“Dal mondo antico, i tropici sono stati ampiamente riconosciuti come simbolo di bellezza esotica, animali pericolosi e vegetazione rigogliosa. Raffigurata come un luogo lontano, con storie, lingue e culture diverse, questa zona geografica rappresenta una miscela di qualità che definiscono la natura fantastica e misteriosa della realtà. Spesso considerati dal punto di vista occidentale come un ambiente ostile al progresso, i tropici rappresentano tutto ciò che l’Europa e gli Stati Uniti non sono (Lasso, 2019), l’antitesi della modernità civilizzata. L’esposizione del Padiglione panamense dovrebbe fornire una contro-narrazione a questo status quo, con Panama come caso studio per una visione futura di una nazione ‘tropicale’, recuperando e collegando le sue varie influenze storiche”.
– Aimée Lam Tunon, curatore della mostra
Per oltre 500 anni, l’istmo di Panama, una sottile striscia di terra meglio conosciuta come “il ponte di terra tra due oceani”, si è dimostrato una regione di importanza geopolitica globale nel settore dei trasporti. Sin dai primi colonizzatori europei, la storia panamense è stata plasmata dal tema ricorrente del commercio. Con la scomparsa dell’influenza spagnola e il controllo coloniale sulla regione all’inizio del XIX secolo, altri paesi iniziarono a perseguire i loro interessi economici attraverso la costruzione di un canale che collegasse i due oceani. Un primo tentativo fu guidato dai francesi: con un bilancio di oltre 22.000 morti, principalmente causati da malaria e febbre gialla, Panama fu immortalato come un luogo di pericolo e malattia. Dopo il fallimento dei francesi, gli Stati Uniti entrarono nella nuova nazione di Panama con una visione distintiva dell’amministrazione imperiale: la Zona del Canale di Panama.
Più che una colonia, si trattava di un’enclave ingegneristica, una striscia di terra di dieci miglia destinata a contrapporsi al suo ambiente naturale e sociale, definendo un paesaggio di modernità. All’interno di questi confini, una narrativa e un’ideologia di “altro” portarono alla delimitazione di zone sanificate, all’addomesticazione della giungla, alla segregazione razziale e alla depopolazione della “zona” da parte dei panamensi e delle loro città. Questa “zona cuscinetto” di protezione tra il colonizzatore e il colonizzato è una struttura architettonica in grado di attivare discorsi più ampi di uguaglianza, potenziamento e identità in un ambiente in continua evoluzione. Crea uno spazio liminale in cui il rapporto con la terra – che è minacciato perché la comunità è alienata – diventa fondamentale, smette di essere meramente decorativo ed emerge come un personaggio completo (Glissant, 1989).
La prima stanza sposterà l’attenzione dei visitatori sugli impatti di questi interventi di controllo e separazione (zone) che definiscono la ex Zona del Canale di Panama. Insetti e zanzare di Venezia sono invitati nello spazio attirati dalle apposite luci blu. Le ombre danzanti di questi insetti sulle pareti collegano la prospettiva del colonizzatore con l’allegoria della caverna di Platone: le moderne supposizioni sui “tropici” sono esposte come mere illusioni osservate da lontano.
I ricordi influenzano l’autoidentificazione e forniscono continuità tra passato, presente e futuro. Diventano allusioni, echi e reminiscenze che creano molteplici connotazioni, definendo la complessità dell’organismo architettonico. Dato il potere del modernismo nell’eliminare le storie e le lingue indigene, le comunità locali panamensi sono state perse nel processo di costruzione del canale, con il risultato della dominazione di un’ideologia singolare di progresso umano, ordine e controllo.
La distruzione di piccoli villaggi, aree storiche, insediamenti rurali e paesaggi panamensi, ha evocato sentimenti di nostalgia per l’ambiente che era e il desiderio di preservarne l’immagine nella memoria collettiva, il che si riflette nel tema ricorrente del paesaggio nella letteratura panamense. “Gli scrittori caraibici hanno sempre avuto a disposizione solo un referente per plasmare il tema e il linguaggio delle loro opere: il paesaggio – insulare, oceanico, lussureggiante, misterioso e sempre resistente alla conquista e all’appropriazione tramite mappe o descrizioni “realistiche”. (…) Questo è uno dei precetti fondamentali del testo magico-realista. Solo la magia e il sogno sono veri perché sono gli unici elementi discorsivi capaci di presentare l’impresentabile, di parlare dell’indicibile dove il testo realistico fallisce”. (Arva, 2010) Seguendo questa linea di pensiero, il cortile fornirà uno spazio sicuro per la riflessione, evitando il confronto diretto con il trauma coloniale, al fine di sovvertire la percezione occidentale dei ‘tropici’ come terra ‘magica’. Alberi recuperati dalle acque dei laghi artificiali di Panama consentiranno ai visitatori di interfacciarsi indirettamente con la storia traumatica delle comunità cancellate attraverso la costruzione del canale (Lasso, 2019).
L’Isola di Barro Colorado (BCI) è uno spazio unico, una collina isolata nel mezzo del Canale di Panama quando le acque del fiume Chagres furono sbarrate per creare il Lago di Gatun, il principale passaggio della via navigabile. Riservata dallo Smithsonian Tropical Research Institute come riserva naturale dal 1923, oggi, esattamente 100 anni dopo, quest’ isola è la foresta tropicale più studiata al mondo. Spesso pubblicizzata come un “archivio” scientifico vivente e un “laboratorio” in cui il paesaggio è diventato sia oggetto che deposito di conoscenze scientifiche.
Discutendo le presunte prospettive opposte nei confronti di BCI come “un frammento di autentica natura tropicale che si trova al crocevia del mondo” e la sua posizione come “ombra della ex Zona del Canale”, questa ultima sala dell’esposizione metterà in discussione la storia, l’inclusività e l’eredità di questa stazione tropicale.
Qual è il suo ruolo nella conservazione della biodiversità locale e globale e nella ricerca ecologica? La sala sarà uno spazio di ascolto, per riflettere criticamente sulle connessioni tra controllo e protezione e per immaginare una visione futura per la scienza e la modernità in Panama e oltre.