La buona notizia è che il 40% delle università italiane è tra le 1000 migliori al mondo. Ma le trasformazioni dell’economia che si sono succedute negli ultimi 40 anni sono state grandi e le nostre università fanno fatica ad adeguarsi. Oggi, l’economia della conoscenza ci mette di fronte alla necessità di un nuovo progetto per la formazione universitaria.
L’Alumnus Roger Abravanel, autore di Aristocrazia 2.0, una nuova élite per salvare l’Italia (edizioni Solferino), nel suo saggio descrive la necessità di uno spostamento verso un progetto di valorizzazione di una meritocrazia di massa, che incontri il desiderio dei giovani di migliorarsi e migliorare la propria condizione sociale attraverso gli studi universitari per accedere ai cosiddetti “high value jobs”. Nel saggio, lo scrittore analizza e racconta come il problema del rilancio dell’economia italiana dopo la crisi pandemica appaia particolarmente complesso e in questa complessità il sistema universitario giochi un ruolo chiave. Milioni di giovani oggi sanno che la laurea in un’ottima università è il passaporto per accedere alle migliori opportunità di crescita professionale. Questi giovani, che diventeranno i migliori scienziati, laureati e manager, rappresentano una risorsa vitale per il Paese.
Discutono le tesi del saggio, in diretta dal Politecnico di Milano, l’autore Roger Abravanel (Director Emeritus McKinsey, advisor e saggista), il rettore Ferruccio Resta, il presidente Alumni Politecnico di Milano Enrico Zio e gli Alumni Paolo Bertoluzzo (CEO Nexi), Elena Bottinelli (AD IRCCS Ospedale San Raffaele e IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi) e Alberto Sangiovanni-Vincentelli (The Edgar L. and Harold H. Buttner Chair of EECS, University of California, Berkeley).
“Perché le università italiane sono rimaste indietro?”, è la domanda di partenza di Abravanel, che nel saggio parla della necessaria differenza tra teaching universities e research universities invitando al confronto con il modello di mercato delle università americane, con un conseguente ripensamento del rapporto tra finanziamento pubblico e finanziamento privato. Nel dibattito si commenta un benchmark pubblicato nel saggio, in cui l’autore mette a confronto Politecnico, Imperial College e ETH. Spicca la differenza nell’accesso ai finanziamenti, 467 milioni di euro all’anno contro gli oltre 1000 delle competitor, e nel rapporto tra docenti “tenured”, cioè ordinari, giovani ricercatori e studenti.
“Al Politecnico, l’investimento pro-capite per singolo studente, ogni anno, è di circa 10 mila euro – commenta il Rettore Ferruccio Resta. Nelle scuole a confronto, parliamo di cifre intorno agli 80 mila euro all’anno”. È un punto di partenza da tenere presente “senza, aggiunge il Rettore, che diventi un alibi”. Ma è sul rapporto tra tenured, ricercatori e studenti che il dibattito si sofferma in particolare, cercando una mediazione tra sostenibilità economica, ruolo sociale e ruolo di motore d’innovazione del Politecnico e del sistema universitario nel suo insieme. E su questo il rettore aggiunge: “L’Italia ha una primato nella capacità dei suoi ricercatori di attrarre fondi pro-capite per la ricerca, sia dall’Europa sia dalle imprese”. Una importante leva di sviluppo è quindi aumentare gli investimenti sui giovani ricercatori, commenta Resta: “Dal 2017 abbiamo investito gran parte delle risorse libere proprio su questo, aumentando del 50% il numero dei dottorandi e del 25% quello dei ricercatori”, e conclude aprendo alla discussione su alcune riforme strutturali possibili, in particolare quella di aumentare l’autonomia degli atenei nella gestione dei finanziamenti e quella di aprirsi sempre più a alleanze internazionali.
L’importanza dei giovani, e in particolare dei ricercatori, è un tema chiave del dibattito. “Puntare su ricercatori di altissimo livello è il modo di creare un ecosistema virtuoso” commenta Bottinelli, “per cui dalla contaminazione tra professionisti diversi si possa accelerare la ricerca e l’innovazione”.
Sangiovanni-Vincentelli sottolinea l’importanza delle persone, capaci di generare idee. Il capitale umano è il vero motore in grado di innovare capire e accompagnare il processo di sviluppo da dalle università alle imprese, che, dal canto loro, nutrono il sistema della ricerca di nuovi problemi e nuove domande. Parla inoltre di cross-fertilization, riferendosi alla mobilità dei ricercatori nelle università americane e nel resto del mondo, aggiungendo che “è l’ecosistema che conta: senza grandi università, senza la prossimità di grandi imprese, PMI e startup, non c’è sviluppo”.
Nel saggio, Abravanel propone un programma a lungo termine per rendere le università italiane sempre meno dipendenti dal funding pubblico, sottolineando al contempo l’importanza di continuare a garantire il diritto allo studio. Bertoluzzo commenta: “la diversificazione tra teaching universities e research universities può davvero essere una via per ricomporre la dicotomia tra la necessità di avere tanti, bravi, laureati da inserire nel mondo del lavoro ma allo stesso tempo ricercatori eccellenti”, che immettano idee nel sistema della ricerca e dell’innovazione. Nel sottolineare nuovamente l’importanza del diritto allo studio per tutti, centrale per non fermare l’ascensore sociale, Bertoluzzo si sofferma sull’importanza di fare sistema tra teaching e research universities. “È difficile separare le due missioni: dobbiamo evitare che questi due mondi si allontanino, deve esserci reciproca interazione. E anche interazione con il mondo delle imprese. La prossimità è essenziale per evitare che l’università prenda una via che la allontani da ciò che serve al paese, e viceversa, alle imprese serve essere vicine all’università”
Conclude il Rettore: “Dobbiamo avere il coraggio di valorizzare le vocazioni, i rapporti con il territorio, e i punti di forza di ciascun ateneo”.