“In passato, su queste pagine, abbiamo parlato di ricerca e delle tante prospettive in campo europeo. Abbiamo raccontato di POP, il programma di pari opportunità lanciato qualche anno fa. Abbiamo raccolto consensi intorno alle iniziative avviate insieme, come il volume Alumnae, dedicato alle ingegnere. Non meno importante, ci siamo guardati dritti negli occhi e ci siamo stretti la mano in diverse occasioni, come la Convention… Insomma, sono «una di casa»”, così apre la rettrice Donatella Sciuto su MAP 12, nel suo primo editoriale che scrive nel suo nuovo ruolo. “Vi confesso che, quando ho deciso di candidarmi alla guida di un’università che compie 160 anni, ho pensato a lungo a cosa avrei potuto aggiungere a un’organizzazione che è già molto ben posizionata in Italia e nel mondo, che raggiunge standard internazionali all’interno delle proprie aule e dei propri laboratori, che è un punto di riferimento per l’innovazione delle imprese e del territorio”.
Ma le donne e gli uomini politecnici sono abituati ad alzare sempre un po’ la proverbiale asticella. “Il Piano Strategico 2023-2025 è una bussola con quattro punti cardinali: persone, formazione, ricerca e responsabilità sociale. Un promemoria di cui abbiamo fissato con esattezza l’obiettivo. La nostra missione è infatti quella di puntare a una crescita sostenibile e inclusiva che valorizzi talenti e competenze. Che incida in modo significativo sul progresso sociale e culturale del Paese. Che rinsaldi la dimensione etica come punto cardine del nostro operato”.
Nella nuova classifica dedicata all’Europa del QS University Rankings, il Politecnico di Milano ottiene la 47° posizione, nel Top 7% delle migliori università presenti in graduatoria, che sono 690 in totale.
Il Politecnico, inoltre, si conferma primo in Italia. Un risultato ottenuto grazie a fattori significativi che hanno contribuito al conseguimento di questa collocazione. Il Politecnico di Milano si posiziona tra le prime università in Europa e prima in Italia per Employer Reputation, un indicatore che valuta le opinioni dei datori di lavoro a livello globale, su come le università formano i laureati per il mondo del lavoro.
Il Politecnico viene premiato anche nell’Academic reputation, basato sulle risposte al sondaggio di migliaia di accademici chiamati a stilare l’elenco delle Università più autorevoli nella propria disciplina scientifica.
I dati confermano l’ottima performance del Politecnico di Milano, che si posiziona tra le prime 20 università al mondo nei campi del Design, dell’Architettura edell’Ingegneria, secondo la classifica delle migliori università per ambito disciplinare, il QS World University Rankings by Subject 2023, pubblicato nel marzo scorso. Nel Design e nell’Architettura, il Politecnico si classifica rispettivamente all’8° e al 10° posto, mentre per quanto riguarda l’Ingegneria si classifica tra le prime 20 università al mondo, attestandosi in 18° posizione.
Vinti al Politecnico di Milano 3 ERC Starting Grant 3 giovani ricercatori dell’Ateneo si aggiudicano il prestigioso finanziamento europeo del valore di 1,5 milioni di Euro
Si chiamano HÈRMES, MINIONS e EOS e sotto questi acronimi, fra il cartone animato e il mitologico, si celano i tre progetti di ricerca di eccellenza su cui lavoreranno i giovani ricercatori del Politecnico di Milano vincitori del prestigioso ERC (European Research Council) Starting Grant da 1,5 milioni di Euro in 5 anni.
Tutti e tre i progetti hanno applicazioni nel mondo biomedicale dalla lotta ai tumori attraverso la fluorescenza e la radioterapia all’utilizzo dei batteri come vettori di farmaci. Giulia Acconcia del DEIB (Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria) mira con la sua ricerca a rivoluzionare le tecniche di misura non invasiva per acquisire in tempo reale immagini 3D e 4D; Chiara Paganelli (DEIB) sviluppa nuovi approcci modellistici che rivoluzionano la radioterapia contro i tumori localizzati, e Giuseppe Maria Paternò (Dipartimento di Fisica) rende i batteri sensibili alla luce ed esplora la possibilità di utilizzarli come vettori di farmaci in parti del corpo difficilmente raggiungibili, come il tratto gastrointestinale.
“Il nostro Ateneo celebra con grande soddisfazione il brillante risultato raggiunto dai nostri promettenti giovani ricercatori – commenta Paolo Biscari, delegato della Rettrice allo Sviluppo dei talenti. L’acquisizione di ben tre progetti ERC Starting Grant finanziati, con un tasso di successo in questa call del 37,5%, ben superiore al tasso di successo medio di questi progetti, conferma che i ricercatori reclutati negli ultimi anni hanno già raggiunto livelli di indipendenza ed eccellenza internazionale nella ricerca. In linea con il nostro Piano Strategico 2023-2025, il sostegno alla ricerca innovativa e indipendente dei giovani studiosi è uno degli obiettivi fondamentali del Politecnico di Milano”. Il progetto HÈRMES (High-speed timE Resolved fluorescence iMaging with no pilE-up diStortion) mira a sviluppare dei sensori di luce estremamente sensibili per la chirurgia guidata dalla fluorescenza. Questa tecnologia consentirà ai chirurghi di intervenire anche sulle singole cellule durante le operazioni più delicate, come la rimozione dei tumori al cervello, minimizzando così gli effetti collaterali sul paziente.
Giulia Acconcia cresciuta a Spoleto ha conseguito la laurea magistrale in Electronics Engineering e il dottorato di ricerca in Information Technology presso il Politecnico di Milano, dove è attualmente ricercatrice senior e assistant professor. MINIONS – (Patient-specific Microstructural and radIobiological model for persoNalised external beam radiation therapy in localised tumourS) propone invece un nuovo approccio modellistico per la cura del cancro attraverso la pianificazione e l’adattamento radioterapico pazientespecifico. Il modello permetterà di considerare le caratteristiche microscopiche del tumore e la sua interazione con il fascio di radiazioni, sviluppando trattamenti biologicamente guidati per ciascun paziente. Il progetto avrà impatto in diversi campi, come la bioingegneria, la fisica medica, la radiobiologia, la radiologia e l’oncologia, verso lo sviluppo di trattamenti biologicamente mirati che permetteranno di aumentare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti.
Chiara Paganelli, ha conseguito il dottorato in Bioengineering presso il Politecnico di Milano, dove ora è ricercatore senior e assistant professor. Lavora nel laboratorio CartCasLab (https://www.cartcas.polimi.it/) dove svolge attività di ricerca relative alla radioterapia guidata dalla risonanza magnetica. Il progetto EOS (Engineering Of bacteria to See light) propone una nuova strategia per rendere i batteri capaci di percepire stimoli luminosi. Nello specifico accoppierà i batteri con materiali fotosensibili in grado di trasformare l’energia della luce in potenziale elettrico, che i batteri a loro volta sfruttano per compiere attività biologiche, come la proliferazione ed il moto. EOS esplorerà la possibilità di utilizzare i batteri come vettori fotoguidati di farmaci in parti del corpo difficilmente raggiungibili, come il tratto gastrointestinale.
Un’altra importante applicazione è nell’ambito dello studio e minimizzazione dei fenomeni di antibiotico resistenza. Giuseppe Maria Paternò ha conseguito la laurea in Chimica presso l’Università di Catania e il dottorato in Fisica presso l’University College London. Attualmente è ricercatore senior e assistant professor presso il Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano. Gli ERC Starting Grant sono rivolti a ricercatori che abbiano conseguito il titolo di dottorato di ricerca da almeno 2 anni fino ad un massimo di 7 anni. L’obiettivo è di potenziare la creatività e l’eccellenza della ricerca europea di base o di frontiera e investire sulle migliori idee incentivando la qualità e l’ambizione dei singoli ricercatori. Il finanziamento individuale può arrivare a 1,5M € per una durata di 5 anni.
Il Politecnico è ai vertici delle classifiche mondiali delle università anche grazie alla ricerca scientifica di frontiera che porta avanti nei suoi laboratori. I protagonisti di questo primato italiano sono i circa 3500 scienziati e ricercatori del Politecnico. Tra i temi più caldi ci sono ovviamente quelli legati alla trasformazione sistemica verso la neutralità climatica; e poi il mondo del digitale, dell’esplorazione spaziale, delle life sciences, i movimenti abbracciati dal New European Bauhaus, le nuove frontiere nello studio della materia… In particolare i giovani ricercatori immettono nuova linfa nel sistema della ricerca e fanno crescere filoni scientifici innovativi. Il Politecnico investe in attività mirate proprio a incentivare l’arrivo di giovani scienziati di eccellenza. Tra i molti, quest’anno accogliamo dodici nuovi giovani ricercatori e ricercatrici tra i migliori della loro generazione, che arrivano al Politecnico di Milano grazie al programma Marie Skłodowska-Curie Actions (MSCA) fellowship. Ve li presentiamo… in rigoroso ordine d’appello.
HERNÁN BOBADILLA è un filosofo della scienza, con un background in geologia e interessi di ricerca transdisciplinari. Ci racconta: “C’è un approccio relativamente nuovo nello studio degli eventi climatici estremi, noto come approccio storyline. Può portare a intuizioni rilevanti riguardanti eventi climatici estremi in condizioni di profonda incertezza. È inteso come un complemento delle metodologie tradizionali, ma spesso incontra una resistenza significativa tra gli scienziati”. Bobadilla vuole verificarne la legittimazione esplorando i vari modi in cui l’approccio alla trama e la filosofia della comprensione scientifica possono corroborarsi a vicenda.
L’architetto, progettista del Science Gateway: «A una certa età il solo modo di sopravvivere a se stessi è quello di lavorare con i giovani». Fabiola Gianotti, direttrice del Cern: «Nel cielo di notte voi guardate le stelle, noi dobbiamo guardare nel vuoto e nel buio»
Dice Renzo Piano che ha lavorato con i neuroscienziati, con gli astrofisici, ora con i fisici delle particelle, e ogni volta ha visto la stessa cosa: «L’uomo arriva sempre più avanti, ma a un certo punto si ferma di fronte al mistero. Come diceva Marguerite Yourcenar, l’uomo guarda nel buio, senza distogliere lo sguardo. E se guardi nel buio, all’inizio, non vedi niente; poi l’occhio, piano piano, si abitua. Perché quel buio non è vuoto, è abitato da tutto quello che hai visto, letto, ascoltato, e che stai per immaginare, con quella sublime testardaggine senza cui non arrivi mai al centro delle cose. L’importante è applicarla alle cose giuste».Il nuovo Cern, che si inaugurerà il 7 ottobre, è cominciato prima della pandemia, il giorno in cui l’italiana più importante al mondo — la direttrice Fabiola Gianotti — andò a Parigi a fare visita all’italiano più famoso al mondo, Renzo Piano , e a sua moglie Milly, e chiese consiglio per un nuovo edificio: «Ogni anno riceviamo 150 mila visitatori e diciamo di no ad altri 150 mila. Ci serve più spazio per raccontare agli studenti, agli insegnanti, a chiunque sia interessato, chi siamo e cosa facciamo, la bellezza e l’utilità della fisica. Una porta della scienza. So Renzo che sei molto impegnato, ho già i progetti di qualche architetto locale, ma dammi un consiglio». Alla fine dell’incontro Milly Piano accompagnò Fabiola Gianotti al taxi e le disse: «Mi sa che questa cosa Renzo la vuole fare lui».
Indietro nel tempo
Il cantiere è quasi finito, e si chiama Science Gateway: appunto, il portale della scienza. Renzo Piano ha disegnato un ponte lungo duecento metri, «quasi un laboratorio spaziale in atterraggio», che passa sopra la strada e il confine tra Svizzera e Francia, e unisce cinque strutture. La prima è un auditorium da 900 posti, che sarà dedicato a Sergio Marchionne. La seconda — spiega Piano — è un pezzo, portato in superficie, di quello che si nasconde sotto: il gigantesco acceleratore lungo 27 chilometri. I visitatori potranno così vedere e capire come si scontrano i protoni, a una velocità vicina a quella della luce. È il meccanismo che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs, la particella di Dio. È il luogo più vicino al mistero dove l’uomo sia mai arrivato. «Einstein diceva che il tempo è un’illusione — ricorda Renzo Piano —. Il nostro tempo può fluire lentissimo o velocissimo, le nostre vite sono lunghissime e cortissime.
Ha scritto Borges: «Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. È il fiume che mi trascina; ma io sono il fiume. È la tigre che mi sbrana; ma io sono la tigre. È il fuoco che mi divora; ma io sono il fuoco». Il Big Bang, l’esplosione da cui è nato il nostro universo, è accaduta 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, un tempo che non riusciamo neppure a concepire; ed è durata un tempo infinitamente piccolo che non riusciamo neppure a cogliere».
Al Cern si è risaliti indietro nel tempo sino a un milionesimo di milionesimo di secondo prima del Big Bang. E si è giunti a riprodurre le stesse condizioni di allora, la stessa temperatura, centomila miliardi di volte più alta della temperatura di questa estate, che è torrida pure qui a Ginevra. I fisici hanno capito il come; non il perché. Cosa è successo; non chi l’ha fatto. Sempre che il «Massimo Fattor» esista. Le altre strutture sono dedicate appunto allo studio del Big Bang e al mondo dei quanti. Renzo Piano ha pensato un edificio che respira: «L’aria condizionata sale da questi forellini nel pavimento, tutto attorno abbiamo piantato quattrocento alberi, sul tetto ci sono pannelli solari di ultima generazione; si produce più energia di quella che si consuma». C’è anche una struttura dedicata all’arte contemporanea: perché arte e scienza qui sono collegate.
Il render del Science Gateway progettato da Renzo Piano: l’architetto ha disegnato un ponte di 200 metri come «un laboratorio spaziale in atterraggio» che passa sopra la strada e il confine tra Svizzera e Francia (copyright RPBW)
La mensa e gli occhiali
Arriva la direttrice del Cern con il vassoio in mano ed è come essere investiti da un fascio di protoni. Immaginate una Rita Levi Montalcini con la velocità di parola e di battuta di Enrico Mentana. «Lei ha gli occhiali rotti». In effetti ho perso una stanghetta, al ritorno in Italia dovrò andare dall’ottico. «Che problema c’è, abbiamo le stampanti 3D! Dia qua». Tutti la chiamano per nome, Fabiolà, alla francese. Lei però è molto italiana: padre piemontese di Asti (vissuto 101 anni), mamma siciliana di Palermo (92), nata a Roma, laurea e dottorato in fisica a Milano. È qui da sempre: arrivò al Cern ragazza con una borsa di studio, non se n’è più andata. Sulla mensola della sala di controllo sono allineate bottiglie di champagne vuote, con cui si sono festeggiati i grandi successi. Una foto reca la data «4 luglio 2012», scoperta del bosone di Higgs. «Quel giorno — racconta Fabiola Gianotti — il Cern ha raggiunto l’obiettivo per cui era nato nel 1954: riportare in Europa il primato della fisica sperimentale. Ora siamo più avanti degli Stati Uniti. Americani e cinesi vengono qui».
«Ho fatto il classico, e non è vero quel che dicono della scuola italiana. La scuola italiana è eccellente ancora oggi, qui su 17 mila scienziati di centodieci nazionalità 2.500 sono italiani, e sono arrivati per merito. Al liceo, di fisica ne ho studiata poca; ma avevo un insegnante che ci spiegava come la fisica funziona, come funzionano le cose. E la fisica fondamentale è semplice ed elegante, si basa su principi di simmetria. Ma noi esistiamo perché la simmetria non è perfetta. Se materia e antimateria fossero presenti in parti uguali nell’universo, si sarebbero annichilate, distrutte l’una con l’altra; e noi non esisteremmo. Invece l’antimateria per qualche strano motivo è scomparsa; al Cern la stiamo studiando, per capire che fine ha fatto. Nel cielo notturno voi guardate le stelle. Ma le stelle, i pianeti, la materia sono soltanto il 5% dell’universo. Noi dobbiamo guardare nel vuoto e nel buio. Da ragazza ho studiato pianoforte, ancora oggi passo il sabato pomeriggio a suonare. Tanti mi chiedono: perché nella vita hai fatto una cosa tanto diversa? Ma non è vero: io trovo la fisica nella musica, e la musica nella fisica». Papa Francesco l’ha voluta nella Pontificia Accademia della scienza. «Ho avuto una formazione cattolica. Ma la fisica non potrà mai né dimostrare, né escludere l’esistenza di Dio». E la vita extraterrestre? «Molto probabilmente esiste. Perché è molto improbabile che in nessun altro pianeta di un universo enorme si siano riprodotte le condizioni che sulla Terra hanno reso possibile la vita. Ma potrebbe essere una forma di vita molto diversa dalla nostra». Come immagina l’aldilà? «Come uno spazio immenso, in cui spero non vadano perdute le individualità; perché siamo tutti così diversi, così interessanti. Ah, ecco che sono pronti i suoi occhiali, vede la nuova stanghetta in titanio? Non deve più andare dall’ottico».
Alcune delle grandi opere di Renzo Piano
Dentro la caverna
Con Piano scendiamo nella caverna dove tutto avviene: circa cento metri sottoterra, dentro il rivelatore Atlas, dove fu scoperto e ora viene studiato il bosone di Higgs. I rivelatori sono i luoghi dove vengono «fotografate» le collisioni che accadono nell’acceleratore lungo 27 chilometri, che i protoni percorrono undicimila volte in un secondo; ora si pensa a un nuovo acceleratore lungo 90 chilometri, da far passare sotto il lago di Ginevra. Si entra con il riconoscimento oculare, dettaglio che ispirò a Dan Brown il terrificante incipit di «Angeli e demoni». L’ascensore è veloce, ma vista dal basso del pozzo l’immensa macchina è impressionante.
«Qui non si studiano solo le particelle — racconta Piano —. Dal Cern è sorto il word wide web, insomma il www, ed è stato regalato al mondo. Qui sono nate le tecnologie della Pet e delle nuove cure contro il cancro. Si fanno cavi superconduttori per non disperdere energia». A New York Piano ha costruito il centro per la neuroscienza della Columbia University, l’Mbb — Mind Brain Behaviour —, per lo studio della mente, del cervello, dei comportamenti; ora sta costruendo il «Climate Change», il nuovo edificio dove si studierà la rivoluzione del clima. «Tutto si tiene. Le scienze tra loro si parlano. Gli scienziati collaborano, perché hanno capito che siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità, ed è sbagliato raccontare questo tempo soltanto come una grande crisi. Accadono cose meravigliose, si fanno grandi scoperte, si trovano soluzioni. È proprio sul terreno della scienza, della medicina, della climatologia, ma anche della solidarietà umana, che si assiste all’emergere un po’ timido, qua e là nel mondo, di una rete fluida di affinità globali. Che saranno la salvezza del nostro pianeta». Qui anche i fisici girano con il cacciavite in tasca, e molti hanno meno di trent’anni. «Io lavoro in mezzo ai giovani, e le assicuro che sono straordinari. Il solo modo di sopravvivere a se stessi, ad una certa età e con un lungo percorso alle spalle, è proprio lavorare con loro. Noi vecchi dobbiamo comportarci come i maestri giapponesi del tempio di Ise, che viene ricostruito ogni vent’anni. I giovani arrivano, tra i 20 e i 40 anni imparano a fare il tempio, dai 40 ai 60 fanno il tempio, e dai 60 agli 80 insegnano a fare il tempio».
Renzo Piano tra qualche giorno ne compie 86, e ha detto di voler morire in cantiere. Non in questo però, l’ascensore risale il pozzo, si torna al calore della superficie, si rientra nel Science Gateway. «Il Cern ha un budget da un miliardo e 200 milioni, ma il nuovo edificio è frutto solo di donazioni e costa meno di cento milioni: cioè meno del costo giornaliero di un bombardiere che semina morte e distruzione». Racconta Piano che il suo mestiere è costruire luoghi di pace, che siano musei, sale da concerti, università, laboratori di ricerca, ospedali come quelli che ha fatto in Africa con il suo amico Gino Strada. «Siamo tutti imbarcati sulla stessa astronave, con destinazione ignota. Farci la guerra è come fare a botte su un autobus. A maggior ragione in Europa, che è una grande città diffusa: perché il contrario della città non è la campagna, è il deserto; e in Europa non ci sono deserti».
Al Cern lavorano mille scienziati russi e cento ucraini, che prodigiosamente continuano a collaborare. Tra gli Stati membri c’è Israele, che paga borse di studio a ricercatori palestinesi. «Oggi nell’architettura il fine è dare un riparo alle comunità — spiega Piano —, e per questo ci vuole anche la bellezza primaria, non nel senso caricaturale che la parola ha assunto: beauty, beauté, fa venire in mente un centro estetico. Il bello che dobbiamo recuperare è il “kalòs” dei greci, che è anche il buono. “Giuro di restituire Atene agli ateniesi più bella di come me l’avete consegnata”: il giuramento dei politici al tempo di Pericle dovrebbe essere anche il nostro».
È stato pubblicato sulla rivista Advanced Optical Materials, come articolo di copertina, uno studio nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Energia e il Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano e supportato da un dottorato di ricerca interdisciplinare condotto da Silvia Rotta Loria.
Lo studio spiega l’origine della risposta ottica superveloce del nitruro di titanio (TiN). Questo materiale, già noto per le sue proprietà refrattarie, sta suscitando crescente interesse anche per la velocità di risposta alla foto-eccitazione e per la possibilità di controllarne le proprietà ottiche ed elettroniche in fase di sintesi.
Film di TiN sono già stati usati per dispositivi termo-fotovoltaici, per la fotosintesi artificiale o per micro super-condensatori su chip. Inoltre il TiN è compatibile con le tecnologie utilizzate in elettronica digitale. Complessivamente è quindi un materiale con grandi potenzialità per lo sviluppo di dispositivi fotonici ultraveloci.
Lo studio è stato condotto grazie alla sinergia tra due Dipartimenti del Politecnico: i film di TiN sono stati realizzati all’interno dal NanoLab (Micro and Nanostructured Materials Lab) del Dipartimento di Energia, sono stati poi caratterizzati nei laboratori di spettroscopia ultraveloce del Dipartimento di Fisica e i dati sperimentali sono stati interpretati mediante un modello sviluppato al Dipartimento di Fisica.
Questa collaborazione ha permesso di studiare a fondo un materiale di grande interesse tecnologico e di chiarire l’origine della sua peculiare risposta all’eccitazione luminosa, che può essere ingegnerizzata attraverso la procedura di fabbricazione
spiega la Prof.ssa Margherita Zavelani Rossi, Dipartimento di Energia, co-autrice dell’articolo.
Grazie all’accurato modello numerico sviluppato è ora possibile determinare come la risposta di un film sottile di nitruro di titano possa essere controllata attraverso la luce stessa; una conoscenza fondamentale per lo sviluppo di nuovi dispositivi opto-elettronici e fotonici miniaturizzati
aggiunge il Prof. Giuseppe Della Valle, Dipartimento di Fisica, co-autore dell’articolo.
La sperimentazione citata nell’articolo rientra tra gli esiti del progetto METAFAST finanziato dal programma H2020-FET-OPEN dell’Unione Europea, coordinato dal Prof. Giuseppe Della Valle. Il progetto ha come obiettivo lo sviluppo di una nuova classe di dispositivi ottici ultraveloci, basati su speciali superfici nanostrutturate (dette metasuperfici nonlineari).
Per saperne di più è disponibile online lo studio firmato da Silvia Rotta Loria, Beatrice Roberta Bricchi, Andrea Schirato, Luca Mascaretti, Cristina Mancarella, Alberto Naldoni, Andrea Li Bassi, Giuseppe Della Valle, Margherita Zavelani-Rossi.
Utilizzare sensori in fibra ottica per monitorare le reti idriche contro gli sprechi: la rivista internazionale Sensors ha pubblicato i risultati della sperimentazione al Politecnico di Milano che punta a ottimizzare la rete idrica.
I ricercatori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale hanno sperimentato l’uso di sensori distribuiti in fibra ottica (DFOS) basati sulla tecnologia Stimulated Brillouin Scattering (SBS) per il monitoraggio delle reti di condotte idriche su lunghe distanze. Alla base di questa tecnologia c’è la comune ed economica fibra ottica per le telecomunicazioni (che porta internet nelle nostre case) in grado di misurare deformazioni al centesimo di millimetro.
Gli studiosi hanno lavorato su tubazioni in Polietilene ad Alta Densità (HDPE), oggi le più comunemente impiegate per la realizzazione di impianti di distribuzione. Avvolgendo e fissando il cavo sensore in fibra ottica sulla superficie esterna del tubo, hanno verificato la capacità di rilevare deformazioni legate ad anomalie di pressione lungo una condotta, come quelle causate proprio da perdite d’acqua.
La sperimentazione si è articolata in due fasi. “Nella prima – spiegano i ricercatori- abbiamo valutato la sensibilità del layout sensoristico su una tubazione in HDPE sollecitata con pressione statica. Superata positivamente questa prima fase, ci si siamo quindi concentrati sul rilevamento dell’anomalia di pressione prodotta da una perdita in un circuito di tubazioni con acqua corrente. I risultati ottenuti hanno restituito complessivamente un riscontro positivo sull’uso dei DFOS, confermando la possibilità di identificare e localizzare perdite idriche anche molto contenute”.
Nel futuro, la tecnologia sperimentata verrà ulteriormente sviluppata verso una produzione a livello industriale di tubi in HDPE “nativamente intelligenti”, in cui i DFOS sono integrati nella superficie della condotta durante il processo di estrusione. Lo studio, firmato Manuel Bertulessi, Daniele Fabrizio Bignami, Ilaria Boschini, Marina Longoni, Giovanni Menduni e Jacopo Morosi, è disponibile a questo link.
Lo spreco della risorsa idrica costituisce una problematica a livello globale, acuita sempre più dall’impatto dei cambiamenti climatici sulla catena idrologica. In Italia, oltre un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione nazionale viene dispersa, secondo dati ISTAT del 2022. Il monitoraggio diffuso e la manutenzione efficiente dell’infrastruttura sono pertanto due azioni strategiche e urgenti.
I mhackeroni, la squadra italiana di hacker etici composta da studenti ed ex studenti universitari provenienti da tutta Italia, hanno trionfato nella Hack-A-Sat 4, la competizione focalizzata sulla sicurezza dei sistemi spaziali organizzata da United States Air Force e United States Space Force, l’aeronautica militare e il dipartimento della difesa spaziale degli Stati Uniti.
Si tratta di un risultato di eccezionale importanza che dimostra l’altissimo grado di competenza del team italiano nell’ambito della sicurezza informatica spaziale.
Le fasi preliminari della competizione hanno coinvolto oltre 350 squadre di tutto il mondo; i mhackeroni, il cui gruppo più ampio è composto da studenti del Politecnico di Milano, sono stati tra i 5 team qualificati alla finale, tenutasi a Las Vegas dall’11 al 13 agosto 2023, in occasione della prestigiosa conferenza sulla sicurezza informatica Def Con.
Durante la fase finale i team in gara si sono sfidati cercando di prendere il controllo del satellite orbitante americano Moonlighter, i mhackeroni sono stati in grado di violarne i sistemi di sicurezza, facendolo ruotare e scattare foto.
Competizioni come Hack-A-Sat sono particolarmente significative perché danno modo agli esperti di sicurezza informatica valutare l’effettiva tenuta dei loro protocolli e le vulnerabilità potenzialmente sfruttabili da hacker ostili.
Durante i giorni di Def Con i mhackeroni sono stati inoltre tra i 12 prota
Si sono recentemente concluse le attività del progetto FORMOSA (FunctiOnal aiRcraft MOveable SurfAces), nato nel 2020 per riprogettare le superfici di controllo dell’ala del convertiplano civile NextGen Civil TiltRotor (NGCTR-TD), prodotto da Leonardo.
Il convertiplano è un velivolo ibrido che combina le caratteristiche dell’elicottero con quelle di un aeroplano. L’architettura dei convertiplani è caratterizzata da due rotori, posti alle estremità delle ali, che possono ruotare permettendo al velivolo di decollare (e atterrare) in direzione verticale e, una volta completata la manovra di decollo, ruotare in avanti per trasformarsi in eliche, producendo la spinta per il volo, come avviene su un classico aeroplano ad elica.
Il progetto, coordinato dal Prof. Vincenzo Muscarello (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali) e finanziato dal programma europeo Clean Sky 2, ha permesso di ridurre il carico delle scie sulle ali in modalità elicottero (-9% rispetto al progetto originale) permettendo la riduzione del consumo di carburante durante le manovre di decollo e atterraggio verticale. Inoltre, è stato ottenuto un notevole miglioramento delle prestazioni in rollio durante il volo in modalità aeroplano, grazie alla riduzione del 25% del time-to-bank, il tempo necessario per raggiungere l’angolo di virata richiesto.
Il convertiplano civile NextGen Civil TiltRotor è un dimostratore tecnologico progettato da Leonardo nell’ambito del programma europeo Clean Sky 2 nato per soddisfare, tra l’altro, le crescenti esigenze di mobilità aerea in aree urbane densamente popolate, offrendo l’opportunità di decollare e atterrare in verticale come un elicottero, assieme alle alte velocità e la capacità di coprire grandi distanze tipica degli aeroplani.
Il consorzio FORMOSA (FunctiOnal aiRcraft MOveable SurfAces) è costituito da un gruppo di giovani ricercatori del Politecnico di Milano e da un team di ingegneri della ditta portoghese CEiiA (Centre of Engineering and Product Development).
Biometanolo da biogas, ma anche da biomasse legnose. Questa la sfida vinta dal Politecnico di Milano e la Fattoria Autonoma Tabacchi S.C.
Si tratta della tecnologia BIGSQUID (Biogas-to-liquid) ed è stata presentata il 13 luglio a Roma durante l’Assemblea annuale di Confagricoltura “Da oltre 100 anni immaginiamo il futuro. Con le imprese agricole per la crescita dell’Italia”.
A idearla il Centre for Sustainable Process Engineering Research (SuPER) diretto dal Professor Flavio Manenti, Ordinario di Impianti Chimici del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta” e brevettata dal Technology Transfer Office (TTO) tutti del Politecnico di Milano. La tecnologia BIGSQUID è stata proposta per ingegnerizzazione ed industrializzazione a Fattoria Autonoma Tabacchi S.C., presieduta dal Dr. Fabio Rossi.
Si tratta di una risposta tecnologica alternativa al biogas e al biometano. Opzione interessante sopratutto se si guarda alla prossima scadenza degli incentivi degli attuali impianti a biogas, i quali non potranno essere convertiti a produzione di biometano.
LA CAPACITÀ DELL’IMPIANTO
L’impianto su cui è stata sviluppata la tecnologia è situato nella Località Giove di Città di Castello (PG). La struttura è in grado di produrre fino a 4.500 ton/anno di biometanolo. Si tratta di una fonte energetica che può essere impiegata come “fuel avanzato per la decarbonizzazione dei trasporti agricoli e industriali, nonché come biochemical carbon negative (-88%) per intrappolare la CO2 e in tutti i derivati del metanolo come pannelli truciolari, polimeri, vernici e colle” spiega in una nota il Politecnico.
PROSPETTIVE DI UTILIZZO
Secondo i ricercatori la tecnologia BIGSQUID potrebbe portare un grande contributo alla transizione green. “Se applicata a un terzo degli impianti italiani (circa 600) si potrebbero produrre fino a 3 milioni di ton/anno di biometanolo. 1 milione di ton/anno andrebbe a coprire l’attuale fabbisogno nazionale per essere immesso sul mercato in sostituzione del metanolo fossile importato, decarbonizzando totalmente uno dei principali settori industriali. Un surplus di 2 milioni di ton/anno potrebbe essere esportato o utilizzato come additivo sostitutivo nelle benzine per renderle più ecocompatibili” fanno sapere dal Politecnico.
Il percorso verso la rigenerazione dell’ambito Bovisa-Goccia, che vedrà realizzare uno dei più grandi interventi di natura urbanistico-edilizia e infrastrutturale, rifunzionalizzazione e rispristino ambientale, compie un nuovo importante passo avanti. La Giunta comunale ha infatti approvato la delibera che prevede la stipula di una convenzione con il Politecnico di Milano affinché l’ente universitario diventi l’unico soggetto attuatore degli interventi di competenza comunale che saranno eseguiti nell’area.
IL NUOVO CAMPUS E IL BOSCO DELLA GOCCIA
Altro passaggio importante previsto dalla convenzione, l’accettazione del progetto che sarà realizzato dallo studio Renzo Piano Building Workshop srl, finanziato integralmente dalla Ion Foundation e dalla stessa donato al Comune e al Politecnico di Milano. Nel dettaglio, il progetto prevede il nuovo Campus universitario sulle aree di proprietà del Politecnico e, per la parte di interesse del Comune, i due edifici di circa 5mila metri quadri ciascuno da destinare alle Civiche Scuole di Milano e la riqualificazione e recupero dell’area denominata ‘Bosco della Goccia’. Il progetto comprenderà anche la riqualificazione delle aree esterne di pertinenza degli edifici e il progetto di riordino del sistema di accesso all’area.
“Nei prossimi anni – dichiara l’assessore alla Rigenerazione urbana Giancarlo Tancredi – Milano potrà vantare un intervento straordinario sotto il profilo urbanistico, ambientale e infrastrutturale. Un fiore all’occhiello che sarà possibile realizzare grazie al progetto di Renzo Piano e alla donazione della Fondazione ION alla città. Oggi la Giunta comunale segna un altro decisivo passo avanti: la convenzione con il Politecnico di Milano consentirà infatti di garantire il coordinamento di tutti gli attori coinvolti, pubblici e privati, e di eseguire gli atti e i provvedimenti relativi alle opere in tempi certi. Il Comune di Milano sarà regista di questa grande operazione che considera strategica per il futuro della città”.
Le opere saranno finanziate dai fondi del ‘Decreto aiuti 2022’: 15 milioni di euro per l’intervento della Foresta Urbana e 36 milioni e 980mila euro per i due edifici destinati ad ospitare la Fondazione Scuole Civiche Milano.
COME SARÀ L’AREA
Il Politecnico di Milano realizzerà, come detto, un nuovo campus nella zona dei gasometri grazie alla donazione della Fondazione Ion e al progetto dello studio Rpbw con Renzo Piano. Il campus sarà composto da venti edifici di 4 piani, per un totale di 105.000 mq, che ospiteranno aule, laboratori, residenze, startup e scuole civiche. Il campus sarà collegato alla città e alla regione da un asse ciclo pedonale e da due stazioni ferroviarie rinnovate. Il progetto rispetterà la storia e la natura del luogo, puntando all’indipendenza energetica e all’azzeramento delle emissioni di Co2. Il campus sarà un luogo aperto, innovativo e sostenibile, dedicato al sapere e alla conoscenza.
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