Forse avete sentito parlare di YAPE, il drone di terra a guida autonoma creato per le consegne “dell’ultimo miglio”. È pensato per trasportare piccoli pacchi, fino a 10 kg, tra marciapiedi, passanti, veicoli, rotaie, sanpietrini, pavé e semafori, affrontando gli imprevisti della giungla metropolitana nel minor tempo possibile e con la massima efficienza energetica, ad una velocità di 6 km/h. A concepirlo è stato un team di ricercatori del Politecnico di Milano all’interno del gruppo di ricerca MOVE, uno dei maggiori gruppi di ricerca al mondo nel campo della guida autonoma, che l’ha sviluppato e realizzato in collaborazione con la fabbrica di imprese e-Novia (ne abbiamo parlato sul MAP #7).
La novità è che quest’estate è iniziata la sperimentazione in ambiente urbano: per i prossimi mesi, 10 esemplari di YAPE si aggireranno liberamente (o quasi) all’interno di UpTown, il nuovo distretto residenziale high-tech nel quartiere di Cascina Merlata a Milano. “Stiamo lavorando alla costruzione di quell’ecosistema collaborativo e iper-connesso che oggi caratterizza le moderne Smart City”, ha dichiarato Vincenzo Russi, Alumnus, CEO di e-Novia e Presidente di YAPE, “a cominciare dalla possibilità di offrire veicoli innovativi per la mobilitazione di merci. Progetto che in Italia, ma anche in Europa, deve tenere conto della particolare configurazione delle città, molto diverse, per esempio, da quelle americane. Il nostro drone autonomo è pensato proprio per potersi muovere dai vicoli medievali fino alle complesse topologie delle città italiane ed europee, abilitando una delivery veramente sostenibile”.
Ne abbiamo parlato anche con Enrico Silani, Alumnus, Chief of Entrepreneur di e-Novia e Managing Director della neonata YAPE S.R.L.: è lui che ha preso in mano le redini dallo sviluppo del prototipo alla creazione dell’azienda. “L’autorizzazione alla sperimentazione di YAPE”, ci spiega “è il risultato della collaborazione tra il Dipartimento per la trasformazione digitale, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili e il Comune di Milano, nell’ambito di Sperimentazione Italia, la sandbox normativa che consente a startup, imprese, università e centri di ricerca di sperimentare progetti innovativi attraverso una deroga temporanea alle norme vigenti”.
Ci chiediamo prima di tutto a chi sia rivolto il drone YAPE: è pensato per essere venduto anche ai privati? “Non ci siamo dati un limite, ma la risposta più corretta è no: YAPE è pensato per far parte del sistema logistico, anche per un motivo di costo. In genere, i costi nell’ambito dell’elettronica digitale seguono una curva che vede riduzioni significative legate alla potenza di calcolo dei sistemi. Nell’ultimo anno però questo trend si è modificato e i costi si sono moltiplicati a parità di prestazioni. Quindi siamo in una situazione in cui è impossibile fare previsioni”.
Anche il costo delle materie prime, per non parlare dell’elettronica, varia di settimana in settimana. Come si orienta un’analisi di mercato, una strategia o anche semplicemente un preventivo per un potenziale cliente, in una situazione di questo tipo? “I preventivi variano in funzione di operazioni commerciali, ormai vale per tutti i venditori, dal concessionario ai provider di servizi. Il prezzo lo fa il venditore, in funzione dei tempi che il cliente è disposo ad attendere. Si va caso per caso e, se il cliente ha stabilito con noi un contratto che definisce un prezzo, noi lo dobbiamo gestire anche se le condizioni cambiano. Qualche volta capita che il prezzo concordato sia al di sotto del costo di produzione e in quel caso apriamo una negoziazione con il cliente, per capire se sia disposto a mediare. Che è un po’ quello che si fa anche con i nostri fornitori.
È un problema molto complesso di ingegneria gestionale che ci porta fino al punto di rivedere le architetture hardware e software dei nostri sistemi, individuando alcuni componenti che sono più disponibili di altri sul mercato in modo da poter rimodulare tutto in base alla necessità. Questo ci permette di tenere sotto controllo il prezzo del prodotto”.
O, in altre parole, chi gli dà la patente? “La patente non gli serve: prima di tutto, perché ha una cilindrata inferiore ai 50 cc. YAPE ancora non è classificato dal codice della strada, ma concettualmente oggetti di questo tipo sono a metà tra un pedone, nel senso che del pedone ereditano le regole di circolazione, e mezzi come le carrozzine elettriche (per quanto riguarda ingombri e potenze). E poi non c’è un umano che lo guida, ma un’intelligenza artificiale. Sarà la sperimentazione tecnica a raccogliere i dati per capire se YAPE è in grado di circolare in sicurezza in un’area pubblica.”.
Ma cosa succede, per esempio, se YAPE passa col rosso? Anche qui, la domanda è troppo umana: è molto difficile che un’intelligenza artificiale commetta un’infrazione così banale, perché è dotata di sensori e algoritmi che possono gestire un gran numero di situazioni prevedibili come questa.
Diverso invece è chiedersi come il drone si comporti con i diversi terreni e ostacoli: per esempio, prende l’ascensore o le scale?
“Non pensiamo agli ascensori di vecchia generazione, per la maggior parte in circolo oggi, che richiederebbero a YAPE di avere un braccio estraibile per pigiare bottoni collocati ad altezza uomo (ricordiamo che YAPE è alto circa mezzo metro). È invece pensato per interagire con sistemi in grado di scambiarsi messaggi, come smart building e sistemi IoT, per esempio potrebbe chiamare l’ascensore via Bluetooth.
Salire le scale e premere dei pulsanti si può certamente fare, dal punto di vista tecnico, ma aggiunge livelli di complessità che rischiano di compromettere la convenienza economica di YAPE. È tutta una questione di rapporto tra costi e benefici. Il quartiere di Cascina Merlata è di nuova generazione e è in sé una sperimentazione di smart city, quindi per YAPE diventa più semplice”.
Cosa succede se YAPE viene colpito da una palla perché ci sono bimbi che giocano in cortile? O se incontra una persona a ridotta mobilità? Come sono le prime interazioni con pedoni e altri utenti della strada? “Distinguiamo tra interazioni naturali con persone o oggetti, come automobilisti e motociclisti, da quelli che sono tentativi di incursione di sicurezza o vandalismo. L’interazione naturale è una delle cose più studiate e abbiamo anche un progetto di ricerca con il Politecnico per la modellizzazione dei comportamenti dei pedoni di fronte a ostacoli che si muovono rispetto a ostacoli passivi. Il risultato principale che stiamo rilevando è che YAPE viene accolto molto positivamente: è una novità e quindi genera curiosità.
Poi c’è il tema del design: YAPE è stato disegnato in modo da avere connotati amichevoli e empatici. Torniamo al caso dell’ascensore. È un problema che ci poniamo anche con i nostri “fellow humans”: come mi devo comportare con chi mi sta intorno? Si aspetta che io parli? Devo stare zitto? Tant’è che stiamo implementando il sistema di interazione vocale perché YAPE possa dare informazioni cadenziate su quello che sta facendo”.
Cosa succede se qualcuno lo aggredisce? “YAPE è dotato di una serie di algoritmi per rilevare sollevamento da terra, tentativi di scasso, intrusione, manomissione e urti. Ha un track GPS e è in contatto continuo con una control room, che consente agli operatori di ricevere segnali d’allarme, controllare lo stato di telemetria e avere accesso a una parte di comando da remoto. Ma anche qui non parliamo veramente di “imprevisti”.
È, piuttosto, una questione di risk assesment, riguarda il rapporto rischi/benefici. È chiaro che non ci si può proteggere da tutto: tecnicamente tutto è fattibile, ma costruire un dispositivo con i sistemi antintrusione di un bancomat per consegnare un pacco di piccole dimensioni non è conveniente. Non ci pensiamo, ma lo stesso vale quando a eseguire delle operazioni sono gli esseri umani. Vediamo quotidianamente situazioni in cui il corriere che ci consegna i pacchi lascia il furgone aperto o la bicicletta incustodita per salire a farsi firmare l’avvenuta consegna, assumendosi un margine di rischio e lasciando i beni incustoditi per un breve tempo.
Quando parliamo di temi legati alla sicurezza, avere a che fare con una macchina ci porta a farci delle domande che ignoriamo nel caso di procedure che invece prevedono l’intervento umano, anche se in realtà sono pertinenti. Quando demandiamo la responsabilità a un computer, istintivamente ci poniamo domande che invece, nel caso di operatori umani, gli utilizzatori non si pongono più”.
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