“È un momento di grande evoluzione del mercato italiano per quanto riguarda la tecnologia del digitale, guidato da due trend fondamentali: gli investimenti europei (come quelli del PNRR) e i processi trasformativi sul digitale. Alla testa di questi due trend ci sono i grandi gruppi industriali, perché uno dei temi da tenere in considerazione è quello delle dimensioni che servono per avere un impatto nel settore del digitale”.
A parlare è Giuseppe Di Franco, Consigliere Delegato del Gruppo Lutech, Amministratore Delegato di Lutech Advanced Solutions e Alumnus politecnico in ingegneria gestionale. Ci spiega che, da soli, in questo contesto, si fa ben poco; e questa è, come sappiamo, una criticità nel tessuto industriale italiano, caratterizzato da tante imprese piccole e medie (seppur eccellenti). “Uno dei grandi temi di efficienza del sistema economico italiano sta nella bassa produttività del lavoro rispetto ai grandi partner europei. Il percorso di miglioramento della produttività, della sicurezza nazionale, della sovranità dei dati, è connesso con importanti investimenti sul digitale. Che devono essere fatti coerentemente con gli obiettivi nazionali”.
È una delle considerazioni che ha portato alla trattativa per l’acquisizione di Atos Italia da parte di Lutech, in partnership con i fondi Apax e con il Gruppo Atos. “Abbiamo lavorato per creare un campione del digitale in Italia, puntiamo a superare il miliardo di euro di fatturato in circa un anno e mezzo con una forza lavoro di oltre 5000 persone. Si tratta di un player di dimensioni rilevantissime a livello internazionale”.
Il tema è importante perché va nella direzione di un primato del sistema Italia sulla capacità di innovazione e di progettazione. “Non credo che competeremo mai con la Cina sul costo del lavoro, no? Quindi bisogna puntare sulla capacità di calcolo per progettare e uscire dalla trappola della competizione sul costo del lavoro. Che è mortificante, e ha sempre portato a effetti devastanti”. Chiediamo a Di Franco quali siano i prossimi passi in questo processo.
“A fine 2022 è stato inaugurato dal Presidente della Repubblica il progetto informatico più rilevante degli ultimi anni. Mi riferisco al supercomputer Leonardo, che raddoppia la capacità di calcolo nazionale. È il quarto super computer più potente al mondo e è dedicato alla ricerca scientifica e tecnologica. Con tecnologia Atos e gestito dal consorzio universitario Cineca grazie anche alle competenze del team dell’allora Atos Italia, è accessibile da università e da aziende in tutta Italia. Leonardo è una delle dimostrazioni del fatto che il nostro Paese stia investendo per dotarsi di una capacità elaborativa di primissimo piano a livello sia europeo che internazionale. Che, direi, è un elemento basilare per poter parlare dello sviluppo del digitale”.
Direttamente collegato alla potenza di calcolo, l’altro elemento di crescita è la nostra capacità di modellizzazione. “Da un modello grossolano del corpo umano, per esempio, non posso attendermi di poter studiare il DNA. Quanto più il modello del corpo diventa scomponibile in parti con una migliore risoluzione e sempre più fedeli ai loro gemelli fisici, tanto più efficace, dal punto di vista predittivo, sarà la ricerca scientifica che posso fare”. Parliamo, ovviamente, di Digital Twin, termine relativamente nuovo per definire una millenaria ambizione della nostra specie: quella di riuscire, avendo tutte le informazioni a disposizione, a prevedere lo sviluppo (cioè ottenere un modello) di qualsiasi fenomeno.
“E qui tocchiamo due temi importanti. Prima di tutto, come dicevamo, la capacità di calcolo in crescita esponenziale. Stiamo cambiando l’ordine di grandezza di quello che si può simulare, di quello che abbiamo simulato e pensato fino ad oggi, che rischia fortunatamente di apparire, molto presto, obsoleto. A partire dal concreto: pensiamo ad esempio all’utilizzo del Digital Twin per la gestione delle città, per la progettazione di elementi tecnologici complessi, per il trattamento di organi del corpo con farmaci rivoluzionari, per studi di meteorologia, per tecnologie predittive… il limite, come si suol dire, è il cielo”.
La criticità di tutto questo sta nella complessità e nel numero delle variabili delle informazioni che possiamo raccogliere a priori; l’errore è dietro l’angolo, e si porta dietro il rischio di un effetto deriva. “In linguaggio tecnologico si parla di costruzione di data lake; in generale, comunque, stiamo parlando di un punto di arrivo che non si accende con un interruttore on/off. È un percorso che ha degli step intermedi, tutte le grandi imprese stanno lavorando in maniera molto seria nella costruzione di questi dataset che hanno come presupposto la rilevazione dei dati (per esempio con l’IoT). Per citare un caso domestico, Enel ha realizzato uno dei più grandi data lake al mondo con i dati di lettura e provenienti dai contatori. Questo dà delle informazioni, per esempio sui consumi energetici, sulla possibilità di bilanciamento della rete, sul corretto utilizzo delle infrastrutture esistenti, eccetera”.
Un’altra buona notizia è che questo è solo l’inizio. “La ricerca scientifica e tecnologica ci sta portando verso il quantum computing, che ci farà cambiare ulteriormente ordini di grandezza quando passeremo a applicazioni che utilizzano una capacità quantica invece di quella parallela”.
Ipotizziamo di essere alla guida. A un certo punto, il meccanismo dei freni si inceppa: c’è stato un errore di progettazione nell’automobile, che non era sufficientemente ben progettata per sostenere un certo utilizzo. Di chi è la responsabilità? Oggi siamo al punto di poter progettare un’automobile attraverso l’utilizzo Digital Twin: in pratica, sono le macchine a progettare altre macchine, dati i nostri desiderata. Questo modo di progettare dovrebbe ridurre ulteriormente il (già basso) margine di errore. Ma l’errore non è mai del tutto eliminabile e, nel momento in cui si verificano, ci chiediamo di chi sia la responsabilità. Abbiamo però l’impressione che l’utente umano chieda più garanzie, al digitale, in termini di sicurezza, di quante ne chieda a un suo simile. Allo stesso modo in cui ci poniamo dubbi, legittimi, sulla questione della guida autonoma. Poi c’è un tema di opacità delle scelte. La questione è questa: possiamo fidarci di una macchina come ci fidiamo di un umano?
“Il nuovo induce sempre preoccupazione”, risponde Di Franco “Se passi dal cavallo all’automobile, ti preoccupi dell’automobile, oggi abbiamo il tema dell’auto self driving, domani chissà che altre domande ci porremo. La novità introduce l’incertezza, quindi ne siamo attratti ma anche spaventati. E questo è un altro elemento culturale: un paese evoluto deve avere un sistema scolastico e universitario evoluto, in grado di preparare la popolazione al cambiamento”.
“Digitalizzazione e cyber security devono crescere in parallelo, come anche le competenze richieste per gestirle, altrimenti è chiaro che si può andare incontro ai problemi che ogni tanto abbiamo visto apparire nei casi di cronaca. È un tema culturale e uno dei molti che evidenziano il ruolo importante di istituzioni come il Politecnico di Milano: le università come il Poli sono un motore di creazione di competenze (e cito per esempio il corso di laurea in high performance computing) come anche un motore di trasformazione culturale. Un altro nodo cruciale è la resistenza all’innovazione. Quante volte ci troviamo nelle imprese a parlare di questi argomenti e ci sentiamo rispondere, soprattutto dalla media e piccola impresa: non ci serve, non l’abbiamo mai usato, ne abbiamo sempre fatto a meno… ma la digitalizzazione richiede una sua filiera: se un’azienda manifatturiera vuole progettare digitalmente un’automobile, ho bisogno di fornitori che a loro volta siano digitalizzati. È il grande tema del coinvolgimento delle piccole e medie imprese come un elemento essenziale di sviluppo del Paese. Anche perché sono queste a rappresentare la nostra ossatura economica”. Anche in questa trasformazione, la collaborazione tra sistema industriale e università è centrale. In questo senso, Lutech Advances Solutios (già Atos Italia) e Politecnico di Milano hanno recentemente firmato un accordo triennale per sviluppare progetti condivisi di didattica, trasferimento tecnologico e ricerca applicata ad ambiti di frontiera: proprio quelli di cui abbiamo parlato qui, nel campo della digitalizzazione, quali Digital Twin, High Performance Computing, Intelligenza Artificiale, Cybersecurity e Internet of Things. “È un accordo che emerge naturalmente da un rapporto di lunghissimo corso, che ha visto il Politecnico coinvolto anche nella formazione dei nostri manager per saper gestire questo percorso di cambiamento. Il rapporto col Politecnico di Milano è un tassello essenziale del nostro percorso strategico e rappresenta un caso esemplare per il sistema Italia. La cooperazione intensiva con il sistema universitario significa portare innovazione nelle industrie e riuscire anche a pensare nuovi modelli di azione”.