La parola «inventore» è un po’ desueta: oggi nessuno (o quasi) direbbe che, di mestiere, fa l’inventore. I media li chiamano startupper o imprenditori, al Poli si chiamano ingegneri, designer, architetti, ricercatori, scienziati e, di solito, stanno in laboratorio, non di fronte a un consiglio di amministrazione. Per uno scienziato, scoprirsi imprenditore non è poi cosi automatico.
≪La ricerca scientifica e la base che consente di guardare lontano e di investire sul futuro, – commenta Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano. – È essenziale per interpretare e accelerare i grandi processi di sviluppo tecnologico e per ridurre i divari sociali. Attraverso la ricerca, l’università gioca un ruolo chiave nell’attivare i processi di cambiamento e di crescita dei territori e, con essi, di nuove attività imprenditoriali≫.
Donatella Sciuto, Prorettrice Vicaria del Politecnico di Milano | Credits: s2p
Ma per farlo è necessario dotarsi di strumenti per trasformare la ricerca in innovazione, che non sono affatto la stessa cosa. E, come non c’e innovazione senza ricerca, per portare le invenzioni fuori dai laboratori l’idea non basta: ci vuole quello che in gergo tecnico si chiama trasferimento tecnologico: è il processo che serve a trasformare un’idea o un risultato accademico in un prodotto vendibile sul mercato. È anche uno degli obiettivi, sia per l’Italia che per l’Europa, per rendersi indipendenti ed evitare di ritrovarsi nel ruolo di importatori di tecnologie, e per affrontare le grandi sfide sociali che ci attendono. E anche in questo il Politecnico fa la sua parte.
Inventori di oggi: dal laboratorio all’impresa
Al Poli ci sono diversi strumenti che servono a far crescere il Technology Readiness Level (TRL), cioè il livello di maturità tecnologica di un progetto, e valorizzarlo dal punto di vista dell’impatto socio-economico. Uno di questi strumenti è Switch2Product(S2P), il Programma d’Innovazione organizzato dall’Ateneo in collaborazione con PoliHub e con le Officine Innovazione di Deloitteche mette in contatto ricercatori e investitori per elaborare un proof- of-concept. Poi c’è PoliHub, l’Innovation Park & Startup Accelerator del Politecnico di Milano, che segue i ricercatori fino al raggiungimento di TRL 5 (cioè la fase in cui si dimostra che la tecnologia funziona anche fuori dalle condizioni controllate del laboratorio accademico) e nel product/market fit. A quel punto, i ricercatori sono pronti per costituire una start up, ricevendo dagli investitori una cifra tra i 500 mila e il milione di euro.
AdaptaAgadeCredits: s2p
Proprio da S2P e dal percorso di incubazione e accelerazione di PoliHub sono passate ADAPTA Studio e AGADE, due spin-off del Poli: la prima arriva dal Dipartimento di Matematica, la seconda da quello di Ingegneria Meccanica.
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
Vi sarà certamente capitato di correre da un’aula all’altra per la prossima lezione e trovarvi improvvisamente di fronte a delle opere d’arte. Le collezioni del Poli raccolgono moltissimi oggetti firmati da grandi artisti e grandi progettisti, oggetti che raccontano la storia, i valori e il DNA dell’Ateneo. Un museo a campo aperto che ha la sua porta d’ingresso, idealmente, ne cuore del Campus Leonardo, in Piazza Leonardo da Vinci 32 (ve l’abbiamo raccontata su MAP 9, Made in Polimi) e che è possibile visitare anche virtualmente su www.museovirtuale.polimi.it.
Made in Polimi
Ne abbiamo parlato con il prof. Federico Bucci, delegato del rettore alle Politiche Culturali:
“Made in Polimi è il museo fisico dedicato alla memoria del Politecnico. È la “vetrina” di un sistema museale diffuso che coinvolge molti nostri spazi in tutti i campus e raccolto anche online. Il sito mette in evidenza le nostre collezioni di strumenti tecnici che hanno fatto la storia e dei lasciti degli artisti che ce ne hanno fatto dono, come il Pomodoro e il Sebaste. È una bellissima cosa quando riceviamo un dono da un artista o da una collezione privata, come è successo anche nel caso di Ettore e Andromaca del De Chirico, recentemente donato da un generoso anonimo e installato in Biblioteca Centrale Leonardo”.
Di Ettore e Andromaca abbiamo parlato su MAP 10. A Bucci chiediamo quale sia il valore di queste donazioni: “Un’opera che arriva da una collezione privata viene resa disponibile a tutti, e in particolare ne possono godere i nostri studenti, che le passano accanto ogni giorno. Gli studenti sono così immersi in un clima culturale di altissimo valore, ne ricevono stimolo e motivazione, lo assorbono”.
Il Museo Virtuale, come quello fisico diffuso per gli spazi politecnici, è un work in progress, mai finito, sempre in evoluzione. “Non solo arrivano opere nuove, ma ci sono molti oggetti di grande valore ancora custoditi e protetti negli armadi, che devono essere valorizzati e esposti in modo coerente, raccontando la storia dei pionieri che ci hanno preceduto, offrendo una cornice narrativa alle rappresentazioni del DNA politecnico ad opera dei grandi artisti che ce le hanno donate nel corso dei decenni. Da storico dell’arte, credo molto in questo progetto, che non è mera conservazione: è un invito a tradurre la memoria in prospettiva, come facevano anche i nostri padri, come Brioschi e Colombo, che lavoravano sulla storia per progettare futuro. Affidare un oggetto di valore alle nuove generazioni è un invito a creare qualcosa di nuovo”, conclude Bucci.
TRE LINK DA CUI PARTIRE: LA CRC 102A, IL MUSEO DI CORROSIONE INTITOLATO A PEDEFERRI E LA COLLEZIONE GIÒ POMODORO
Sul Museo Virtuale potete navigare tra centinaia di opere e oggetti d’epoca. Oggi vi invitiamo a visitare tre di queste sale virtuali (perché tutte, qui, non ci stanno; ma le trovate online).
La mitica CRC 102A, il calcolatore a valvole prodotto dalla Computer Research Corporation. Fu il nucleo attorno al quale si sviluppò la Scuola di Ingegneria Informatica al Politecnico di Milano, sia nell’ambito della ricerca che in quello della didattica, venne messo a disposizione del territorio e delle industrie partner, e rimase in funzione fino al 1963.
“Mi piace immaginare un giovane Dadda, appena venticinquenne, appena tornato dagli Stati Uniti, sbarcare dalla nave con una grossa cassa contenente il primo calcolatore d’Europa”, commenta Bucci.
Il Museo di Corrosione, collezione Intitolata al prof. Pietro Pedeferri, Alumnus Ingegneria Chimica 1963, Ordinario dal 1983 prima di “Elettrochimica” e poi di “Corrosione e protezione dei materiali” e in seguito Direttore di Dipartimento di Chimica dei Materiali. Consiste in una raccolta di circa 140 casi-studio che testimoniano il comportamento dei metalli sottoposti a diversi tipi di corrosione.
La collezione Giò Pomodoro, composta da 19 sculture e due dipinti. Le opere, affidate all’Ateneo dall’Archivio Gio’ Pomodoro, sono esposte in una mostra permanente tra gli edifici e i dipartimenti del Campus Bovisa. Per questo progetto artistico, che ha per titolo La dimensione esterna della scultura, nel 2018 presso la sede del Parlamento Europeo di Bruxelles, il Politecnico di Milano ha ricevuto il premio Mecenati del XXI Secolo, “per aver trasformato il campus in un museo a cielo aperto con mostre permanenti e temporanee”
“Se fosse stata una cosa semplice non avrebbero chiamato il Politecnico”, dice l’Alumnus Stefano Della Torre ridendo, eppure mantenendo una certa serietà e un certo orgoglio di fondo. Professore alla Facoltà di Architettura del Politecnico, Della Torre è responsabile dell’attività consulenziale dell’ateneo con la Veneranda Fabbrica del Duomo, una collaborazione che coinvolge una decina di donne e uomini politecnici da tutti i dipartimenti e che ha come obiettivo quello di razionalizzare e implementare la conservazione e il restauro della cattedrale di Milano. Il Duomo, in sé, è un monumento unico. Non soltanto per il valore affettivo dei milanesi, e forse nemmeno per quello puramente architettonico. È l’intrinseca natura del Duomo a essere speciale,
“Il Duomo è sempre stato un luogo di sperimentazione – spiega Della Torre – E quindi è interessante questa continuità ideale tra la sperimentazione artistica e le nostre sperimentazioni nel campo della conservazione”.
Credits: Steffen Schmitz
Per il Politecnico, oggi il Duomo è anche un cantiere-laboratorio: un luogo in cui i nostri studenti e ricercatori possono fare ricerca sul campo e confrontarsi con problemi reali usando le tecnologie più all’avanguardia, in un contesto impossibile da riprodurre in un laboratorio on campus.
Il Politecnico, spalla a spalla con la Veneranda Fabbrica («l’impresa più antica d’Italia!», commenta ancora Della Torre), si prende cura, giorno per giorno, della chiesa più simbolica del Nord Italia. Come dice il professore, “è un lavoro incredibile” per le dimensioni del Duomo e per i rischi – i danni – a cui è sottoposto ogni giorno in una città come Milano: i visitatori, il clima e l’umidità, l’inquinamento, persino i concerti in piazza. “La logica del nostro intervento è quella di applicare al Duomo i più moderni dettami della conservazione, che si chiama conservazione programmata. Ovvero non intervenire “a spot” quando c’è un problema, ma coordinare e programmare tutte le attività”.
Il Politecnico di Milano ha ottenuto dalla Commissione europea due importanti finanziamenti per due progetti di ricerca: uno per la lotta al tumore al seno e l’altro per quella al cambiamento climatico.
Si tratta di due ERC Advanced Grant, cioè finanziamenti assegnati dallo European Research Council (ERC) a ricercatori affermati nel loro settore, per portare avanti progetti innovativi e ad alto rischio. La selezione per questo tipo di finanziamenti è molto competitiva: quest’anno, su 1735 progetti presentati, solo il 14,6% ha ottenuto i fondi.
SUPERCOMPUTER CHE CONSUMANO 5000 VOLTE MENO ENERGIA
Daniele Ielmini, docente presso il Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria, condurrà ANIMATE (ANalogue In-Memory computing with Advanced device Technology), un progetto che mira a realizzare un nuovo concetto di calcolo per ridurre il consumo energetico nel machine learning. È un tema critico per fermare il cambiamento climatico: quando usiamo il computer non ci pensiamo, ma il costo energetico delle azioni che compiamo su internet, a partire da quelle quotidiane, è molto alto. I data center, che oggi soddisfano gran parte del fabbisogno mondiale di intelligenza artificiale, consumano circa l’1% della domanda energetica globale, ma si prevede una crescita fino al 7% entro il 2030. Operazioni apparentemente semplici, come la ricerca di un prodotto o un servizio di largo consumo (ad esempio quando prenotiamo le vacanze o scegliamo un film in streaming) si basano su algoritmi ad alta intensità di dati e hanno un impatto importante sulla produzione di gas serra.
Daniele Ielmini
La ricerca preliminare di ANIMATE del prof. Ielmini ha dimostrato che il fabbisogno energetico di calcolo può essere ridotto mediante il closed-loop in-memory computing CL-IMC (calcolo in memoria ad anello chiuso). Questo sistema è in grado di risolvere problemi di algebra lineare in un solo passaggio computazionale. Grazie alla riduzione del tempo di calcolo, CL-IMC richiede 5.000 volte meno energia rispetto ai computer digitali a pari precisione in termini di numero di bit. Il progetto di Ielmini svilupperà la tecnologia del dispositivo e dei circuiti, le architetture di sistema e l’insieme di applicazioni per validare completamente il concetto di CL-IMC.
CONTRO IL TUMORE AL SENO, UN PROTOCOLLO PER NEUTRALIZZARNE LA BARRIERA NATURALE
Manuela Raimondi, docente del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “Giulio Natta”, combina meccanobiologia, bioingegneria, oncologia, genetica, microtecnologia, biofisica e farmacologia al fine di sviluppare nuovo metodo per la cura del tumore al seno.
Manuela Raimondi
In questo tipo di malattia, infatti, l’aggressività è correlata all’irrigidimento fibrotico del tessuto tumorale: la fibrosi impedisce progressivamente ai farmaci di raggiungere le cellule tumorali. Con BEACONSANDEGG – Mechanobiology of cancer progression, Raimondi intende sviluppare un metodo in grado di aggirare questo problema. A partire dalla modellizzazione di microtumori a vari livelli di fibrosi e da cellule di cancro al seno umane fatte aderire a microsupporti polimerici 3D, i microtumori verranno impiantati in vivo nella membrana respiratoria di uova aviarie embrionate, al fine di suscitare una reazione fibrotica da corpo estraneo nei microtumori. Questo modello di studio verrà validato con farmaci antitumorali il cui risultato clinico è noto dipendere dal livello di fibrosi tumorale. Il lavoro fornirà inoltre una piattaforma standardizzabile ed etica per promuovere la traslazione clinica di nuovi prodotti terapeutici in oncologia. Questo è un tema chiave per Raimondi: alcuni degli strumenti di ricerca e modellizzazione che ha sviluppato negli ultimi dieci anni hanno proprio l’obiettivo di ridurre o sostituire le fasi di sperimentazione pre-clinica in vivo, per esempio con l’uso di supporti 3D per colture cellulari e camere microfluidiche per la cultura di tessuti e organoidi.
ERC: “CHALLENGING EUROPE’S BRIGHTEST MINDS”
Un po’ di contesto per questa bella notizia: il Politecnico è ai vertici delle classifiche mondiali delle università anche grazie alla ricerca scientifica di frontiera che porta avanti nei suoi laboratori. I protagonisti di questo primato italiano sono i tanti scienziati e ricercatori del Politecnico (ERC e non solo): circa 3500.
Alcuni di questi sono “ricercatori ERC”, che sta per European Research Council. È uno strumento della commissione europea che sostiene ricerche pionieristiche e di frontiera. Sono tra “le menti più brillanti d’Europa”, si dice, scienziati che potrebbero essere sulle tracce di scoperte scientifiche e tecnologiche nuove e imprevedibili.
In totale, ad oggi, i progetti ERC al Politecnico sono 52. Variano a seconda della dimensione e della durata del finanziamento: tra i 150 mila e i 12 milioni di euro.
Starting Grant, per ricercatori emergenti, con 2-7 anni di esperienza maturata dopo il conseguimento del dottorato
ConsolidatorGrant, per giovani che hanno alle spalle già una decina d’anni di ricerca
AdvancedGrant, dedicati a scienziati eccezionali ed affermati, in grado di aprire nuove direzioni nei rispettivi campi di ricerca e in altri settori
SynergyGrant, che promuovono progressi sostanziali nella frontiera della conoscenza e incoraggia nuove linee di ricerca
Proof of Concept, un finanziamento di entità minore, dedicato a ricercatori che abbiano che abbiano già un progetto ERC in corso o l’abbiano terminato di recente. Mira a garantire il collegamento tra ricerca di base e mercato
ERC promuove un approccio cosiddetto “investigator driven” o “bottom-up”, cioè la libera iniziativa dei migliori scienziati europei, che seguono progetti di ricerca di eccellenza, innovativi e ad alto rischio, tasselli chiave per raggiungere gli obiettivi di crescita sostenibile che si pone l’Unione
CONVERTIRE L’INCERTEZZA IN AZIONE E RIVOLUZIONARE LA SCIENZA DEI MATERIALI
A Sara Bagherifard, con ArcHIDep, e a Massimo Tavoni, con EUNICE, vanno due ERC Consolidator Grant. Ridurre le incertezze per affrontare i cambiamenti climatici è l’obiettivo di Tavoni, docente di Climate Change Economics presso il Dipartimento di Ingegneria Gestionale e Direttore di RFF-CMCC, European Institute on Economics and the Environment. La sua ricerca copre temi di economia dell’energia e del clima, e in particolare la modellistica delle politiche climatiche internazionali. Con EUNICE, affronta il problema delle incertezze nei percorsi di stabilizzazione climatica e negli attuali modelli clima-energia-economia e converte gli scenari delineati da questi modelli in indicazioni che aiutino a definire policy resilienti, solide e affidabili per contrastare il cambiamento climatico.
Sara BagherifardMassimo Tavoni
Bagherifard, ricercatrice senior del Dipartimento di Meccanica, si occupa di approcci numerici e sperimentali per progettare, fabbricare e caratterizzare materiali multifunzionali. Con il progetto ArcHIDep, intende mettere a terra un rivoluzionario sistema di deposizione allo stato solido per ottenere materiali eterogenei con architettura strutturata su tre livelli di scala, micro, meso e macro. ArcHIDep permetterà di sviluppare un framework, attualmente inesistente, per progettare e costruire elementi in grado di superare i limiti legati alla odierna impossibilità di coniugare proprietà tra loro in conflitto.
ERC PROOF OF CONCEPT, OVVERO: LA SCIENZA ALLA PROVA DEI FATTI
Ritroviamo Daniele Ielmini con SHANNON, acronimo di Secure hardware with advanced nonvolatile memories. Ha l’obiettivo di sviluppare un nuovo tipo di circuito per la crittografia basato sul concetto di funzione fisica non-clonabile. Le chiavi di crittografia vengono generate mediante stati di memoria casuali che sono completamente invisibili ad una ispezione esterna, grazie ad un nuovo algoritmo ed una nuova struttura di cella, rendendo questa soluzione molto interessante per la sicurezza dei sistemi Internet of Things.
Daniele IelminiPaola Saccomandi
Paola Saccomandi, del Dipartimento di Meccanica, lavora allo sviluppo, alla validazione tecnologica e all’analisi di mercato di un dispositivo per l’asportazione laser di tumori, molto meno invasivo degli strumenti di cui disponiamo oggi. Il progetto si chiama LEILA: closed-loop and multisensing delivery tool for controlled laser ablation of tumors.
Con il progetto TCOtronics, acronimo di transparent conductive oxide nanocrystalline films for electronics and optoelectronics via low-cost solution processing, Francesco Scotognella(Dipartimento di Fisica) vuole fabbricare strati sottili a base di nanoparticelle di ossidi metallici, impiegabili come filtri ottici o elettrodi trasparenti per celle solari e diodi emettitori di luce. Un importante obiettivo è anche l’impiego di elementi non tossici e abbondanti nel pianeta.
Francesco Topputo (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Aerospaziali) punta a sviluppare un sensore di navigazione autonoma per i satelliti nello spazio profondo. Grazie al progetto SENSE: a sensor for autonomous navigation in deep space, i satelliti stessi saranno in grado di stimare la propria posizione senza la necessità di comunicare con le stazioni di terra; questo permetterà di tagliare i costi di navigazione per l’esplorazione spaziale, rendendo lo spazio accessibile a università, centri di ricerca e piccole imprese.
Francesco Scotognella Francesco Topputo
Quello che stai leggendo è un articolo dell’ultimo numero del MAP (leggilo qui). Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
Sono iniziate le attività della Hydrogen Joint Research Platform, piattaforma di ricerca congiunta tra università e aziende fondata a fine 2021. Voluta dal Politecnico di Milano, Hydrogen JRP ha l’obiettivo di promuovere la ricerca e l’innovazione sulle potenzialità dell’idrogeno come fonte di energia pulita, a supporto di scenari e strategie per la produzione e il consumo di energia a zero emissioni. La piattaforma è pensata per facilitare il trasferimento tecnologico grazie alla collaborazione tra enti pubblici e privati e per mettere a sistema ricerca scientifica, innovazione e mondo industriale in ottica di filiera. Accanto all’Ateneo e a Fondazione Politecnico di Milano, al momento fanno parte di Hydrogen JRP anche Edison, Eni, Snam, A2A e NextChem. L’intento è quello di creare una vera e propria filiera dell’idrogeno in Italia, allargando la partecipazione al maggior numero di soggetti interessati.
Non è del tutto una novità: i ricercatori del Politecnico portano avanti da diversi anni questo filone di ricerca, ma oggi è più che mai all’ordine del giorno: dalla produzione di idrogeno “pulito” alle soluzioni per il suo accumulo e trasporto alle applicazioni residenziali, industriali e di mobilità. In un recente intervento, il Rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta ha spiegato come le previsioni indichino che nel 2050, anno che l’Europa ha votato alla neutralità climatica, l’idrogeno potrebbe rappresentare oltre il 20% dei fabbisogni energetici complessivi in settori chiave dell’economia italiana.
L’idrogeno, precisa Resta, “se usato in maniera complementare con altre tecnologie, può contribuire in modo significativo a innescare processiindustrialipiù sostenibili e puliti e a ridurre le emissioni generate”. Particolarmente rilevante può essere il suo ruolo nei settori trasporti, power generation e riscaldamento domestico: “Il trasporto a lungo raggio è responsabile per circa il 5-10 per cento delle emissioni di CO₂ complessive. Grazie alle misure previste nel Pnrr, potremmo registrare una penetrazione significativa dell’idrogeno fino al 5-7 per cento del mercato entro il 2030”.
Tra le priorità indicate dal PNRR, spiega Resta
“il Governo italiano intende sviluppare una leadership tecnologica e industriale nelle principali filiere della transizione energetica (sistemi fotovoltaici, turbine, idrolizzatori, batterie) che creino occupazione e crescita grazie allo sviluppo delle aree più innovative, a partire dall’idrogeno”.
Hydrogen JPR nasce al Politecnico di Milano anche per rispondere a questa chiamata: “La transizione energetica è tra le più grandi sfide dei nostri tempi. Sono due i concetti chiave sui quali dobbiamo insistere: il rafforzamento di un percorso politico, di allineamento con le direttrici europee, che si basa su una fase di accompagnamento del sistema industriale; lo sviluppo di ricerca e formazione per posizionarci come punto di riferimento in termini tecnologici all’interno panorama internazionale. Perché questo accada abbiamo bisogno di tracciare un progetto comune che vede l’università al fianco delle imprese. Ecco perché Hydrogen Joint Research Platform, che oggi avviamo grazie alla partecipazione, alla capacità di ascolto e di innovazione di tre grandi imprese del settore, deve poter estendersi il più possibile al tessuto produttivo.”
«Quest’anno passerà alla storia come quello in cui si e fatto di più per l’istruzione e sono state aperte più infrastrutture scolastiche e asili rispetto agli ultimi cento anni a Tirana≫, ha dichiarato Erion Veliaj, sindaco di Tirana, in Albania. E fra queste infrastrutture, tre sono state ideate dall’Alumnus Stefano Boeri e dal suo gruppo nelle zone di Don Bosko, Koder-Kamez e Shqiponja.
Il complesso del Don Bosko, di 9812 m2, comprende una scuola media, una scuola superiore, gli spazi per l’educazione prescolare e una nursery; le scuole Koder-Kamez, per le quali è prevista un’offerta di servizi educativi analoga al Don Bosko, si estendono su un’area complessiva di 11.898 m2; e le scuole Shqiponja comprendono le strutture per l’educazione prescolare, una scuola media e una nursery e occupano una superficie di 7898 m2.
“Una scuola aperta vuol dire osmosi con il territorio, scambio di saperi e di esperienze, con un importante riverbero sulla vita di quartiere. Spesso gli edifici scolastici sono il centro della comunità, e realizzare nuove scuole costituisce l’occasione di costruire un nuovo tassello della citta pubblica.”
Gli edifici sono caratterizzati da un impianto semplice e funzionale e un accostamento di materiali e colori che richiama la tradizione delle architetture italiane a Tirana. La progettazione e la distribuzione degli spazi di apprendimento influenzano le prestazioni scolastiche degli studenti, e, considerando che i metodi di apprendimento sono in continua evoluzione, è necessario che le architetture seguano, se non anticipino, i cambiamenti.
Come, e dove, immagina potrebbe sorgere un primo progetto di Scuola Aperta in Italia?
Stefano Boeri:
“Stiamo già lavorando a progetti di questo tipo sia a Milano – dove stiamo realizzando un modello per ≪l’Aula del futuro≫ – che in Liguria, dove stiamo progettando un edificio scolastico che segua almeno in parte questi principi. Ma, più in generale, qualcosa si sta muovendo in questa direzione: le linee guida del PNRR prevedono un piano di sostituzione di edifici scolastici e di riqualificazione energetica che interesserà 195 immobili, per un totale di oltre 410 mila m2. Insieme a Renzo Piano, Cino Zucchi, Mario Cucinella, Massimo Alvisi, Sandy Attia, Luisa Ingaramo, con la Fondazione Giovanni Agnelli e Triennale Milano abbiamo seguito la redazione delle linee guida per la progettazione dei nuovi edifici scolastici, proprio a partire dal concetto di scuola aperta.”
Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
È un mercato che secondo la maggior parte degli analisti raggiungerà tra due anni gli 800 miliardi di dollari, con un potenziale di crescita da capogiro: Fortune e Deloitte parlano di 13 trilioni di dollari entro il 2030, quando conterà 5 miliardi di utenti secondo Citi (al momento si stima siano 350 milioni, +900% nell’ultimo anno, con un’età media di 27 anni, suddivisi su 43 piattaforme). È il Metaverso, il sistema di tecnologie che abilita esperienze di realtà virtuale, aumentata e mista consentendo una sorta di estensione del mondo fisico in universi virtuali e semi-virtuali, con proprie logiche di funzionamento e comunicazione.
Sono già molti i brand importanti che hanno deciso di sbarcare nel Metaverso e costruirvi una presenza attrattiva per i consumatori, che grazie a tecnologie sempre più sofisticate vivono esperienze al limite del reale provando e acquistando i prodotti attraverso i loro avatar. Metaverse Marketing Lab, un’iniziativa della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con UPA e UNA (le associazioni che rappresentano inserzionisti e agenzie pubblicitarie), intende tracciare le evoluzioni di un mercato tanto dinamico quanto fluido, diffondere le buone pratiche e analizzare il comportamento del consumatore nella relazione con le esperienze di realtà immersiva, virtuale e aumentata.
“L’obiettivo – commenta Lucio Lamberti, Ordinario di Omnichannel Marketing Management e Responsabile scientifico del Metaverse Marketing Lab, presentato oggi al Politecnico – è comprendere se e in che modo questa ‘ebbrezza da Metaverso’ rappresenti un trend o un’onda. Per questo, oltre a studiare le iniziative dei brand a livello nazionale e confrontarle con le esperienze globali, il Lab si concentrerà sulla prospettiva dell’utente, analizzandone il comportamento e misurandone in maniera oggettiva il coinvolgimento emotivo. Crediamo fortemente nell’alleanza tra Università e Associazioni di filiera come strumento di condivisione e confronto: siamo alle soglie di un’ulteriore trasformazione dei modelli di relazione tra marche e consumatori, tanto più rapida e profonda quanto più il Metaverso riuscirà a suscitare emozioni forti, comparabili con quelle della vita reale. Un fenomeno che sta già accadendo, secondo i dati del Laboratorio PhEEL del Politecnico”.
“Un grande cuore biancorosso che ha sognato per anni questo momento. Sempre a un passo dalla vittoria ma mai abbastanza per portare a casa lo scudetto. Oggi il sogno si è finalmente realizzato, è tutto vero: gli Sharks Monza sono i Campioni d’Italia! FORZA SHARKS!”
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
È quanto si legge sulla pagina ufficiale degli (l’avrete capito) Sharks Monza: la squadra di Powerchair Hockey che, dopo 22 anni di vittorie mancate per un soffio, si aggiudica lo scudetto di campione d’Italia, imponendosi sugli IOP Madracs Udine per 9-2 durante la finale disputata a Lignano Sabbiadoro (Udine).
A raccontarci con passione questa storia è il meccanico degli Sharks, Pietro Ravasi, Alumnus in ingegneria meccanica e cittadino benemerito della città di Monza per i suoi meriti sportivi. Il Powerchair Hockey si gioca a bordo di carrozzine elettroniche. In Italia esistono circa 30 squadre competitive che si contendono lo scudetto nel campionato organizzato dalla F.I.P.P.S. (Federazione Italiana Paralimpica Powerchair Sport).
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
Il meccanico, in questo sport, fa la differenza: le carrozzine su cui corrono i giocatori sono, di base, sono quasi tutte uguali: “ci sono 3 o 4 costruttori in tutto il mondo, ma alla fine si tende sempre a comperare quella più competitiva. Quello che cambia è l’assetto del mezzo. L’ingegnerizzazione della carrozzina può essere determinante per il raggiungimento del risultato, ma è soprattutto il mezzo per tutelare il più possibile la sicurezza degli atleti”. Atleti come Mattia Muratore, ambasciatore paralimpico e capitano degli Sharks, affetto da osteogenesi imperfetta, conosciuta anche come la malattia delle ossa di cristallo: “Noi e la carrozzina dobbiamo essere una cosa sola”, racconta agli Alumni del Poli, “Ho sempre voluto fare sport, ma non era facile trovare un’attività adatta alla mia malattia: il minimo urto potrebbe avere conseguenze notevoli. Ciononostante, eccomi qui. Alle medie il professore di educazione fisica, al contrario di altri che mi tenevano in palestra a guardare gli altri, ha iniziato a farmi allenare con una mazza da hockey. Da lì, non ho più smesso».
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
Ravasi lavora come un meccanico di pezzi unici, modificando le carrozzine su misura dell’atleta e della sua specifica disabilità: “le smonto completamente e le rimonto da capo per perfezionarne l’assetto e personalizzarle per i giocatori”. Una collaborazione che inizia nel 2006: “Luigi Parravicini, allora capitano degli Sharks, aveva bisogno di una carrozzina da gioco ma non riusciva a trovarla. All’epoca c’era l’abitudine di farsi modificare da amici le carrozzine da passeggio, in modo artigianale e amatoriale. Io però sono un ingegnere del Poli. Arrivavo da un’esperienza come progettista e collaudatore di un’azienda che produceva go-kart e usai ciò che avevo imparato in quell’ambito e quanto imparato al Poli per mettermi al lavoro su una carrozzina su misura per Luigi. Poi nel 2014 fui convocato in nazionale come meccanico ufficiale e portai una carrozzina di riserva progettata da me. In quello stesso anno facemmo il primo mondiale insieme. Non ce lo possiamo dimenticare: arrivammo penultimi”.
Ravasi e la squadra, però, non si danno per vinti. “Tornando a casa, a Monza, realizzai per gli Sharks altri due prototipi di carrozzina e misi a punto per la squadra, per la prima volta nel campionato italiano, degli stick uguali e perfetti”. Le carrozzine per Powerchair Sport devono essere agili e fatte di materiali leggeri e resistenti per proteggere e essere maneggiate da persone dotate di poca forza muscolare: la mazza, una paletta in plastica simile a quella del floorball, è realizzata con materiali plastici molto leggeri, ma anche così ci sono giocatori che non possono usarla e utilizzano invece lo stick, una sorta di paletta applicata frontalmente alla carrozzina dell’atleta che permette anche a chi non è in grado di reggere la mazza di poter controllare la pallina ed essere fondamentale nel gioco. “C’è tanto lavoro e la parte elettronica è determinante. Ogni giocatore ha le sue caratteristiche e l’elettronica si adatta alla sua specifica rotazione e frenata. Gli atleti devono avere carrozzine personalizzate in base al ruolo e alle esigenze fisiche. Poi c’è il lavoro di manutenzione, che è molto importante. Sono sedie che costano circa 17 mila euro l’una”.
Foto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco EspostoFoto di: Sharks Monza, Marco Mancinelli e Mirco Esposto
Da quella prima sconfitta nel 2014, il meccanico Ravasi e le “sue” powerchair hanno fatto molta strada. Quest’anno gli Sharks, come si è detto, si sono portati a casa lo scudetto. Ma è solo la più recente di una serie di soddisfazioni. “Nel 2016 con la nazionale abbiamo centrato la prima finale europea e siamo arrivati secondi. Siamo partiti che nessuno ci considerava, eravamo nel girone peggiore e abbiamo debuttato contro i vice-campioni del mondo; e li abbiamo battuti alla prima partita. Stavamo creando un bel gruppo”. Durante gli ultimi mondiali, nel 2018, l’Italia del Powerchair Hockey si è aggiudicata il primo posto in finale contro la Danimarca. Nel 2020 si sarebbero dovuti disputare nuovamente gli europei, che sono stati però fermati, come anche i campionati nazionali, a causa della pandemia. Il 2022 è quindi segnato da grande aspettativa. Il 5 ° IWAS Powerchair Hockey World Championship si svolgerà dal 7 al 15 agosto 2022 in Svizzera. Da campioni del mondo, puntiamo alla seconda coppa mondiale, contendendocela contro le altre 9 squadre classificate: Germania, Danimarca, Australia, Canada, Olanda, Svizzera, Belgio, Finlandia e Spagna.
Dopo questi risultati, Ravasi è pronto per una nuova avventura: “Porgo i miei auguri alla nostra Nazionale di Hockey, perché adesso ho un nuovo ruolo come meccanico nella neonata nazionale di Powerchair Football. In Italia è arrivato il calcio in carrozzina, nel mondo come sport è molto praticato, a differenza dell’hockey. Ci sono già i numeri per le paralimpiadi e le federazioni stanno lavorando per unificare i regolamenti”. Quest’anno si è svolto il primo campionato italiano, vinto dai Thunder Roma davanti alle Aquile di Palermo; terzi sono arrivati i Black Lions di Venezia che hanno avuto la meglio sulla Oltre Sport di Trani. In questo ambito ci sono squadre nate da zero che giocano solo a calcio, come Oltre Sport, ed altre che hanno creato la squadra di calcio avendo già quella dell’hockey, come le altre tre finaliste. “Per la nuova nazionale abbiamo convocato gli 8 che dal 16 al 22 Agosto rappresenteranno l’Italia alla EPFA (European Powerchair Football Association) CUP, che si disputerà a Ginevra e ci vedrà impegnati contro Austria, Belgio, Germania, Scozia, Spagna e Svizzera. Saremo anche la squadra con il maggior numero di atlete (3 donne su 8). Le carrozzine sono differenti da quelle da hockey, la migliore è americana, poi ci sono quelle svizzere che sono le migliori da hockey con un paraurti specifico per il calcio (che sono poi la maggioranza, come detto prima molti giocatori praticano entrambi gli sport), e poi c’è un costruttore italiano che ha iniziato a produrre i primi prototipi. Vedremo il da farsi, perché comunque a Monza non faremo il calcio e quindi dovrò per forza applicare un piano di lavoro differente. Sicuramente sarà una bella esperienza per gli atleti alla prima uscita in Azzurro, la maggior parte, mentre per me servirà per accumulare esperienza strizzando sempre l’occhiolino ad un bel risultato”.
La popolazione femminile è sottorappresentata in molte delle attività svolte presso le università tecniche. È anche il caso del Politecnico di Milano: le donne rappresentano meno del 30% dei suoi 47.000 studenti e 1400 ricercatori. È un dato macro, però: se guardiamo più da vicino, notiamo uno squilibrio maggiore sul totale degli studenti di Ingegneria, dove solo 1 su 4 è una donna.
Stringiamo ancora l’obiettivo e il numero precipita al di sotto del 20% nel caso di alcuni corsi come Ingegneria Meccanica, Elettronica, Informatica e Aerospaziale.
LE AZIONI DEL POLITECNICO VERSO LA PARITÀ DI GENERE
POP – Pari Opportunità Politecniche è il programma strategico con cui l’Ateneo si impegna per garantire un ambiente di studio e lavoro che rispetti le identità di genere, le diverse abilità, le culture e provenienze. Al suo interno, esistono diverse iniziative per promuovere le materie STEM (acronimo di Science, Technology, Engineering and Mathematics) tra le ragazze delle scuole superiori e incentivarle ad iscriversi al Politecnico di Milano. Girls@Polimi, per esempio, finanzia borse di studio per future immatricolate ai corsi di ingegneria con bassa percentuale femminile (Meccanica, Elettronica e Informatica), che mettono a disposizione delle candidate meritevoli 8000 euro ciascuna, ripetibili per i tre anni della laurea, oltre all’alloggio gratuito.
“La consapevolezza del divario di genere è un primo passo al quale devono seguire azioni concrete non solo all’interno delle nostre università, ma a livello esteso e nel contesto internazionale. Costruire reti e aderire a cause comuni aumenta la nostra capacità di influenzare i decisori”
commenta la prorettrice Donatella Sciuto, sottolineando la dimensione internazionale e sistemica di questo squilibrio.
Per questo, a guida delle azioni da perseguire, abbiamo messo nero su bianco due strumenti di lavoro: il primo è Bilancio di genere, un’analisi annuale dell’Ateneo rispetto alla prospettiva del genere nei percorsi di studio e di lavoro, all’interno del corpo docente e del personale tecnico-amministrativo. Indica obiettivi, strumenti e direzioni; il piano concreto delle azioni da intraprendere, con un orizzonte triennale, è descritto invece nel Gender Equality Plan: “abbiamo stanziato un budget specifico”, fa sapere il rettorato, con l’obiettivo di “riconoscere la dignità di ogni persona nel lavoro e nello studio, garantire la parità di trattamento, promuovere iniziative volte a rimuovere le discriminazioni nella formazione, nell’accesso al lavoro, nell’orientamento e durante la carriera”.
Quello che stai leggendo è un articolo dell’ultimo numero del MAP (leggilo qui). Il MAP è una delle tante iniziative creata da Alumni Politecnico di Milano. Se vuoi ricevere a casa due numeri della rivista in formato cartaceo, puoi sostenere il progetto con una donazione.
Elda Sala, studentessa del Politecnico di Milano, è la vincitrice della seconda edizione della borsa di studio del valore di 5000 euro intitolata alla memoria di Mario Buzzella.
“Il mio corso di studi è la Magistrale in Materials Engineering and Nanotechnology – ci dice Sala -. Ho svolto la tesi presso il CNST (Center for Nano Science and Technology, afferente all’Istituto Italiano di Tecnologia) e mi sono occupata di semiconduttori organici. La borsa mi è stata assegnata sulla base di una graduatoria stilata tenendo in conto alcuni fattori: media dei voti, numero di crediti ottenuti rispetto al tempo trascorso dall’immatricolazione e situazione economica, il tutto con l’obbligo di essere in corso con la Laurea Magistrale.”
La premiazione si è tenuta gli ultimi giorni di giugno nella sala riunioni della Coim, la multinazionale della chimica della quale Buzzella era il fondatore, alla presenza della sua famiglia e dei vertici del Rotary Club di Crema.
Beatrice Buzzella, figlia di Mario, spiega cosa ha spinto i familiari e l’azienda ad istituire la borsa di studio destinata agli studenti del corso di laurea magistrale in Ingegneria dei Materiali e delle Nanotecnologie del Politecnico di Milano:
“Per la nostra famiglia ha un significato enorme perché premia un percorso coronato con un successo frutto di capacità, impegno e sacrificio, nel campo della ricerca e dello sviluppo”.
Tornando a Elda, quando le domandiamo del Politecnico non ha dubbi sulle lezioni più importanti che ha imparato durante gli anni di studio:
“Perseveranza e spirito di adattamento, ma ho anche appreso l’importanza di organizzare il mio tempo con efficienza. Sono sempre stata una studentessa lavoratrice e non è stato automatico imparare a gestire tanti impegni paralleli; la triennale è stata un campo d’allenamento, in questo senso. Con un po’ di determinazione, le difficoltà vengono superate e trasformate in esperienze formative.”
E il futuro cosa riserva?
“Nei miei piani c’è un progetto di Dottorato di Ricerca presso la stessa struttura in cui ho svolto il lavoro di tesi, quindi per ora conto di rimanere nella ricerca accademica. Dopodiché mi piacerebbe andare a lavorare nel settore di Ricerca e Sviluppo, possibilmente sempre in ambito di semiconduttori ed elettronica. In generale, mi piace stare in laboratorio e vorrei continuare”.
Sostieni studenti e le studentesse: con una donazione a partire da 10€ puoi contribuire a finanziare le borse di studio. Dona ora.
Nasce in questi giorni FPM.US, la Fondazione Politecnico di Milano negli USA, Fellows of Politecnico di Milano USA, una Fondazione di diritto americano con lo status di 501(C)3: per consolidare la rete politecnica negli Stati Uniti sulla base del lavoro portato avanti da diversi anni dal Chapter Alumni Polimi North America.
“È un’iniziativa che aggiunge forza alla nostra strategia di internazionalizzazione” secondo il prof. Andrea Sianesi (Alumnus e presidente di Fondazione Politecnico di Milano), che ci spiega come questo nuovo strumento si inserisca nel piano strategico dell’Ateneo. “L’obiettivo è quello di potenziare la rete politecnica in Nord America, a supporto delle missioni dell’Ateneo (formazione, ricerca e impatto sociale), appoggiandoci a uno dei nostri maggiori asset: gli Alumni”.
Sono infatti circa 2000 gli Alumni del Politecnico che risiedono e lavorano negli stati Uniti. “FPM.US servirà a facilitare le collaborazioni con istituzioni e aziende radicate nel contesto americano, che segue dinamiche diverse da quelle italiane e per questo necessita di uno strumento specifico”. La roadmap per consolidare questa rete segue 3 direzioni, ci spiega Sianesi: prima di tutto FPM.US è una charity, uno strumento di fundraising che ci permetterà di replicare in USA le raccolte fondi che l’Ateneo già promuove in Italia (come quelle dedicate alle borse di studio, a progetti didattici speciali, a progetti di ricerca specifici), garantendo ai donatori i benefici fiscali tipici di questa forma amministrativa. L’obiettivo è anche finanziare progetti specifici per il territorio, come per esempio borse per periodo di studio, stage e ricerca negli Stati Uniti.
“Una seconda linea d’azione va nella direzione di potenziare la cooperazione bilaterale tra Italia e Stati Uniti per la ricerca scientifica”: sul fronte accademico, significa la possibilità di sviluppare progetti di ricerca congiunti con centri di ricerca di eccellenza e accedere a fondi NSF per la ricerca accademica. Significa anche portare nel circuito Politecnico, aziende con le quali collaborare a livello di JRC (Joint Research Center, scopri di più sui JRC su MAP 10), fondi di venture capital e nuove opportunità per il trasferimento tecnologico. “Una terza fase ci vedrà impegnati in collaborazioni per supporto al placement e all’education, per offrire ai nostri laureati nuovi sbocchi professionali e un solido network di Alumni a cui far riferimento. Stiamo impostando questa sfida come il beta test di una strategia che potrà essere replicata in altri contesti nel mondo”.
Ci sono oltre 15 mila Alumni che risiedono e svolgono le proprie attività fuori dall’Italia, e di questi, circa 2000 sono negli Stati Uniti. Sono gli ambasciatori della cultura politecnica nel mondo. FPM.US offre l’opportunità agli Alumni oltre oceano di contribuire in modo diretto allo sviluppo futuro del Politecnico di Milano, sui fronti dell’internazionalizzazione, dell’innovazione didattica, del trasferimento tecnologico, della ricerca, del brand Politecnico e del sostegno economico a progetti e borse di studio.
Enrico Zio, Presidente di Alumni Politecnico di Milano
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