Nature Photonics ha pubblicato uno studio frutto di una collaborazione tra Politecnico di Milano, CNR e Università di Vienna, dedicandogli anche la copertina del numero di aprile della rivista. Non capita tutti i giorni: e in effetti è stata fatta una cosa mai fatta prima. I giornali ne stanno parlando come del primo “neurone artificiale quantistico” (per esempio ne parlano Ansa e RaiNews). Promette di diventare l’anello mancante per collegare quantum computing e intelligenza artificiale. Perché è così importante? A cosa può servire?
L’abbiamo chiesto a Andrea Crespi, ricercatore del Politecnico di Milano e Alumnus PhD in ingegneria Fisica, parte del team che l’ha messo a punto.
Alcune tra le reti neurali “classiche” più efficienti, su cui si basano i moderni algoritmi di intelligenza artificiale, sono composte da connessioni tra “neuroni artificiali” chiamati memristor (memory-resistor). Si tratta di componenti elettronici che cambiano la loro resistenza elettrica sulla base di una memoria della corrente che li ha attraversati in precedenza. Le reti neurali artificiali possono essere “educate” all’apprendimento grazie a questa proprietà: è così che imparano a svolgere compiti complessi, quali comprendere un discorso, riconoscere un volto, interpretare immagini (ad esempio a scopi diagnostici) o guidare un’automobile (anche da corsa: lo fa la squadra Polimove, che programma l’auto a guida autonoma più veloce al mondo). È la tecnologia alla base dell’intelligenza artificiale.
Fin qui, abbiamo parlato di dispositivi elettronici. Nel frattempo, però, il mondo scientifico ha sviluppato anche una nuova generazione di informatica, il quantum computing. La differenza fondamentale è che, invece di utilizzare impulsi elettronici, la computazione quantistica sfrutta singole particelle per codificare l’informazione. Ad esempio, impulsi ottici costituiti da singoli fotoni, che hanno un comportamento diverso da quello della corrente elettrica. Ne risulta un potere di calcolo potenzialmente assai superiore a quello dei maggiori supercomputer “classici” (cioè elettronici).
Siccome il vantaggio del quantum computing aumenta proporzionalmente al numero delle operazioni da effettuare, è particolarmente efficiente nel caso di alcuni problemi che richiederebbero, a un dispositivo elettronico, un altissimo numero di operazioni (e quindi ti tempo ed energia) per essere risolti. Esempi di applicazione si trovano per esempio in crittografia, negli algoritmi di ricerca e nelle simulazioni di sistemi fisici.
I computer quantistici non sono una novità, tuttavia ancora oggi una vera e propria una rete neurale quantistica non è ancora stata realizzata. Mancava, infatti, un fondamentale anello mancante: il quantum memristor, il neurone artificiale quantistico. “L’idea esiste da alcuni anni, ma solo recentemente un gruppo di fisici dell’Università di Vienna ha dimostrato che si poteva fare”, commenta Crespi. Il suo gruppo di ricerca, guidato dal prof. Roberto Osellame, ha progettato e ingegnerizzato il primo vero e proprio prototipo di quantum memristor, un dispositivo ottico con le stesse caratteristiche funzionali del memristor, capace di operare su stati quantistici della luce:
Un oggetto del genere era stato fino ad oggi soltanto teorizzato. Quello realizzato dal Politecnico è quindi il primo prototipo di memristor quantistico: forse, il primo “neurone” di una rete neurale artificiale quantistica.
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