Dal Polimi, 5 proposte concrete per Milano da realizzare in 18 mesi

Nel 2023, attraverso il contest Polisocial Awards (qui vi raccontiamo che cos’è), sono stati selezionati 5 progetti di ricerca da finanziare con il contributo del 5 per mille Irpef, grazie a tutti gli Alumni che hanno deciso di devolverlo al Politecnico di Milano.

Sperimenteranno servizi di supporto alle comunità che abitano nelle aree più critiche della città di Milano: “Attivare i territori, colmare i divari” è il titolo di questa edizione del concorso Polisocial Award. I gruppi di ricerca selezionati hanno iniziato i lavori a novembre e, per 18 mesi, si impegneranno ad inquadrare situazioni di divario e di bisogno per sviluppare soluzioni realizzabili nel breve termine, che puntano a essere replicabili e avere un effetto nel lungo periodo; case study che mettono a terra tecnologie studiate in progetti più grandi (e l’occasione, per studenti e ricercatori, di mettere in pratica quello che hanno appreso).

Ecco i progetti

Anche a Milano ci sono persone che soffrono di malnutrizione. Che cosa si può fare?

Nel 2023, attraverso il contest Polisocial Awards (qui vi raccontiamo che cos’è), sono stati selezionati 5 progetti di ricerca da finanziare con il contributo del 5 per mille Irpef, grazie a tutti gli Alumni che hanno deciso di devolverlo al Politecnico di Milano.

Sperimenteranno servizi di supporto alle comunità che abitano nelle aree più critiche della città di Milano: “Attivare i territori, colmare i divari” è il titolo di questa edizione del concorso Polisocial Award. I gruppi di ricerca selezionati hanno iniziato i lavori a novembre e, per 18 mesi, si impegneranno ad inquadrare situazioni di divario e di bisogno per sviluppare soluzioni realizzabili nel breve termine, che puntano a essere replicabili e avere un effetto nel lungo periodo; case study che mettono a terra tecnologie studiate in progetti più grandi (e l’occasione, per studenti e ricercatori, di mettere in pratica quello che hanno appreso).

Bioloop – laboratorio sperimentale per supportare pratiche di economia locale, circolare e partecipata

All’interno del territorio comunale, l’area sud-est di Milano emerge come una delle più problematiche. Vi coesistono situazioni di fragilità economica, sociale, abitativa ed educativa ed è ancora caratterizzata da una accentuata dicotomia tra tessuto urbano, edificato in modo intensivo, e campagna (governata ancora dalla presenza di ampi campi agricoli a supporto delle cascine locali). Qui c’è la quasi totalità delle superfici agricole afferenti alla città, destinate soprattutto alla produzione di riso, mais e frumento, e la maggiore densità di orti urbani (per esempio, in zona 5 sono presenti 66 orti riconosciuti e censiti per una superficie di circa 2.600 mq).

Il quartiere tra Corvetto, Porto di Mare e Chiaravalle, che circonda la Cascina Nosedo sede di uno degli Off Campus del Politecnico di Milano, è un esempio molto rappresentativo di questa realtà. Attualmente è oggetto di grandi dismissioni e demolizioni e, dal punto di vista dell’economia circolare locale, rappresenta un’opportunità per ricucire queste due anime della città offrendo sostegno a una delle fasce più vulnerabili della popolazione. Con BIOLOOP, i ricercatori si concentrano sullo sviluppo di metodi, materiali e dispositivi per la produzione agricola su superfici integrate nell’edificato; sulla distribuzione sostenibile; sulla mappatura delle relazioni tra gli attori locali e sulla creazione di una ‘materioteca delle risorse’. L’obiettivo diretto è legato all’integrazione del reddito dei residenti e la riduzione della povertà alimentare.

Desertificazione in Algeria e perché ci interessa: scopriamolo con i ricercatori Polimi

Ogni anno, il Politecnico di Milano seleziona 5 progetti di ricerca ad alto impatto sociale e, con il contributo economico dei donatori che scelgono di devolvere il loro 5 per mille Irpef all’Ateneo li supporta in una fase di messa a terra di “esperienze pilota” con un impatto concreto.

Nel 2022, per esempio, il tema del concorso è stato “Sviluppo Locale e Transizione Ecologica”. I 5 gruppi di ricerca selezionati hanno tempo fino a fine 2024 (di solito infatti sono progetti realizzabili nel breve termine, anche se puntano a essere replicabili e avere un effetto nel lungo periodo) per mettere a terra le loro idee.

Cinque gruppi di ricerca che stanno lavorando proprio adesso: uno a Milano, tre in Africa e uno in Brasile. Hanno in comune l’obiettivo di rendere più verde il nostro pianeta, a cominciare da contesti molto specifici: trasformare i rifiuti in carburante senza tagliare gli alberi; fare fronte ai cambiamenti climatici nelle città; un progetto per una fattoria super efficiente che usa al meglio ciò che offre il territorio; tecniche per dare nuova vita a una valle in Algeria unendo antichi saperi e tecnologia all’ultimo grido; e soluzioni ortopediche all’avanguardia per migliorare la salute in Lombardia, risparmiando e rispettando l’ambiente.

Scopriamoli.

AMAZING

ATLAS MOUNTAINS, AURÈS ZONE. INTERCONNECTING LOCAL SCIENCES AND GLOBAL

La regione dell’Aurès intorno a Biskra, non lontano dal Sahara algerino, sta affrontando difficili sfide, legate, direttamente o meno, al cambiamento climatico: desertificazione, calo di produttività agricola, sgretolamento del tessuto comunitario rurale, spopolamento dei nuclei antichi dei centri abitati tradizionali e perdita di quelle conoscenze che per millenni hanno reso l’area abitabile e produttiva. Ma, come ricordano gli abitanti più anziani, un tempo la valle era popolata da mulini ad acqua. È una storia che potrebbe verificarsi molto simile anche nelle nostre campagne. La domanda a cui i ricercatori stanno dando una risposta è cruciale: come contrastare questo abbandono e restituire valore ai territori?

Ne parla il prof. Giovanni Porta, del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale, in un’intervista a Frontiere. “È un circolo vizioso: con la scomparsa dell’acqua cala la produzione agricola, la forza lavoro se ne va, scompaiono gli antichi saperi, i villaggi si svuotano, gli arbusti sostituiscono le palme (e con loro un paesaggio millenario) e ciò che rimane è un territorio spoglio, con scarse prospettive di sviluppo”. Il progetto AMAZING sta contribuendo a rendere la valle del Uadi Abiod, oggi tra le più aride dell’Aurès, centro di una rete attiva di produzione di conoscenza, in grado di coniugare tecnologia e scienze tradizionali nel gestire sfide climatiche, naturali e sociali.

Scopri di più

Dal Polimi, 5 idee per il pianeta da mettere a terra subito

Ogni anno, il Politecnico di Milano seleziona 5 progetti di ricerca ad alto impatto sociale e, con il contributo economico dei donatori che scelgono di devolvere il loro 5 per mille Irpef all’Ateneo, li supporta in una fase di messa a terra di “esperienze pilota” con un impatto concreto.

Nel 2022, per esempio, il tema del concorso è stato “Sviluppo Locale e Transizione Ecologica”. I 5 gruppi di ricerca selezionati hanno tempo fino a fine 2024 (di solito infatti sono progetti realizzabili nel breve termine, anche se puntano a essere replicabili e avere un effetto nel lungo periodo) per mettere a terra le loro idee.

Cinque gruppi di ricerca che stanno lavorando proprio adesso: uno a Milano, tre in Africa e uno in Brasile. Hanno in comune l’obiettivo di rendere più verde il nostro pianeta, a cominciare da contesti molto specifici: trasformare i rifiuti in carburante senza tagliare gli alberi; fare fronte ai cambiamenti climatici nelle città; un progetto per una fattoria super efficiente che usa al meglio ciò che offre il territorio; tecniche per dare nuova vita a una valle in Algeria unendo antichi saperi e tecnologia all’ultimo grido; e soluzioni ortopediche all’avanguardia per migliorare la salute in Lombardia, risparmiando e rispettando l’ambiente.

Ecco i progetti

Al Poli si studia anche come colmare i divari: sociali, economici, ecologici…

La ricerca scientifica non è solo nei laboratori.
Ogni anno, il Politecnico di Milano seleziona 5 progetti di ricerca ad alto impatto sociale: con il contributo economico dei donatori che scelgono di devolvere il loro 5 per mille Irpef all’Ateneo, li supporta in una fase di messa a terra di “esperienze pilota” con un impatto concreto, che possano mettere le basi per nuove pratiche sostenibili nel tempo.
Perché esistono alcune necessità sociali, culturali, tecniche e tecnologiche che hanno bisogno di una soluzione nel breve termine. Nel 2023, le cinque proposte premiate hanno lavorato sugli spazi Off Campus gestiti dal Politecnico nei quartieri di Milano, nell’ottica di sperimentare servizi di carattere locale e rispondere a situazioni di divario e bisogno nella città.
A breve potrai scoprire i progetti in corso adesso, finanziati con il contributo del 5 per mille


OFF CAMPUS? CUSA L’È?

Off.Campus – il Cantiere per le Periferie è un’iniziativa del Politecnico di Milano con l’obiettivo di portare l’ateneo “fuori dall’ateneo”: l’idea di un’università responsabile, attenta alle sfide sociali, aperta e vicina ai territori e alle comunità, si concretizza nella collaborazione dei nostri studenti e ricercatori con gli abitanti dei quartieri della città.

Abbiamo creato veri e propri distaccamenti del Politecnico dove, invece di stare in aula o in laboratorio, si fanno sperimentazioni sul campo, sulla strada: didattica innovativa, dove gli studenti possono applicare in contesti reali quello che hanno studiato e sviluppare nuove competenze; ricerca responsabile, attenta all’inclusività dei processi di produzione di conoscenza, con un orecchio teso alle esigenze delle persone; co-progettazione con le realtà locali, per realizzare interventi con un impatto positivo sulla collettività e attivare servizi necessari al territorio.

Con il tuo 5 per mille, puoi fare la differenza nella ricerca scientifica

Il Politecnico di Milano è la seconda università in Italia per distribuzione degli importi del 5 per mille Irpef: 692.215 euro provenienti da 7.686 donatori nel 2022 (è l’ultimo dato rilasciato dall’Agenzia delle entrate).
Da ormai molti anni, l’Ateneo ha scelto di devolvere la maggior parte di questo contributo alla ricerca scientifica ad alto impatto sociale: progetti che hanno un effetto concreto e a breve termine per migliorare la qualità della vita nei territori in cui si sviluppano.

PERCHÉ DONARE IL TUO 5 PER MILLE AL POLITECNICO DI MILANO?

La ricerca scientifica ha un impatto sulla vita di ciascuno di noi. Ancora di più, quando a farla sono ricercatori che lavorano non solo in laboratorio, ma anche sul campo, analizzando problemi concreti e studiando soluzioni direttamente applicabili per migliorare la qualità della vita di tutti. Anche in questo, l’Ateneo è pioniere: ha un programma di impegno e responsabilità sociale che promuove un nuovo modo di costruire e applicare il sapere e l’eccellenza universitaria. Polisocial è primo in Italia tra le iniziative accademiche di questo tipo. Ha l’obiettivo di mettere l’università a stretto contatto con le dinamiche di cambiamento nella società, estendendo la missione dell’Ateneo verso temi e bisogni sociali che nascono dal territorio, a livello sia locale che globale, e da più di 10 anni raggiunge categorie fragili e portatrici di bisogno. Come?

CON ESPERIENZE PILOTA CHE PORTANO I RISULTATI SCIENTIFICI FUORI DEI LAB E LI APPLICANO NELLA REALTÀ

Ogni anno, attraverso il contest Polisocial Award, l’Ateneo seleziona 5 progetti di ricerca ad alto impatto sociale e li supporta in una fase di messa a terra di “esperienze pilota” con un impatto concreto.

Questo programma promuove il coinvolgimento di collaboratori e partner esterni, come aziende e istituzioni, per fare rete; stimola la collaborazione multidisciplinare e le sinergie tra diversi dipartimenti e gruppi di ricerca, li supporta in un’ottica di sostenibilità nel tempo; ha anche l’obiettivo di dare spazio ai giovani ricercatori e coltivare un approccio etico al lavoro accademico, che valorizzi l’impatto sociale delle competenze politecniche.

Scopri i progetti del 2022 e del 2023 che proseguono anche nel 2024!

L’eccellenza del Politecnico nei QS World University Rankings by Subject 2024

In un contesto accademico globale sempre più competitivo, il Politecnico di Milano si è affermato nuovamente come una delle principali istituzioni accademiche a livello mondiale, piazzandosi tra le prime università nelle sue discipline caratterizzanti: 7° posto sia in Design che in Architettura e 23° posto in Ingegneria, secondo i dati pubblicati oggi dal QS World University Rankings by Subject2024.

QS World University Rankings by Subject è la classifica delle università migliori al mondo per ambito disciplinare, e oggi copre 55 discipline divise in 5 macro aree. I ranking by subject hanno l’obiettivo di orientare gli studenti a scegliere le università per disciplina di interesse.

I risultati diffusi oggi, con una presenza significativa nelle classifiche mondiali in molteplici campi di studio, consolidano la reputazione dell’Ateneo come leader nella formazione e nella ricerca scientifica e tecnologica.

Entrando nel dettaglio della classifica, il Politecnico di Milano ha ottenuto risultati eccellenti in varie discipline, con posizioni di rilievo in settori chiave nello sviluppo economico e scientifico, come Ingegneria – Meccanica, Aeronautica e Manifatturiera, classificandosi al 9° posto a livello mondiale in discipline cruciali per lo sviluppo e l’innovazione di tecnologie che guidano il progresso industriale.

Per quanto riguarda l’Ingegneria Civile, l’Ateneo si posiziona al 12° posto al mondo. Nonostante la crescente domanda da parte del mercato del lavoro, il numero di laureati, non solo al Politecnico, in questo campo è in diminuzione. Una carenza che rappresenta un’opportunità di lavoro straordinaria per chi decide di intraprendere un percorso che pone i professionisti al centro del progresso infrastrutturale del Paese, con tassi di occupazione per i laureati del Politecnico che raggiungono il 97% a un anno dal conseguimento del titolo di studi.

Inoltre, l’Ateneo si è distinto al 23° posto nel settore cruciale Data Science & AI, indicatore valutato per la prima volta da Qs, che conferma ulteriormente il lavoro dei ricercatori e dei docenti. Proprio in questo ambito, chi sceglie di essere protagonista della transizione digitale, con la possibilità di contribuire allo sviluppo di nuove tecniche, applicazioni e implicazioni etiche, trova nel Politecnico di Milano un’istituzione impegnata da oltre 50 anni nello studio dell’intelligenza artificiale. L’Ateneo si afferma, infatti, come un grande centro per lo studio dell’AI con un approccio trasversale e pervasivo all’interno di tutti gli ambiti di ricerca e innovazione

Quello che emerge dall’ultima indagine QS è il valore delle ‘ingegnerie’. Il plurale è d’obbligo in un contesto sempre più articolato e multidisciplinare. In questo ambito specifico, entriamo in classifica tra i primi 25 al mondo in Data Science & AI, a fronte di una competizione serrata.

Prof.ssa Donatella Sciuto, Rettrice del Politecnico di Milano

Rispetto all’anno scorso, il Politecnico di Milano ha registrato progressi notevoli in diverse discipline, tra cui la Fisica e l’Astronomia (+22 posizioni), l’Architettura e l’Ambiente Costruito (+3), la Matematica (+3), e l’Ingegneria Chimica (+7), dimostrando così un continuo impegno per l’eccellenza accademica e la ricerca di frontiera.

Tutti i 12 dipartimenti dell’Ateneo, inoltre, sono nella TOP50 per almeno una disciplina.

A livello nazionale, il Politecnico di Milano si conferma come il principale punto di riferimento nell’Architettura, nel Design, e nell’Ingegneria.

Italiani dell’altro mondo! Giuseppe Scionti e la carne sintetica di Novameat

I lettori di MAP potrebbero ricordarsi di lui: ne abbiamo parlato nel numero speciale di MAP dedicato ai traguardi politecnici. L’Alumnus Giuseppe Scionti, ingegnere biomedico del Politecnico di Milano, dalla Spagna ha fondato la startup NovaMeat e si inserisce a pieno titolo nel dibattito sulla fake meat.  

In questa intervista a StartupItalia, spiega di non essere un “fanatico” e mantiene l’approccio da ingegnere. «Lo ammetto: preferirei mangiare carne. Ecco perché ho iniziato a capire come migliorarla. Con Novameat vogliamo dare un’alternativa alla carne che sia buona, più salutare e meno costosa per le persone».

Leggi l’intervista a questo link

«Il vantaggio di questo nuovo metodo, rispetto alle tecniche finora esistenti, è che la tecnologia funziona con una varietà di ingredienti e non solo con soia e grano. In questo modo è possibile difendere la biodiversità utilizzando ingredienti sostenibili, provenienti da diverse coltivazioni”, a km 0 o quasi: “in India prenderemo ingredienti locali, in Africa sosterremo attraverso la FAO i Paesi con cui lavoreremo». I calcoli indicano un risparmio del 95% di suolo e del 75% di acqua, abbattendo così le emissioni di gas serra dell’87% rispetto alla produzione dello stesso quantitativo di carne.

Scopri di più: https://www.yumpu.com/it/document/read/66092441/map-magazine-alumni-politecnico-di-milano-numero-speciale-best-of/72

Premio Marzio Cecchi 2024, primo posto all’Alumna Polimi Erica Nonis

Erica Nonis, Alumna del Politecnico di Milano, 30 anni appena compiuti, ha sempre avuto il sogno di aprire il suo studio. Dopo la laurea in architettura, nel dicembre 2018, inizia a collaborare in diversi studi e nel giro di pochi anni questo sogno lo corona, insieme al collega Edoardo Del Conte (anche lui Alumnus): “nel maggio 2022 fondiamo NODE Architetti. Fin da subito, iniziamo a confrontarci con il mondo dei concorsi, un’occasione di crescita e confronto sui temi progettuali, ma anche un modo, per un piccolo studio come il nostro, di farsi conoscere”.

Il Concorso Internazionale Marzio Cecchi porta il nome del celebre architetto e nasce proprio per valorizzare il talento dei giovani progettisti, architetti, designer e creativi. “Il concorso richiedeva la progettazione di una capsule collection che prevedesse un divano o una poltrona e dei tavolini, dedicando una particolare attenzione ai temi della sostenibilità e del riuso. Un’importante occasione da non perdere”, racconta Nonis. “Decido di partecipare con la collezione “Cantiere”: l’ispirazione è arrivata dalla mia attività quotidiana, quando recandomi in loco per i sopralluoghi, noto che ci sono enormi quantità di scarti di materiali. Inizio a pensare a degli arredi che possano riutilizzare questi “scarti” innalzandoli a prodotto di design. Tutta la collezione, costituita da divano, poltrona e tavolini bassi, infatti è pensata con un’estetica molto lineare dove la parte portante si mostra apertamente ed è costituita da un telaio fatto di tondini da armatura, reti elettrosaldate e reti porta intonaco. Il concorso quindi mi ha dato l’occasione per mostrare questa idea che univa, in qualche modo, la mia professione da architetto alla mia passione per l’arredamento”.

La premiazione è avvenuta il 1° marzo a Palazzo Spiga a Firenze, Nonis ha vinto il primo premio della seconda edizione del Premio Marzio Cecchi, superando altri 10 candidati provenienti dalle più qualificate e importanti università e scuole di design. La serata promossa dalla stilista Cecchi, sorella di Marzio, ha anche una finalità di fundrasing in favore della Fondazione Voa Voa Aps Amici di Sofia, che sta portando avanti il progetto pilota per lo screening neonatale della leucodistrofia metacromatica.

Non è il primo riconoscimento per la nostra Nonis: “A luglio 2022 abbiamo partecipato al maxi concorso di progettazione denominato “Scuola Futura”, risultando i vincitori per l’area del comune di Cinto Caomaggiore per la quale avevamo progettato la nuova scuola primaria; ad oggi stiamo ultimando i preparativi per dare inizio al cantiere e vedere finalmente il nostro progetto prendere forma”. Buon lavoro!

Andare come un treno, a idrogeno

Un treno parte da Brescia, si riflette silenzioso sul lago d’Iseo e sfila poi tra le case e le montagne della Val Camonica, lasciando il paesaggio pulito, nessuna scia di fumo nero ma un vapore acqueo, segno dell’energia che lo sta mettendo in moto. È questo lo scenario previsto, tra fine 2024 e inizio 2025, quando il Coradia Stream, primo treno a idrogeno italiano, a zero emissioni dirette di CO2 nell’ambiente, sostituirà i treni Diesel sulla linea ferroviaria non elettrificata della Brescia-Iseo-Edolo. Primo dei sei esemplari commissionato da Trenord e Ferrovie nord Milano ad Alstom, avrà 600 chilometri di autonomia, 260 posti e rientrerà nell’ambito del progetto ‘H2iseO’, prima valle italiana dell’idrogeno, che contribuirà all’obiettivo di neutralità carbonica fissato per il 2050 dall’Unione europea, ovvero una riduzione del 100% dell’emissione di CO2, tanta quanta se ne produce. A mettere in moto questo treno a idrogeno e l’innovazione che porta con sé c’è anche l’Alumna Susanna Boitano, che è stata la Train Control Engineer, ovvero la responsabile dello sviluppo software del Train Control Management System (TCMS) del treno. «Il cervello del convoglio – dice – che comunica con tutti i software dei sottosistemi di bordo».

Ci spieghi meglio il funzionamento di questo cervello

L’energia viene prodotta dalle fuel cells, le celle a combustibile che si trovano sul tetto del treno, e immagazzinata dalle batterie di alta tensione in litio. Nella Power car, la carrozza che ospita questo cuore energetico, sono distribuiti i serbatoi che contengono lo stoccaggio dell’idrogeno. Gli impianti di piping, cioè di tubazioni industriali, comunicano con le fuel cell dove avviene appunto la trasformazione chimica della combinazione di idrogeno, ossigeno e scarto d’acqua. L’energia viene quindi immagazzinata nelle batterie di alta tensione, comunicanti con i motori di trazione e con i gruppi ausiliari che prendono l’energia e la distribuiscono sul resto del treno. Dove possibile, grazie al controllo del sistema di Energy Management, il consumo del carburante a idrogeno viene limitato il più possibile. Le batterie, infatti, vengono caricate sia dalla produzione a idrogeno delle fuel cell che dalla frenatura elettrodinamica del macchinista, che consente di non disperdere energia in frenata. Parte dei software di cui mi sono occupata verifica, appunto, se le batterie di alta tensione debbano essere ricaricate mediante la conversione dell’idrogeno da parte delle fuel cell oppure mediante il recupero dell’energia di frenatura,

Il treno dunque è totalmente verde?

Sì perché l’idrogeno a contatto con l’ossigeno presente nell’aria genera energia tramite le fuel cell e rilascia acqua. Lo stoccaggio dell’idrogeno viene fatto in impianti a carico del cliente, in questo caso Trenord e Ferrovie nord Milano, le quali hanno dichiarato che proprio per mantenere il circolo legato alla sostenibilità ambientale, si riforniranno da fonti rinnovabili. Il piano di fattibilità, in corso di ultimazione, prevede il ricorso iniziale alla tecnologia Steam Methane Reforming (SMR), da metano o biometano, con cattura e stoccaggio della CO2 generata, per la produzione di “idrogeno blu”. Il nostro obiettivo è consegnare il primo treno tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025.

Com’è stato salire a bordo per la prima volta?

Premetto che i test sono tutt’ora in corso. Detto ciò, si lavora tanti anni a tutto il design, non solo estetico ma anche a quello meccanico e del software, ma la vera soddisfazione si prova quando il treno è completo, nel suo insieme, e si gira la chiave e lo si accende per la prima volta. Il primo giro di chiave è il momento in cui ti dici: ecco a cosa hanno portato tutti questi anni.

A cosa hanno portato?

Al primo treno a idrogeno in Italia, ma in realtà anche a livello europeo perché attualmente l’unico altro treno a idrogeno è iLint, sempre prodotto da Alstom, per la Germania, ma pensato per un servizio commerciale limitato e basato su tecnologie di rete differente. Questo invece è il primo modello Smart Coradia a idrogeno, che fa parte della medesima cordata di treni regionali che sta sostituendo tutta la flotta dei treni regionali monopiani italiani. Lavorarci per me è stato un privilegio perché ti fa sentire di dare un contributo al tuo Paese.

Marco Piuri, Amministratore Delegato di Trenord e Direttore Generale di FNM, ha dichiarato: “Inaugurare l’uso di questa tecnologia in un ambito che connette, per vocazione, fa sì che il suo valore non solo si realizzi nel singolo progetto, ma si propaghi ad altri ambiti. Penso a industrie e servizi che potranno essere raggiunti dalla rete dell’idrogeno. Questo è l’obiettivo che puntiamo a realizzare con H2iseO: vogliamo che sia scalabile, oltre la mobilità ferroviaria e su bus”. Qual è il futuro dell’idrogeno?

In un mondo sempre più attento al tema ambientale penso sia fondamentale cercare vie alternative di produzione dell’energia. Un treno alimentato a diesel emette C02, circa 0,044 kg di CO2 per km. In Italia il 40% delle tratte è sprovviste di elettrificazione, ed elettrificare a volte è molto più dispendioso che acquistare un treno a diesel. Inoltre il paesaggio è spesso difficoltoso perché ci sono montagne, foreste o, come nel caso di Brescia-Iseo-Edolo, i binari passano fra le case in tunnel di dimensioni limitate. L’idrogeno potrebbe essere anche un’applicazione intelligente nelle industrie metallurgiche che hanno al momento dispendi energetici enormi.

Su quali binari potrà quindi condurci il treno a idrogeno?

Sicuramente ci porterà a un futuro in cui saremo più consapevoli e attenti anche alle piccole cose. A volte servono un grande messaggio e un grande cambiamento per far sì che il singolo si senta sensibilizzato. Il forte slancio verso l’innovazione collettiva potrà avere una ricaduta nelle scelte che prenderemo tutti quanti, ogni giorno, singolarmente.

Salirà sul treno a idrogeno per uno dei suoi primi viaggi?

Certo. Organizzerò una gita con la mia famiglia per mostrargli su cosa effettivamente ho lavorato per tutto questo tempo.

Un espresso da premio

Una piccola luce affiora dal naso di una macchina per caffè espresso e illumina la tazzina che si riempie al suono dei chicchi macinati al momento. Di sponda, il bagliore si riflette sulle curve disegnate nell’alluminio della macchina. «Questa è la messa in scena dello spettacolo del caffè» dice una voce. Siamo nello store milanese di Smeg e la voce è quella dell’Alumnus Matteo Bazzicalupo che insieme all’Alumna Raffaella Mangiarotti, anche lei qui con noi, ha disegnato questa macchina per caffè espresso completamente automatica, la BCC Smeg, vincitrice della quarta edizione del premio DesignEuropa, organizzato dall’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale, nella categoria Industria. Il loro studio si chiama deepdesign perché, raccontano: «lavoriamo con la ricerca, mettendo in discussione le forme per realizzare un design che sia profondo». Così abbiamo deciso di dialogare proprio a partire dalle profondità del pensiero che portano poi alla creazione di linee nuove.

«Da venticinque anni ragioniamo sui prodotti non solo dal punto di vista estetico e funzionale ma anche simbolico – spiega Bazzicalupo – la potenza del simbolo va oltre le proprietà logiche e arriva al cuore e all’anima, consentendo di creare una relazione istantanea ed empatica con chi interagisce con il prodotto. L’immagine iniziale su cui abbiamo ragionato pensando a questa macchina da caffè è stata quella di un geode monolitico. Osservandola, ha un volume molto puro che riprende il dispositivo di un geode: si spacca e al suo interno custodisce un cuore prezioso. Allo stesso modo noi abbiamo ritagliato una porzione del volume primario che scopre un interno molto prezioso: la piattaforma tecnologica evoluta che c’è alla base e che si rivolge all’utente. Questa metafora racconta molto del nostro modo di lavorare, una metodologia poli-fattoriale, e racconta anche dall’interazione che si può generare nel primo istante e che poi può perdurare nel tempo».

In un video di presentazione della macchina da caffè espresso, Raffaela Mangiarotti si domanda come oltrepassare l’incomprensione iniziale, quello stallo distruttivo del rapporto fra macchina e utente. Come far parlare gli oggetti. Così le chiediamo in che modo gli oggetti possono riuscire a parlarci. «La forma esprime sempre un potenziale iconico – dice – ogni oggetto appartiene a una sua tradizione tipologica che può essere consacrata o dissacrata. A seconda del contesto aziendale con cui collaboriamo, ci sentiamo liberi di scegliere come agire: a volte abbiamo consacrato e a volte abbiamo distrutto le tipologie perché abbiamo considerato che potessero esserci modi diversi di vedere le cose, più contemporanei. Abbiamo ad esempio disegnato una lavatrice non a forza centrifuga ma centripeta, con una forma più morbida, un rumore che diventa un suono, più precisamente il suono dell’acqua e con dei movimenti fluidi all’interno di una macchina che non è più un cubo bianco ma è trasparente. In questo modo le cose diventano, oltre che funzionali, emozionali. In altri casi ci si rende conto che la tipologia è perfetta perché ci è giunta passando attraverso così tante mani e menti che l’hanno resa quasi intoccabile. Nel caso di questa macchina da caffè abbiamo adottato delle interfacce molto semplici perché non ci piace mettere in difficoltà chi ci si approccia. Le macchine, certo, diventano sempre più intelligenti ma forse non devono mostrarlo, devono anzi agevolare le nostre decisioni e capacità di comprenderle. Abbiamo pensato a qualcuno che la mattina si sveglia e arriva quasi ad occhi ancora chiusi in cucina e vuole semplicemente schiacciare un pulsante per avere un caffè. Ci sono quattro pulsanti, ne sceglie uno, sente il profumo del caffè diffondersi nell’aria, lo immaginiamo quasi sempre ad occhi chiusi, un vero risveglio soft e potente al tempo stesso. Poi, se invece sei un esperto, se hai gli occhi già aperti, scopri che c’è una modalità per cui quei quattro pulsanti comandano altre quattro opzioni di funzione; oppure puoi aprire lo sportellino, ruotare una levetta e scegliere il tipo di macinatura a seconda dell’umidità della giornata. È una macchina di livello, nel senso che è pensata per vari livelli: dal più semplice e immediato al più profondo e tecnico».

Andando dunque indietro, al momento della genesi, subito dopo l’illuminazione del monolite, come avete proceduto? Risponde Bazzicalupo: «Diciamo che all’inizio del lavoro ti danno l’interno della macchina e tu devi costruire la pelle. Ci siamo quindi concentrati sul fatto che la cosa più importante è che fosse compatta. Quindi dovevamo immaginare qualcosa di dimensioni non troppo eccessive, che potesse essere posizionata sotto il pensile della cucina. Da qui abbiamo capito che potevamo disegnare una forma stretta e lunga. A questo punto diventava interessante lavorare sul fronte e abbiamo pensato a un segno netto, pulito, con la possibilità di avere una parte anteriore dal taglio molto connotato, come fosse il taglio di una pietra. La gamma cromatica di partenza è di tre colori ma si sta ampliando. Per ora ci sono il bianco, il nero e il taupe, una sfumatura di colore che ricorda il caffellatte. Il pannello frontale è in alluminio naturale e presenta una finitura con spazzolata a bordo lucido, un colpo di luce che delinea ed enfatizza l’area del taglio».

Interviene Mangiarotti: «Lo studio che facciamo spesso è anche legato al suono, al non avere rumori ma cercare di trasformarli in suoni. In questo caso il rumore della macina del caffè trasmette l’idea che ci si sta preparando un caffè fresco. Il rumore della macina probabilmente non è romantico ma quando apri lo sportellino superiore e si sprigiona il profumo, si viene trasportati in una torrefazione. Io a volte la riempio e la lascio aperta ed è come se anche il profumo mi svegliasse. È insomma una macchina da caffè ma anche una macchina olfattiva».

Come può una linea tracciata in un certo giorno, di un certo anno, assurgere alla vita eterna? Mangiarotti ci pensa e risponde: «Personalmente non amo le soluzioni formali troppo estreme perché trovo che quando crei un oggetto molto strano, nel tempo finisca per stancarti. Per essere eterna una linea credo debba avere una pacatezza, che si può tradurre meglio nel desiderio di creare un oggetto che quando lo guardi risulta nuovo ma al contempo è come se ci fosse sempre stato». Bazzicalupo aggiunge: «Sì, un oggetto che ti sembra di aver introiettato». Mangiarotti continua: «Per disegnare questa macchina da caffè ci siamo presi del tempo per pensare a quale potesse essere una linea avente questa pacatezza. Quando pensi a Smeg, pensi a qualcosa che rimane appunto nel tempo. Qui siamo circondati dai disegni degli anni ’60 di Guido Canali, e se lavori con un’azienda che ha degli oggetti che erano belli e che sono rimasti belli, avverti una responsabilità. Noi volevamo fare qualcosa di leggiadro, di più giocoso, che parlasse ai giovani ma condividendo la stessa essenzialità. Volevamo un oggetto che facesse pensare alla memoria ma immerso nel contemporaneo».

Passiamo dunque a parlare di memorie, Mangiarotti ci racconta cosa le è rimasto del periodo di studi al Politecnico: «Il metodo scientifico. La prima cosa insegnatami da Marco Zanuso, mio docente al Poli, è stata l’etimologia del verbo “progettare”, dal latino proiectāre, e cioè gettare in avanti. Questo mi ha formato. Quando abbiamo disegnato la lavatrice a forza centripeta, l’asciugacapelli che sta in piedi da solo o la scopa elettrica che si piega in due, abbiamo fatto dei tentativi di gettare qualcosa in avanti, e non di fianco. Nel caso di un’altra macchina da caffè, la Diamantina, abbiamo fatto ricerche d’archivio sulla storica macchina Diamante. Fare ricerca è una forma di rispetto. Presuppone umiltà e significa che vai a informarti sull’intelligenza che c’è stata prima di te. Infine, puoi fare anche un omaggio ma mettendo qualcosa di tuo, inventando del tuo. Ecco, questa dimensione scientifica nei confronti del progetto la ritrovo anche nei ragazzi che oggi frequentano il Politecnico». Bazzicalupo ha un ricordo in particolare dei suoi giorni politecnici: «L’insegnamento ricevuto da Francesco Trabucco il giorno in cui dovevamo decidere il tema di tesi. Era presente un ingegnere della Nasa e mi suggeriscono un autogiro ultraleggero – antenato dell’elicottero. Eravamo tutti entusiasti ma non sapevamo neppure cosa fosse un ultraleggero. Ho così imparato che per aspirare ad innovare ed immaginare il futuro bisogna anzitutto accogliere senza timori ogni inedita sfida progettuale».

Usciti dal Poli, come si comincia e come ci si ritrova in un collega? Mangiarotti e Bazzicalupo si sono conosciuti nel 1995 nella redazione della rivista Modo fondata da Alessandro Mendini, dove entrambi scrivevano di innovazione e tecnologia e così hanno pensato di partecipare per la prima volta ad un concorso insieme. Tornando al premio DesignEuropa ci raccontano del valore di questo primo posto: «I premi di solito sono legati all’estetica e alla funzionalità del prodotto. A questi due aspetti, che sono i principali, DesignEuropa prende in esame un terzo parametro: il successo commerciale del prodotto. Non solo il design ma anche il modo in cui il prodotto è stato collocato in una certa fascia di mercato – andando magari a capire quale elemento togliere o aggiungere per mantenere un certo tipo di prezzo – fa parte del progetto. C’è dunque una sostenibilità economica, perché il successo corrisponde al ricavo che permette di ripagare le professionalità e le persone dietro il prodotto. E nel nostro caso c’è anche una sostenibilità ambientale perché è una macchina che non utilizzando capsule o cialde non produce scarti: si va dal chicco direttamente alla tazza». Citano Good Design di Bruno Munari, in cui l’artista e designer gioca con la scrittura descrivendo un’arancia e dei piselli come fossero oggetti di design. «L’ambizione è quella di seguire sempre un processo naturale – dicono – perché non c’è spreco in natura. Una foglia mostra il proprio sistema linfatico, e tu capisci che non ha niente di più di ciò che serve, ma la vedi ed è meravigliosa. Il risultato è una geometria essenziale che si tramuta in estetica». In questo universo Smeg in cui siamo immersi, voltandoci, oltre alla macchina da caffè espresso automatica, ci sono altri venti prodotti iconici disegnati da Mangiarotti e Bazzicalupo. I due hanno disegnato anche questo show-room e quello di Londra. Gli chiediamo come ci si senta a stare qui. «Ci si sente un po’ a casa».