“Io voglio uscire di qua meglio di prima”, dice Filippo, detenuto nel carcere di Bollate (il nome è di fantasia). Con il progetto ACTS | A chance through sport, un gruppo di studenti e ricercatori del Politecnico raccoglie questo desiderio e entra nelle Case di reclusione di Opera e Bollate e nell’Istituto Penale Minorile “Beccaria”. L’obiettivo è quello di promuovervi la pratica sportiva come strumento di crescita, emancipazione e responsabilità personale.
Dal 2019, studenti e ricercatori lavorano fianco a fianco con i detenuti e con gli agenti della polizia penitenziaria per progettare spazi e pratiche di risocializzazione attraverso lo sport: partecipano al progetto di ricerca e didattica i dipartimenti di Architettura e Studi Urbani, Design e Elettronica, Informazione e Bioingegneria. Il gruppo lavora sugli spazi, sulle strategie di comunicazione per costruire e facilitare le relazioni con le persone detenute, gli agenti penitenziari, l’amministrazione e sul monitoraggio delle condizioni fisiche di detenuti e agenti attraverso l’utilizzo di dispositivi indossabili.
“L’esperienza sul campo del progetto ACTS è stata una grande occasione di incontro sia con una realtà a me distante come quella del carcere, che con un progetto così ben strutturato e articolato su più livelli. Il desiderio di approfondimento che si respira all’interno del progetto è trascinante e ogni giorno motivante a portare avanti quest’esperienza”: sono le parole di Tommaso Ripani, studente triennale in Design della Comunicazione della Scuola del Design, che ha seguito la fase su campo all’interno del carcere di Bollate e ha continuato a lavorarci anche nel suo tempo libero, trasformandola in una attività di volontariato.
Con altri studenti che partecipano al progetto ACTS sviluppando progetti di comunicazione, Tommaso si rivolge agli Alumni affinché lo aiutino a dare voce al progetto e alla sua natura così vicina all’anima politecnica del design: “Gli studenti ci aiutano a raccogliere storie di sport e di vita in carcere e vogliono raccontare questa loro esperienza – commenta Francesca Piredda, docente del Dipartimento di Design – insieme, stiamo sviluppando strumenti di design della comunicazione che supportino la ricerca sul campo, con un obiettivo ad alto impatto sociale: il nostro approccio si basa sul presupposto che comunicare vuol dire ‘mettere in comune’ quindi che comunicare sia utile ai detenuti, agli agenti, ma anche agli studenti che sono il futuro della nostra società civile”. Nel concreto, il gruppo intende girare un documentario che racconti la vita delle persone detenute, il lavoro di ricerca e progettazione e l’impatto che sta avendo sulla quotidianità nelle carceri.
“Per portare a termine il documentario servono circa 5000 euro”, conclude Piredda.
Le carceri sono “luoghi assolutamente remoti nella percezione di chi sta fuori, rappresentando forse la più grande rimozione sociale dei nostri tempi”, racconta il prof. Andrea Di Franco, responsabile scientifico del progetto, alla redazione di Startup Italia.
“Chi sta in carcere racconta che poche cose come lo sport aiutano a sopravvivere alle sue miserie”, è l’incipit della redattrice. “La visione politecnica dell’architettura come pratica sociale si insegna anche attraverso l’impatto che i nostri studi e il nostro lavoro di ricerca possono avere nella vita delle persone, concretamente”, continua Di Franco. “Con ACTS abbiamo puntato a un progetto ambizioso che, intervenendo sulle case di reclusione di Opera e di Bollate, nonché sull’Istituto penale minorile Beccaria, promuova lo sport non più come pratica occasionale, ma come un progetto più ampio e organico che faccia dell’attività motoria e sportiva anche uno strumento di relazione e socializzazione, di miglioramento effettivo del benessere fisico e psicologico delle persone, e naturalmente di riqualificazione degli spazi.”
Ne parlano anche rainews.it e la Gazzetta dello sport
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