Luna Rossa, a dream that began at the Galleria del Vento

Alumnus Bartesaghi is one of the men the Luna Rossa Prada Pirelli team has entrusted with winning the world's oldest trophy

Simone Bartesaghi è Alumnus politecnico alla terza: ha una laurea in ingegneria meccanica, un PhD e un master in Yacht Design.“Quando ero uno studente di ingegneria meccanica, mi capitò di vedere il team Luna Rossa che faceva le prove alla Galleria del Vento. Un misto di leggenda, storia, design circondava i membri dell’equipaggio con le loro divise. Li guardavo con ammirazione e curiosità, pensando a come sarebbe stato bello fare parte di quel mondo”. Anni dopo, Simone Bartesaghi in quel mondo ci è entrato davvero, diventando uno degli uomini a cui la squadra italiana di Luna Rossa Prada Pirelli si è affidata per tentare la conquista della Coppa America.

Simone è un ingegnere meccanico e l’approdo al team di Luna Rossa Prada Pirelli è stato un obiettivo conquistato con pazienza e lungimiranza, ma iniziato proprio durante la preparazione della tesi di laurea al Politecnico di Milano. “Ho avuto la fortuna di fare la tesi in ambito Computational Fluid Dynamics con il professor Giorgio Colombo come relatore e come correlatore il professor Ignazio Viola, ancora mio grande amico, che in quel periodo era lui stesso era un PhD Student con un progetto legato a Luna Rossa; si occupava di questo argomento (CFD) in ambito vele e che ancora oggi non smetto di ringraziarlo”. La tesi di laurea era incentrata in ambito automotive, ma passare dalle macchine alle barche per Simone è stato un attimo. “Quella tesi mi ha permesso di mettere un piede dentro quel mondo e dal lì non mi sono più fermato”.

“Entrare in un team così importante è una sfida straordinaria, ma anche un’opportunità incredibile per mettere in pratica le competenze acquisite durante gli anni di formazione al Politecnico.”

Quanta ingegneria c’è dietro una barca come Luna Rossa?

“Tantissima” risponde Simone senza esitare. “Ingegneria e design di altissimo livello. I velisti a bordo hanno competenze tecniche e questo è fondamentale per avere un buon dialogo tra tutti i componenti del team. Si tratta di barche complesse dove ogni componente lavora come in un’orchestra”. E come in ogni orchestra il fine ultimo è raggiungere qualcosa di grande, che sia una melodia o arrivare primi al traguardo nelle regate di Coppa America. Ma non si pensi che, prima e durante la regata, un ingegnere fornisca solo numeri ai componenti dell’equipaggio. “Per lavorare in questo tipo di competizioni occorre mentalità flessibile e apertura verso altre discipline. L’aiuto non passa solo attraverso i numeri, ma anche attraverso le idee. Noi ci occupiamo di fare analisi idro/aerodinamiche al computer. In pratica mappiamo quello che succede attorno alla barca, simulando diverse forme di vele e diverse forme di scafo e appendici. Oltre ai numeri forniamo anche in insight della fisica che ci indicano come velocità e pressione si distribuiscano attorno agli oggetti. I numeri vanno poi interpretati. Durante le regate le cose cambiano, lo scambio e il confronto con l’equipaggio sono accelerati dall’adrenalina della competizione”.

Prima di approdare al team italiano, Simone Bartesaghi ha avuto un’esperienza importante con Artemis Racing partecipando con loro all’America’s Cup. “Con Artemis all’inizio della campagna AC35 ero l’unico italiano nel design team e relazionarmi con colleghi provenienti da altre parti del mondo, molti dei quali non conoscevo, mi ha permesso di imparare molto sulla gestione delle competenze lavorative e personali. Ma la sensazione che ho provato quando ho iniziato a lavorare per Luna Rossa Prada Pirelli è stata unica: ho avuto l’impressione di fare parte di una famiglia più che di un’azienda. Ho sviluppato grande empatia con i colleghi che sono diventati amici. E alla fine questo lavoro è diventata la nostra vita”. Una vita dove gli insegnamenti sono quotidiani e dove occorre lavorare con grande serietà.

“Anche la vela è questione di algoritmi. Ci vogliono competenze tecniche di altissimo livello e la capacità di lavorare in stretta sinergia con un team multidisciplinare. Non è solo lavoro, è soprattutto vita. Ho trovato in questo team una grande empatia, che mi ha permesso di creare ottimi legami, trasformando i colleghi in amici”

“Anche la vela è questione di algoritmi. Ci vogliono competenze tecniche di altissimo livello e la capacità di lavorare in stretta sinergia con un team multidisciplinare. Non è solo lavoro, è soprattutto vita. Ho trovato in questo team una grande empatia, che mi ha permesso di creare ottimi legami, trasformando i colleghi in amici”

C’è una lezione che ti porti dietro dalla tua esperienza vissuta durante gli anni del Politecnico?

“I professori che ho citato prima mi hanno permesso di sviluppare la tesi di laure su un argomento particolare che mi affascinava molto. Ma a un certo punto del percorso ero diventato impaziente di passare dalla teoria alla pratica e ricordo che avevo presentato la relazione pensando che di lì a poco avrei finalmente fatto fluidodinamica con il computer. Non è andata proprio così. Il mio correlatore (Ignazio Viola) prese tutta la parte teorica scritta e letteralmente la “cestinò” dicendomi che finché non avessimo ben chiara la parte teorica non saremmo andati avanti con la parte pratica delle simulazioni CFD. Per me fu la svolta. Quel giorno imparai una lezione che mi porto ancora dietro: non importa quanto impieghiamo a fare le cose. L’importante è che vengano fatte con accuratezza e verificando tutti i passaggi necessari. Oggi so che lavorare in questo modo porta risultati e sviluppa buone relazioni con i colleghi e con le persone”.

“Il lavoro non si limita alla fase preparatoria delle gare. Anche in mare, il motore della tecnologia rimane sempre acceso, pronto a migliorare ogni aspetto”

Un consiglio che vorresti dare ai ragazzi sul loro futuro professionale?

“Ci sono molti giovani che inviano il curriculum perché indubbiamente questo è un lavoro affascinante. E altri che si avvicinano al team per fare due chiacchere e chiedere consigli. Anche in questo caso mi porto dietro un insegnamento imparato ai tempi dell’Università. Ce lo ripeteva sempre il professor Federico Cheli e me lo sono ripetuto negli anni come un mantra: “Ragazzi, non fermatevi al primo lavoro che incontrate, anche se economicamente vi soddisfa e vi rende sicuri. Se avete un obiettivo, inseguitelo. Fate quello che sentite dentro, per cui vi sentite portati. Ed è esattamente come andare in barca a vela. Non si va controvento, bisogna sfruttare le opportunità, spesso seguendo un percorso fatto di virate e strambate per arrivare al traguardo. Insomma investite in voi stessi e nei vostri sogni”.

E a proposito di sogni, qual è il tuo?

“A livello sportivo vincere la Coppa America. Ci siamo arrivati vicino e ora quel sogno deve diventare realtà. Un passo dopo l’altro”. Come quelli che hanno portato Simone a fare il lavoro che desidera, sin da quando era uno studente del Politecnico di Milano.

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