L’Alumnus Renzo Piano dona il suo archivio al Politecnico di Milano 

La Fondazione Renzo Piano ha inaugurato una nuova sede all’edificio Nave, nel cuore del Campus Leonardo

“Devo tutto all’Università: è lì che sono cresciuto davvero. Che ho imparato tutto”. Così Renzo Piano spiega al Corriere della Sera la sua decisione di donare al Politecnico di Milano il suo archivio, che ha trovato casa al primo piano di uno degli edifici più celebri e amati dagli Alumni, la Nave. 

Qui sono stati riservati 350 metri quadrati alla Fondazione Renzo Piano tra schizzi, disegni e dossier cartacei, che diventeranno una miniera d’oro per gli aspiranti architetti dell’Ateneo.  Lo spazio ospita, come dichiara la Fondazione su Linkedin, “una biblioteca, il fondo ‘Archivio Renzo Piano Architetto 1964 – 1977′ e spazi flessibili dedicati ad attività di laboratorio, studio, incontri e lezioni, per avvicinare in maniera diretta i giovani all’esperienza di oltre 60 anni di ‘fare architettura’ di Renzo Piano e dei suoi collaboratori.” 

archivio renzo piano
Credits: Fondazione Renzo Piano

Ma la presenza dell’Alumnus al Politecnico di Milano sarà anche fisica. Per cinque anni Piano vestirà, per la prima volta nella sua carriera, anche i panni dell’insegnante: 

“So quanto sia importante la cultura pedagogica italiana che accende la creatività nascosta nei giovani, da don Milani a Mario Lodi, da Loris Malaguzzi a Franco Lorenzoni: non so se ne sarò all’altezza. Tranne una breve esperienza all’Architectural Association School di Londra, ho tirato su nel mio studio e nel mio ufficio al Senato un sacco di giovani architetti, ma non ho mai ‘insegnato’ davvero. Ho però un sacco di storie da raccontare, storie vere. Che potrebbero essere interessanti” 

racconta l’Alumnus al Corriere della Sera. E aggiunge: 

“Partirò dai miei errori. Vorrei confessare reticenze, omissioni… Se riesco a essere sincero fino in fondo, perché i ventenni se ne accorgono subito quando li imbrogli, possono succedere cose miracolose. La prima sarebbe distruggere la distanza tra me e i giovani. Abbattere il muro di soggezione, diciamo pure di riverenza, che spesso esiste verso uno come me. E loro potranno sentirsi liberi di intervenire, far domande, criticare”. 

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