Chi è Federica Fragapane, la Designer italiana che espone al MoMa di New York

A 35 anni, l’Alumna politecnica è diventata un punto di riferimento internazionale nel mondo dell’information design. Il suo orizzonte: umanizzare i dati statistici

Nell’era dei Big Data, discipline come information design e data visualization sono di cruciale importanza per rendere comprensibile e sfruttabile la quantità enorme di informazioni di cui disponiamo in ogni settore dello scìbile umano. Lo sa bene Federica Fragapane, che dopo la laurea in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano è riuscita a costruirsi un avvincente percorso in questo ambito professionale, diventando un punto di riferimento per la progettazione di infografiche per La Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, e arrivando a collezionare collaborazioni con altre testate, da Scientific American a BBC Science Focus, e con un ampio ventaglio di enti, associazioni e aziende che va da Google all’ONU. Mai, però, la 35enne si sarebbe aspettata che tre sue visualizzazioni di dati sarebbero state acquisite dal Dipartimento di Architettura e Design del MoMa di New York come parte della collezione permanente del museo. Una grande soddisfazione, merito di un approccio creativo e sperimentale basato sulla rappresentazione della complessità anche attraverso interfacce visuali diverse dai tradizionali grafici a barre, a torta, cartesiani o a istogramma, e sull’idea che l’estetica conti quanto i contenuti.

L’idea è di suggerire graficamente aspetti tendenzialmente esclusi dall’analisi puramente statistica, che, pur nel suo rigore scientifico, rischia di celare le tante sfaccettature della complessità del reale in cui siamo calati e la relatività del nostro sguardo. Eloquente, a tal proposito, la scelta di Federica di disegnare foglie dalle tinte autunnali in uno dei progetti selezionati dal MoMa, Land Defenders, uscito sul magazine Atmos a corredo di un’inchiesta della giornalista Yessenia Funes e dedicato agli ambientalisti uccisi in Brasile tra il 2015 e il 2019. O ancora, quella di tratteggiare una sorta di serpente rosso per visualizzare i livelli di concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Si tratta di puntare su quelle che Fragapane definisce «parole visive, non meno importanti di quelle testuali e in grado, con il loro potere evocativo, di dar vita a un racconto visuale aperto anche alla dimensione emotiva».

«Dopo l’università ho lavorato per qualche anno presso Accurat, studio di information design con sede a Milano e a New York, e già lì avevo respirato aria di sperimentazione», dice Fragapane. «Quando, poi, sono diventata freelance, seguendo l’istinto, ossia passando un sacco di tempo al computer e tra i libri in cerca di ispirazioni visive, ma senza voler necessariamente definire uno stile preciso, mi sono ritrovata a essere attratta soprattutto da ciò che aveva a che fare con la natura e con il mondo degli organismi viventi. Da quel momento ho iniziato a usare figure organiche, morbide, lontane da quelle che popolano solitamente le infografiche, e col tempo questa si è trasformata in una pratica consapevole e significativa. Per me quelle forme non sono solo belle, ma servono a richiamare due concetti: da un lato, la vita dietro i dati stessi, il fatto che dietro ai numeri e alle percentuali che rappresento ci sono spesso storie di persone o di ecosistemi, un’umanità, un “vivente”, che io credo sia essenziale restituire graficamente; dall’altro, la relatività, non neutralità e imperfezione di quei dati, che, al di là dell’affidabilità delle fonti cui ricorro, sono inevitabilmente frutto di una ricerca umana».

Qualcuno obietterà che questo approccio possa minare la percezione di scientificità da parte dell’utente, ma per Fragapane è un falso problema. «Penso serva onestà intellettuale nel dichiarare che c’è sempre qualcuno dietro alla raccolta ed elaborazione di dati. Il che per me non mina l’autorevolezza di uno studio. Anzi, quell’onestà può contribuire fortemente a instaurare un rapporto di fiducia nei confronti dei numeri e della scienza». Alla base, la convinzione che in ogni progetto di information design chiarezza e bellezza espositiva debbano intrecciarsi adattandosi, al contempo, al target di riferimento. «È una questione di cura nei confronti di ciò che si fa e di attenzione verso il gruppo di persone a cui ti rivolgi. Inoltre, quando lo scopo di un’indagine è divulgativo, amo pensare che un’infografica esteticamente piacevole possa diventare un invito alla lettura e all’approfondimento. L’estetica non è un vezzo, un momento finale di rifinitura: è parte integrante del processo di comunicazione».

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Photo Credit: Wild Mazzini

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