Più spazio, e spazi, all’ambiente: i rinnovati laboratori di ricerca del Poli

Alcuni laboratori del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano sono stati riqualificati e riuniti sotto lo stesso tetto in un nuovo edificio. La nostra visita guidata dal direttore e dai responsabili di laboratorio

La terra, le acque, le montagne, le strade e i binari, le forze che la natura agita e quelle che l’uomo mette in campo, sembrano prendere forma camminando attraverso i 4000m2 del Campus Leonardo, dove sono stati concentrati – e riqualificati – i laboratori di ricerca del DICA (Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale) del Politecnico di Milano. Da una porta all’altra, da pochi passi all’altro, si attraversano: il Laboratorio di Ingegneria Ambientale; il Laboratorio di Diagnostica e Indagine sui Materiali del Costruito; il Laboratorio interdipartimentale Solid-liquid Interface Nanomicroscopy and Spectroscopy Lab e la Collezione Petrografica.

«Avevamo l’esigenza di unirci in un unico ambiente» racconta l’Alumnus e docente Attilio Frangi, Direttore del Dipartimento, «qui convivono tutte quelle competenze che ci permettono di essere uno degli attori fondamentali in tema di sostenibilità e rinnovo del sistema infrastrutturale italiano, che siano infrastrutture di aria, di trasporto o idrauliche». Quali sono le fragilità dell’ambiente naturale e di quello costruito, e che interventi questi laboratori mettono letteralmente in campo? «In molte situazioni – risponde Frangi – per la natura dei materiali impiegati e per i limiti dei metodi costruttivi adottati, le infrastrutture dei trasporti, dell’energia, dell’acqua sono nella fase finale della loro vita utile. Sono nate cinquanta, cento anni fa e hanno bisogno di un rilancio che copra altri cinquanta, cento anni. Si parla di una vera e propria rigenerazione. Inevitabilmente le dobbiamo ammodernare o addirittura sostituire mentre le usiamo, poiché hanno una tale centralità nella nostra vita che non ci è possibile interromperne l’esercizio senza colpire la stabilità degli insediamenti umani che ormai ne dipendono. A questa sfida impegnativa per gli ingegneri civili e ambientali se ne aggiunge un’altra: dobbiamo rigenerare gli asset infrastrutturali ricordiamoci che il mondo delle costruzioni è responsabile per circa il 40% delle emissioni complessive di gas serra. Le infrastrutture, non devono solo assolvere a un compito, ma devono essere sostenibili, e quindi integrate con le esigenze della comunità e del territorio sul quale insistono».

Visitando i laboratori si ha la sensazione che in queste sale si lavori al presente e al futuro panorama italiano, che si studino e si mettano alla prova scenari. «Un tempo si finanziava la costruzione di un’infrastruttura dimenticandosi di prevedere cosa sarebbe potuto accadere al fine vita di questa – riflette Frangi – ed è il motivo per il quale oggi il nostro territorio è costellato di eco-mostri. Fino a poco tempo fa c’era chi progettava e chi protestava, e ad una prima occhiata il nostro dipartimento potrebbe contenere due anime diverse: da una parte i progettisti che sviluppano le strutture dall’altra l’anima ambientale, come fossero in contrapposizione. L’approccio oggi è cambiato anche a causa di tutte le tragedie vissute sulle nostre infrastrutture e queste due anime collaborato fin dall’inizio in modo da rendere le infrastrutture, che sono necessarie e imprescindibili, compatibili con l’ambiente naturale in cui viviamo». Gli chiediamo un esempio concreto di queste sinergie: «Oggi un ingegnere civile non può non essere anche ambientale, o meglio, un team di ingegneria civile non può non includere tutte e due le presenze e lavorare collettivamente per la sostenibilità dell’infrastruttura secondo una logica di life cycle thinking. Si deve progettare una infrastruttura prevedendo sin dall’inizio tutte le fasi: costruzione, servizio, refitting, dismissione. Strettamente connesso a questo vi è il tema del life cycle assessment, che è una metodologia per valutare l’impronta ambientale di un intervento lungo il suo intero ciclo di vita. partire dalle fasi di estrazione delle materie prime costituenti il prodotto, alla sua produzione, distribuzione, uso e sua dismissione finale, includendo la possibilità; di riciclo. Per citare uno dei tanti nostri progetti in corso, alcuni nostri gruppi di ricerca propongono il riuso di fanghi da inceneritore che dopo un processo di inertizzazione e frantumazione possono essere riutilizzati in sostituzione degli aggregati e del cemento nel calcestruzzo, riducendo il consumo di risorse naturali e di cemento.

E questo non solo per le infrastrutture civili ma anche per le reti di distribuzione delle risorse e nell’ambente naturale. Come esempi possiamo citare il riuso di acque di irrigazione, o il recupero di nutrienti da acque reflue. Un lavoro di questo tipo coinvolge competenze ambientali, competenze legate alla caratterizzazione geomeccanica del materiale inertizzato e competenze della meccanica dei materiali e delle strutture, nel momento in cui si valuta la fattibilità del loro riutilizzo come materiale da costruzione».

Chiediamo all’Alumnus Frangi di delineare il tratto comune, che non solo fisicamente ma anche idealmente, avvicini tutte le figure presenti nei diversi laboratori. «Direi che il tratto comune è un tratto propriamente politecnico: l’ingegnere è poliedrico, e in questi laboratori emerge una fortissima multidisciplinarietà, fondamentale per affrontare tematiche e problematiche altrettanto multi-disciplinari».

Approfondisci le caratteristiche di ciascun laboratorio raccontate da chi ci lavora ogni giorno sul MAP 13, la rivista degli alumni del Politecnico di Milano, a questi link:

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