzionare ascensori, gru, funivie, montacarichi, nei muri delle nostre case e nel cemento armato, nei ponti, e ancora in qualsiasi apparecchio elettronico, nelle reti di distribuzione di energia, nelle reti di telecomunicazione.
“C’è l’acciaio a basso tenore di carbonio che è usato nelle produzioni a basso valore aggiunto, appunto quelle domestiche che hai citato come le spugne, ma anche i carrelli per il supermercato, chiodi ecc. L’acciaio a alto tenore di carbonio è usato soprattutto nel mondo delle costruzioni. Rame e alluminio invece nel mondo delle telecomunicazioni e della trasmissione di potenza, sia reti energetiche che veicoli”. Sono i fili di cui è intessuto il mondo che abbiamo costruito intorno a noi. MFL group produce le macchine per “filarli”.
“Un impianto come il nostro ha una durata media di 30 anni, infatti non è che ne vendiamo tutti i giorni. Ovviamente copriamo manutenzione e retrofitting, li diamo per scontati, ma il nostro mercato principale, oggi, serve l’aumento di capacità produttiva dei nostri clienti (appunto i produttori di questi fili, come per esempio Prysmian, un gigante cresciuto in un mercato frammentato come quello italiano). Sono materiali che si consumano, quindi la produzione è costante”. E il mercato anche. Costante, affidabile e prevedibile, o almeno lo è stato fino a un paio di anni fa. Ma Frigerio non si è fatta cogliere impreparata. “La nuova frontiera della manifattura è di servitizzare le macchine. Cioè, ti vendo l’asset, ma questo asset è dotato della capacità di darti delle informazioni preziose tanto quanto il prodotto che producono”.
Di per sé, non è una novità: è una tendenza che nasce già negli anni ‘70, ma naturalmente la quantità e qualità dei dati che possiamo raccogliere oggi sono infinitamente più ricche. In potenza, quanto meno. Ed è un mondo in crescita. “Sapendo questo, sono anni che lavoriamo per arricchire ancora l’insieme di informazioni che le nostre macchine possono restituire, in modo di aiutare sia i nostri clienti sia noi a prendere delle decisioni strategiche. La novità in questo tipo di manifattura è che non vogliamo dare un servizio one-shot, ma una sorta di abbonamento, sul modello delle società high-tech e deep-tech”.
Secondo questo modello, spiega Frigerio, MFL gestirebbe i server con i dati estratti dalle macchine connesse.
“Oltre vendere il macchinario, otterremmo un ricavo ricorrente sulla stessa vendita, in cambio di informazioni in real time sul funzionamento, per esempio per diagnostica o previsione del rischio, e di interventi tempestivi in caso di segnalazione automatica di problemi. Questo è il prossimo futuro, se pensiamo nel breve termine. Pensando a uno step ancora successivo, a un medio termine (5-10 anni), questo investimento ci avrà permesso di raccogliere moltissime informazioni. E quindi usarle per strutturare degli algoritmi predittivi, non solo per rilevare tempestivamente i problemi ma per anticiparli, per pianificare investimenti strategici, per avviare campagne di ricerca e sviluppo”.
Il “WHAT, NOW?”, quindi, va nella direzione di una sempre maggiore interazione tra manifattura e intelligenza artificiale. “Sì, ma non solo. Il punto è l’interazione uomo-macchina, o meglio, sistema-macchina. Non è più una questione di automazione della manifattura, ma di condivisione di razionalizzazione di tutta la filiera produttiva, da chi estrae la materia prima, all’acciaieria, attraverso di noi che fabbrichiamo le macchine, al produttore di cavo e infine a chi lo usa: tutta la catena del valore beneficerebbe di questa regia. E oggi non esiste”.
Perché non esiste?, chiediamo a Frigerio. “La tecnologia per farlo c’è, ma serve un cambio di mentalità, di paradigma. Proporre la vendita di servizi digitali, per chi è un produttore di macchine, è complicato: perché tu sei abituato a vendere “ferro”. Da lì, a vendere un servizio digitale impalpabile, ne corre. E prima di convincere il cliente, che pure è abituato a comprare “ferro” e che spesso in fabbrica non ha nemmeno il 56 K, devo convincere i miei venditori che il prodotto principale non è più la macchina ma il servizio, il cloud, la regia di filiera. È quella la direzione in cui voglio portare il gruppo”. E come sta andando? “Bene, per gli obiettivi che ci siamo posti in questi primi anni: cioè, fare il pitch, come dicono gli americani, innumerevoli volte, a prescindere dalla situazione.
Lo sforzo dei miei commerciali è stato quello di capire che non importa se il cliente è interessato o no, noi dobbiamo proporre questa regia, e soprattutto dobbiamo capire come viene recepita. È l’unico modo in cui si può avere la sensazione di come andare sul mercato. 20 anni fa, fatto 100 il valore di una macchina, il cliente percepiva che il 90% era costituito dal mezzo e il 10% dall’automazione. Oggi la proporzione è 30% il mezzo, 30% l’automazione e 30% i servizi. È il caso Tesla: non la compro per la meccanica, che è brutta, fatta male, si rompe. La compro perché è un computer con 4 ruote e mi offre dei servizi, e sono questi servizi che io pago annualmente. Il concetto è quello: siamo ancora in una fase molto precoce, ancora prima che embrionale. Ma ci abbiamo scommesso tanto e abbiamo investito in una società terza che si occupa proprio di questo. Stiamo seminando, prima o poi il fiore nascerà sicuramente”.
Quindi la prossima rivoluzione tecnologica, secondo Frigerio, non sarà una tecnologia o un insieme di tecnologie, ma l’integrazione reale e completa di tecnologie che già esistono. Un salto molto più lungo di quello che possiamo immaginarci quando, semplicemente, pensiamo alla guida autonoma o ai computer quantistici. E, a proposito di Tesla, tradizionalmente il mercato dell’automotive è quello che spinge l’innovazione industriale, una sorta di cartina tornasole del progresso tecnologico. Ma è ancora così?
“Secondo me no”, conclude Frigerio: “l’automotive sta perdendo questo primato. Non perché ce ne sia un altro, ma perché non ci sarà più nessun prodotto capace di essere all’avanguardia. Il tempo di produrlo ed è già obsoleto. Il prodotto fisico sarà una commodity, il vero prodotto vendibile sarà il nostro modo di interagirci”.
Approfondiremo questi argomenti nell’11° Convention degli Alumni del Politecnico di Milano. Iscriviti all’evento in presenza.
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