Ecco gli scienziati italiani dietro al premio Nobel per la fisica 2023

Dal dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, Mauro Nisoli e il suo gruppo di ricerca hanno collaborato con Ferenc Krausz alla generazione di impulsi ad attosecondi

Quella degli attosecondi è una delle storie scientifiche più importanti degli ultimi 100 anni. Una di quelle storie in cui qualcosa sembra impossibile… finché non viene fatto. È anche una di quelle storie che raccontano bene come una scoperta scientifica sia frutto di sforzi collettivi da parte di una comunità di scienziati che lavorano insieme, per decenni, anche a distanza (e lo facevano anche quando non era mainstream).

Ed è una storia che nel 2023 culmina (ma non finisce) con l’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica a tre scienziati: Pierre Agostini, Ferenc Krausz e Anne L’Huillier, “per i metodi sperimentali che generano impulsi ad attosecondi di luce per lo studio delle dinamiche degli elettroni nella materia”. A seguito di questa assegnazione, sono emersi i contributi di altri scienziati che hanno fortemente contribuito alle recenti scoperte, e in particolare uno che ci riguarda molto da vicino.

Al Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, Mauro Nisoli è professore ordinario di fisica della materia e direttore del laboratorio Attosecond Research Center. È un pioniere della fisica degli attosecondi e il lavoro del suo gruppo di ricerca è alla base degli esperimenti che hanno portato alla generazione e alla caratterizzazione di impulsi luminosi “estremamente brevi”, della durata di un miliardesimo di miliardesimo di secondo, utilizzati per studiare il moto degli elettroni all’interno di atomi e molecole.

Gli abbiamo chiesto di raccontarci questa storia: ecco come è andata.

UN GRUPPO DI FISICI VUOLE “VEDERE” COME SI MUOVONO GLI ELETTRONI ALL’INTERNO DELLA MATERIA DOPO L’INTERAZIONE CON LA LUCE

La storia di questo Nobel – e dell’attosecondo – inizia negli anni ’80. Inizia perché alcuni scienziati si sono messi in testa di voler guardare cosa succede all’interno delle molecole – e degli atomi – quando colpite da un impulso di luce breve e di elevata energia. Ma c’è un problema: gli elettroni si muovono più velocemente di quanto le nostre strumentazioni riescano a cogliere con gli strumenti dell’epoca. Mentre il moto degli atomi si svolge sulla scala temporale dei femtosecondi (un femtosecondo è pari a un milionesimo di miliardesimo di secondo, ovvero 10-15 secondi), gli elettroni si muovono molto più velocemente, sulla scala temporale degli attosecondi, cioè 10-18 secondi. Quindi, se vogliamo essere in grado di seguire (e misurare) il moto degli elettroni, dobbiamo utilizzare impulsi laser con durate inferiori al femtosecondo.

Solo che… non si possono produrre impulsi di luce con durate inferiori ad un ciclo ottico, che è determinato dalla lunghezza d’onda della luce. In genere, un laser a femtosecondi produce impulsi nella regione del visibile o del vicino infrarosso. Per poter generare impulsi ad attosecondi bisogna prima accorciare la lunghezza d’onda della luce. Negli anni ’80, pare ancora un’impresa impossibile. E invece…

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