Quella degli attosecondi è una delle storie scientifiche più importanti degli ultimi 100 anni. Una di quelle storie in cui qualcosa sembra impossibile… finché non viene fatto. È anche una di quelle storie che raccontano bene come una scoperta scientifica sia frutto di sforzi collettivi da parte di una comunità di scienziati che lavorano insieme, per decenni, anche a distanza (e lo facevano anche quando non era mainstream).
Ed è una storia che nel 2023 culmina (ma non finisce) con l’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica a tre scienziati: Pierre Agostini, Ferenc Krausz e Anne L’Huillier, “per i metodi sperimentali che generano impulsi ad attosecondi di luce per lo studio delle dinamiche degli elettroni nella materia”. A seguito di questa assegnazione, sono emersi i contributi di altri scienziati che hanno fortemente contribuito alle recenti scoperte, e in particolare uno che ci riguarda molto da vicino.
Al Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, Mauro Nisoli è professore ordinario di fisica della materia e direttore del laboratorio Attosecond Research Center. È un pioniere della fisica degli attosecondi e il lavoro del suo gruppo di ricerca è alla base degli esperimenti che hanno portato alla generazione e alla caratterizzazione di impulsi luminosi “estremamente brevi”, della durata di un miliardesimo di miliardesimo di secondo, utilizzati per studiare il moto degli elettroni all’interno di atomi e molecole.
Gli abbiamo chiesto di raccontarci questa storia: ecco come è andata.
UN GRUPPO DI FISICI VUOLE “VEDERE” COME SI MUOVONO GLI ELETTRONI ALL’INTERNO DELLA MATERIA DOPO L’INTERAZIONE CON LA LUCE
La storia di questo Nobel – e dell’attosecondo – inizia negli anni ’80. Inizia perché alcuni scienziati si sono messi in testa di voler guardare cosa succede all’interno delle molecole – e degli atomi – quando colpite da un impulso di luce breve e di elevata energia. Ma c’è un problema: gli elettroni si muovono più velocemente di quanto le nostre strumentazioni riescano a cogliere con gli strumenti dell’epoca. Mentre il moto degli atomi si svolge sulla scala temporale dei femtosecondi (un femtosecondo è pari a un milionesimo di miliardesimo di secondo, ovvero 10-15 secondi), gli elettroni si muovono molto più velocemente, sulla scala temporale degli attosecondi, cioè 10-18 secondi. Quindi, se vogliamo essere in grado di seguire (e misurare) il moto degli elettroni, dobbiamo utilizzare impulsi laser con durate inferiori al femtosecondo.
💡COS’È UN ATTOSECONDO?💡
Si tratta di una unità di misura del tempo e rappresenta la scala temporale adatta per seguire il moto degli elettroni in atomi e molecole. Un attosecondo è pari a un milionesimo di milionesimo di milionesimo di secondo. Non esistono paragoni che ci permettano di capire quanto piccola sia questa unità di tempo: qualche volta si legge che il numero di attosecondi in un secondo è paragonabile al numero di secondi trascorsi dall’inizio dell’Universo, 13,8 miliardi di anni fa, a oggi.
Solo che… non si possono produrre impulsi di luce con durate inferiori ad un ciclo ottico, che è determinato dalla lunghezza d’onda della luce. In genere, un laser a femtosecondi produce impulsi nella regione del visibile o del vicino infrarosso. Per poter generare impulsi ad attosecondi bisogna prima accorciare la lunghezza d’onda della luce. Negli anni ’80, pare ancora un’impresa impossibile. E invece…
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