Milano, 2026. All’uscita della fermata della metropolitana Loreto un uomo viene quasi preso in consegna della piazza che – scavata e fattasi ipogeo, in pietra naturale – scende al livello del mezzanino per portarlo su, a cielo aperto, dove alzando lo sguardo scopre anche il verde delle terrazze in cima a tre edifici, geometrie prismatiche dotate di pannelli solari e al cui interno si celano negozi mentre all’esterno si muove un reticolo di pedoni e ciclisti, fra trecento alberi, luoghi di passaggio e di ritrovo. Una rigenerazione urbana che si estende su oltre novemila metri quadrati, di cui quasi quattromila di verde pubblico e più di un chilometro di piste ciclabili nell’intero progetto. Torniamo a Milano, 2023. La visione appena immaginata è – in breve – il progetto della nuova Piazzale Loreto, vincitore del bando internazionale Reinventing Cities. Si intitola LOC – Loreto Open Community, il suo avvio di cantiere è previsto entro l’autunno 2023 verso il traguardo di Milano-Cortina 2026, e ha alla base l’idea di una piazza che vuole farsi aperta a persone e idee. Ne abbiamo parlato con l’Alumnus Carlo Masseroli, Development&Strategy Director di Nhood, società internazionale di soluzioni immobiliari specializzata nel commercial real estate e nella rigenerazione urbana – capofila di una cordata multidisciplinare che include alcune fra le migliori eccellenze nel campo della progettazione, del design e del paesaggio.
Il progetto si divide in quattro fasi, che nel tempo e in vari modi prevedono l’incontro con la cittadinanza. Per noi è stato fondamentale partire innanzitutto dall’ascolto del territorio, il che non significa la neutralizzazione dei potenziali comitati di quartiere o lo stare attenti al non toccare tasti che avrebbero potuto generare contrarietà. Era necessario presentare il progetto e capire con gli abitanti stessi se fosse coerente. Nella prima fase di ascolto dunque è emerso subito che in questa piazza è ancora forte l’eredità del boom dell’automobile, quando una diversa concezione di città la trasformò non in un luogo di incontro ma di divisione. Tant’è vero che Piazzale Loreto separa parti di città profondamente distanti tra loro. Non c’è un altro luogo della città in cui, ponendosi al centro e guardandosi intorno, si dipanino tante Milano differenti: c’è il mondo di NoLo, percorso da una nuova vitalità generatasi proprio grazie alla cittadinanza, ma che rispetto ad esempio a Corso Buenos Aires nasce con minori servizi. Dalla parte opposta c’è appunto il mondo di Corso Buenos Aires, la parte più ricca e destinata allo shopping. Proseguendo in asse da qui, ci sono i mondi di viale Monza e la multiculturale via Padova. E poi c’è Città Studi, il quartiere universitario. Si tratta insomma di uno snodo stradale che dal punto di vista sociale ha creato una barriera alla condivisione della città. Noi vogliamo abbatterla. Da qui prende forma l’idea di realizzare un intervento che non sia di tipo monumentale e architettonico – cosa che all’origine era – ma che conferisca a questa piazza il ruolo di ricongiunzione di tanti pezzi di città diversi. Un’agorà, un punto di incontro.
Sì, e coincide con la fase in cui ci troviamo ora. LOC 2026 inizierà ad ospitare iniziative ed eventi che andranno ad anticipare ciò che vorremmo accadrà nella piazza. Organizzeremo anche un ciclo di incontri dedicato agli studenti del Politecnico di Milano, per raccontare le varie fasi realizzate e comprendere anche il loro punto di vista sul progetto. Allo stesso modo incontreremo altre scuole e soggetti del territorio per spiegare i tanti aspetti del progetto, dalla mobilità all’ambiente. Riguardo a quest’ultimo, durante il mio mandato da assessore allo sviluppo del territorio (dal 2006 al 2011, ndr) ci eravamo figurati il tema dei raggi verdi della città, ovvero un parco orbitale costituito da piste ciclabili e natura che cingesse la città, percorrendola dal centro alle periferie. Piazzale Loreto rappresenterà uno di questi raggi verdi. Tornando alla genesi del nucleo di questa idea, vorrei aggiungere che il primo punto fermo di questa piazza è stata la costruzione del team di lavoro. Quando è partito il bando di Reinventing Cities ero in Arcadis, società di consulenza in progettazione e ingegneria, e volevo costruire un team in grado di vincere una grade sfida: quella di un soggetto privato che per la prima volta trasforma una piazza pubblica, emblema proprio della rigenerazione che associa l’interesse pubblico e la sostenibilità economica del privato. Così abbiamo coinvolto Nhood, società specializzata in trasformazione di spazi in luoghi di vita, il team di architetti Metrogramma e MIC-HUB per quanto riguarda la mobilità infrastrutturale pubblica e privata.
Da un lato c’è una paura enorme perché l’aspettativa è alta. E potremmo prevedere degli incontri dedicati proprio al raccontare e conservare la storia di questa piazza. Nessuno della mia generazione poi ha calpestato il centro di questa piazza e sarà una grande novità: nella piazza futura, da qualunque parte vi si potrà arrivare a piedi. Dal punto di vista della mobilità l’impatto è molto basso perché ordiniamo, ma non limitiamo. Ridurremo il traffico del 5% ma crediamo che il periodo di cantiere – che sarà la terza fase – genererà naturalmente una nuova modalità di utilizzo di questa parte di città. L’ambizione, infine, e arriviamo alla quarta fase, è che questa piazza, come le grandi piazze di altri capitali, diventi un luogo che faccia parte dei tour turistici della città.
Dopo la laurea in ingegneria gestionale ho aperto una società che si occupava di sistemi informativi per il controllo della gestione. Successivamente sono stato assessore all’urbanistica di Milano per cinque anni, rivestendo un ruolo pubblico focalizzato sulla rigenerazione urbana. Quindi, come direttore generale di MilanoSesto ho rivestito il ruolo di privato e oggi parte del mio lavoro è proprio far sì che gli interessi pubblici si accordino e dialoghino con gli interessi privati e la sostenibilità economica. Questo preambolo per sottolineare come io abbia iniziato a lavorare utilizzando le competenze gestionali apprese all’università ma poi ho fatto altro. Più che le competenze verticali, ciò che è rimasto è l’aver imparato un metodo, la capacità di affrontare qualsiasi tema complesso, di rendere processo qualsiasi tipo di problema. In un mondo che vertiginosamente cambia, ho la cassetta degli attrezzi che mi porto dal Poli. L’altro insegnamento ricevuto, consiste nella tendenza a dare sempre una quantificazione. Ad avere un approccio pragmatico. Soprattutto nel mondo della rigenerazione urbana, dove si associano competenze di ogni tipo e molto articolate e bisogna avere capacità di sintesi: dunque quantificare il processo, dare un senso di concretezza alle cose che stai gestendo. In poche parole: rendere numero le cose.
Il centro di piazzale Loreto credo sia il luogo più irraggiungibile per i milanesi, quasi un’utopia. Ecco, calpestare quel punto e renderlo fruibile da tutti credo possa essere un buon obiettivo simbolico. Lì, all’ombra di un giorno di sole, vorrei poter brindare alla nuova piazza.